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1. Una discordanza evangelica: Matteo e Luca e le loro due diverse versioni sul Discorso della montagna…
2. La critica modernista dell’Ottocento/Novecento e il tentativo di destrutturazione del Cristianesimo.
1. Il PRIMO DISCORSO della MONTAGNA: «VOI SIETE il SALE della TERRA e la LUCE DEL MONDO…». Il RUOLO – nella CHIESA e nella STORIA – dei FUTURI VESCOVI e SACERDOTI.
1.1 Gesù: «Voi siete il sale della terra e la luce del mondo. Ma se falliste alla vostra missione diverreste un insipido e inutile sale. Nulla più potrebbe ridarvi sapore, posto che Dio non ve l'ha potuto dare, posto che avendolo avuto in dono voi lo avete dissalato lavandolo con le insipide e sporche acque dell'umanità…»
1.2 Gesù: «In verità vi dico che per le colpe del Tempio questa nazione sarà dispersa. Ma anche in verità vi dico che ugualmente sarà distrutta la Terra quando l'abominio della desolazione entrerà nel novello Sacerdozio conducendo gli uomini all'apostasia per abbracciare le dottrine d'inferno».
2. Il SECONDO DISCORSO della MONTAGNA: Il DONO della GRAZIA e le BEATITUDINI. (1 di 2)
2.1 Gesù: «Dio dette ai due Progenitori doni naturali di bellezza ed integrità, di intelligenza e volontà, di capacità di amarsi e di amare, così dette i doni morali…, ma anche i soprannaturali, ossia la Grazia santificante, il destino superiore e la visione di Dio…». Non diciamo ‘Guai se non farò questo!’ ma diciamo: ‘Beato me se farò questo…’».
2.2 Approfondiamo la beatitudine dei ‘poveri di spirito’…
2.3 Come guadagnare il Cielo facendo buon uso delle ricchezze guadagnate ingiustamente…
2.4 Gesù: «Dio per esigenze d’ordine crea anime di diverse tendenze, allo scopo che la terra goda di un equilibrio giusto in tutte le sue necessità inferiori e superiori, ma è solo la libertà dell’uomo che lo fa uscire volontariamente da questo ordine…»
2.5 Gesù: «La grazia è possedere in voi la luce, la forza, la sapienza di Dio. Ossia possedere la somiglianza intellettuale con Dio, il segno inconfondibile della vostra figliolanza in Dio. Non tutte le anime in grazia possiedono la Grazia nella stessa misura… non perché Noi la si infonda in misura diversa, ma perché in diversa maniera voi la sapete conservare in voi».
3. Il SECONDO DISCORSO della MONTAGNA: Il DONO della GRAZIA e le BEATITUDINI. (2 di 2)
3.1 La causa di tutti gli errori che si commettono sulla terra è il peccato che separa l'uomo dalla Grazia e quindi lo rende cieco.
3.2 Lo Spirito Santo: «La Grazia rigenera l’uomo…, ma non una sola volta... ma ogni qualvolta l’uomo si pente, o piange sulla sua debolezza, o anche solo si turba...».
3.3 Predestinazione alla Grazia e predestinazione alla Gloria. Gesù: «Alla grazia sono predestinati tutti gli uomini indistintamente poiché Io per tutti sono morto. Alla Gloria sono predestinati quelli che rimangono fedeli almeno alla legge naturale del Bene. Alla fine dei secoli, sì, ognuno che sia vissuto da giusto avrà il suo premio…».
3.4 Lo Spirito Santo: «Perché altra è la predestinazione alla Grazia divina, comune a tutti gli uomini, e perciò concessa gratuitamente da Dio in misura sufficiente a salvarsi; e altra è la predestinazione alla gloria che viene data a quelli che durante la vita terrena hanno bene usato del dono della Grazia, e le sono rimasti FEDELI».
4. Il TERZO DISCORSO della MONTAGNA: i CONSIGLI EVANGELICI che PERFEZIONANO la LEGGE.
4.1 Gesù: «Come vedete, Io non muto e non mutilo la Legge, come non la corrompo con le sovrapposizioni di fermentanti teorie umane…, Io invece faccio della Legge la regina: la completo, l'incorono, mettendo sul suo sommo il serto dei consigli evangelici».
4.2 Il consiglio evangelico del perdono: Gesù: «Perdonate sempre a chi vi fa del male. Perdonate per essere perdonati, perché anche voi avete colpe verso Dio e i fratelli. Il perdono apre il Regno dei Cieli tanto al perdonato come al perdonante.»
5. Il QUARTO DISCORSO della MONTAGNA: il GIURAMENTO, la PREGHIERA, il DIGIUNO. (1 di 2)
5.1 Gesù: «Non giurare mai…, non nominare il nome di Dio invano… lo spergiuro è sacrilego, ladro, traditore, omicida… no all’orazione ipocrita ma pregare sempre Dio nel segreto del cuore, così come in segreto bisogna digiunare…».
5.2 Qualche considerazione generale sulle preghiere…, anche su quelle false.
6. Il QUARTO DISCORSO della MONTAGNA: il GIURAMENTO, la PREGHIERA, il DIGIUNO. (2 di 2)
6.1 Gesù: «Nel Pater noster è la perfezione della preghiera».
6.2 La preghiera che non serve, cioè la maggioranza delle nostre preghiere. Gesù: «Voi fate preghiere e preghiere in questi tempi. Ma non servono come dovrebbero… perché Religione vuol dire ubbidienza ai desideri e ai voleri di Dio, e voi nelle grandi e nelle piccole cose disubbidite a Dio… condizione essenziale per essere ascoltati è di non avere in cuore l’odio che uccide l’amore».
6.3 Gesù: «SEMPRE dal cominciare della preghiera la grazia del Signore scende su voi. Parlo della preghiera santa, non della stolta richiesta di cose inutili, o da Dio e dalla morale retta riprovate…».
6.4 Il ‘digiuno’ più difficile è quello spirituale. Un vero e proprio ‘cilicio’ che consiste nel violentare se stessi per dimostrare a Dio che intendiamo combattere il nostro ‘io’ per amore suo.
7. Il QUINTO DISCORSO della MONTAGNA: l’USO delle RICCHEZZE, l’ELEMOSINA, la FIDUCIA in DIO.
7.1 Gesù: «I tesori della Terra non durano. Ma i tesori del Cielo sono eterni…, fatevi delle borse in Cielo. Voi, quando fate l’elemosina, non suonate la tromba davanti a voi per attirare l’attenzione del passante ed essere onorato come gli ipocriti che vogliono l’applauso degli uomini. Non siate in pensiero per quello che mangerete per sostenervi nella vita…, sapete che il Padre sa i vostri bisogni e che vi ama. Fidate dunque in Lui».
7.2 Riflettiamo ancora su alcuni punti di questo quinto discorso della montagna.
7.3 L’attaccamento alle ricchezze spirituali. Gesù: «Le ricchezze di un figlio, che Io do a un figlio, devono essere un godimento di tutti e non esclusivo di uno…, ma il dono deve circolare fra tutti. Perché Io parlo a uno per tutti».
7.4 Gesù: « Fra le ricchezze ve ne è un’altra ancora... Sono gli affetti… Io non la distruggo la vostra ricchezza affettiva. La levo dalla Terra per trapiantarla in Cielo. Là saranno ricostruite in eterno le sante convivenze famigliari, le pure amicizie…»
8. Il SESTO DISCORSO della MONTAGNA: la SCELTA TRA BENE e MALE, l’ADULTERIO, il DIVOR-ZIO. l’ARRIVO IMPORTUNO di MARIA DI MAGDALA. (2 di 2)
8.1 Gesù: «Fra il sentiero di Dio e quello di Satana vi è una grande distanza e che sempre più si fa profonda…, la vita è così, scorre a cavaliere fra il passato e il futuro, fra il male e il bene. Al centro è l’uomo, con la sua volontà e il libero arbitrio…, l’uomo può scegliere. Nessuno lo forza».
8.2 Nelle visioni di Maria Valtorta sulla vita evangelica di Gesù sono frequenti gli episodi in cui – dopo aver chiesto ai malati (che nei vari villaggi dove entrava già lo attendevano e venivano presentati in serie davanti a Lui) se avevano Fede in Lui e ricevutane conferma – Egli li guariva in … sequenza.
8.3 Gesù: «Cosa è l’adulterio? È il desiderare febbrilmente colui che non è nostro, o colei che non è nostra… Non solo il peccato consumato ma il desiderio di consumarlo è già peccato… Chi ha guardato una donna con concupiscenza ha già commesso adulterio su lei perché il suo pensiero ha già commesso l’atto del suo desiderio».
8.4  Peccato originale e adulterio hanno una cosa in comune: la febbrile concupiscenza…
9. Il SESTO DISCORSO della MONTAGNA: la SCELTA TRA BENE e MALE, l’ADULTERIO, il DIVOR-ZIO. l’ARRIVO IMPORTUNO di MARIA DI MAGDALA. (2 di 2)
9.1 Il Male. Lo Spirito Santo: «Tutto questo millenario dolore viene da un disordine creato da un ribelle in Cielo e da un’acquiescenza al disordine proposto da esso, ormai maledetto serpente, nell’Eden, ai due primi abitatori della Terra».
9.2 GESÙ: «Il Battesimo annulla la macchia ma non il fomite. La Grazia infonde forza a vincere il fomite, ma non lo annulla…, esso tiene basso il vostro orgoglio. Se vi sentiste puri e perfetti, dei Luciferi diverreste, credendovi uguali a Dio..., esso rende meno gravi le vostre colpe ai suoi Occhi. Perché se non aveste in voi il fomite che agita e morde senso e ragione con l’astuzia dell’antico Serpente suo generatore, non sareste giudicati ‘con misericordia’…».
9.3 Dall’umiliazione subita da Maria Maddalena nel corso del sesto Discorso della montagna inizierà una ‘macerazione’ che poi la porterà gradatamente alla conversione.
9.4 Un ‘intermezzo’ imprevisto per tutti, ma non per la Divina Volontà. La doppia natura di Gesù…
10. Il SETTIMO DISCORSO della MONTAGNA nella SOSTA del SABATO: AMARE la VOLONTÀ di DIO. (1 di 3)
10.1 Gesù: «Quando il giorno aveva inizio mi fu fatto osservare che, se tutto viene da volontà divina, anche gli errori degli uomini sono voluti da quella. Questo è errore, ed errore molto diffuso. Può mai un padre volere che il figlio si renda riprovevole? Non lo può…».
10.2 Gli errori degli uomini – in effetti - non derivano dalla volontà divina. Dio è Padre e nessun padre vorrebbe il male per un figlio. Dio consiglia ma non forza, perché vuole che l’uomo sia libero, e se errore viene fatto è perché l’uomo anziché la volontà di Dio segue la propria volontà. Quella dei sensi, del mondo e del demonio.
10.3 Gesù: «La Volontà di Dio è lo strumento che fa di voi, fibre inselvatichite, stoffe preziose e preziose lane».
10.4 Gesù: «L’obbedienza. La virtù che non volete praticare… Cosa è stato, in fondo, il peccato d’origine? Una disobbedienza».
10.5 Gesù: «L’uomo si crede potere sindacare Iddio e le sue opere…, perché fa questo? Per irriflessione soltanto? No, sempre per superbia. È sempre il veleno, uno dei tre veleni di Lucifero, che agisce in lui. Nella sua superbia non valuta la differenza fra lui e Dio, e lo tratta alla pari…».
10.6 Gesù: «L’ubbidienza ha più valore della Parola. L’ubbidienza è stata la virtù del Verbo».
11. Il SETTIMO DISCORSO della MONTAGNA nella SOSTA del SABATO: AMARE la VOLONTÀ di DIO. (2 di 3)
11.1 Gesù: «... Ma Io ero l’Uomo. Essendo l’Uomo, dovevo possedere quella virtù la cui perdita aveva perduto l’uomo, e redimervi con quella. L’uomo s’era perduto per aver disubbidito al desiderio di Dio. Io, l’Uomo, vi ho dovuto salvare ubbidendo al desiderio di Dio… L’obbedienza è fatta anche di minuscole cose di ogni ora, compiute senza brontolii, man mano che vi si presentano».
11.2 Dio Padre: «L’ubbidienza pronta, l’aderenza gioconda al disegno di Dio sono il segno della formazione spirituale di un cuore…». La legge della Prova.
11.3 Azaria: «Il Verbo ha sempre ubbidito. Il Padre gli disse: "Tu sarai Uomo perché Tu solo puoi istruire l'Umanità". Il Verbo disse: "Sarò Uomo. La tua Volontà sia fatta". Il Padre disse: "Tu morrai perché solo il tuo Sacrificio potrà redimere l'Umanità". Il Verbo disse: "Io morrò. La tua Volontà sia fatta". Il Padre disse: "E morrai sulla Croce perché per redimere il mondo non mi è sufficiente il sacrificio della tua vita fra ì dolori della morte per malattia". Il Verbo disse: "E morirò sulla Croce. La tua Volontà sia fatta…».
12. Il SETTIMO DISCORSO della MONTAGNA nella SOSTA del SABATO: AMARE la VOLONTÀ di DIO. (3 di 3)
12.1 Azaria: «Chi obbedisce al volere di Dio fa il bene per quanto le sue capacità comportano, e Dio è contento di quel tanto. Quel Dio che con una parola ha creati i cieli… non potrà forse, delle informi e imperfette vostre azioni, fatte con buon volere, compiere opere perfette? Dio completa e rende perfetto l’eroico buon volere dei figli…, Egli prende ciò che i suoi piccoli fanno e lo rende simile a cosa fatta da un dio, completandolo con la sua bontà».
12.2 Gesù: «Ho risposto… Maria, ho risposto radunando le forze, bevendo pianto e sangue che colavano dagli occhi e dai pori, ho risposto: “Non ho più madre. Non ho più vita. Non ho più divinità. Non ho più missione. Nulla ho più. Fuorché fare la Volontà del Signore mio Dio… e il Cuore si è franto nello sforzo. Il sudore è divenuto non più stille ma rivoli di sangue. Non importa. Ho vinto. Io ho vinto la Morte. Io. Non Satana. La Morte si vince accettando la morte».
      
INTRODUZIONE
1. Una discordanza evangelica: Matteo e Luca e le loro due diverse versioni sul Discorso della montagna…
Si è chiuso nel maggio 2013 – nel quadro di un programma di studio triennale della ‘Scuola di Gesù e Maria’ - il ciclo in otto mesi costituito da una sessantina di ‘riflessioni’ di approfondimento sul ‘Credo’ (Simbolo apostolico).
Tale iniziativa – che ha preso avvio in occasione dell’Anno della Fede indetto in tutto il mondo dal Santo Padre Benedetto XVI nell’ottobre 2012 – è stata presa a cura del ‘Movimento per una nuova Evangelizzazione’ che ne ha affidato l’attuazione al ‘Team di coordinamento e supporto didattico’ (Team Neval) della ‘Scuola’ di cui sopra destinata alla ‘formazione’ dei propri iscritti in funzione di una ‘evangelizzazione’ futura.
Inutile sottolineare – per una società cristiana sostanzialmente ‘scristianizzata’ che ha perduto la sua ‘memoria’ – l’importanza di una ‘nuova’ evangelizzazione, nuova nella forma e nella ‘tecnica’ espositiva e di approccio ma ovviamente identica nei contenuti.
Una Evangelizzazione come quella valtortiana che si rifaccia alla vita di Gesù inteso e conosciuto come persona reale e che - per i ‘pagani’ dei nuovi tempi - parta dagli elementi fondamentali della sua Dottrina che sono alla base della vera Fede.
Tale ‘evangelizzazione’ ha dunque come punto di partenza la Dottrina Cristiana e la conoscenza dei Vangeli ma si propone di approfondirla alla luce delle Rivelazioni e visioni ricevute dalla mistica moderna Maria Valtorta nel corso degli anni ’40 del Novecento, rivelazioni pubblicate editorialmente in una quindicina di volumi per oltre settemila pagine e tradotte in oltre venti lingue.
Superfluo - per gli iscritti al corso - spiegare chi sia Maria Valtorta.
Essi sono infatti tutti conoscitori dell’Opera enciclopedica della mistica che aveva trascritto in ‘tempo reale’ oltre seicento visioni sulla vita evangelica e sui discorsi di Gesù durante la sua triennale vita pubblica di duemila anni fa, discorsi ai quali lei assisteva come una ‘telecamera nascosta’ e che – pur essendo stati pronunciati in ebraico od anche aramaico lei – attenzione, miracolo nel miracolo – ‘sentiva’ in lingua ‘italiana’1.
Per coloro che si dovessero imbattere in queste nostre ‘riflessioni’ basterà invece digitare l’indirizzo internet del sopra citato Movimento
www.movimentoneval.altervista.org (in manutenzione)
per trovare tutte le necessarie informazioni sulla mistica, sul Movimento e sulla ‘Scuola’.
Il Team – per il secondo esercizio ‘scolastico’ ottobre 2013-aprile 2014 – ha ora deciso di approfondire l’argomento della Fede mettendo a fuoco per gli iscritti anche le tematiche dei ‘Dieci comandamenti’ e del ‘Discorso della montagna’.
Anche questa volta, come nel caso del Credo, il compito è stato affidato ai due precedenti relatori: Giovanna Busolini e Guido Landolina.
Mentre Giovanna Busolini si dedicherà ai ‘Dieci Comandamenti’, io mi concentrerò qui ed attirerò la vostra attenzione sul ‘Discorso della montagna’.
Si tratta di argomenti molto importanti perché se il rispetto dei Dieci comandamenti mosaici rappresenta il minimo per salvarsi, gli insegnamenti e consigli di perfezionamento evangelico di Gesù nel Discorso della montagna (mai abbastanza approfonditi per il ‘grande pubblico’) rappresentano ‘il di più’ per poter conseguire una maggior Gloria in Cielo.
Nell’analizzare dunque ora da parte mia il Discorso della Montagna, così come noi lo leggiamo seguendo la traccia del Vangelo dell’evangelista ed apostolo Matteo (il cui testo è più ampio e completo di quello degli altri due evangelisti Marco e Luca) devo attirare preliminarmente la vostra attenzione sul fatto che in genere gli evangelisti, nel citare episodi o detti di Gesù, non si erano preoccupati di redigere un resoconto ‘storico’, cioè cronologicamente consequenziale, degli episodi evangelici.
Essi cercarono piuttosto di seguire nella loro redazione soprattutto l’ordine logico che dovette loro apparire didatticamente adatto ai fini della catechesi che essi si proponevano di svolgere per la conversione al Cristianesimo del mondo ebraico e pagano di allora.
Gli evangelisti non volevano cioè raccontare la vita o la ‘storia’ di Gesù, cosa che invece appare chiaramente – come vedremo - nell’Opera ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ della mistica Valtorta.
In tale Opera le frasi di Gesù e gli episodi della sua vita sono appunto inseriti in un contesto storico e di situazioni assolutamente chiare e precise, quanto al loro collocamento logico-temporale, fatto che consente una più completa ed approfondita comprensione dei Vangeli e della stessa predicazione di Gesù, come appunto vedremo in seguito addentrandoci nel Discorso della montagna.
Con riferimento ad esso, lo scrittore cattolico Vittorio Messori aveva scritto in una propria opera che a causa di alcune discordanze che appaiono inspiegabili fra il testo del Vangelo di Matteo e quello di Luca, questo ‘discorso’ rappresenta uno dei ‘cavalli di battaglia’ al quale si sono attaccati certi critici prevenuti che – passando al setaccio brani apparentemente inspiegabili (come ad esempio quelli divergenti dei quattro racconti evangelici delle discepole recatesi alla tomba di Gesù il mattino della Resurrezione, racconti che invece trovano completa e soddisfacente spiegazione nell’Opera valtortiana) - vorrebbero ‘strumentalizzarli’ per mettere in dubbio l’attendibilità in genere dei Vangeli.
Cavalli di battaglia o ‘cavilli’?
Mi spiegherò meglio.
Matteo così esordisce nel Cap. 5 del suo Vangelo riportante il ‘Discorso’:2
Mt 5, 1-3:
«Gesù, veduta la folla, salì sul monte e quando si fu seduto, gli s’accostarono i suoi discepoli. Allora egli aprì la bocca per ammaestrarli, e disse: «Beati i poveri di spirito, perché di essi è il Regno dei cieli!...’»
E così via di seguito - per tutti i Capp. 5, 6, 7 ed inizio del Cap. 8 (8, 1-4) – finché, dice sempre Matteo nel suo Vangelo, dopo aver terminato il discorso, Gesù scende dal monte seguito da una’ gran folla’ e guarisce un lebbroso.
Luca nel suo Vangelo scrive invece:3
Lc 6, 12-20:
«In quei giorni Gesù si recò sul monte a pregare e trascorse tutta la notte in orazione a Dio.
Quando fu giorno, chiamò i suoi discepoli e ne scelse Dodici, ai quali dette il nome di Apostoli: Simone, che chiamò Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo e Tommaso, Giacomo figlio di Alfeo e Simone, detto lo Zelatore, Giuda fratello di Giacomo, e Giuda Iscariote, che divenne traditore.
Poi, sceso con loro, si fermò su di un ripiano dov’era gran folla dei suoi discepoli e una moltitudine di popolo, venuta da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dalle contrade marittime di Tiro e di Sidone per ascoltarlo e per essere guariti dalle loro infermità.
Coloro infatti che erano tormentati dagli spiriti impuri, venivano liberati, e tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una virtù che guariva tutti. Ed egli sollevando lo sguardo sopra i suoi discepoli, disse: ‘Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno di Dio’…. ».
Ora, l’inizio delle ‘Beatitudini’ nel Vangelo di Matteo: «Beati i poveri di spirito, perché di essi è il Regno dei cieli!...’» e quello di Luca: «Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno di Dio…», con quel che segue non lascia dubbi sul fatto che si tratti per entrambi dello stesso Discorso della montagna, ancorché il seguito sia riportato da Matteo molto più ampiamente rispetto a Luca.
Nel testo di Luca, tuttavia, l’evangelista sembra legare direttamente le circostanze del Discorso della montagna all’episodio della elezione ufficiale dei dodici apostoli, mentre non fa così il Vangelo di Matteo dove l’episodio dell’elezione viene riportato al Cap. 10 in un differente contesto che nulla ha a che vedere con il Discorso della montagna.
La concatenazione in Luca fra il brano della elezione apostolica (6, 12-19) e il versetto immediatamente successivo (6, 20) del Discorso della montagna: ‘Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno di Dio…’, ha fatto tuttavia pensare a più di un esegeta che ‘Elezione apostolica’ e ‘Discorso della montagna’ facessero parte di un unico contestuale episodio, in cui il Discorso della montagna – ed ecco qui la discordanza evangelica fra Luca e Matteo – fosse stato tenuto non in cima ad un monte dove Gesù era salito - come aveva detto Matteo - ma su un ripiano più in basso dove Gesù era disceso (come scritto invece da Luca).
La traduzione ‘su un ripiano’ è stato peraltro interpretata da molti esegeti come… ‘su una pianura’, dove Gesù si sarebbe fermato dopo la discesa.
Avendo i critici interpretato il testo di Luca come sopra spiegato, ne deriva che il suddetto brano di Matteo (brano dove invece è scritto che Gesù, anziché discendere dal monte come dice Luca, salì sul monte e che solo quando si fu seduto in cima al monte cominciò ad ammaestrare: ‘Beati i poveri di spirito…’, etc.) appare in contrasto con quello di Luca.
L’una o l’altra delle due versioni, secondo costoro, sarebbe dunque ‘sbagliata’ e ciò – insieme ad altri dettagli apparentemente discordanti che di quando in quando vengono trovati dei Vangeli – metterebbe in discussione come già detto la esattezza e quindi la ‘veridicità’ dei racconti evangelici.
«Ma insomma – hanno detto con malcelato sarcasmo questi ‘critici’ alla Voltaire o alla Loisy per non dire anche alla Bultmannquel Gesù, sale o scende? Il discorso lo fa in montagna o in pianura? Che si mettano d’accordo, gli evangelisti, a parte il fatto che nel discorso mettono in bocca a Gesù delle frasi che sono solo una raccolta di citazioni e di massime copiate da altri, o meglio dai profeti…».
L’Opera di Maria Valtorta, ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’, attraverso la descrizione delle due visioni relative a questi episodi consente invece di comprendere meglio circostanze e ‘concatenazioni’.
Nell’Opera suddetta l’episodio della elezione degli apostoli di cui parla Luca nel suo sopra trascritto brano4 avviene in un contesto diverso rispetto a quello di Matteo.
Più in particolare si comprende che Gesù – all’inizio del secondo anno di predicazione apostolica dopo la fase iniziale di formazione dei ‘dodici’– giudica che sia ormai giunto il momento di ‘promuoverli’ da discepoli ad ‘apostoli’ veri e propri.
Si tratta di una investitura di grande importanza perché da quel momento in poi i dodici discepoli sarebbero diventati il ‘Collegio apostolico’ con tutti i relativi carismi e responsabilità compresa quella dell’inizio della loro ‘predicazione’.
Era tuttavia necessario che essi si preparassero adeguatamente attraverso la preghiera (non ancora quella del ‘Padre nostro’ che Gesù dice loro che gli avrebbe insegnato in seguito) la quale avrebbe permesso un’intima fusione con Dio per imparare successivamente ad evangelizzare da soli come ‘apostoli’.
Gesù li conduce quindi su una montagna dove – in un luogo dotato di numerose caverne e di acque fresche ed abbondanti – egli invita i discepoli a ritirarvisi in ognuna in solitudine con una piccola scorta di cibo strettamente necessario alla ‘sopravvivenza’ per pregare tre volte al giorno tutti insieme: mattino, mezzogiorno e sera, e rimanere in meditazione soli nel resto della giornata, per un periodo di una settimana.
Alla fine di questo ‘ritiro spirituale’ i discepoli si ritrovano ‘apostoli’, in quanto ripieni di ‘Spirito Santo’, e Gesù con l’intero gruppo ridiscende dal monte.
A mezza costa, su di un ripiano, numerosi altri discepoli e folla di malati li stanno attendendo e Gesù, guariti i bisognosi, riprende la discesa fin quasi al piano dove Egli lascia gli apostoli, diretto altrove, invitandoli ad andare in giro e cominciare a predicare.
Non vi è traccia in questo punto della visione valtortiana5 di alcun ‘Discorso della montagna’ che invece – subito dopo l’elezione apostolica di cui parla Luca – quest’ultimo fa cominciare da Gesù con quel ‘Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno di Dio’ con quel che segue delle Beatitudini.
Appaiono invece esatte le circostanze del discorso descritte nel Vangelo di Matteo.
A questo riguardo faccio notare che sempre nell’Opera della mistica – subito dopo l’episodio dell’elezione apostolica narrato da Luca – Gesù si era recato in barca sul Lago di Tiberiade fino alla villa di una sua discepola - Giovanna, moglie di Cusa, Intendente di Erode, menzionata nei Vangeli canonici - per evangelizzare delle nobildonne romane della corte di Ponzio Pilato, desiderose di conoscere meglio la sua Dottrina, spiegando loro che anche esse avevano un’anima immortale infusa da Dio al momento del loro concepimento.
Successivamente la mistica vede in una nuova visione Gesù che sale su per le pendici di un monte (un altro, non quello dell’elezione apostolica) dove poi si incontra con gli apostoli ritornati nel frattempo dalla loro prima esperienza di predicazione personale dopo la loro ‘elezione’.6
È a quel punto che la sera stessa – mentre Gesù fa attendere e pernottare il resto della folla sulle pendici più in basso fino al mattino dopo per l’inizio del discorso ‘ufficiale’ – Egli parla riservatamente ai soli apostoli ed altri discepoli del gruppo dei ‘72’.
É con essi che Gesù inizia il Discorso, cominciando però non dalle varie ‘Beatitudini’ come scritto da Matteo, ma dal ben noto tema ‘Voi siete il sale della terra e la luce del mondo.’
Nel seguito di questa nostra trattazione vedremo anche – alla luce dell’Opera valtortiana - la specifica ragione di questo argomento e di questo primo discorso in un certo senso tenuto a ‘porte chiuse’ ai soli apostoli e discepoli.
Ecco comunque – partendo dal Vangelo di Matteo, prima di accingerci alle nostre riflessioni - come viene presentato il Discorso della montagna:7
Cap. 5
1Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. 2Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
3Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
4Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
5Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
7Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
8Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
9Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
10Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.
13Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, 15né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. 16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.
17Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. 18In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. 19Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
20Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
21Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna.
23Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.
25Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. 26In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all'ultimo spicciolo!
27Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; 28ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.
29Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. 30E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna.
31Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto di ripudio; 32ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all'adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
33Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti; 34ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio; 35né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran re. 36Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. 37Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.
38Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; 39ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; 40e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. 41E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. 42Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.
43Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; 44ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, 45perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. 46Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.
Cap. 6
1Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli. 2Quando dunque fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 3Quando invece tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, 4perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
5Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 6Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
7Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. 8Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sà di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. 9Voi dunque pregate così: 'Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; 10venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. 11Dacci oggi il nostro pane quotidiano, 12e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, 13e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male'.
14Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; 15ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.16
E quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.
17Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, 18perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
19Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; 20accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. 21Perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore.
22La lucerna del corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; 23ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!
24Nessuno può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, o preferirà l'uno e disprezzerà l'altro: non potete servire a Dio e a mammona.
25Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? 26Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? 27E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? 28E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. 29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? 31Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? 32Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. 33Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.
Cap. 7
1Non giudicate, per non essere giudicati; 2perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati. 3Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? 4O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell'occhio tuo c'è la trave? 5Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.
6Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.
7Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; 8perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. 9Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra? 10O se gli chiede un pesce, darà una serpe? 11Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!
12Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti.
13Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; 14quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!
15Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. 16Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? 17Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; 18un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. 19Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. 20Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere.
21Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. 22Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? 23Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
24Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. 25Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. 26Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. 27Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande".
28Quando Gesù ebbe finito questi discorsi, le folle restarono stupite del suo insegnamento: 29egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi.
Cap. 8
1Quando Gesù fu sceso dal monte, molta folla lo seguiva. 2Ed ecco venire un lebbroso e prostrarsi a lui dicendo: "Signore, se vuoi, tu puoi sanarmi". 3E Gesù stese la mano e lo toccò dicendo: "Lo voglio, sii sanato". E subito la sua lebbra scomparve. 4Poi Gesù gli disse: "Guardati dal dirlo a qualcuno, ma va' a mostrarti al sacerdote e presenta l'offerta prescritta da Mosè, e ciò serva come testimonianza per loro".
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Faccio rilevare, sempre a proposito di discordanze, che Matteo ha ‘infilato’ la preghiera del ‘Padre nostro’ (6, 9-13) subito dopo i versetti (6, 5-8) del Discorso della montagna dove Gesù parla della ‘preghiera’ in genere, e questo forse perché ai fini ‘didattici’ della evangelizzazione gli deve essere sembrato il punto più idoneo dove inserirla.
Luca invece non parla del ‘Padre nostro’ nella ‘sua’ versione del Discorso nel Cap. 6, 12-20 mentre ne parlerà invece solo in seguito, nel Cap. 11, 1-13.
Luca – in merito a questa preghiera - scrive che mentre Gesù si trovava ‘in una certa località’ e stava pregando, uno dei discepoli gli chiede di mostrare loro come pregare, e Gesù gliela insegna.
Sapremo dall’Opera valtortiana che ‘quel certo posto’ non meglio chiarito da Luca altro non sarà che la città di Gerusalemme, qualche mese dopo, e più precisamente sulle pendici fresche ed ombrose del monte degli Ulivi dove Gesù uscendo dalla città conduce gli apostoli, per coronare in quel periodo in maniera adeguata la Pasqua ebraica ed insegnare loro ‘le parole degne di essere dette a Dio’, come precisa agli apostoli lo stesso Gesù valtortiano.8

1  N.d.A: Emblematico – e per certi versi analogo - l’episodio miracoloso citato negli Atti degli apostoli (Atti 2, 1-13) dove - dopo la discesa dello Spirito Santo nel Cenacolo sugli apostoli - questi escono, concionano la folla costituita da uomini di svariate nazioni estere e ciascuno di essi li sente parlare nella propria lingua nazionale.
2  La Sacra Bibbia – Edizioni Paoline, 1968
3  La Sacra Bibbia – Edizioni Paoline, 1968
4  Lc 6, 12-20
5  M.V.: L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. III - Capp. 164, 165, 166 – Centro Editoriale Valtortiano
6  M.V.: L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. III - Cap. 169 – Centro Editoriale Valtortiano
7  Mt Capp. 5, 6, 7, 8,-1-4
8  M.V.: Brano tratto da ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. III, Cap. 203.1/2 e 203.5:
28 giugno 1945. Gesù esce con i suoi da una casa prossima alle mura e credo sempre nel rione di Bezeta, perché per uscire dalle mura si deve ancora passare davanti alla casa di Giuseppe, che è presso la porta che ho sentito definire "di Erode". La città è semideserta nella sera placida e lunare. Comprendo che è stata consumata la Pasqua in una delle case di Lazzaro, che però non è per nulla la casa del Cenacolo. Questa è proprio agli antipodi di quella. Una a nord, l'altra a sud di Gerusalemme. Sulla porta di casa Gesù si accomiata, col suo garbo gentile, da Giovanni di Endor, che Egli lascia a custodia delle donne e che ringrazia per questa custodia. Bacia Marjziam, che è venuto anche lui sulla porta, e poi si avvia fuori della porta detta di Erode.
«Dove andiamo, Signore?».
«Venite con Me. Vi porto a coronare con una perla rara e desiderata la Pasqua. Per questo ho voluto stare con voi soli. I miei apostoli! Grazie, amici, del vostro grande amore per Me. Se poteste vedere come esso mi consola, voi restereste stupiti. Vedete, Io procedo fra continui attriti e delusioni. Delusioni per voi. Per Me, persuadetevene, non ho nessuna delusione, non essendomi concesso il dono di ignorare... Anche per questo vi consiglio a lasciarvi guidare da Me. Se Io permetto questo o quello, non ostacolatelo. Se Io non intervengo a porre fine ad una cosa, non pensatevi di farlo voi. Ogni cosa a suo tempo. Abbiate fiducia in Me, su tutto».
Sono all'angolo nord-est della cerchia delle mura; lo girano e costeggiano il monte Moria fino al punto in cui, per un ponticello, possono valicare il Cedron.
«Andiamo al Getsemani?» chiede Giacomo d'Alfeo.
«No. Più su. Sul monte degli Ulivi».
«Oh! sarà bello!» dice Giovanni.
«Sarebbe piaciuto anche al bambino» mormora Pietro.
«Oh! ci verrà molte altre volte! Era stanco. Ed è bambino. Io voglio darvi una grande cosa, perché ormai è giusto che voi l'abbiate». Salgono fra gli ulivi, lasciando alla loro destra il Getsemani e elevandosi ancora, su per il monte, sino a raggiungerne la cresta su cui gli ulivi fanno un pettine frusciante.
Gesù si ferma e dice: «Sostiamo... Miei cari, cari tanto, discepoli miei e miei continuatori in futuro, venite a Me vicino. Un giorno, e non uno solo, voi mi avete detto: "Insegnaci a pregare come Tu preghi. Insegnaci come Giovanni lo insegnò ai suoi, acciò noi discepoli si possa pregare con le stesse parole del Maestro".
Ed Io vi ho sempre risposto: “Vi farò questo quando vedrò in voi un minimo di preparazione sufficiente, acciò la preghiera non sia formula vana di parole umane, ma vera conversazione col Padre”. A questo siamo giunti.
Voi siete possessori di quanto basta per poter conoscere le parole degne di essere dette a Dio. E ve le voglio insegnare questa sera, nella pace e nell'amore che è fra noi, nella pace e nell'amore di Dio e con Dio, perché noi abbiamo ubbidito al precetto pasquale, da veri israeliti, e al comando divino sulla carità verso Dio e verso il prossimo (…) «Udite. Quando pregate dite così: "Padre nostro che sei nei Cieli, sia santificato il Nome tuo, venga il Regno tuo in terra come lo è in Cielo, e in terra come in Cielo sia fatta la Volontà tua. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal Maligno".
Gesù si è alzato per dire la preghiera e tutti lo hanno imitato, attenti, commossi.
«Non occorre altro, amici miei. In queste parole è chiuso come in un cerchio d'oro tutto quanto abbisogna all'uomo per lo spirito e per la carne e il sangue. Con questo chiedete ciò che è utile a quello e a questi. E se farete ciò che chiedete, acquisterete la vita eterna.
È una preghiera tanto perfetta che i marosi delle eresie e il corso dei secoli non l'intaccheranno. Il cristianesimo sarà spezzettato dal morso di Satana e molte parti della mia carne mistica verranno staccate, separate, facenti cellule a sé, nel vano desiderio di crearsi a corpo perfetto come sarà il Corpo mistico del Cristo, ossia quello dato da tutti i fedeli uniti nella Chiesa apostolica che sarà, finché sarà la terra, l'unica vera Chiesa. Ma queste particelle separate, prive perciò dei doni che Io lascerò alla Chiesa Madre per nutrire i miei figli, si chiameranno però sempre cristiane, avendo culto al Cristo, e sempre si ricorderanno, nel loro errore, di essere venute dal Cristo. Ebbene, esse pure pregheranno con questa universale preghiera. Ricordatevela bene. Meditatela continuamente. Applicatela alle vostre azioni. Non occorre altro per santificarsi. Se uno fosse solo, in un posto di pagani, senza chiese, senza libri, avrebbe già tutto lo scibile da meditare in questa preghiera e una chiesa aperta nel suo cuore per questa preghiera. Avrebbe una regola e una santificazione sicura…».
1. IL PRIMO DISCORSO DELLA MONTAGNA: «VOI SIETE IL SALE DELLA TERRA E LA LUCE DEL MONDO…». IL RUOLO – NELLA CHIESA E NELLA STORIA – DEI FUTURI VESCOVI E SACERDOTI.
1.1 Gesù: «Voi siete il sale della terra e la luce del mondo. Ma se falliste alla vostra missione diverreste un insipido e inutile sale. Nulla più potrebbe ridarvi sapore, posto che Dio non ve l'ha potuto dare, posto che avendolo avuto in dono voi lo avete dissalato lavandolo con le insipide e sporche acque dell'umanità…»
Abbiamo precisato - nella Introduzione precedente questa nostra serie di riflessioni - che il ‘Discorso della montagna’, tenuto da Gesù all’inizio del secondo anno della sua vita pubblica (discorso che nel Vangelo di Matteo appare come un ‘tutto unico’ contenente varie enunciazioni che appaiono come dette in sequenza), nelle visioni de ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ della mistica Maria Valtorta appare in realtà pronunciato nel corso di sette giorni: in sostanza, per dirla in termini ecclesiastici, una sorta di ‘omelìa’ al giorno.
Avevamo pure attirato l’attenzione sul fatto di come autorevoli critici avessero trovato da obiettare circa la versione degli avvenimenti descritta dagli evangelisti Luca e Matteo, mettendo in evidenza alcune contraddizioni su quel salire o scendere dalla montagna e mettendo persino in dubbio che quel discorso fosse stato effettivamente pronunciato da Gesù o non piuttosto attribuitogli dagli apostoli.
Sono il più delle volte quegli stessi critici (e avevamo citato - quali loro precursori dell’Ottocento e del Novecento - i vari Renan, Loisy, e Bultmann) che negano talvolta la realtà storica della persona di Gesù asserendo trattarsi di un personaggio inventato per creare una nuova ‘religione’, o lo presentano come un uomo realmente esistito, pur sapiente, ma ‘divinizzato’ a posteriori dai primi ignoranti discepoli convinti che Egli fosse un ‘dio’.
Oppure – alludo sempre a questi critici, in molti casi atei – costoro lo considerano ‘indulgentemente’ come un uomo che si credeva ‘ispirato’, finendo egli stesso per convincersi di essere un ‘dio’ incarnato e che – da morto – sarebbe resuscitato, fatto che non sarebbe mai avvenuto perché un morto non può resuscitare: insomma un visionario!
Per inciso costoro appartengono alla stessa categoria di critici che non vogliono credere nel Dio rivelato dalla ‘Genesi biblica’ né tantomeno riescono a credere alla realtà dei miracoli descritti nei Vangeli, miracoli che secondo loro vi sarebbero stati inseriti a quei tempi a bella posta a scopo apologetico, ma non credibili perché violerebbero le leggi considerate ‘inviolabili’ della natura.
Quando poi questi critici sono costretti ad ammetterli – poiché miracoli di guarigione vengono continuamente constatati in molti casi ancor oggi nella loro evidente realtà – essi mettono le mani avanti precisando trattarsi non di fenomeni soprannaturali ma naturali dei quali però un giorno… la ‘scienza’ scoprirà i ‘meccanismi’ di funzionamento.
Ricordiamo peraltro – a proposito della versione evangelica su quel salire o discendere dal monte di cui abbiamo appunto parlato nella Introduzione - che Matteo era un apostolo che aveva partecipato fin quasi dall’inizio alla predicazione di Gesù ed era stato pertanto un ‘testimone diretto’, personalmente presente agli avvenimenti da lui descritti nel suo Vangelo, mentre Luca aveva dovuto basarsi su racconti fatti anni dopo da altri, in particolare forse da San Paolo di cui era stato collaboratore (ma che a sua volta non aveva vissuto la vita attiva e la predicazione di Gesù).
Nell’Opera della mistica: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’, gli avvenimenti del periodo in cui Gesù pronunciò il suo Discorso vengono presentati nella seguente sequenza:
1) Ritiro del Gruppo apostolico su di un monte per un periodo di intensa preghiera e meditazione, con conseguente successiva ‘elezione’ dei dodici discepoli al ruolo di ‘apostoli’ da parte di Gesù (Lc 6, 12-16 e Mc 3, 13-19).1
2) Gli apostoli vengono quindi inviati da Gesù ‘in missione’ nei vari villaggi per fare esperienza di evangelizzazione con le loro prime prediche apostoliche.2
3) Gesù – disceso intanto dal monte della Elezione e lasciati gli apostoli dopo aver dato loro appuntamento per qualche tempo dopo – sale in barca sul Lago di Tiberiade per recarsi ad un incontro con alcune nobildonne romane della corte di Ponzio Pilato che si erano mostrate molto interessate alla sua predicazione, donne che - in una bellissima villa sul lago - erano ospiti di Giovanna, moglie di Cusa, Intendente di Erode.3
4) Gesù si reca quindi al luogo di appuntamento convenuto precedentemente con gli apostoli, per poi salire su un altro monte – sempre nei pressi del Lago di Tiberiade e non lontano da Cafarnao - per pronunciare appunto il famoso discorso che sarebbe stato chiamato il ‘Discorso della montagna’ (Mt 5, 6, 7).4
Questo – del quale solo alcune frasi, anche se estremamente importanti, sono riportate nel vangelo di Matteo - costituisce la ‘summa’ della Dottrina e dell’Etica cristiana, in quanto rappresenta il completamento di perfezione portato da Gesù alla Legge mosaica.
Ricordo ancora che quantunque Matteo presenti le varie enunciazioni di Gesù come se fossero un unico discorso pronunciato senza soluzione di continuità, dall’opera della mistica emerge invece chiaramente che in realtà quelle di Matteo furono enunciazioni tematiche atte a caratterizzare il tema principale trattato da Gesù in ogni suo singolo discorso giornaliero, enunciazioni che avrebbero dovuto essere evidentemente utilizzate in seguito al fine della evangelizzazione e predicazione apostolica, sviluppandone i concetti secondo quanto insegnato precedentemente da Gesù.
Il primo discorso venne tenuto di sera in forma rigorosamente riservata, cioè sulla montagna ma senza la presenza delle folle che attendevano sulle pendici più in basso: un discorso molto particolare e anche severo di Gesù agli apostoli nonché al gruppo di discepoli che nei Vangeli è detto dei ‘settantadue’.
Si comprende dal contesto valtortiano che quella sorta di ‘Convention all’aperto’ doveva essere stata ampiamente ‘reclamizzata’ nei vari villaggi frequentati dagli apostoli nel corso della loro predicazione dopo l’elezione apostolica: infatti era presente una gran massa di persone desiderose di ascoltare la sapiente parola di quel profeta che dicevano essere il Messia, o bisognose di guarigione, oppure semplicemente interessate per curiosità ad assistere agli strabilianti miracoli di guarigione che Gesù non negava mai a chi mostrava di essere pentito dei propri peccati e di avere fede in Lui, o infine persone che – nemiche – speravano nascostamente di raccogliere parole compromettenti atte a farlo mettere sotto accusa da parte del Sinedrio di Gerusalemme.
Giusto quindi che l’Uomo-Gesù – prescindendo dalla Divinità che pure era in Lui - per quell’occasione così importante si fosse ritirato in precedenza insieme ai suoi apostoli sul monte della elezione apostolica per prepararsi - nella preghiera e quindi nell’unione intima con Dio-Padre – non solo all’elezione apostolica ma anche all’importantissimo successivo Discorso della montagna che avrebbe segnato caratterizzato indelebilmente la futura spiritualità cristiana.
I discepoli presenti sono molti, forse tutti i settantadue, e così pure il popolo che in gran numero attende accampato più in basso.
Agli apostoli, che al mattino del primo giorno gli chiedono istruzioni per organizzare l’afflusso della folla, Gesù comunica che il primo discorso lo avrebbe dedicato la sera solo a loro e ai discepoli mentre al resto del popolo attendente Egli si sarebbe rivolto a partire dal mattino del giorno successivo.
Gli apostoli scendono allora un poco più a valle per avvisare quelli che erano in attesa in merito al ‘rinvio’ al mattino dell’indomani, mentre al tramonto di quello stesso primo giorno essi ritornano da Gesù conducendo con sé i discepoli che Egli aveva chiesto fossero presenti.
Dopo una cena parsimoniosa si accendono i fuochi e tutti insieme – apostoli e discepoli - si stringono in cerchio intorno a Gesù per non perdere una parola di quanto Egli si appresta a dire loro.
Era il secondo anno di vita pubblica di Gesù, con una Pasqua che si avvicinava.
All’aperto, sotto il cielo stellato - e con i fuochi le cui fiamme illuminavano a tratti con bagliori il volto di Gesù - doveva trattarsi di una scena veramente suggestiva in quella sera tiepida di primavera palestinese.
Gesù informa in prima istanza i discepoli di aver voluto parlare a tutti loro riservatamente in disparte rispetto al resto del popolo perché – in quanto discepoli e quindi stretti seguaci – Egli li considera amici particolari e perché, pur avendo già provveduto alla elezione ufficiale del collegio apostolico, egli avrà in futuro molto bisogno del loro aiuto.
Gesù poi così continua spiegando ad apostoli e discepoli che essi dovevano comprendere da un lato il privilegio di questa designazione divina ma dall’altro anche la loro tremenda responsabilità se essi avessero tradito i doni di Dio portando a perdizione il ‘gregge’ che, credendoli ‘uomini di Dio’, si sarebbe affidato con fiducia a loro.
Ecco comunque qui di seguito il testo integrale della visione valtortiana (i grassetti sono miei):5
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22 maggio 1945.
Gesù va solo e svelto per una via maestra. Diretto verso un monte che è bene spiegare come è fatto, perché col grafico credo che non riuscirò. Il grafico è così:
Dunque questo monte, che si alza presso la via maestra che dal lago va a ovest, dopo qualche tempo dà inizio di sé con una dolce e bassa elevazione che si prolunga per molto spazio, un pianoro da cui si vede tutto il lago con la città di Tiberiade verso il sud e le altre, meno belle, che salgono verso il nord. Poi il monte ha un altro balzo in altezza e sale con una salita piuttosto accentuata fino ad un picco, che poi si abbassa per rialzarsi di nuovo con un picco simile, in una bizzarra forma di sella.
Gesù intraprende la salita al pianoro per una mulattiera ancora abbastanza bella e raggiunge un paesetto, i cui abitanti certo sono lavoratori di questa pianura sopraelevata dove già il grano tende a spighire. Traversa il paese e procede fra i campi e i prati tutti sparsi di fiori e tutti fruscianti di messi.
Il giorno è sereno e mostra tutte le bellezze della natura circostante. Oltre la solitaria montagnola, alla quale si dirige Gesù, vi è al nord la vetta imponente dell'Hermon, la cui sommità pare un'enorme perla posata su una base di smeraldi, tanto è candida la cima incappucciata di neve mentre è verde la pendice per i boschi che la coprono.
Oltre il lago, ma fra questo e l'Hermon, la pianura verde dove è il lago di Meron, che però da qui non si vede, e poi altri monti che vanno verso il lago di Tiberiade nel lato nord occidentale e, oltre il lago, monti ancora, in lontananze che li ammorbidiscono, e altre dolci pianure. A sud, oltre la via maestra, le colline che credo celino Nazaret.
Più si sale e più la vista spazia. Non vedo ciò che è ad occidente perché il monte fa da parete.
Gesù incontra per primo l'apostolo Filippo, che pare messo di sentinella in quel posto.
«Come, Maestro? Tu qui? Ti attendevamo sulla via. Io sono qua ad attendere i compagni andati in cerca di latte presso dei pastori che pasturano su queste cime. In basso, alla via, è Simone con Giuda di Simone e con loro sono Isacco e… Oh! ecco. Venite! Venite! È qui il Maestro!».
Gli apostoli, che stanno scendendo con fiaschette e borracce, si danno a correre e i più giovani arrivano naturalmente per primi. La loro festa al Maestro è commovente. Infine si sono riuniti e mentre Gesù sorride vogliono tutti parlare, raccontare…
«Ma ti aspettavamo sulla via!».
«Avevamo pensato che non venissi neppure per oggi».
«C'è tanta gente, sai?».
«Oh! ma eravamo molto impicciati perché ci sono scribi e persino dei discepoli di Gamaliele…»
«Ma sì, Signore! Ci hai lasciati proprio sul momento buono! Non ho mai avuto tanta paura come in quel momento. Non me lo fare più uno scherzo così!».
Pietro si lamenta e Gesù sorride e chiede: «Ma vi è accaduto del male?».
«Oh! no! Anzi… Oh! mio Maestro! Ma non sai che Giovanni ha parlato?… Pareva che Tu parlassi in lui. Io... noi eravamo sbalorditi… Questo ragazzo, che solo un anno fa era capace solo di gettare la rete... oh!».
Pietro è ancora ammirato e si scrolla il ridente Giovanni che tace.
«Guardate se pare possibile che questo fanciullo abbia detto con questa bocca ridente quelle parole! Pareva Salomone».
«Anche Simone6 ha parlato bene, mio Signore. È stato proprio il "capo"» dice Giovanni.
«Sfido io! Mi ha preso e messo lì! Mah!… Dicono che ho parlato bene. Sarà. Io non lo so… perché tra lo stupore per le parole di Giovanni e la paura di parlare in mezzo a tanti e di farti fare una brutta figura, ero sbalordito...»
«Di farmi fare? A Me? Ma eri tu che parlavi e la brutta figura l'avresti fatta tu, Simone» lo stuzzica Gesù.
«Oh! per me… Non mi importava niente di me. Non volevo che ti schernissero come stolto per avere preso un ebete per tuo apostolo».
Gesù sfavilla di gioia per l'umiltà e l'amore di Pietro. Ma non chiede che: «E gli altri?».
«Anche lo Zelote ha parlato bene. Ma lui... si sa. Questo è stato la sorpresa! Ma già, da quando siamo stati in orazione, il ragazzo pare sempre coll'anima in Cielo».
«E' vero! E' vero!».
Tutti confermano le parole di Pietro. E poi continuano a narrare.
«E sai? Fra i discepoli ora ci sono due che, a detta di Giuda di Simone7, sono molto importanti. Giuda si dà molto da fare. Eh! già! Lui conosce molti di quelli… in su, e li sa trattare. E gli piace parlare… Parla bene. Ma la gente preferisce sentire Simone, i tuoi fratelli e soprattutto questo ragazzo. Ieri un uomo mi ha detto: "Parla bene quel giovane (era di Giuda che parlava) ma preferisco te a lui". Oh! poveretto! Preferire me che non so che dire quattro parole!... Ma perché sei venuto qui? Il luogo di incontro era sulla via, e là siamo stati».
«Perché sapevo che vi avrei trovati qui. 3Ora udite. Scendete e dite agli altri di venire. Anche ai discepoli noti. E che la gente non venga per oggi. Voglio parlare a voi soli».
«Allora è meglio attendere a sera. Quando ha inizio il tramonto la gente si sparge per le borgate vicine e torna al mattino attendendo Te. Se no… chi li tiene?».
«Va bene. Fate così. Vi attendo là, sulla cima. La notte è ormai mite. Possiamo dormire anche all'aperto».
«Dove vuoi, Maestro. Basta Tu sia con noi».
I discepoli vanno e Gesù riprende a salire fino alla cima, che è quella già vista nella visione dello scorso anno per la fine del discorso del Monte e per il primo incontro con la Maddalena. Ancora più ampio è il panorama che si sta facendo acceso per il tramonto che si inizia.
Gesù si siede su un masso e si raccoglie in meditazione. E così sta finché lo scalpiccio dei passi sul sentiero non lo fa avvertito che gli apostoli sono di ritorno. La sera si fa vicina. Ma su quell'altura ancora il sole persiste traendo odore da ogni erba e fioretto. Dei mughetti selvaggi odorano forte e gli alti steli dei narcisi scuotono le loro stelle e i loro bocci come per chiamare le rugiade.
Gesù si alza in piedi e saluta col suo: «La pace sia con voi».
Sono molti i discepoli che salgono con gli apostoli. Isacco8 li capitana col suo sorriso d'asceta sul volto sottile. Si affollano tutti intorno a Gesù che sta salutando particolarmente Giuda Iscariota e Simone lo Zelote.
«Vi ho voluti tutti con Me, per stare qualche ora con voi soli e per parlare a voi soli. Ho qualcosa da dirvi per prepararvi sempre più alla missione. Prendiamo il cibo e poi parleremo, e nel sonno l'anima continuerà ad assaporare la dottrina».
Consumano la parca cena e poi si stringono a cerchio intorno a Gesù seduto su un pietrone. Sono un centinaio circa, forse più, fra discepoli e apostoli. Una corona di volti attenti che la fiamma di due fuochi rischiara bizzarramente.
Gesù parla piano, gestendo pacato, col viso che pare più bianco, emergente come è dall'abito azzurro cupo e al raggio della luna novella che scende proprio dove è Lui, una piccola virgola di luna nel cielo, una lama di luce che carezza il Padrone del Cielo e della terra.
«Vi ho voluti qui, in disparte, perché siete i miei amici. Vi ho chiamati dopo la prima prova fatta dai dodici, e per allargare il cerchio dei miei discepoli operanti e per udire da voi le prime reazioni dell'essere diretti da coloro che Io do a voi come miei continuatori.
So che tutto è andato bene. Io sorreggevo con la preghiera le anime degli apostoli usciti dall'orazione9 con una forza nuova nella mente e nel cuore. Una forza che non viene da studio umano ma da completo abbandono in Dio.
Coloro che più hanno dato sono coloro che più si sono dimenticati. Dimenticare se stessi è ardua cosa.
L'uomo è fatto di ricordi, e quelli che più hanno voce sono i ricordi del proprio io.
Bisogna distinguere fra l'io e l'io. Vi è lo spirituale io dato dall'anima che si ricorda di Dio e della sua origine da Dio, e vi è l'io inferiore della carne che si ricorda di mille esigenze che tutto abbracciano di se stessa e delle passioni e che - poiché sono tante voci da fare un coro - e che soverchiano, se lo spirito non è ben robusto, la voce solitaria dello spirito che ricorda la sua nobiltà di figlio di Dio.
Perciò - meno che per questo ricordo santo che bisognerebbe sempre più aizzare e tenere vivo e forte - perciò per essere perfetti come discepoli bisogna sapere dimenticare se stessi, in tutti i ricordi, le esigenze, le pavide riflessioni dell'io umano.
In questa prima prova, fra i miei dodici, coloro che hanno più dato sono coloro che più si sono dimenticati.
Dimenticati non solo per il loro passato, ma anche nella loro limitata personalità. Sono coloro che non si sono più ricordati di ciò che erano e si sono talmente fusi a Dio da non temere. Di nulla.
Perché le sostenutezze di alcuni? Perché si sono ricordati i loro scrupoli abituali, le loro abituali considerazioni, le loro abituali prevenzioni.
Perché le laconicità di altri? Perché si sono ricordati le loro incapacità dottrinali e hanno temuto di fare brutte figure o di farmele fare.
Perché le vistose esibizioni di altri ancora? Perché questi si sono ricordati le loro abituali superbie, i desideri di mettersi in vista, di essere applauditi, di emergere, di essere "qualcosa".
Infine, perché l'improvviso svelarsi di altri in una rabbinica oratoria sicura, persuasiva, trionfale? Perché questi, e questi soli - così come quelli che fino allora umili e cercanti di passare inosservati e che al momento buono hanno saputo di colpo assumere la dignità di primato a loro conferita e non mai voluta esercitare per tema di troppo presumere - hanno saputo ricordarsi di Dio.
Le prime tre categorie si sono ricordate dell'io inferiore.
L'altra, la quarta, dell'io superiore, e non hanno temuto. Sentivano Dio con sé, Dio in sé, e non hanno temuto. Oh! santo ardimento che viene dall'essere con Dio!
Or dunque ascoltate, e voi e voi, apostoli e discepoli. Voi apostoli avete già sentito questi concetti. Ma ora li capirete con più profondità. Voi discepoli non li avete ancora uditi o ne avete udito frammenti. E vi necessita di scolpirveli nel cuore. Perché Io sempre più vi userò, dato che sempre più cresce il gregge di Cristo. Perché il mondo sempre più vi assalirà, crescendo in esso i lupi contro Me Pastore e contro il mio gregge, ed Io voglio mettervi in mano le armi di difesa della Dottrina e del gregge mio.
Quanto basta al gregge non basta a voi, piccoli pastori. Se è lecito alle pecore di commettere errori, brucando erbe che fanno amaro il sangue o folle il desiderio, non è lecito che voi commettiate gli stessi errori, portando molto gregge a rovina. Perché pensate che là dove è un pastore idolo periscono per veleno le pecore o per assalto di lupi.
Voi siete il sale della terra e la luce del mondo.10
Ma se falliste alla vostra missione diverreste un insipido e inutile sale. Nulla più potrebbe ridarvi sapore, posto che Dio non ve l'ha potuto dare, posto che avendolo avuto in dono voi lo avete dissalato lavandolo con le insipide e sporche acque dell'umanità, addolcendolo con il corrotto dolciore del senso, mescolando al puro sale di Dio detriti e detriti di superbia, avarizia, gola, lussuria, ira, accidia, di modo che risulta un granello di sale ogni sette volte sette granelli di ogni singolo vizio.
Il vostro sale allora non è che una mescolanza di pietre in cui si sperde il misero granello sperduto, di pietre che stridono sotto il dente, che lasciano in bocca sapore di terra e fanno ripugnante e sgradito il cibo. Neppur più per usi inferiori è buono, ché farebbe nocumento anche alle missioni umane un sapere infuso nei sette vizi. E allora il sale non serve che ad essere sparso e calpestato sotto i piedi incuranti del popolo.
Quanto, quanto popolo potrà calpestare così gli uomini di Dio! Perché questi vocati avranno permesso al popolo di calpestarli incurante, dato che non sono più sostanza alla quale si accorre per avere sapore di elette, di celesti cose, ma saranno unicamente detriti.
Voi siete la luce del mondo. Voi siete come questo culmine che fu l'ultimo a perdere il sole ed è il primo a inargentarsi di luna. Chi è posto in alto brilla ed è visto perché l'occhio anche più svagato si posa qualche volta sulle alture. Direi che l'occhio materiale, che viene detto specchio dell'anima, riflette l'anelito dell'anima, l'anelito inavvertito spesso ma sempre vivente finché l'uomo non è un demone, l'anelito dell'alto, dell'alto dove la istintiva ragione colloca l'Altissimo. E cercando i Cieli alza, almeno qualche volta nella vita, l'occhio alle altezze.
Vi prego di ricordarvi di ciò che facciamo tutti, fin dalla fanciullezza, entrando in Gerusalemme.
Dove corrono gli sguardi? Al monte Moria, incoronato dal trionfo di marmo e oro del Tempio. E che, quando siamo nel recinto dello stesso? Di guardare le cupole preziose che splendono al sole. Quanto bello è nel sacro recinto, sparso nei suoi atrii, nei suoi portici e cortili! Ma l'occhio corre lassù.
Ancora vi prego ricordarvi di quando si è in cammino. Dove va il nostro occhio, quasi per dimenticare la lunghezza del cammino, la monotonia, la stanchezza, il calore o il fango? Alle cime, anche se piccole, anche se lontane. E con che sollievo le vediamo apparire se siamo in una pianura piatta e uniforme! Qui è fango? Là è nitore. Qui è afa? Là è frescura. Qui è limitazione all'occhio? Là è ampiezza. E solo a guardarle ci sembra meno caldo il giorno, meno viscido il fango, meno triste l'andare. Se poi una città splende in cima al monte, ecco che allora non vi è occhio che non l'ammiri. Si direbbe che anche un luogo da poco si abbelli se si posa, quasi aereo, sul culmine di una montagna. Ed è per questo che nella vera e nelle false religioni, sol che si sia potuto, si sono posti i templi in alto e, se un colle od un monte non c'era, si è fatto ad essi un piedestallo di pietre, costruendo a fatica di braccia l'elevazione su cui posare il tempio. Perché si fa questo? Perché si vuole che il tempio sia visto per richiamare con la sua vista il pensiero a Dio.
Ugualmente ho detto che voi siete una luce.
Chi accende un lume a sera in una casa dove lo mette? Nel buco sotto il forno? Nella caverna che fa da cantina? O chiuso dentro un cassapanco? O anche semplicemente e solamente lo si opprime col moggio? No. Perché allora sarebbe inutile accenderlo. Ma si pone il lume sull'alto di una mensola, o lo si appende al suo portalume perché essendo alto rischiari tutta la stanza e illumini tutti gli abitanti in essa. Ma appunto perché ciò che è posto in alto ha incarico di ricordare Iddio e di fare luce, deve essere all'altezza del suo compito.
Voi dovete ricordare il Dio vero. Fate allora di non avere in voi il paganesimo settemplice. Altrimenti diverreste alti luoghi profani con boschetti sacri a questo o quel dio e trascinereste nel vostro paganesimo coloro che vi guardano come templi di Dio.
Voi dovete portare la luce di Dio. Un lucignolo sporco, un lucignolo non nutrito di olio, fuma e non fa luce, puzza e non illumina. Una lampada nascosta dietro un quarzo sudicio non crea la leggiadria splendida, non crea il fulgido giuoco della luce sul lucido minerale. Ma langue dietro il velo di nero fumo che fa opaco il diamantifero riparo.
La luce di Dio splende là dove è solerte la volontà a pulire giornalmente dalle scorie che lo stesso lavoro, coi suoi contatti, e reazioni, e delusioni, produce.
La luce di Dio splende là dove il lucignolo è immerso in abbondante liquido di orazione e di carità.
La luce di Dio si moltiplica in infiniti splendori, quante sono le perfezioni di Dio delle quali ognuna suscita nel santo una virtù esercitata eroicamente, se il servo di Dio tiene netto il quarzo inattaccabile della sua anima dal nero fumo di ogni fumigante mala passione. Inattaccabile quarzo. Inattaccabile! (Gesù tuona in questa chiusa e la voce rimbomba nell'anfiteatro naturale).
Solo Dio ha il diritto e il potere di rigare quel cristallo, di scriverci sopra col diamante del suo volere il suo santissimo Nome. Allora quel Nome diviene ornamento che segna un più vivo sfaccettare di soprannaturali bellezze sul quarzo purissimo.
Ma se lo stolto servo del Signore, perdendo il controllo di sé e la vista della sua missione, tutta e unicamente soprannaturale, si lascia incidere falsi ornamenti, sgraffi e non incisioni, misteriose e sataniche cifre fatte dall'artiglio di fuoco di Satana, allora no, che la lampada mirabile non splende più bella e sempre integra, ma si crepa e rovina, soffocando sotto i detriti del cristallo scheggiato la fiamma, o se non si crepa fa un groviglio di segni di inequivocabile natura nei quali si deposita la fuligine e si insinua e corrompe.
Guai, tre volte guai ai pastori che perdono la carità, che si rifiutano di ascendere giorno per giorno per portare in alto il gregge che attende la loro ascesi per ascendere. Io li percuoterò abbattendoli dal loro posto e spegnendo del tutto il loro fumo.
Guai, tre volte guai ai maestri che ripudiano la Sapienza, per saturarsi di scienza sovente contraria sempre superba, talora satanica, perché li fa uomini mentre - udite e ritenete - mentre se ogni uomo ha destino di divenire simile a Dio, con la santificazione che fa dell'uomo un figlio di Dio, il maestro, il sacerdote ne dovrebbe avere già l'aspetto dalla terra, e questo solo, di figlio di Dio. Di creatura tutt'anima e perfezione dovrebbe avere aspetto. Dovrebbe avere, per aspirare a Dio i suoi discepoli. Anatema ai maestri di soprannaturale dottrina che divengono idoli di umano sapere.
Guai, sette volte guai ai morti allo spirito fra i miei sacerdoti, a quelli che col loro insapore, col loro tepore di carne mal viva, col loro sonno pieno di allucinate apparizioni di tutto ciò che è fuorché Dio uno e trino, pieno di calcoli di tutto ciò che è fuorché soprumano desiderio di aumentare le ricchezze dei cuori e di Dio, vivono umani, meschini, torpidi, trascinando nelle loro acque morte quelli che li seguono credendoli "vita".
Maledizione di Dio sui corruttori del mio piccolo, amato gregge. Non a coloro che periscono per ignavia vostra, o inadempienti servi del Signore, ma a voi, di ogni ora e di ogni tempo, e per ogni contingenza e per ogni conseguenza, Io chiederò ragione e vorrò punizione.
Ricordatevi queste parole.
Ed ora andate. Io salgo sulla cima. Voi dormite pure.
Domani, per il gregge, il Pastore aprirà i pascoli della Verità».
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Ogni commento può apparire superfluo su un discorso di questa portata, sarebbe peraltro anche povera cosa, ma possiamo ciò non di meno fare qualche nostra riflessione.
Una prima considerazione è quella per cui Gesù afferma che – con il Discorso della montagna – Egli vuole mettere in mano ad apostoli e discepoli le armi per la difesa della Sua Dottrina e del suo ‘gregge’.
Già questo sottolinea l’importanza di questa serie di discorsi.
Poi una ‘curiosità’: Gesù – prima di iniziare il discorso vero e proprio - dice ad un certo punto ad apostoli e discepoli di voler stare qualche ora con loro soli e per parlare a loro soli per prepararli sempre più alla missione e che anche se avrebbe parlato loro dopo la cena l’anima nel sonno avrebbe continuato ad assaporare la Dottrina’.
Ecco, questo piccolo particolare conferma che l’anima spirituale interiore creata intelligente’ ed infusa da Dio nel concepito ha una propria individualità, diversa dall’io egoistico esteriore, ed essa ‘pensa e medita’ anche quando l’io dorme.
Di questa attività dell’anima al di sotto del livello di coscienza dell’io superiore, aveva parlato una volta alla mistica il suo Angelo custode Azaria.
Lei si preoccupava di non riuscire a tenere a mente tutta la quantità di nozioni che egli le trasmetteva nelle sue ‘lezioni’, ma lui la tranquillizzava dicendole che anche se a lei pareva di non ricordare niente in realtà un ‘qualcuno’ dentro di lei avrebbe preso nota di tutto, facendoglielo ricordare se necessario al momento giusto.
Prima del Peccato originale era lo spirito che aveva il sopravvento sull’io, i cui ‘istinti’ inferiori erano governati dalla ragione dello spirito in grazia.
Dopo il Peccato originale l’io ‘inferiore’ (sì, inferiore, come lo ha chiamato Gesù nel precedente Discorso) ha preso il sopravvento conculcando l’anima spirituale che – a causa del peccato che la ottunde – non riesce più a farsi sentire che in maniera flebile dalla Ragione.
Più l’uomo si avvicina a Dio, più l’anima spirituale acquista vigore e torna a governare i bassi istinti dell’io e la ragione.
Non deve meravigliare questa attività ‘autonoma’, perché l’anima spirituale è ‘Psiche’ che fa parte del ‘complesso psichico’ al quale appartiene anche l’io. Che nel sonno esista una attività psichica è dimostrato dai sogni e – se vogliamo utilizzare argomenti più ‘scientifici – dall’attività REM misurabile con tecnica elettroencefalografica.11
Il detto popolare per cui ‘la notte porta consiglio…’ sta a significare che un ‘qualcosa’ avviene mentre noi dormiamo, per cui – al risveglio – ci viene spesso subito in mente la soluzione giusta al problema che dovevamo risolvere.
Non si tratta dunque solo di ‘mente riposata’, come direbbe chi non crede all’anima, anche se è indubbio che a mente riposata certe situazioni si presentino più chiare.
Gesù, riferendosi poi al ritiro precedente per l’elezione apostolica, insegna un ‘segreto’ che sta alla base di una buona predicazione ed evangelizzazione: l’abbandono a Dio dimentichi di tutti i problemi dell’io-animale, e cioè dimentichi dei fatti e dei ricordi della vita quotidiana.
Ciò per vivere assolutamente nell’intimità con Dio attraverso il proprio ‘io-spirituale’, l’anima, che invece ben si ricorda del Dio che l’ha creata e che essa ha visto e conosciuto nella frazione infinitesimale di secondo della sua creazione prima di essere infusa nel ‘concepito’ .
Solo quando l’uomo dimentica se stesso e vive in Dio – spiega Gesù - egli ne assorbe la ‘luce’ e riesce a rifletterla sul prossimo.
Ecco cosa significa il dire poi ‘voi siete la luce del mondo ed il sale della terra’.
Chi si dimentica del mondo e si abbandona a Dio finisce per possedere Dio in sé e rifletterne la luce.
L’anima posseduta da Dio (altri insegnamenti del Gesù valtortiano dati in altre circostanze…) è infatti come se esalasse un sapore ed una luce che sono di Dio, che è Luce per eccellenza.
Mentre l’io umano che governa i bassi istinti non avverte ciò, la ‘luce’ di Dio viene invece in qualche modo percepita dall’anima spirituale dell’uomo che guarda ed ascolta.
L’anima ha infatti capacità percettive proprie – quanto a ciò che viene da Dio – molto superiori a quelle dell’io-animale. Bisogna però avere in sé la ‘luce’ ed il ‘sale’, cioè il ‘sapore’ di Dio, per poterne poi rendere partecipi gli altri uomini.
Chi infatti ha Dio in sé emana vibrazioni di luce e ‘profumo’, che sono percepibili anche da altri che avvertono istintivamente che in quell’uomo o donna - per il sorriso del volto, per gli occhi specchio dell’anima, per i modi di esprimersi e di essere - c’è qualcosa di speciale.
Dio Padre ha inviato sulla Terra il Verbo-Luce perché illuminasse l’Umanità ma chi – dopo che venne respinto ai suoi tempi il Gesù-Verbo-Luce – respingesse, ora, anche quegli uomini che portano dentro di sé la Luce di Dio è come se respingesse Gesù una seconda volta.
Coloro che peraltro portano dentro di sé la luce di Dio, anziché essere amati spesso vengono proprio per questo odiati da molti uomini, perché questa ‘luce’ pone in evidenza le ‘tenebre’ che sono dentro il loro cuore e viene da questi ultimi vissuta nella propria coscienza come un rimprovero per cui anziché ravvedersi essi si ribellano.
Se Gesù con la Sua Parola fu elemento di contraddizione per separare i buoni dai cattivi, chi porta in sé la luce e la parola di Gesù è destinato pertanto a subire più o meno la stessa sorte: come minimo il ‘rifiuto’, la derisione e l’emarginazione.
La cosa che però colpisce ed impressiona di più, nel discorso sulla ‘luce del mondo e sale della terra’, è quel terribile ammonimento, anzi, direi una quasi ‘maledizione’, che Gesù mette di fronte ad apostoli e discepoli, cioè i vescovi e sacerdoti dei futuri millenni, che avessero tradito la missione affidata loro da Dio portando a perdizione quantità smisurate di anime che erano invece convinte di trovare in essi dei ‘messi’ di Dio.
E’ tanto importante che ve la trascrivo nuovamente, perché poi vorrei sviluppare questo punto:
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Guai, tre volte guai ai pastori che perdono la carità, che si rifiutano di ascendere giorno per giorno per portare in alto il gregge che attende la loro ascesi per ascendere. Io li percuoterò abbattendoli dal loro posto e spegnendo del tutto il loro fumo.
Guai, tre volte guai ai maestri che ripudiano la Sapienza, per saturarsi di scienza sovente contraria sempre superba, talora satanica, perché li fa uomini mentre - udite e ritenete - mentre se ogni uomo ha destino di divenire simile a Dio, con la santificazione che fa dell'uomo un figlio di Dio, il maestro, il sacerdote ne dovrebbe avere già l'aspetto dalla terra, e questo solo, di figlio di Dio. Di creatura tutt'anima e perfezione dovrebbe avere aspetto. Dovrebbe avere, per aspirare a Dio i suoi discepoli. Anatema ai maestri di soprannaturale dottrina che divengono idoli di umano sapere.
Guai, sette volte guai ai morti allo spirito fra i miei sacerdoti, a quelli che col loro insapore, col loro tepore di carne mal viva, col loro sonno pieno di allucinate apparizioni di tutto ciò che è fuorché Dio uno e trino, pieno di calcoli di tutto ciò che è fuorché soprumano desiderio di aumentare le ricchezze dei cuori e di Dio, vivono umani, meschini, torpidi, trascinando nelle loro acque morte quelli che li seguono credendoli "vita".
Maledizione di Dio sui corruttori del mio piccolo, amato gregge. Non a coloro che periscono per ignavia vostra, o inadempienti servi del Signore, ma a voi, di ogni ora e di ogni tempo, e per ogni contingenza e per ogni conseguenza, Io chiederò ragione e vorrò punizione.
Ricordatevi queste parole. Ed ora andate. Io salgo sulla cima. Voi dormite pure.
Domani, per il gregge, il Pastore aprirà i pascoli della Verità».
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1.2 Gesù: «In verità vi dico che per le colpe del Tempio questa nazione sarà dispersa. Ma anche in verità vi dico che ugualmente sarà distrutta la Terra quando l'abominio della desolazione entrerà nel novello Sacerdozio conducendo gli uomini all'apostasia per abbracciare le dottrine d'inferno».
Per rimanere in tema con questa tremenda ammonizione iniziale di Gesù, l’importanza e grande responsabilità della futura missione di apostoli e discepoli (rispettivamente i futuri vescovi e sacerdoti) la si comprende anche alla luce di un successivo discorso che Gesù – sempre nell’Opera valtortiana – terrà loro dopo la Resurrezione e poco prima della Sua Ascensione al Cielo.
Anche in questa occasione apostoli e discepoli sono convocati su un monte1 - un altro ancora, in Galilea - dove Gesù, dopo la Resurrezione, utilizza i giorni restanti della sua permanenza sulla Terra per impartire gli ultimi insegnamenti di perfezione.
Egli tiene una splendida ‘lezione’ sui Sette Sacramenti al cui termine però ribadisce ancora una volta – in forma ancora più accentuata, solenne ma anche tremenda, quel ‘Guai, tre volte guai…’, una vera e propria maledizione per i futuri vescovi e sacerdoti che avessero tradito la missione loro affidata da Dio perché questo tradimento da parte di un futuro ‘novello Sacerdozio’ – ma anche da parte dei comuni ‘cristiani’ che avrebbero anch’essi abbandonato la Fede con la loro apostasia - avrebbe preparato ad un certo punto della Storia la manifestazione dell’Anticristo (i grassetti sono miei):2
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(…)
Infine considerate che contro voi cospira il mondo, l'età, le malattie, il tempo, le persecuzioni.
Non vogliate perciò essere avari di ciò che avete avuto e imprudenti.
Trasmettete per questo in Nome mio il Sacerdozio ai migliori fra i discepoli, perché la Terra non resti senza sacerdoti.
E sia carattere sacro concesso dopo acuto esame, non verbale ma delle azioni di colui che chiede di essere sacerdote, o di colui che voi giudicate buono ad esserlo.
Pensate a ciò che è il Sacerdote. Al bene che può fare. Al male che può fare. Avete avuto l'esempio di ciò che può fare un sacerdozio decaduto dal suo carattere sacro.
In verità vi dico che per le colpe del Tempio questa nazione sarà dispersa.
Ma anche in verità vi dico che ugualmente sarà distrutta la Terra quando l'abominio della desolazione entrerà nel novello Sacerdozio conducendo gli uomini all'apostasia per abbracciare le dottrine d'inferno.
Allora sorgerà il figlio di Satana e i popoli gemeranno in un tremendo spavento, pochi restando fedeli al Signore, e allora anche, fra convulsioni d'orrore, verrà la fine dopo la vittoria di Dio e dei suoi pochi eletti, e l'ira di Dio su tutti i maledetti.
Guai, tre volte guai se per quei pochi non ci saranno ancor santi, gli ultimi padiglioni del Tempio di Cristo!
Guai, tre volte guai se, a confortare gli ultimi cristiani, non ci saranno veri Sacerdoti come ci saranno per i primi.
In verità l'ultima persecuzione sarà orrenda, non essendo persecuzione d'uomini ma del figlio di Satana e dei suoi seguaci.
Sacerdoti?
Più che sacerdoti dovranno essere quelli dell'ultima ora, tanto feroce sarà la persecuzione delle orde dell'Anticristo.
Simili all'uomo vestito di lino, che tanto è santo da stare al fianco del Signore, nella visione di Ezechiele, essi dovranno instancabili segnare con la loro perfezione un Tau sugli spiriti dei pochi fedeli, perché le fiamme d'inferno non cancellino quel segno.
Sacerdoti?
Angeli. Angeli agitanti il turibolo carico degli incensi delle loro virtù per purificare l'aere dai miasmi di Satana.
Angeli?
Più che angeli: altri Cristi, altri Me, perché i fedeli dell'ultimo tempo possano perseverare sino alla fine. Questo dovranno essere.
Ma il bene e il male futuro ha radice nel presente. Le valanghe hanno inizio da un fiocco di neve. Un sacerdote indegno, impuro, eretico, infedele, incredulo, tiepido o freddo, spento, insipido, lussurioso, fa un male decuplo di quello di un fedele colpevole degli stessi peccati e trascina molti altri al peccato.
La rilassatezza nel Sacerdozio, l'accoglimento di impure dottrine, l'egoismo, l'avidità, la concupiscenza nel Sacerdozio, voi sapete dove sfocia: nel deicidio.
Ora, nei secoli futuri, non potrà più essere ucciso il Figlio di Dio, ma la fede in Dio, l'idea di Dio, sì. Perciò sarà compiuto un deicidio ancor più irreparabile, perché senza risurrezione.
Oh! si potrà compiere, sì. Io vedo...
Si potrà compire per i troppi Giuda di Keriot dei secoli futuri. Orrore! ...
La mia Chiesa scardinata dai suoi stessi ministri! E Io che la sorreggo con l'aiuto delle vittime. Ed essi, i Sacerdoti, che avranno unicamente la veste e non l'anima del Sacerdote, che aiutano il ribollire delle onde agitate dal Serpente infernale contro la tua barca, o Pietro.
In piedi! Sorgi! Trasmetti quest'ordine ai tuoi successori: "Mano al timone, sferza sui naufraghi che hanno voluto naufragare e tentano di far naufragare la barca di Dio".
Colpisci, ma salva e procedi. Sii severo, perché sui predoni giusto è il castigo.
Difendi il tesoro della fede. Tieni alto il lume come un faro sopra le onde sconvolte, perché quelli che seguono la tua barca vedano e non periscano.
Pastore e nauta per i tempi tremendi, raccogli, guida, solleva il mio Vangelo, perché in questo e non in altra scienza è la salute.
Verranno i tempi nei quali, così come avvenne a noi d'Israele e ancor più profondamente, il Sacerdozio crederà d'essere classe eletta, perché sa il superfluo e non conosce più l'indispensabile, o lo conosce nella morta forma con cui ora conoscono i sacerdoti la Legge: nella veste di essa, esageratamente aggravata di frange, ma non nel suo spirito.
Verranno i tempi nei quali tutti i libri si sostituiranno al Libro, e questo sarà solo usato così come uno che deve forzatamente usare un oggetto lo maneggia meccanicamente, così come un contadino ara, semina, raccoglie senza meditare sulla meravigliosa provvidenza che è quel moltiplicarsi di semi che ogni anno si rinnovella: un seme gettato in terra smossa che diviene stelo, spiga, poi farina e poi pane per paterno amore di Dio. Chi, mettendosi in bocca un boccone di pane, alza lo spirito a Colui che ha creato il primo seme e da secoli lo fa rinascere e crescere, dosando le piogge e il calore perché sì schiuda e si alzi e maturi senza marcire o senza bruciarsi?
Così verrà il tempo che sarà insegnato il Vangelo scientificamente bene, spiritualmente male.
Or, che è la scienza se manca sapienza? Paglia è.
Paglia che gonfia e non nutre. E in verità vi dico che un tempo verrà nel quale troppi fra i Sacerdoti saranno simili a gonfi pagliai, superbi pagliai, che staranno impettiti nel loro orgoglio d'esser tanto gonfi, come se da loro si fossero dati tutte quelle spighe che coronarono le paglie, come se ancor le spighe fossero in vetta alle paglie, e crederanno d'esser tutto perché, invece del pugnello di grani, il vero nutrimento che è lo spirito del Vangelo, avranno tutta quella paglia: un mucchio! Un mucchio!
Ma può bastare la paglia? Neppure per il ventre del giumento essa basta e, se il padrone dello stesso non corrobora l'animale con biade ed erbe fresche, il giumento nutrito di sola paglia deperisce e anche muore.
Eppure lo vi dico che un tempo verrà nel quale i Sacerdoti, immemori che con poche spighe Io ho istruito gli spiriti alla Verità, e immemori anche di ciò che è costato al loro Signore quel vero pane dello spirito, tratto tutto e solo dalla Sapienza divina, detto dalla divina Parola, dignitoso nella forma dottrinale, instancabile nel ripetersi perché non si smarrissero le verità dette, umile nella forma, senza orpelli di scienze umane, senza completamenti storici e geografici, non si cureranno dell'anima di esso, ma della veste da gettargli sopra per mostrare alle folle quante cose essi sanno, e lo spirito del Vangelo si smarrirà in loro sotto valanghe di scienza umana. E se non lo possiedono, come possono trasmetterlo? Che daranno ai fedeli questi pagliai gonfi? Paglia. Che nutrimento ne avranno gli spiriti dei fedeli? Tanto da trascinare una languente vita. Che frutto matureranno da questo insegnamento e da questa conoscenza imperfetta del Vangelo? Un raffreddarsi dei cuori, un sostituirsi di dottrine eretiche, di dottrine e idee ancor più che eretiche, all'unica, vera Dottrina, un prepararsi il terreno alla Bestia3 per il suo fugace regno di gelo, di tenebre e orrore.
In verità vi dico che, come il Padre e Creatore moltiplica le stelle perché non si spopoli il cielo per quelle che, finita la loro vita, periscono, così ugualmente Io dovrò evangelizzare cento e mille volte dei discepoli che spargerò fra gli uomini e fra i secoli.
E anche in verità vi dico che la sorte di questi sarà simile alla mia: la sinagoga e i superbi li perseguiteranno come mi hanno perseguitato. Ma tanto Io che essi abbiamo la nostra ricompensa, quella di fare la volontà di Dio e di servirlo sino alla morte di croce, perché la sua gloria risplenda e la sua conoscenza non perisca.
Ma tu, Pontefice, e voi, Pastori, in voi e nei vostri successori vegliate perché non si perda lo spirito del Vangelo, e instancabilmente pregate lo Spirito Santo perché in voi si rinnovelli una continua Pentecoste - voi non sapete ciò che voglio dire, ma presto lo saprete - onde possiate comprendere tutti gli idiomi e discernere e scegliere le mie voci da quelle della Scimmia di Dio: Satan.
E non lasciate cadere nel vuoto le mie voci future. Ognuna di essa è una misericordia mia in vostro aiuto, e tanto più numerose saranno quanto più per ragioni divine Io vedrò che il Cristianesimo ha bisogno di esse per superare le burrasche dei tempi.
Pastore e nauta, Pietro! Pastore e nauta. Non ti basterà un giorno esser pastore se non sarai nauta, ed esser nauta se non sarai pastore. Questo e quello dovrai essere per tenere radunati gli agnelli, che tentacoli infernali e artigli feroci cercheranno di strapparti, o menzognere musiche di promesse impossibili ti sedurranno, e per portare avanti la barca presa da tutti i venti del settentrione e del mezzogiorno e dell'oriente e dell'occidente, schiaffeggiata e sbattuta dalle forze del profondo, saettata dagli arcieri della Bestia, sbruciacchiata dall'alito del dragone e spazzata sui bordi dalla sua coda, di modo che gli imprudenti saranno arsi e periranno precipitando nell'onda sconvolta.
Pastore e nauta nei tempi tremendi... E tua bussola il Vangelo. In esso è la Vita e la Salute. E tutto è detto in esso. Ogni articolo del Codice santo, ogni risposta per i casi molteplici delle anime sono in esso. E fa' che da esso non si scostino Sacerdoti e fedeli. Fa' che non vengano dubbi su esso. Alterazioni ad esso. Sostituzioni e sofisticazioni di esso.
Il Vangelo è Me stesso. Dalla nascita alla morte. Nel Vangelo è Dio. Perché in esso sono manifeste le opere del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Il Vangelo è amore.
Ho detto: "La mia Parola è Vita".
Ho detto: "Dio è carità".
Conoscano dunque i popoli la mia Parola e abbiano l'amore in loro, ossia Dio. Per avere il Regno di Dio. Perché chi non è in Dio non ha in sé la Vita. Perché quelli che non accoglieranno la Parola del Padre non potranno essere una sola cosa col Padre, con Me e con lo Spirito Santo in Cielo, e non potranno essere del solo Ovile che è santo così come lo voglio. Non saranno tralci uniti alla Vite, perché chi respinge in tutto o in parte la mia Parola è un membro nel quale più non scorre la linfa della Vite. La mia Parola è succo che nutre, fa crescere e portare frutto.
Tutto questo farete in memoria di Me che ve l'ho insegnato.
Molto ancora avrei da dirvi su quanto vi ho detto ora. Ma lo ho soltanto gettato il seme. Lo Spirito Santo ve lo farà germogliare.
Ho voluto darvi Io il seme, perché conosco i vostri cuori e so come titubereste di paura per comandi spirituali, immateriali. La paura di un inganno vi paralizzerebbe ogni volontà. Perciò Io per il primo vi ho parlato di tutte le cose.
Poi il Paraclito vi ricorderà le mie parole e ve le amplificherà nei particolari. E voi non temerete perché ricorderete che il primo seme ve l'ho dato Io.
Lasciatevi condurre dallo Spirito Santo. Se la mia Mano era dolce nel guidarvi, la sua Luce è dolcissima. Egli è l'Amore di Dio.
Così Io me ne vado contento, perché so che Egli prenderà il mio posto e vi condurrà alla conoscenza di Dio. Ancora non lo conoscete, nonostante tanto vi abbia detto di Lui. Ma non è colpa vostra. Voi avete fatto di tutto per comprendermi e perciò siete giustificati se anche per tre anni avete capito poco.
La mancanza della Grazia vi ottundeva lo spirito.
Anche ora capite poco, benché la Grazia di Dio sia scesa su voi dalla mia croce. Avete bisogno del Fuoco. Un giorno ho parlato di questo a un di voi, andando lungo le vie del Giordano.
L'ora è venuta. Io me ne torno al Padre mio, ma non vi lascio soli perché lascio a voi l'Eucarestia, ossia il vostro Gesù fatto cibo agli uomini.
E vi lascio l'Amico: il Paraclito.4
Esso vi condurrà. Passo le vostre anime dalla mia luce alla sua luce ed Egli compirà la vostra formazione».
«Ci lasci ora? Qui? Su questo monte?». Sono tutti desolati.
«No. Non ancora. Ma il tempo vola e presto sarà quel momento…»
(…)
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Che dire, ancora? Come sintetizzare – per memorizzare meglio - con parole mie?
L’età, le malattie, le persecuzioni falcidieranno gli apostoli: essi avranno tuttavia il potere di poter trasmettere ad altri discepoli che ne siano degni il dono del Sacerdozio perché il mondo non dovrà rimanere senza sacerdoti, gli intermediari fra l’uomo e Dio, i pastori delle anime che dovranno guidarle e somministrare i Sacramenti istituiti da Gesù.
Prendendo poi lo spunto dal ruolo del Sacerdote - così come aveva fatto nel Discorso della montagna - il Gesù valtortiano di 2000 anni fa, spingendo lo sguardo avanti nel tempo, dice che se per le colpe del ‘Tempio’ la nazione di Israele sarebbe stata dispersa5, la Terra avrebbe subito essa pure distruzioni quando l’Abominazione della desolazione sarebbe entrata in un sacerdozio futuro diventato indegno che - insieme ai fedeli, di cui il Sacerdozio avrebbe dovuto essere ‘Pastore’ ma che ha invece travolto nell’Errore – giungerà all’apostasia, cioè all’abbandono della Fede, quando verranno abbracciate dottrine infernali.
Sarà quello il momento – spiega ancora una volta Gesù - in cui non alla fine del mondo ma nel pieno del corso della Storia si manifesterà non Satana (il quale -come si evince dall’Apocalisse- scenderà direttamente in campo solo alla fine del mondo6) ma il suo ‘precursore’: l’Anticristo.
Nell’epoca anticristiana la fede verrà scardinata dagli stessi ministri di Gesù che del sacerdote avranno la veste ma non più lo spirito.
Il Figlio di Dio, già da tempo in Cielo, non potrà più essere ucciso, ma potrà essere invece uccisa la Fede in Dio, un deicidio - questo - ancora più irreparabile.
Sarà quello il momento in cui il futuro ‘Pietro’ dovrà tenere ben saldo il timone della ‘barca’ fra le onde di una tempesta violenta che colpirà la Chiesa.
Verrà il tempo in cui il Libro, il Vangelo, verrà sostituito da altri libri.
Esso verrà insegnato scientificamente bene ma spiritualmente male, e la scienza senza sapienza non darà che paglia che non nutre.
Le dottrine eretiche si sostituiranno all’unica vera Dottrina, per preparare il terreno al regno della Bestia: vale a dire dell’Anticristo che riceverà potere da Satana: il Drago, regno di breve durata (N.d.R.:42 mesi)7 ma pur sempre regno di tenebre e di terrore.
I veri pastori dovranno però vegliare perché non si perda lo spirito del Vangelo, aiutati in questo anche dalle numerosi ‘voci’ profetiche che Dio susciterà in loro aiuto tanto più numerose quanto più il Cristianesimo avrà bisogno di esse per superare la burrasca dei tempi.
Gli apostoli hanno ascoltato il precedente discorso di Gesù in silenzio, spaventati ed interdetti, ma Gesù dice loro di non preoccuparsi perché Egli lascerà ad essi il Divino Paraclito che farà loro in futuro comprendere le cose che ancora non hanno capito.
Sottolineo ancora – per concludere questo mio commento sul primo Discorso della montagna concernente i vescovi e sacerdoti che dovrebbero essere ‘luce del mondo e sale della terra’ - che nell’Opera valtortiana il periodo dell’Anticristo sopra citato da Gesù, come ho già avuto occasione di illustrare in altri miei scritti, non avverrà affatto alla fine del mondo - come molti teologi hanno creduto di poter pensare volendo interpretare l’Apocalisse in maniera solo allegorica e non anche nel suo senso reale letterale – ma avverrà nel corso della Storia, come poco sopra sottolineato.
Sì, nel corso della storia, durante una fase di grande apostasia (cioè ‘abbandono della fede’), apostasia peraltro già oggi estesissima sia fra il popolo ex-cristiano che fra molte importanti gerarchie ecclesiastiche.
Apostasia che - traducendosi nell’abbandono di Dio da parte del suo popolo – provocherà a sua volta il disgusto e l’allontanamento da parte di Dio e preparerà appunto il terreno all’Anticristo che verrà tuttavia sconfitto8 – dice Gesù - dopo il suo breve ma orrendo regno sulla Terra.
Anticristo sconfitto – come cita l’Apocalisse correttamente interpretata nel suo senso letterale - per dare inizio ad un’era di relativa pace materiale e spirituale e – aggiungo io - ad una Nuova Evangelizzazione, nuova non nei contenuti, sempre uguali, ma nelle forme e nelle ‘modalità’ più adatte ai tempi attuali che stiamo vivendo per preparare in futuro quel ‘Regno di Dio in terra’ che invochiamo nella preghiera del ‘Padre nostro’.
A proposito dell’apostasia della Chiesa che secondo l’Opera valtortiana preparerà il Regno futuro dell’Anticristo, ribadisco in parte quanto ho già avuto occasione di spiegare in altra circostanza perché si tratta di cose importanti che è bene non dimenticare.
I tempi escatologici – nell’Opera della mistica – non sono facili da individuare con precisione quanto alla data del loro esatto avveramento storico, ma ecco quanto si legge tuttavia in un Dettato di Gesù alla mistica, risalente agli anni ‘40/50 del secolo scorso, pubblicato sui ‘Quadernetti’ a cura del Centro Editoriale Valtortiano, dove sta scritto (i grassetti sono miei):
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Maria Valtorta: Quadernetti, pag. 240 - 2a edizione 2006 - Ed. C.E.V.
Nota iniziale dell’Editore: “Senza data e senza alcun’altra premessa”
1° periodo: l’attuale, detto dei ‘Precursori’ dell’Anticristo.
2° periodo: quello dell’Anticristo vero e proprio, il quale sarà aiutato dalle due manifestazioni della Bestia: il violento e l’altro che vince con finta dolcezza.
Sarà un periodo di lotte tremende, tanto umane (guerre ecc.) che sovrumane (tentazioni di dottrine ecc.).
Durante questo tempo Iddio cercherà di richiamare l’uomo mediante castighi santi perché usati per santificare.
Esauriti senza buon frutto i medesimi, Satana sarà per qualche tempo incatenato, con la sconfitta dell’Anticristo e dei suoi alleati naturali (potenti della terra) e soprannaturali (le due manifestazioni di Satana).
3° periodo: epoca di sosta per radunare le forze dell’uomo e convogliarle al Cielo.
Il mio Regno della (nella?) terra.
Sarà il prodigio della Grazia che verrà effusa come un diluvio per salvare.
Ma per un fatto contrario a quello di Noé la maggior parte degli uomini (dei cuori?) si chiuderà, barricandosi nelle fortezze lasciate da Satana e solo i non satanici, restando fuori di esse, saranno sommersi, lavati, illuminati dalla Grazia.
4° periodo: esaurito il tempo destinato dalla mia Sapienza all’estrema prova, lascerò Satana venire per l’ultima volta.
Il tempo di Satana sarà 7 volte 7 più crudele di quello dell’Anticristo.
Il re del male scorazzerà ovunque per riunire i suoi adepti quando il Male sarà sconfitto dal Bene e maledetto in eterno là dove (…) nel suo regno infernale come io ho (…) i miei nel regno celeste.
(Nota dell’Editore: tutta la frase è di difficile lettura e alcune parole le abbiamo omesse perché illeggibili)
5° periodo: Il Giudizio supremo. La mia ora di trionfo poiché sarà l’ora in cui il mio essere avrà raggiunto lo scopo per cui è: ossia la salvezza del genere umano che si è ricordato d’esser figlio dell’Altissimo.
(Nota finale dell’Editore: “Lo scritto è sulle prime tre facciate di un foglietto piegato in due. In capo alla quarta facciata è la firma: Maria Valtorta”).
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Cosa possiamo meglio comprendere dallo scritto suddetto? Ve lo commenterò aggiungendo qualche particolare maggiormente esplicativo.
E’ un ‘Dettato’ di Gesù, forse un chiarimento alle domande interiori che Maria Valtorta si poneva sui tempi escatologici.9
Il brano non è preceduto dall’usuale ‘Dice Gesù’ e non è trascritto su un usuale ‘quaderno’ (che probabilmente la mistica non aveva in quel momento sottomano) ma su tre facciate di comuni fogli ed è firmato ‘Maria Valtorta’ (forse per ‘autenticarlo’ con la sua firma e far capire che era stata personalmente lei a scriverlo).
Dalla frase del III° periodo - dove si parla del ‘mio’ Regno in Terra - si comprende che a parlare è lo stesso Gesù e così pure la frase finale del periodo fa capire che a ‘dettare’ è Gesù perché parla della ‘mia’ ora di trionfo perché sarà quella l’ora del ‘mio’ essere.
Sta di fatto che:
- Il ‘periodo attuale’ di cui si parla (e cioè gli anni ’40) era quello che Gesù nei Quaderni aveva definito ‘il tempo dei precursori’ dell’Anticristo. Era insomma il periodo dei grandi dittatori e governanti del Novecento e delle loro nefande ideologie che avevano provocato e stavano allora ancora provocando decine e decine di milioni di vittime sia nella prima che nella seconda guerra mondiale.
- A questo primo periodo avrebbe fatto seguito un secondo periodo, quello dell’Anticristo vero e proprio che – è bene non dimenticarlo – viene nell’Apocalisse designato con il numero 666 con la precisazione che si tratta di un uomo, e quindi non semplicemente di un ‘spirito anticristico’ o ‘anticristiano’ in senso lato, cioè proprio di una persona.10
C’è da osservare che il Gesù valtortiano anche in altri brani si era riferito al periodo anticristiano dicendo che sarebbe stata un’epoca di guerre atroci ed autentico orrore per l’Umanità, ma pure di orrore spirituale per la Chiesa che avrebbe abbandonato la sana Dottrina ed avrebbe perso la Fede.
«L’Anticristo – aveva una volta precisato Gesù11 - sarà persona molto in alto, in alto come un astro. Non un astro umano che brilli in un cielo umano. Ma un astro di una sfera soprannaturale, il quale, cedendo alla lusinga del Nemico, conoscerà la superbia dopo l’umiltà, l’ateismo dopo la fede, la lussuria dopo la castità, la fame dell’oro dopo l’evangelica povertà, la sete degli onori dopo il nascondimento…,
e poi ancora Gesù: «… L’Anticristo, per superbia di un’ora, diverrà il maledetto e l’oscuro dopo essere stato un astro del mio esercito. A premio della sua abiura che scrollerà i Cieli sotto un brivido di orrore e farà tremare le colonne della mia Chiesa nello sgomento che susciterà il suo precipitare, otterrà l’aiuto completo di Satana, il quale darà ad esso le chiavi del pozzo dell’abisso12 perché lo apra…».
Rivolto quindi a coloro che allora leggevano quanto la mistica aveva scritto - e che forse erano rimasti sgomenti – il Gesù valtortiano aveva aggiunto: «… Del resto a voi non tocca gustare quell’orrore e perciò… Non vi resta che pregare per coloro che lo dovranno subire, perché la forza non naufraghi in essi e non passino a far parte della turba di coloro che sotto la sferza del flagello non conosceranno penitenza e bestemmieranno Iddio in luogo di chiamarlo in loro aiuto. Molti di questi sono già sulla Terra e il loro seme sarà sette volte sette più demoniaco di essi»
Come interpretare le parole di quest’ultima frase?
Correva l’anno 1943..., ed è un esercizio aritmetico che lascio a voi che leggete.
- Dopo il secondo periodo che vede la sconfitta dell’Anticristo e dei suoi alleati ‘naturali’, e cioè i ‘potenti’ della Terra, e dei suoi alleati ‘soprannaturali’, e cioè i demoni, segue il terzo periodo in cui Satana viene ‘incatenato’. Questo periodo sembra appunto corrispondere a quello dei cosiddetti ‘mille anni di incatenamento’ di cui parla anche l’Apocalisse.13 Millennio che forse va interpretato in questo caso allegoricamente come un ‘lunghissimo’ periodo di tempo.
Sarà, questo, un periodo di sosta, cioè quello del Regno di Dio in Terra, durante il quale l’Umanità si ritemprerà nello spirito riavvicinandosi finalmente a Dio. Non scompare il Male, perché gli uomini porteranno comunque sino alla fine ‘i fomiti’ conseguenza del Peccato originale con relative invidie, egoismi ed aggressività, ma senza subire per quel lungo periodo l’aggravante dell’intervento di Satana e dei suoi demoni tentatori e comunque sarà un periodo in cui i ‘cattivi’ saranno costretti alla ‘difensiva’, chiusi nei loro ‘fortini’ mentre i ‘buoni’ avranno libertà di azione.
- Segue infine il quarto periodo in cui Satana (sempre dopo i cosiddetti ‘mille anni’ di cui parla l’Apocalisse) sarà di nuovo lasciato libero14 – probabilmente perché l’Umanità avrà voluto nuovamente allontanarsi da Dio, ormai dimentica degli antichi orrori dell’epoca dell’Anticristo. Satana scatenerà un’ultima ‘guerra’ le cui crudeltà ed orrore saranno ‘sette volte sette’ peggiori di quelle del tempo dell’Anticristo. Satana verrà però a quel punto sconfitto e chiuso definitivamente nell’Inferno.
- Il quinto periodo sarà quello della fine del mondo e del Giudizio universale: quello appunto, come già sopra accennato, che Gesù chiama ‘…la mia ora di trionfo poiché sarà l’ora in cui il mio essere avrà raggiunto lo scopo per cui è: ossia la salvezza del genere umano che si è ricordato d’esser figlio dell’Altissimo’.15
A ben vedere, la cronologia escatologica della Chiesa universale – secondo il Gesù valtortiano - sembra seguire del tutto fedelmente la cronologia che ci mostra l’Apocalisse nella sua interpretazione letterale e non allegorica, e smentisce la tesi di quei teologi che collocano la manifestazione dell’Anticristo non nel corso della Storia ma alla fine della Storia identificandolo nella figura dello stesso Satana o in un generico astratto principio del ‘male’.
La prossima riflessione sarà dedicata a:
2. IL SECONDO DISCORSO DELLA MONTAGNA: IL DONO DELLA GRAZIA E LE BEATITUDINI
(Parte prima di due)

1  Mt 28, 16-17: Ma gli undici discepoli andarono in Galilea al monte designato loro da Gesù. E, vedutolo, lo adorarono: alcuni però dubitarono
2  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. X, Cap. 635.11/16 – Centro Editoriale Valtortiano
3  N.d.A.: La Bestia, potente demone dell’Apocalisse, sinonimo dell’Anticristo che tuttavia verrà sconfitto dopo un suo regno d’orrore sulla terra le cui conseguenze verranno pagate dall’Umanità
4  N.d.R.: Riferimento anche alla prossima discesa dello Spirito Santo nel Cenacolo con infusione pentecostale
5  N.d.A.: Israele. Dispersa… nella ‘diaspora’, come poi in effetti è successo dopo la distruzione ad opera del romani nel 70 d.C., salvo poi essersi in qualche modo parzialmente ricostituito dopo quasi duemila anni, il 14 maggio 1948, alla scadenza del Mandato britannico della Palestina che prevedeva la costituzione di due stati indipendenti, uno ebraico e l’altro arabo.
6  Ap 20, 7-10: 7Quando i mille anni saranno compiuti, Satana verrà liberato dal suo carcere 8e uscirà per sedurre le nazioni che stanno ai quattro angoli della terra, Gog e Magòg, e radunarle per la guerra: il loro numero è come la sabbia del mare. 9Salirono fino alla superficie della terra e assediarono l'accampamento dei santi e la città amata. Ma un fuoco scese dal cielo e li divorò. 10E il diavolo, che li aveva sedotti, fu gettato nello stagno di fuoco e zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta: saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli.
7  Ap 13, 1-10: 1 E vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo. 2La bestia che io vidi era simile a una pantera, con le zampe come quelle di un orso e la bocca come quella di un leone. Il drago le diede la sua forza, il suo trono e il suo grande potere. 3Una delle sue teste sembrò colpita a morte, ma la sua piaga mortale fu guarita.
Allora la terra intera, presa d'ammirazione, andò dietro alla bestia 4e gli uomini adorarono il drago perché aveva dato il potere alla bestia, e adorarono la bestia dicendo: «Chi è simile alla bestia e chi può combattere con essa?».
5Alla bestia fu data una bocca per proferire parole d'orgoglio e bestemmie, con il potere di agire per quarantadue mesi. 6Essa aprì la bocca per proferire bestemmie contro Dio, per bestemmiare il suo nome e la sua dimora, contro tutti quelli che abitano in cielo. 7Le fu concesso di fare guerra contro i santi e di vincerli; le fu dato potere sopra ogni tribù, popolo, lingua e nazione. 8La adoreranno tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto nel libro della vita dell'Agnello, immolato fin dalla fondazione del mondo. 9Chi ha orecchi, ascolti: 10Colui che deve andare in prigionia, vada in prigionia; colui che deve essere ucciso di spada, di spada sia ucciso. In questo sta la perseveranza e la fede dei santi.
8  Ap 19, 11-21:11Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava Fedele e Veritiero: egli giudica e combatte con giustizia.
12I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce all'infuori di lui. 13È avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è: il Verbo di Dio. 14Gli eserciti del cielo lo seguono su cavalli bianchi, vestiti di lino bianco e puro. 15Dalla bocca gli esce una spada affilata, per colpire con essa le nazioni. Egli le governerà con scettro di ferro e pigerà nel tino il vino dell'ira furiosa di Dio, l'Onnipotente. 16Sul mantello e sul femore porta scritto un nome: Re dei re e Signore dei signori.
17Vidi poi un angelo, in piedi di fronte al sole, nell'alto del cielo, e gridava a gran voce a tutti gli uccelli che volano: 18«Venite, radunatevi al grande banchetto di Dio. Mangiate le carni dei re, le carni dei comandanti, le carni degli eroi, le carni dei cavalli e dei cavalieri e le carni di tutti gli uomini, liberi e schiavi, piccoli e grandi».
19Vidi allora la bestia e i re della terra con i loro eserciti, radunati per muovere guerra contro colui che era seduto sul cavallo e contro il suo esercito. 20Ma la bestia fu catturata e con essa il falso profeta, che alla sua presenza aveva operato i prodigi con i quali aveva sedotto quanti avevano ricevuto il marchio della bestia e ne avevano adorato la statua. Ambedue furono gettati vivi nello stagno di fuoco, ardente di zolfo. 21Gli altri furono uccisi dalla spada che usciva dalla bocca del cavaliere; e tutti gli uccelli si saziarono delle loro carni.
9  N.d.A.: Le profezie del Gesù valtortiano, Verbo incarnato, non sono facili da interpretare nella loro sequenza e periodo di realizzazione storica, perché sono spesso volutamente ‘velate’ come quelle dei Profeti dell’Antico Testamento ai quali era lo stesso Verbo a parlare. Gesù – pur profetizzando accadimenti anche dolorosi – lascia spesso un margine di dubbio circa le esatte modalità e loro tempi di attuazione, e lo fa anche per misericordia, un po’ come dire…’uomo avvisato mezzo salvato’, fermo restando il fatto che anche profezie negative potrebbero essere revocate, in quanto condizionate al comportamento degli uomini, come successo ad esempio nel caso delle profezie di Giona nei confronti della città di Ninive alla quale era stata profetizzata la distruzione se son si fosse convertita, ma invece si convertì.
10  Ap 13, 11-18:11E vidi salire dalla terra un'altra bestia che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, ma parlava come un drago. 12Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita. 13Opera grandi prodigi, fino a far scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini. 14Per mezzo di questi prodigi, che le fu concesso di compiere in presenza della bestia, seduce gli abitanti della terra, dicendo loro di erigere una statua alla bestia, che era stata ferita dalla spada ma si era riavuta. 15E le fu anche concesso di animare la statua della bestia, in modo che quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non avessero adorato la statua della bestia. 16Essa fa sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, ricevano un marchio sulla mano destra o sulla fronte, 17e che nessuno possa comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. 18Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: è infatti un numero di uomo, e il suo numero è seicentosessantasei:
11  M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – Dettato 20 agosto 1943 – Centro Editoriale Valtortiano
12  Ap 9, 1-2: ‘Il quinto angelo suonò la tromba. E vidi una stella che dal cielo era caduta sulla terra. All’Angelo fu data la chiave del pozzo dell’abisso: egli aprì il pozzo dell’abisso e dal pozzo salì un fumo, come il fumo di una grande fornace, tanto che il sole e l’aria furono oscurati per il fumo del pozzo’
13  Ap 20, 1-6: 1 E vidi un angelo che scendeva dal cielo con in mano la chiave dell'Abisso e una grande catena. 2Afferrò il drago, il serpente antico, che è diavolo e il Satana, e lo incatenò per mille anni; 3lo gettò nell'Abisso, lo rinchiuse e pose il sigillo sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni, dopo i quali deve essere lasciato libero per un po' di tempo. 4Poi vidi alcuni troni - a quelli che vi sedettero fu dato il potere di giudicare - e le anime dei decapitati a causa della testimonianza di Gesù e della parola di Dio, e quanti non avevano adorato la bestia e la sua statua e non avevano ricevuto il marchio sulla fronte e sulla mano. Essi ripresero vita e regnarono con Cristo per mille anni; 5gli altri morti invece non tornarono in vita fino al compimento dei mille anni. Questa è la prima risurrezione. 6Beati e santi quelli che prendono parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e del Cristo, e regneranno con lui per mille anni.
14  Ap 20, 7-10: 7Quando i mille anni saranno compiuti, Satana verrà liberato dal suo carcere 8e uscirà per sedurre le nazioni che stanno ai quattro angoli della terra, Gog e Magòg, e radunarle per la guerra: il loro numero è come la sabbia del mare. 9Salirono fino alla superficie della terra e assediarono l'accampamento dei santi e la città amata. Ma un fuoco scese dal cielo e li divorò. 10E il diavolo, che li aveva sedotti, fu gettato nello stagno di fuoco e zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta: saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli.
15 Ap 20, 11-15: 11E vidi un grande trono bianco e Colui che vi sedeva. Scomparvero dalla sua presenza la terra e il cielo senza lasciare traccia di sé. 12E vidi i morti, grandi e piccoli, in piedi davanti al trono. E i libri furono aperti. Fu aperto anche un altro libro, quello della vita. I morti vennero giudicati secondo le loro opere, in base a ciò che era scritto in quei libri. 13Il mare restituì i morti che esso custodiva, la Morte e gli inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere. 14Poi la Morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte, lo stagno di fuoco. 15E chi non risultò scritto nel libro della vita fu gettato nello stagno di fuoco.

     
2. (1/2) IL SECONDO DISCORSO DELLA MONTAGNA: IL DONO DELLA GRAZIA E LE BEATITUDINI.
2.1 Gesù: «Dio dette ai due Progenitori doni naturali di bellezza ed integrità, di intelligenza e volontà, di capacità di amarsi e di amare, così dette i doni morali…, ma anche i soprannaturali, ossia la Grazia santificante, il destino superiore e la visione di Dio…». Non diciamo «Guai se non farò questo!» ma diciamo: «Beato me se farò questo…’».
Nel primo discorso della montagna – tenuto in privato ad apostoli e discepoli mentre la folla era accampata più in basso sulle pendici del monte – Gesù aveva loro parlato della assoluta necessità di essere ‘sale della terra e luce del mondo’ e poi del ruolo della Chiesa nella Storia e di quello dei futuri vescovi e sacerdoti, dei quali gli ‘apostoli’ ed i ‘discepoli’ erano loro antesignani.
Ora, nel discorso del giorno dopo, Gesù affronta davanti alla totalità dei presenti, inclusa cioè la folla, il tema dell’importanza della Grazia e delle ‘Beatitudini’.
Ho già avuto occasione di spiegare che - nei Vangeli - sovente episodi o anche frasi di Gesù non sono citati nella loro esatta collocazione temporale ed ambientale né tantomeno riportati secondo l’ordine logico in cui Gesù doveva averli ragionevolmente espressi.
Questo aspetto emerge in maniera abbastanza evidente dal confronto fra il testo di Matteo e quello del Gesù valtortiano, come abbiamo del resto già in parte visto con il primo discorso sul tema della Luce del mondo e del Sale della terra.
Lasciando da parte i titoli dei vari ‘capitoli’ dei Vangeli canonici, titoli che vennero aggiunti successivamente dagli amanuensi per renderne più facile la comprensione e la lettura, rimane il fatto che pur dicendo Matteo quanto di essenziale c’era da dire, non c’è invece ‘il tutto’ che ebbe a dire Gesù, e soprattutto le varie ‘enunciazioni’ non sono esposte in Matteo nell’ordine logico in cui le cita il Gesù di Maria Valtorta.
Il fatto che sia invece corretto l’ordine consequenziale dei discorsi di Gesù nell’Opera valtortiana lo si desume però facilmente proprio dalla loro concatenazione logica per cui tutte le varie ‘affermazioni’ si ‘tengono’ fra di loro, il che ci fa e vi fa concludere che ‘non potevano essere state dette che così…’.
Una domanda, anche se un pochino forse banale, ce la potremmo anche porre: ‘Ma se il Discorso della Montagna tenuto dal Gesù valtortiano era quello reale, non avrebbe potuto Gesù – con un miracolo come quello fatto con le rivelazioni alla nostra mistica – mettere Matteo in condizioni di trascriverlo per intero? Non sarebbe stato meglio e più ‘convincente’ - ai fini della conversione dei popoli e soprattutto dei ‘razionalisti’ - di quelle poche righe evangeliche sul sale della terra e luce del mondo?’.
È un mistero. La volontà ed i disegni di Dio sono imperscrutabili. Rispondono ad una logica superiore e spirituale che ci sfugge.
Dio avrebbe potuto ad esempio anche redimere il mondo con un solo atto della propria volontà, rimanendo in Cielo.
Il Verbo avrebbe poi anche potuto evitare di incarnarsi in un uomo, subendo conseguentemente le limitazioni e le miserie dovute alla natura umana, ma semplicemente rendersi visibile sulla Terra con ‘sembianze’ umane, come in certe apparizioni, senza assumere una carne umana, oppure assumere una carne umana a tutti gli effetti ‘solida’ ma illusoria come fece l’Arcangelo Raffaele che accompagnò ed assistette il giovane Tobia nel lungo viaggio raccontato nel libro di Tobia.1
Avrebbe anche potuto redimere e riaprire agli uomini le porte del Cielo offrendo la sua Vita senza farsi inchiodare su una croce.
Avrebbe potuto scegliere come apostoli dei ‘già santi’ anziché uomini del tutto ‘umani’ e ancora da santificare.
Avrebbe potuto scegliere dei dotti anziché degli umili pescatori, come Pietro e suo fratello Andrea, come Giovanni e suo fratello Giacomo di Zebedeo, tutti soci e compagni di pesca.
Quanto agli apostoli scelti fra la gente più comune, Gesù voleva tuttavia dimostrare che tutti gli uomini – se veramente vogliono – possono divenire santi e praticare la sua Dottrina, cosa che a tanti pare invece impossibile.
Il Verbo ha scelto invece per Sé la soluzione più imprevedibile e anche sgradevole, sia per il suo essere ‘Dio’ sia per il suo essere ‘uomo’: nascere in una umile stalla, vivere umilmente da falegname, un artigiano cioè che costruisce o ripara attrezzi agricoli e fabbrica masserizie e serramenti per chi mette su famiglia o casa, morire infine volontariamente su una croce fra atroci sofferenze e di una morte per di più ignominiosa che veniva riservata solo ai peggiori malfattori.
D’altra parte, poiché un Dio ‘non incarnato’ che fosse rimasto nel suo Empireo non avrebbe potuto dare agli uomini dimostrazione del suo amore, il Verbo volle scegliere la dimensione umana.
Ciò anche perché era proprio il suo Sacrificio di Uomo-Dio quello che avrebbe dato valore – di fronte al Padre – alla sua richiesta di Perdono per l’Umanità corrotta, per lo meno per gli uomini che avessero voluto emendarsi.
Riguardo però alla ‘pochezza’ – dal punto di vista ‘letterario’ – dei testi evangelici ricordo di aver letto, non ricordo più dove nelle migliaia e migliaia di pagine dell’Opera valtortiana, un passo di poche righe in cui – proprio riferendosi ai Vangeli – Gesù aveva detto che quei brani evangelici, pur succinti, erano egregiamente serviti nel corso di due millenni a convertire al Cristianesimo una quantità incalcolabile di persone.
Peraltro – cristiani o meno – non si può negare che la sua Dottrina abbia moralmente influenzato anche la parte non cristiana dell’Umanità, favorendo inoltre lo sviluppo della Civiltà.
Quei semplici e stringati brani evangelici che vanno direttamente al cuore di ogni uomo di qualsivoglia cultura, sono risultati – proprio perché sintetici e centranti il cuore il problema - agevolmente traducibili in pressoché tutte le principali lingue del mondo, facilmente assimilabili, memorizzabili e comprensibili anche dalle genti più umili ed incolte nei luoghi più sperduti della terra.
Toccando poi solo l’essenziale, ci hanno obbligato a rifletterci sopra per svilupparne il senso, per conoscerne il profondo significato, hanno stimolato decine e decine di migliaia di opere di studio e di commento che hanno dato anche agli autori la possibilità e la soddisfazione spirituale di portare il loro piccolo mattone alla costruzione del Regno di Dio in terra, aiutando così il prossimo desideroso di maggior conoscenza e spiritualità.
Troppe volte, poi, dimentichiamo che nelle questioni di Fede c’è l’Illuminazione dello Spirito Santo il quale - se ‘vede’ che noi ci avviciniamo ai Vangeli con lo spirito giusto - ci fa sentire con il ‘cuore’ la verità e sapienza divina di quelle frasi e concetti pur ridotti all’essenziale.
Tornando però al Vangelo secondo Matteo, questi fa esordire Gesù con le Beatitudini (Mt 5, 3-12) e solo in seconda battuta fa riferimento al dover essere ‘sale della terra e luce del mondo’, invito che pare peraltro esser rivolto alla folla in genere, il che certamente non guasta, anzi.
Perché questo silenzio di Matteo su quella triplice e shoccante reprimenda non nei confronti del ‘gregge’ ma dei Pastori che si fossero dimostrati indegni di guidarlo sulle vie della salvezza? Dimenticanza? Eppure il ‘pezzo’ forte del dover essere ‘sale della terra e luce del mondo’ riguardava proprio i ‘Pastori’, cioè apostoli e discepoli, vale a dire i Capi, i futuri Vescovi e sacerdoti, con quella triplice minaccia di ‘Guai a voi’ seguita da una ulteriore minaccia di ‘maledizione di Dio’ ai corruttori del suo piccolo gregge, corruttori ai quali Dio avrebbe chiesto ragione del loro operato e comminato dura punizione.
Possibile che Matteo si fosse dimenticato una parte così importante del discorso, insomma l’altra faccia della medaglia del dover essere ‘sale della terra e luce del mondo’?
Gli apostoli erano ancora molto umani: forse era il timore di dare scandalo, forse invece il fatto che il discorso della sera prima era stato ‘riservato’ e quindi non sarebbe stato opportuno metterne al corrente la folla: il Cristianesimo stava muovendo i primi passi e probabilmente bisognava essere prudenti.
Forse – quella di non dare scandalo (anche per non mortificare Lazzaro, protettore e benefattore del Gruppo apostolico ed amico intimo di Gesù) fu la stessa preoccupazione di pudore dell’evangelista Luca2 nel non fare il nome di Maria Maddalena raccontando l’episodio della famosa ‘pubblica peccatrice’ che – in casa di un fariseo dove Gesù sedeva a pranzo – irrompe inginocchiandosi piangente ai suoi piedi chiedendogli perdono, lavandogli i piedi con le sue lacrime, asciugandoglieli con i suoi capelli, baciandoglieli e ungendoglieli con preziosi profumi tratti da un vaso di alabastro.
È dal Vangelo di Giovanni che – a ben riflettere - abbiamo l’opportunità di capire senza ombra di dubbio quel che oggi molti si domandano ancora circa l’identità di quella misteriosa peccatrice.
Sarà infatti Giovanni che nel suo Vangelo - composto molti anni dopo, quando non vi era più timore di dare ‘scandalo’ essendosi il cristianesimo consolidato - descriverà alla perfezione la ripetizione dei gesti di quella donna che in Luca era definita ‘pubblica peccatrice’ ma che, in casa di Lazzaro durante un pranzo alcuni giorni prima della Passione, Giovanni mostra essere Maria Maddalena, sorella di Lazzaro e Marta, ormai splendidamente convertita da Gesù.3
In ogni caso è proprio l’Evangelo valtortiano a darci esplicita conferma di tutto ciò.
Ritornando però al Discorso della Montagna tratto da ‘L’Evangelo’, Gesù – prima ancora di enunciare le ‘beatitudini’ - esordisce con un ben articolato discorso preliminare sulla Grazia santificante, argomento di cui Matteo, nel suo pur dettagliato racconto, non parla.
È un tema molto importante, per noi cristiani, ma qui non deve forse stupire se Matteo non ne fa cenno perché non è facilmente sintetizzabile in una frase e comunque sono molti i ‘discorsi’ importanti fatti da Gesù che non vengono citati nei Vangeli dei tre ‘sinottici’ Matteo, Marco e Luca, salvo poi essere invece riportati nell’ultimo Vangelo di Giovanni.
Ricordo ad esempio il lungo ed importantissimo discorso tenuto da Gesù nella sinagoga di Cafarnao sul suo essere ‘Pane disceso dal Cielo’4 e ‘Pane di vita eterna’, figura della futura Eucarestia che sarebbe stata istituita prima della Passione la sera del Giovedì santo nel Cenacolo. Questo discorso dette ‘scandalo’ e provocò l’allontanamento di molti discepoli del gruppo dei ‘settantadue’ poi sostituiti da altri.
Inoltre – ancora ad esempio – ricordo i contestati discorsi al Tempio di Gerusalemme sul suo (di Gesù) essere ‘Fonte di Acqua viva’5 e ‘Luce del mondo’6, senza dimenticare infine il discorso sul suo essere ‘Buon Pastore’.7
In questo discorso della montagna del secondo giorno Gesù si rivolge dunque alla folla dicendo come siano tante le domande che solitamente gli vengono rivolte: dal voler sapere cosa sia il Regno di Dio a cosa sia lo stesso Iddio, e al come si conquisti e il Regno e Dio.
Egli spiega poi cosa sia la Legge del Sinai, o meglio quale ne sia la sua vera ‘anima’, per cui chi la fa sua conquista anche il Cielo.
Legge mosaica severa, adatta ai tempi severi per i quali fu data con benedizioni ma anche minacce e maledizioni per i disubbidienti.
Poiché però Dio oltre che ‘Dio di Giustizia’ è anche ‘Padre buono’ – ora che è venuto il momento della Redenzione – ecco che arriva il suo Verbo a predicare l’insegnamento della perfezione dell’amore, insegnamento che Egli si appresta ora ad impartire alle folle su quella montagna.
Gesù dice che Dio diede ad Adamo – da poco creato dal fango8 - un’anima immortale e molti doni.
Questi possedeva doni naturali (bellezza fisica, integrità, intelligenza e volontà, capacità di amare) nonché doni morali, con il senso soggetto alla ragione così da prevenire l’insorgere di sensi disordinati e di passioni.
Soprattutto – aggiunge però Gesù – Dio diede all’uomo la Grazia santificante, un destino eterno, superiore a quello di qualsiasi altro essere animale, e infine la visione di Dio, possibilità che Adamo avrebbe in seguito avuto in Cielo se non avesse peccato.
La Grazia santificante era la vita dell’anima perché essa era amore, e cioè Dio.
Di qui l’esigenza di avere nuovamente questa Grazia non solo per la nostra salvezza ma anche per non deludere Dio che nell’uomo in Grazia si riflette e vede Se stesso.
Gli insegnamenti che l’Uomo-Dio è venuto a portare avranno dunque lo scopo – dopo la Redenzione operata con il Sangue del Verbo incarnato – di permettere all’uomo la conquista di questa Grazia, conquista indispensabile per poter un giorno entrare in spirito in Paradiso alla morte del corpo per poi risorgere al Giudizio universale ed entrare in Cielo anche con la propria carne glorificata.
Dio non violenta il nostro pensiero né ci obbliga a santificarci, ma – se noi vogliamo – ce ne dà la forza e con questa ci si può rendere liberi dalla schiavitù di Satana.
Dio ed il suo Regno si conquistano con la severa Legge del Sinai, non vi sono scorciatoie. È una Legge che tuttavia va guardata – spiega Gesù - non sotto il ‘colore’ della ‘minaccia’ ma sotto quello dell’amore, per cui anziché soffermarsi sul comando ‘negativo’ di ‘non fare una tal cosa’ o ‘non farne una talaltra’, sarebbe meglio dirsi in positivo con spirito gioioso: ‘Beato me se farò questo’
È dunque da questa premessa di Gesù in merito alla Grazia santificante - premessa che io vi ho anticipatamente molto semplificato ma che potrete qui di seguito apprezzare certamente molto meglio nella sua forma e contenuto integrale – che Egli inizia il suo famoso discorso delle ‘Beatitudini’9, con i susseguenti ‘Consigli evangelici’ di cui Egli parlerà nei giorni successivi.
Se infatti – come ho già avuto occasione di sottolineare – la Legge mosaica è il presupposto minimo per la nostra salvezza eterna, il rispetto delle Beatitudini e dei Consigli è ‘il di più’ che consente di guadagnarci non solo la salvezza ma un superiore livello di Gloria in Cielo.
Ecco dunque quanto vede e sente la mistica Valtorta (i grassetti sono miei): 10
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24 maggio 1945.11
Gesù parla agli apostoli mettendoli ognuno al loro posto per dirigere e sorvegliare la folla, che sale fin dalle prime ore del mattino con malati portati a braccio o in barella o trascinantisi sulle grucce. Fra la gente è Stefano e Erma.
L'aria è tersa e un poco freschetta, ma il sole tempera presto questo frizzare di aria montanina che, rendendo mite il sole, se ne avvantaggia però, facendosi di una purezza fresca ma non rigida.
La gente si siede sui sassi e pietroni che sono sparsi nella valletta fra le due cime, altri attendono che il sole asciughi l'erba rugiadosa per sedersi sul suolo. È molta la gente e di tutte le plaghe palestinesi e di tutte le condizioni.
Gli apostoli si sperdono nella moltitudine ma, come api che vanno e vengono dai prati all'alveare, ogni tanto tornano presso il Maestro per riferire, per chiedere, per il piacere di essere guardati da vicino dal Maestro.
Gesù sale un poco più in alto del prato che è il fondo della valletta, addossandosi alla parete, e inizia a parlare.
«Molti mi hanno chiesto, durante un'annata di predicazione: "Ma Tu, che ti dici il Figlio di Dio, dicci cosa è il Cielo, cosa il Regno, cosa è Dio. Perché noi abbiamo idee confuse.
Sappiamo che vi è il Cielo con Dio e con gli angeli. Ma nessuno è mai venuto a dirci come è, essendo chiuso ai giusti".
Mi hanno chiesto cosa è il Regno e cosa è Dio. Ed Io mi sono sforzato di spiegarvi cosa è il Regno e cosa è Dio. Sforzato non perché mi fosse difficile a spiegarmi, ma perché è difficile, per un complesso di cose, farvi accettare la verità che urta, per quanto è il Regno, contro tutto un edificio di idee venute nei secoli12 e, per quanto è Dio, contro la sublimità della sua Natura.
Altri ancora mi hanno chiesto: "Va bene. Questo è il Regno e questo è Dio. Ma come si conquistano questo e quello?".
Anche qui Io ho cercato di spiegarvi, senza stanchezze, l'anima vera della Legge del Sinai.
Chi fa sua quell'anima fa suo il Cielo. Ma per spiegarvi la Legge del Sinai bisogna anche far sentire il tuono forte del Legislatore e del suo Profeta, i quali, se promettono benedizioni agli osservanti, minacciano tremende pene e maledizioni ai disubbidienti.
La epifania del Sinai fu tremenda e la sua terribilità si riflette in tutta la Legge, si riflette su tutti i secoli, si riflette su tutte le anime.
Ma Dio non è solo Legislatore. Dio è Padre. E Padre di immensa bontà.
Forse, e senza forse, le vostre anime, indebolite dal peccato d'origine, dalle passioni, dai peccati, da molti egoismi vostri e altrui13 - facendovi gli altrui un'anima irritata, i vostri un'anima chiusa - non possono elevarsi a contemplare le infinite perfezioni di Dio, meno di ogni altra la bontà, perché è la virtù che con l'amore è meno dote dei mortali.
La bontà! Oh! dolce essere buoni, senza odio, senza invidie, senza superbie! Avere occhi che solo guardano per amare, e mani che si tendono a gesto d'amore, e labbra che non profferiscono che parole d'amore, e cuore, cuore soprattutto che colmo unicamente d'amore sforza occhi, mani e labbra ad atti d'amore!
I più dotti fra voi sanno di quali doni Dio aveva fatto ricco Adamo, per sé e per i suoi discendenti. Anche i più ignoranti fra i figli d'Israele sanno che in noi vi è lo spirito.
Solo i poveri pagani lo ignorano questo ospite regale, questo soffio vitale, questa luce celeste che santifica e vivifica il nostro corpo. Ma i più dotti sanno quali doni erano stati dati all'uomo, allo spirito dell'uomo.
Non fu meno munifico allo spirito che alla carne e al sangue della creatura da Lui fatta con poco fango e col suo alito.
E come dette i doni naturali di bellezza e integrità, di intelligenza e di volontà, di capacità di amarsi e di amare, così dette i doni morali con la soggezione del senso alla ragione, di modo che nella libertà e padronanza di sé e della propria volontà, di cui Dio aveva beneficato Adamo, non si insinuava la malvagia prigionia dei sensi e delle passioni, ma libero era l'amarsi, libero il volere, libero il godere in giustizia, senza quello che fa schiavi voi facendovi sentire il mordente di questo veleno che Satana sparse e che rigurgita, portandovi fuor dell'alveo limpido su campi fangosi, in putrescenti stagni, dove fermentano le febbri dei sensi carnali e dei sensi morali. Perché sappiate che è senso anche la concupiscenza del pensiero.
Ed ebbero doni soprannaturali, ossia la Grazia santificante, il destino superiore, la visione di Dio.
La Grazia santificante: la vita dell'anima. 14
Quella spiritualissima cosa deposta nella spirituale anima nostra. La Grazia che ci fa figli di Dio perché ci preserva dalla morte del peccato, e chi morto non è "vive" nella casa del Padre: il Paradiso; nel regno mio: il Cielo.
Cosa è questa Grazia che santifica e che dà Vita e Regno? Oh! non usate molte parole!
La Grazia è amore. La Grazia è, perciò, Dio.
È Dio che ammirando Se stesso nella creatura creata perfetta si ama, si contempla, si desidera, si dà ciò che è suo per moltiplicare questo suo avere, per bearsi di questo moltiplicarsi, per amarsi per quanti sono altri Se stesso.
Oh! figli! Non defraudate Dio di questo suo diritto! Non derubate Dio di questo suo avere! Non deludete Dio in questo suo desiderio!
Pensate che Egli opera per amore. Se anche voi non foste, Egli sarebbe sempre l'Infinito, né sarebbe sminuita la sua potenza. Ma Egli, pur essendo completo nella sua misura infinita, immisurabile, vuole non per Sé e in Sé - non lo potrebbe perché è già l'Infinito - ma per il Creato, sua creatura, Egli vuole aumentare l'amore per quanto esso Creato di creature contiene, onde vi dà la Grazia: l'Amore, perché voi in voi lo portiate alla perfezione dei santi, e riversiate questo tesoro - tratto dal tesoro che Dio vi ha dato con la sua Grazia e aumentato di tutte le vostre opere sante, di tutta la vostra vita eroica di santi - nell'Oceano infinito dove Dio è: nel Cielo.
Divine, divine, divine cisterne dell'Amore! Voi siete, né vi è data al vostro essere morte, perché siete eterne come Dio, Dio essendo.
Voi sarete, né vi sarà data al vostro essere termine, perché immortali come gli spiriti santi che vi hanno supernutrite, tornando in voi arricchiti dei propri meriti.
Voi vivete e nutrite, voi vivete e arricchite, voi vivete e formate quella santissima cosa che è la Comunione degli spiriti, da Dio, Spirito perfettissimo, al piccolo pargolo testé nato, che poppa per la prima volta il materno seno.
Non criticatemi in cuor vostro, o dotti! Non dite: "Costui è folle, Costui è menzognero! Perché come folle parla dicendo la Grazia in noi, privi di essa per la Colpa. Perché mente dicendoci già uni con Dio".
Sì, la Colpa è; sì, la separazione è. Ma davanti al potere del Redentore, la Colpa, separazione crudele sorta fra il Padre e i figli, crollerà come muraglia scossa dal nuovo Sansone; già Io l'ho afferrata e la scrollo ed essa vacilla, e Satana trema d'ira e di impotenza non potendo nulla contro il mio potere e sentendosi strappare tanta preda e farsi più difficile il trascinare l'uomo al peccato.
Perché quando Io vi avrò, attraverso di Me, portato al Padre mio, e nel filtrare dal mio Sangue e dal mio dolore voi sarete divenuti mondi e forti, tornerà viva, desta, potente la Grazia in voi, e voi sarete i trionfatori, se lo vorrete.
Non vi violenta Iddio nel pensiero e neppure nella santificazione. Voi siete liberi. Ma vi rende la forza. Vi rende la libertà sull'impero di Satana. A voi riporvi il giogo infernale o mettere all'anima le ali angeliche. Tutto a voi, con Me a fratello per guidarvi e nutrirvi del cibo immortale.
"Come si conquista Iddio e il suo Regno attraverso altra più dolce via che non la severa del Sinai?" voi dite.
Non vi è altra via. Quella è. Ma però guardiamola non attraverso il colore della minaccia, ma attraverso il colore dell'amore.
Non diciamo: "Guai se non farò questo!" rimanendo tremanti in attesa di peccare, di non essere capaci di non peccare. Ma diciamo: "Beato me se farò questo!" e con slancio di soprannaturale gioia, giubilando, lanciamoci verso queste beatitudini, nate dall'osservanza della Legge come corolle di rose da un cespuglio di spine.
Beato me se sarò povero di spirito perché mio allora è il Regno dei Cieli!15
Beato me se sarò mansueto perché erediterò la Terra!
Beato me se sarò capace di piangere senza ribellione perché sarò consolato!
Beato me se più del pane e del vino per saziare la carne avrò fame e sete di giustizia. La Giustizia mi sazierà!
Beato me se sarò misericordioso perché mi sarà usata divina misericordia!
Beato me se sarò puro di cuore perché Dio si piegherà sul mio cuore puro ed io lo vedrò!
Beato me se avrò spirito di pace perché sarò da Dio chiamato suo figlio, perché nella pace è l'amore, e Dio è Amore che ama chi è simile a Lui!
Beato me se per fedeltà alla giustizia sarò perseguitato, perché a compensarmi delle terrene persecuzioni Dio, mio Padre, mi darà il Regno dei Cieli!
Beato me se sarò oltraggiato e accusato bugiardamente per saper essere tuo figlio, o Dio! Non desolazione ma gioia mi deve venire da questo, perché questo mi uguaglia ai tuoi servi migliori, ai Profeti, per la stessa ragione perseguitati, e coi quali io credo fermamente di condividere la stessa ricompensa grande, eterna, nel Cielo che è mio! Guardiamo così la via della salute. Attraverso la gioia dei santi.
‘Beato me se sarò povero di spirito.
Oh!, delle ricchezze, arsura satanica, a quanti deliri tu porti! Nei ricchi, nei poveri.
Il ricco che vive per il suo oro: l'idolo infame del suo spirito rovinato.
Il povero che vive dell'odio al ricco perché egli ha l'oro, e se anche non fa materiale omicidio lancia i suoi anatema sul capo dei ricchi, desiderando loro male d'ogni sorta.
Il male non basta non farlo, bisogna anche non desiderare di farlo.
Colui che maledice augurando sciagure e morti non è molto dissimile da colui che materialmente uccide, poiché ha in lui il desiderio di veder perire colui che odia. In verità vi dico che il desiderio non è che un atto trattenuto, come un concepito da ventre già formato ma non ancora espulso.
Il desiderio malvagio avvelena e guasta, poiché permane più a lungo dell'atto violento, più in profondità dell'atto stesso.
Il povero di spirito se è ricco non pecca per l'oro, ma del suo oro fa la sua santificazione poiché ne fa amore. Amato e benedetto, egli è simile a quelle sorgive che salvano nei deserti e che si danno, senza avarizia, liete di potersi dare per sollevare le disperazioni.
Se è povero, è lieto nella sua povertà, e mangia il suo pane dolce della ilarità del libero dall'arsione dell'oro, e dorme il suo sonno scevro da incubi, e sorge riposato al suo sereno lavoro che pare sempre leggero se viene fatto senza avidità e invidia.
Le cose che fanno ricco l'uomo sono l'oro come materia, gli affetti come morale.
Nell'oro sono comprese non solo le monete ma anche le case, i campi, i gioielli, i mobili, le mandre, tutto quanto insomma fa materialmente doviziosa la vita.
Nelle affezioni: i legami di sangue o di coniugio, le amicizie, le dovizie intellettuali, le cariche pubbliche.
Come vedete, se per la prima categoria il povero può dire: "Oh! per me! Basta che io non invidi chi ha e poi sono a posto perché io sono povero e perciò a posto per forza", per la seconda anche il povero ha da sorvegliarsi, potendo, anche il più miserabile fra gli uomini, divenire peccaminosamente ricco di spirito. Colui che si affeziona smoderatamente ad una cosa, ecco che pecca.
Voi direte: "Ma allora dobbiamo odiare il bene che Dio ci ha concesso? Ma allora perché comanda di amare il padre e la madre, la sposa, i figli, e dice: Amerai il tuo prossimo come te stesso’?.
Distinguete. Amare dobbiamo il padre e la madre e la sposa e il prossimo, ma nella misura che Dio ha dato: "come noi stessi ".
Mentre Dio va amato sopra ogni cosa e con tutti noi stessi. Non amare Dio come amiamo fra il prossimo i più cari, questa perché ci ha allattato, l'altra perché dorme sul nostro petto e ci procrea i figli, ma amarlo con tutti noi stessi, ossia con tutta la capacità di amare che è nell'uomo: amore di figlio, amore di sposo, amore di amico e, oh! non vi scandalizzate! e amore di padre.
Sì, per l'interesse di Dio dobbiamo avere la stessa cura che un padre ha per la sua prole, per la quale con amore tutela le sostanze e le accresce, e si occupa e preoccupa della sua crescita fisica e culturale e della sua riuscita nel mondo.
L'amore non è un male e non lo deve divenire. Le grazie che Dio ci concede non sono un male e non lo devono divenire. Amore sono. Per amore sono date. Occorre con amore usarne di queste ricchezze che Dio ci concede in affetti e in bene. E solo chi non se ne fa degli idoli ma dei mezzi per servire in santità Dio, mostra di non avere un attaccamento peccaminoso ad esse.
Pratica allora la santa povertà dello spirito, che di tutto si spoglia per essere più libero di conquistare Iddio santo, suprema Ricchezza. Conquistare Dio, ossia avere il Regno dei Cieli.
"Beato me se sarò mansueto".
Ciò può parere in contrasto con gli esempi della vita giornaliera.
I non mansueti sembrano trionfare nelle famiglie, nelle città, nelle nazioni. Ma è vero trionfo? No. È paura che tiene apparentemente proni i soverchiati dal despota, ma che in realtà non è che velo messo sul ribollire di ribellione contro il tiranno.
Non possiedono i cuori dei famigliari, né dei concittadini, né dei sudditi, coloro che sono iracondi e prepotenti.
Non piegano intelletti e spiriti alle loro dottrine quei maestri del "ho detto e ho detto".
Ma solo creano degli autodidatti, dei ricercatori di una chiave atta ad aprire le porte chiuse di una sapienza o di una scienza che essi sentono essere e che è opposta a quella che viene loro imposta.
Non portano a Dio quei sacerdoti che non vanno alla conquista degli spiriti con la dolcezza paziente, umile, amorosa, ma sembrano guerrieri armati che si lancino ad un assalto feroce tanto marciano con irruenza e intransigenza contro le anime...
Oh! povere anime!
Se fossero sante non avrebbero bisogno di voi, sacerdoti, per raggiungere la Luce.
L'avrebbero già in sé.
Se fossero giusti non avrebbero bisogno di voi giudici per essere tenuti nel freno della giustizia, l'avrebbero già in sé.
Se fossero sani non avrebbero bisogno di chi cura.
Siate dunque mansueti. Non mettete in fuga le anime. Attiratele con l'amore. Perché la mansuetudine è amore, così come lo è la povertà di spirito.
Se tali sarete erediterete la Terra e porterete a Dio questo luogo, già prima di Satana, perché la vostra mansuetudine, che oltre che amore è umiltà, avrà vinto l'odio e la superbia uccidendo negli animi il re abbietto della superbia e dell'odio, e il mondo sarà vostro, ossia di Dio, perché voi sarete giusti che riconoscerete Dio come Padrone assoluto del creato, al Quale va dato lode e benedizione e reso tutto quanto è suo.
"Beato me se saprò piangere senza ribellione".
Il dolore è sulla terra. E il dolore strappa lacrime all'uomo. Il dolore non era. Ma l'uomo lo mise sulla terra e per una depravazione del suo intelletto si studia di sempre più aumentarlo, con tutti i modi.
Oltre le malattie e le sventure conseguenti da fulmini, tempeste, valanghe, terremoti, ecco che l'uomo per soffrire, e per far soffrire soprattutto - perché vorremmo solo che gli altri soffrissero, e non noi, dei mezzi studiati per far soffrire - ecco che l'uomo escogita le armi micidiali sempre più tremende e le durezze morali sempre più astute.
Quante lacrime l'uomo trae all'uomo per istigazione del suo segreto re che è Satana!
Eppure in verità vi dico che queste lacrime non sono una menomazione ma una perfezione dell'uomo.
L'uomo è uno svagato bambino, è uno spensierato superficiale, è un nato di tardivo intelletto finché il pianto non lo fa adulto, riflessivo, intelligente.
Solo coloro che piangono, o che hanno pianto, sanno amare e capire. Amare i fratelli ugualmente piangenti, capirli nei loro dolori, aiutarli colla loro bontà, esperta di come fa male essere soli nel pianto. E sanno amare Dio perché hanno compreso che tutto è dolore fuorché Dio, perché hanno compreso che il dolore si placa se pianto sul cuore di Dio, perché hanno compreso che il pianto rassegnato che non spezza la fede, che non inaridisce la preghiera, che è vergine di ribellione, muta natura, e da dolore diviene consolazione.
Sì. Coloro che piangono amando il Signore saranno consolati.
"Beato me se avrò fame e sete di giustizia".
Dal momento che nasce al momento che muore l'uomo tende avido al cibo. Apre la bocca alla nascita per afferrare il capezzolo, apre le labbra per inghiottire ristoro nelle strette dell'agonia. Lavora per nutrirsi. Fa della terra un enorme capezzolo dal quale insaziabilmente succhia, succhia per ciò che muore. Ma che è l'uomo? Un animale? No, è un figlio di Dio. In esilio per pochi o molti anni. Ma non cessa la sua vita col mutare della sua dimora.
Vi è una vita nella vita così come in una noce vi è il gheriglio. Non è il guscio la noce, ma è l'interno gheriglio che è la noce.
Se seminate un guscio di noce non nasce nulla, ma se seminate il guscio con la polpa nasce grande albero. Così è l'uomo. Non è la carne che diviene immortale, è l'anima. E va nutrita per portarla all'immortalità, alla quale, per amore, essa poi porterà la carne nella risurrezione beata.
Nutrimento dell'anima è la Sapienza, è la Giustizia.
Come liquido e cibo esse vengono aspirate e corroborano, e più se ne gusta e più cresce la santa avidità del possedere la Sapienza e di conoscere la Giustizia. Ma verrà pure un giorno in cui l'anima insaziabile di questa santa fame sarà saziata. Verrà. Dio si darà al suo nato, se lo attaccherà direttamente al seno e il nato al Paradiso si sazierà della Madre ammirabile che è Dio stesso, e non conoscerà mai più fame, ma si riposerà beato sul seno divino.
Nessuna scienza umana equivale a questa divina.
La curiosità della mente può essere appagata, ma la necessità dello spirito no. Anzi nella diversità del sapore lo spirito prova disgusto e torce la bocca dall'amaro capezzolo, preferendo soffrire la fame all'empirsi di un cibo che non sia venuto da Dio.
Non abbiate timore, o sitibondi, o affamati di Dio! Siate fedeli e sarete saziati da Colui che vi ama.
"Beato me se sarò misericordioso".
Chi fra gli uomini può dire: "Io non ho bisogno di misericordia"? Nessuno.
Ora se anche nell'antica Legge è detto: "Occhio per occhio e dente per dente", perché non deve dirsi nella nuova: "Chi sarà stato misericordioso troverà misericordia"? Tutti hanno bisogno di perdono.
Ebbene, non è la formula e la forma di un rito, figure esterne concesse per la opaca mentalità umana, quelle che ottengono perdono. Ma è il rito interno dell'amore, ossia ancora della misericordia.
Che se fu imposto il sacrificio di un capro o di un agnello e l'offerta di qualche moneta, ciò fu fatto perché a base di ogni male ancora si trovano sempre due radici: l'avidità e la superbia.
L'avidità è punita con la spesa dell'acquisto dell'offerta, la superbia con la palese confessione di quel rito: "Io celebro questo sacrificio perché ho peccato".
E fatto anche per precorrere i tempi e i segni dei tempi, e nel sangue che si sparge è la figura del Sangue che sarà sparso per cancellare i peccati degli uomini.
Beato dunque colui che sa essere misericordioso agli affamati, ai nudi, ai senza tetto, ai miseri delle ancor più grandi miserie che sono quelle del possedere cattivi caratteri che fanno soffrire chi li ha e chi con loro convive.
Abbiate misericordia. Perdonate, compatite, soccorrete, istruite, sorreggete. Non chiudetevi in una torre di cristallo dicendo: "Io sono puro e non scendo fra i peccatori".
Non dite: "Io sono ricco e felice, e non voglio udire le miserie altrui". Badate che più rapido di fumo dissipato da gran vento può dileguarsi la vostra ricchezza, la vostra salute, il vostro benessere famigliare. E ricordate che il cristallo fa da lente, e ciò che mescolandovi fra la folla sarebbe passato inosservato, mettendovi in una torre di cristallo, unici, separati, illuminati da ogni parte, non potete più tenerlo nascosto.
Misericordia per compiere un segreto, continuo, santo sacrificio di espiazione e ottenere misericordia.
"Beato me se sarò puro di cuore".
Dio è Purezza. Il Paradiso è regno di Purezza. Niente di impuro può entrare in Cielo dove è Dio.
Perciò se sarete impuri non potrete entrare nel Regno di Dio. Ma, oh! gioia! Anticipata gioia che il Padre concede ai figli! Colui che è puro ha dalla terra un principio di Cielo, perché Dio si curva sul puro e l'uomo dalla terra vede il suo Dio. Non conosce sapore di amori umani, ma gusta, fino all'estasi, il sapore dell'amore divino, e può dire: "Io sono con Te e Tu in me, onde io ti possiedo e conosco come sposo amabilissimo dell'anima mia". E, credetelo, che chi ha Dio ha inspiegabili, anche a se stesso, mutamenti sostanziali per cui diviene santo, sapiente, forte, e sul suo labbro fioriscono parole, e i suoi atti assumono potenze che non sono, no, della creatura, ma di Dio che vive in essa.
Cosa è la vita di colui che vede Dio? Beatitudine. E vorreste privarvi di simile dono per fetide impurità?
"Beato me se avrò spirito di pace".
La pace è una delle caratteristiche di Dio.
Dio non è che nella pace. Perché la pace è amore, mentre la guerra è odio.
Satana è Odio. Dio è Pace.
Non può uno dirsi figlio di Dio, né può Dio dire figlio suo un uomo se costui ha spirito irascibile sempre pronto a scatenare tempeste. Non solo. Ma neppure può dirsi figlio di Dio colui che, pur non essendo di proprio scatenatore delle stesse, non contribuisce con la sua grande pace a calmare le tempeste suscitate da altri.
Colui che è pacifico effonde la pace anche senza parole.
Padrone di sé e, oso dire, padrone di Dio, egli lo porta come una lampada porta il suo lume, come un incensiere sprigiona il suo profumo, come un otre porta il suo liquido, e si fa luce fra le nebbie fumiganti dei rancori, e si purifica l'aria dai miasmi dei livori e si calmano le onde infuriate delle liti, per quest'olio soave che è lo spirito di pace emanato dai figli di Dio. Fate che Dio e gli uomini vi possano chiamare così.
"Beato me se sarò perseguitato per amore della giustizia".
L'uomo è tanto insatanassato che odia il bene ovunque si trovi, che odia il buono, quasi che chi è buono, anche se tace, lo accusi e rampogni. Infatti la bontà di uno fa apparire ancor più nera la malvagità del malvagio. Infatti la fede del credente vero fa apparire ancora più viva la ipocrisia del falso credente.
Infatti non può non essere odiato dagli ingiusti colui che col suo modo di vivere è un continuo testimoniare la giustizia.
E allora, ecco, che si infierisce sugli amanti della giustizia.
Anche qui è come per le guerre. L'uomo progredisce nell'arte satanica del perseguitare più che non progredisca nell'arte santa dell'amare. Ma non può che perseguitare ciò che ha breve vita.
L'eterno che è nell'uomo sfugge all'insidia, e anzi acquista una vitalità ancor più vigorosa dalla persecuzione. La vita fugge dalle ferite che aprono le vene o per gli stenti che consumano il perseguitato. Ma il sangue fa la porpora del re futuro e gli stenti sono tanti scalini per montare sui troni che il Padre ha preparato per i suoi martiri, ai quali sono serbati i seggi regali del Regno dei Cieli.
"Beato se sarò oltraggiato e calunniato".
Fate solo che di voi possa essere scritto il nome nei libri celesti, là dove non sono segnati i nomi secondo le menzogne umane nel lodare i meno meritevoli di lode. Ma dove però, con giustizia e amore, sono scritte le opere dei buoni per dare ad essi il premio promesso ai benedetti da Dio.
Prima di ora furono calunniati ed oltraggiati i Profeti. Ma quando si apriranno le porte dei Cieli, come imponenti re, essi entreranno nella Città di Dio, e li inchineranno gli angeli, cantando di gioia.
Pure voi, pure voi, oltraggiati e calunniati per essere stati di Dio, avrete il trionfo celeste, e quando il tempo sarà finito e completo sarà il Paradiso, ecco che allora ogni lacrima vi sarà cara, perché per essa avrete conquistato questa gloria eterna che in nome del Padre Io vi prometto.
Andate. Domani vi parlerò ancora. Restino ora solo i malati acciò li soccorra nelle loro pene. La pace sia con voi e la meditazione della salvezza, attraverso all'amore, vi instradi sulla via la cui fine è il Cielo».
^^^^
Ritornando all’inizio del Discorso, Gesù ha esordito dicendo che il dono dei doni, dono soprannaturale, fu dunque la Grazia: ‘santificante’, perché essa ci rende ‘santi’, figli di Dio.
In effetti è proprio così. La Grazia è Amore e, come un seme deposto che si sviluppa nel nostro spirito, essa fa crescere rigogliosa la pianta della nostra anima che diventa tanto alta da toccare il Cielo.
'Padre insegnami ad amare' mi sembra dunque la preghiera più bella, quella che insegna il 'segreto', che è 'dono', per diventare uni con Dio.
Vivere 'in grazia' significa imparare, sforzandosi, a vivere nell'Amore che è poi la Luce di Dio.
Per questo Dio vuole ridarci la Grazia, perché - coltivandola noi dentro noi stessi - la facciamo crescere 'di nostro' e, amore per Amore, aumentiamo - del nostro - l'Amore di Dio.
Come i fiumi vanno al mare, l'acqua del mare evapora e si trasforma in pioggia che accresce ed alimenta le acque dei fiumi che continuano ad andare al mare, così fanno nella Comunione degli Spiriti le anime dei 'santi' che, vissute in 'grazia', accresciute in amore dei propri meriti, si trasformano in 'vapore di amore' che sale al Cielo, vapore spirituale che si fonde con lo Spirito di Dio che è Amore, che accresce l'Amore di Dio che viene a sua volta riversato sulle anime ‘amanti’ in terra di quelli che saranno i nuovi santi, in un ciclo continuo di Amore che non ha fine perché è infinito, perché è l'Amore di Dio Infinito.
C’è un concetto espresso da Gesù che può incuriosire, quello in merito all’antico rito ebraico del sacrificio di animali o anche di offerta di denaro, come si faceva ogni giorno nel Tempio di Gerusalemme.
Con l’instaurazione del Cristianesimo l’offerta di prodotti dell’agricoltura o il sacrificio cruento di innocenti animali è finito perché – con Gesù ed il Suo Sacrificio di Croce – per l’uomo è stato instaurato il sacrificio personale del proprio ‘io’ inferiore, in virtù della applicazione della Sua Dottrina che – essendo ascetica se applicata con serietà – conculca l’animalità dell’io. Dio vuole infatti il sacrificio del ‘cuore’.
Ma anche l’offerta in denaro aveva e continua ad avere valore di sacrificio perché – come dice Gesù – alla base di ogni male si trovano sempre due radici: l’avidità e la superbia.
L’avidità era punita con la spesa dell’acquisto dell’offerta, la superbia con la palese confessione di quel rito, e cioè: ‘Io celebro questo sacrificio perché ho peccato’.
Anche nel Sacramento cristiano della Confessione viene punita la Superbia, proprio perché bisogna avere il coraggio e l’umiltà di andare a confessare ad un altro essere umano i propri peccati che sono il segreto più prezioso che vorremmo custodire.
2.2 Approfondiamo la beatitudine dei ‘poveri di spirito’…
In un Dettato - che troviamo dei ‘Quaderni del 1944’ della mistica - è Gesù stesso che torna sul tema delle beatitudini con un ulteriore commento riferito in particolare alla prima di quelle da Lui menzionate, quella dei ‘poveri di spirito’ che forse non a caso è stata indicata per prima, non solo perché è estremamente importante, oltre che normalmente mal compresa, ma anche perché in un modo o nell’altro ‘contiene’ tutte le altre beatitudini (i grassetti sono miei): 16
19.7.44
Dice Gesù:
‘Nelle mie diverse beatitudini ho enunciato i requisiti necessari per raggiungerle ed i premi che ad essi beati saranno dati.
Ma, se sono diverse le categorie nominate, uguale è il premio, se osservate bene: godere delle stesse cose che gode Dio.
Categorie diverse.
Ho già mostrato come Dio provvede a creare con il suo pensiero anime di diverse tendenze, allo scopo che la terra goda di un equilibrio giusto in tutte le sue necessità inferiori e superiori.
Che se poi la ribellione dell’uomo altera questo equilibrio volendo andare sempre contro la Volontà divina, che amorosamente lo guida per la via giusta, non è di Dio la colpa.
Gli umani, perennemente scontenti del loro stato, o con sopruso vero e proprio o con conati di sopruso, invadono o turbano il campo altrui.
Cosa sono le guerre mondiali o le guerre famigliari e quelle di professione se non questi soprusi operanti?
Cosa sono le rivoluzioni sociali, cosa le dottrine che si ammantano del nome di ‘sociali’ ma che in realtà non sono che prepotenza e anticarità, perché non sanno volere e praticare il giusto che predicano, ma traboccano sempre in violenze che sollevano gli oppressi ma ne aumentano il numero a vantaggio di pochi prepotenti?
Ma dove regno Io, Dio, queste alterazioni non avvengono. Negli spiriti veramente miei e nel mio Regno nulla turba l’ordine.
Ecco dunque che sono vissute e sono premiate le diverse forme della multiforme santità di Dio, il quale è giusto, puro, pacifico, misericordioso, libero da avidità di ricchezze effimere, gioioso nella gioia del suo amore.
Nelle anime, quale tende ad una forma e quale all’altra.
Tende in maniera eminente, poiché in un santo le virtù sono tutte presenti. Ma ne predomina una per cui quel santo è particolarmente celebrato fra gli uomini.
Io lo benedico e premio però per tutte, perché il premio è ‘godere Dio’ sia per i pacifici come per i misericordiosi, per gli amanti di giustizia come per i perseguitati dall’ingiustizia, per i puri come per gli afflitti, per i mansueti come per i poveri di spirito.
I poveri di spirito!
Come è intesa sempre male, anche da chi la intende nel senso giusto, questa definizione!
Povero di spirito, per la superficialità umana e la sciocca ironia umana, nonché ignoranza che si crede sapienza, vuol dire ‘stupido’.
Credono i migliori che lo spirito sia l’intelligenza, il pensiero; che sia furbizia e malignità, i più materiali.
No. Lo spirito è al di sopra molto dell’intelligenza.
È il re di tutto quanto è in voi.
Tutte le doti fisiche e morali sono suddite e ancelle di questo re. Là dove una creatura figlialmente devota a Dio sa tenere le cose al posto giusto.
Dove invece la creatura non è figlialmente devota, allora avvengono le idolatrie, e le ancelle divengono regine, detronizzando lo spirito re. Anarchia che produce rovina come tutte le anarchie.
La povertà di spirito consiste nell’avere quella libertà sovrana da tutte le cose che sono delizia dell’uomo, e per le quali l’uomo giunge anche al delitto materiale o all’impunito delitto morale, che sfugge troppo sovente alla legge umana ma che non fa vittime minori, anzi ne fa più numerose e con conseguenze che non si limitano a levare la vita alla vittima, ma talora levano stima e pane alla vittima e ai famigliari suoi.
Il povero di spirito non ha più schiavitù di ricchezze. Se anche non giunge a rinnegarle materialmente, spogliandosi di esse e di ogni agio entrando in un ordine monastico, sa usarle per sé con una parsimonia che è doppio sacrificio, per essere invece prodigo di doni ai poveri del mondo.
Costui ha compreso la mia frase: ‘Fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste’.
Del suo denaro, che potrebbe esser nemico del suo spirito portandolo alla lussuria, gola e anticarità, egli fa il suo servo che gli spiana la via del Cielo, tutta tappezzata – per il ricco: povero di spirito – delle sue mortificazioni e delle sue opere di carità per le miserie dei suoi simili.
Quante ingiustizie non ripara e medica il povero di spirito!
Ingiustizie sue proprie, del tempo in cui, come Zaccheo, non era che un avido e duro di cuore. Ingiustizie dei suoi prossimi vivi o defunti. Ingiustizie sociali.
Elevate monumenti a persone che furono grandi solo per esser prepotenti.
Perché non elevate monumenti ai nascosti benefattori dell’umanità indigente, povera o lavoratrice, a coloro che usano le loro ricchezze non per fare della propria vita un perpetuo festino ma per renderla luminosa, migliore, più elevata a chi è povero, a chi soffre, a chi è menomato nelle capacità funzionali, a chi è lasciato nell’ignoranza dai prepotenti perché l’ignoranza serve meglio ai loro maledetti scopi?
Quanti ve ne sono, anche fra coloro che non sono nelle dovizie, anzi che sono poco meno che poveri e che pure sanno sacrificare ‘i due piccioli’ che possiedono per sollevare una miseria che, per essere senza luce , quale loro hanno, - e che l’abbiano si comprende dal modo come agiscono – è più grande della loro!
Sono poveri di spirito quelli che, perdendo il molto o il poco che hanno, sanno conservare la pace e la speranza, non maledire e non odiare. Nessuno. Né Dio né gli uomini.
Umiltà di pensiero che non si gonfia e non si proclama superpensiero, ma usa del dono di Dio riconoscendone l’Origine, per il Bene. Solo per quello.
Generosità degli affetti, per cui sa spogliarsi anche di questi pur di seguire Dio.
Anche nella vita. La ricchezza più vera e più istintivamente amata dalla creatura animale. I miei martiri sono stati tuti generosi in tal senso, perché il loro spirito si era saputo far povero per divenire ’ricco’ dell’unica ricchezza eterna: Dio.
Giustizia nell’amare le cose proprie. Amarle perché, testimonianza della Provvidenza verso di noi, è dovere. Ne ho già parlato in dettati precedenti. Ma non amarle al punto di amarle più di Dio e della sua volontà; amarle non al punto di maledire Dio se mano dell’uomo ve le strappa.
Infine, lo ripeto, libertà di schiavitù di denaro.
Ecco le diverse forme di questa spirituale povertà che Io ho detto che possederà, per Giustizia, i Cieli.
Sotto i piedi tutte le labili ricchezze della vita umana per possedere le ricchezze eterne.
Mettere la terra e i suoi frutti dal sapore subdolo, che è dolce alla superficie e amaro al centro, all’ultimo posto, e vivere lavorando per la conquista del Cielo.
Oh! Là non vi sono frutti di bugiardo sapore. Là vi è l’ineffabile frutto del godimento di Dio.
Questo Zaccheo l’aveva compreso. Fu questa frase lo strale che gli aprì il cuore alla Luce e alla Carità. A Me, che venivo a lui per dirgli: ‘Vieni’. E quando io venni a lui per chiamarlo, egli era già un ‘povero di spirito’. Per ciò fu atto a possedere il Cielo’.
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2.2 Approfondiamo la beatitudine dei «poveri di spirito»…
In un Dettato - che troviamo dei ‘Quaderni del 1944’ della mistica - è Gesù stesso che torna sul tema delle beatitudini con un ulteriore commento riferito in particolare alla prima di quelle da Lui menzionate, quella dei ‘poveri di spirito’ che forse non a caso è stata indicata per prima, non solo perché è estremamente importante, oltre che normalmente mal compresa, ma anche perché in un modo o nell’altro ‘contiene’ tutte le altre beatitudini (i grassetti sono miei): 1
19.7.44
Dice Gesù:
‘Nelle mie diverse beatitudini ho enunciato i requisiti necessari per raggiungerle ed i premi che ad essi beati saranno dati.
Ma, se sono diverse le categorie nominate, uguale è il premio, se osservate bene: godere delle stesse cose che gode Dio.
Categorie diverse.
Ho già mostrato come Dio provvede a creare con il suo pensiero anime di diverse tendenze, allo scopo che la terra goda di un equilibrio giusto in tutte le sue necessità inferiori e superiori.
Che se poi la ribellione dell’uomo altera questo equilibrio volendo andare sempre contro la Volontà divina, che amorosamente lo guida per la via giusta, non è di Dio la colpa.
Gli umani, perennemente scontenti del loro stato, o con sopruso vero e proprio o con conati di sopruso, invadono o turbano il campo altrui.
Cosa sono le guerre mondiali o le guerre famigliari e quelle di professione se non questi soprusi operanti?
Cosa sono le rivoluzioni sociali, cosa le dottrine che si ammantano del nome di ‘sociali’ ma che in realtà non sono che prepotenza e anticarità, perché non sanno volere e praticare il giusto che predicano, ma traboccano sempre in violenze che sollevano gli oppressi ma ne aumentano il numero a vantaggio di pochi prepotenti?
Ma dove regno Io, Dio, queste alterazioni non avvengono. Negli spiriti veramente miei e nel mio Regno nulla turba l’ordine.
Ecco dunque che sono vissute e sono premiate le diverse forme della multiforme santità di Dio, il quale è giusto, puro, pacifico, misericordioso, libero da avidità di ricchezze effimere, gioioso nella gioia del suo amore.
Nelle anime, quale tende ad una forma e quale all’altra.
Tende in maniera eminente, poiché in un santo le virtù sono tutte presenti. Ma ne predomina una per cui quel santo è particolarmente celebrato fra gli uomini.
Io lo benedico e premio però per tutte, perché il premio è ‘godere Dio’ sia per i pacifici come per i misericordiosi, per gli amanti di giustizia come per i perseguitati dall’ingiustizia, per i puri come per gli afflitti, per i mansueti come per i poveri di spirito.
I poveri di spirito!
Come è intesa sempre male, anche da chi la intende nel senso giusto, questa definizione!
Povero di spirito, per la superficialità umana e la sciocca ironia umana, nonché ignoranza che si crede sapienza, vuol dire ‘stupido’.
Credono i migliori che lo spirito sia l’intelligenza, il pensiero; che sia furbizia e malignità, i più materiali.
No. Lo spirito è al di sopra molto dell’intelligenza.
È il re di tutto quanto è in voi.
Tutte le doti fisiche e morali sono suddite e ancelle di questo re. Là dove una creatura figlialmente devota a Dio sa tenere le cose al posto giusto.
Dove invece la creatura non è figlialmente devota, allora avvengono le idolatrie, e le ancelle divengono regine, detronizzando lo spirito re. Anarchia che produce rovina come tutte le anarchie.
La povertà di spirito consiste nell’avere quella libertà sovrana da tutte le cose che sono delizia dell’uomo, e per le quali l’uomo giunge anche al delitto materiale o all’impunito delitto morale, che sfugge troppo sovente alla legge umana ma che non fa vittime minori, anzi ne fa più numerose e con conseguenze che non si limitano a levare la vita alla vittima, ma talora levano stima e pane alla vittima e ai famigliari suoi.
Il povero di spirito non ha più schiavitù di ricchezze. Se anche non giunge a rinnegarle materialmente, spogliandosi di esse e di ogni agio entrando in un ordine monastico, sa usarle per sé con una parsimonia che è doppio sacrificio, per essere invece prodigo di doni ai poveri del mondo.
Costui ha compreso la mia frase: ‘Fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste’.
Del suo denaro, che potrebbe esser nemico del suo spirito portandolo alla lussuria, gola e anticarità, egli fa il suo servo che gli spiana la via del Cielo, tutta tappezzata – per il ricco: povero di spirito – delle sue mortificazioni e delle sue opere di carità per le miserie dei suoi simili.
Quante ingiustizie non ripara e medica il povero di spirito!
Ingiustizie sue proprie, del tempo in cui, come Zaccheo, non era che un avido e duro di cuore. Ingiustizie dei suoi prossimi vivi o defunti. Ingiustizie sociali.
Elevate monumenti a persone che furono grandi solo per esser prepotenti.
Perché non elevate monumenti ai nascosti benefattori dell’umanità indigente, povera o lavoratrice, a coloro che usano le loro ricchezze non per fare della propria vita un perpetuo festino ma per renderla luminosa, migliore, più elevata a chi è povero, a chi soffre, a chi è menomato nelle capacità funzionali, a chi è lasciato nell’ignoranza dai prepotenti perché l’ignoranza serve meglio ai loro maledetti scopi?
Quanti ve ne sono, anche fra coloro che non sono nelle dovizie, anzi che sono poco meno che poveri e che pure sanno sacrificare ‘i due piccioli’ che possiedono per sollevare una miseria che, per essere senza luce , quale loro hanno, - e che l’abbiano si comprende dal modo come agiscono – è più grande della loro!
Sono poveri di spirito quelli che, perdendo il molto o il poco che hanno, sanno conservare la pace e la speranza, non maledire e non odiare. Nessuno. Né Dio né gli uomini.
Umiltà di pensiero che non si gonfia e non si proclama superpensiero, ma usa del dono di Dio riconoscendone l’Origine, per il Bene. Solo per quello.
Generosità degli affetti, per cui sa spogliarsi anche di questi pur di seguire Dio.
Anche nella vita. La ricchezza più vera e più istintivamente amata dalla creatura animale. I miei martiri sono stati tuti generosi in tal senso, perché il loro spirito si era saputo far povero per divenire ’ricco’ dell’unica ricchezza eterna: Dio.
Giustizia nell’amare le cose proprie. Amarle perché, testimonianza della Provvidenza verso di noi, è dovere. Ne ho già parlato in dettati precedenti. Ma non amarle al punto di amarle più di Dio e della sua volontà; amarle non al punto di maledire Dio se mano dell’uomo ve le strappa.
Infine, lo ripeto, libertà di schiavitù di denaro.
Ecco le diverse forme di questa spirituale povertà che Io ho detto che possederà, per Giustizia, i Cieli.
Sotto i piedi tutte le labili ricchezze della vita umana per possedere le ricchezze eterne.
Mettere la terra e i suoi frutti dal sapore subdolo, che è dolce alla superficie e amaro al centro, all’ultimo posto, e vivere lavorando per la conquista del Cielo.
Oh! Là non vi sono frutti di bugiardo sapore. Là vi è l’ineffabile frutto del godimento di Dio.
Questo Zaccheo l’aveva compreso. Fu questa frase lo strale che gli aprì il cuore alla Luce e alla Carità. A Me, che venivo a lui per dirgli: ‘Vieni’. E quando io venni a lui per chiamarlo, egli era già un ‘povero di spirito’. Per ciò fu atto a possedere il Cielo’.


1  M.V.: ‘I Quaderni del 1944’ – 19.7.1944 – Centro Editoriale Valtortiano
      
2.3 Come guadagnare il Cielo facendo buon uso delle ricchezze guadagnate ingiustamente…
Zaccheo, è stato poco sopra ripetutamente citato e colpisce il riferimento di Gesù a lui quando dice che egli aveva compreso il valore della povertà di spirito1.
In merito ad essa Gesù aveva spiegato che questa virtù di un singolo ripara e medica non solo i propri peccati ma anche quelli dei nostri ‘prossimi’ vivi o defunti che siano, e perfino le ingiustizie sociali.
Evidentemente si tratta di una virtù molto importante, per ottenere questi effetti anche a favore di altri, per cui le buone opere di un singolo – immesse nel circolo della ‘Comunione dei santi’ - vengono valorizzate ed utilizzate da Dio a favore di altri.
Avrete dunque notato quale importanza Gesù dedichi alla categoria dei ‘poveri di spirito’, nominata non a caso per prima, non solo perché senza avere questa virtù, e cioè la libertà di spirito sopra tutte le delizie della vita, non si possono avere le altre virtù che danno le beatitudini, come diceva sopra lo stesso Gesù, ma anche perché essa è la virtù – a ben considerare – che manca alla grande maggioranza di noi tutti, qualora se ne meditino a fondo le varie sfaccettature.
La frase che nei Vangeli Gesù dice al ‘giovane ricco’ 2 - il quale avrebbe voluto seguirlo – per cui ‘è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno dei cieli’ (salvo il fatto – aggiunge Gesù – che non bisogna dimenticare che quanto è impossibile agli uomini è possibile a Dio) non vuole certo essere una condanna di tipo pauperistico-politico-ideologico contro i ricchi ed il loro denaro ma solo una considerazione sul pericolo che può derivare dall’attaccamento alla ricchezza che può facilmente portare alla perdita di varie virtù e quindi anche della salvezza.
La ricchezza può infatti inebriare, diventare una ricerca fine a se stessa e quindi egoistica ed anticaritativa, indurre a commettere ingiustizie ed abusi di potere, spingere infine all’uso smodato del sesso: non per altro il potere, il denaro ed il sesso sono – da che mondo è mondo e forse oggi ancor più che in passato – le spinte principali della corruzione e del crollo dei valori morali.
Lazzaro era ricchissimo – anzi era ‘ricco sfondato’, potremmo dire come si usa oggi – ma era anche un ‘giusto’ che era un ‘povero di spirito’ perché non era schiavo delle proprie ricchezze, e anzi le usava bene non solo per sovvenire alle necessità del Gruppo apostolico nelle sue esigenze di sostentamento ai fini della evangelizzazione, ma anche per dare lavoro a tanta gente guadagnandosi in tutta la Palestina e perfino in Libano e Siria la stima di molti, a cominciare da coloro che, ben trattati e giustamente retribuiti, lavoravano alle sue dipendenze nelle innumerevoli proprietà, sparse ovunque, che egli aveva ereditato dal padre Teofilo.
Allora non è male approfondire ancora un poco la conoscenza di questa ‘categoria’ di ‘beati’ attraverso un altro Dettato di Gesù alla nostra mistica dove Egli ribadisce e chiarisce ancora meglio non solo cosa si possa ancora intendere per ‘povero di spirito’ ma anche il senso di un uso corretto delle ricchezze ed in particolare di come si possa guadagnare il Cielo facendo buon uso – attenzione - perfino delle ricchezze ‘guadagnate’ ingiustamente (i grassetti sono miei):3
^^^^
Sempre il 13 a sera.
Dice Gesù:
«Parlo a te per tutti, per spiegare gli amorosi rapporti fra Dio e l’anima.
Non per vano modo di dire sono chiamato “sposo” delle anime vostre. Vi ho sposate con rito di dolore e vi ho dato per dote il mio Sangue, poiché siete così povere, da voi stesse, che sareste state un disdoro per la dimora del Re.
Nel Regno del Padre mio non entrano coloro che sono denudati da ogni veste. Io vi ho tessuto la veste nuziale e l’ho tinta di porpora divina per renderla ancora più bella agli occhi del Padre mio; io vi ho incoronati del mio serto, perché chi regna porta corona, e vi ho dato il mio scettro.
Veramente ciò avrei voluto darlo a tutte le anime, ma infinite hanno spregiato il mio dono. Hanno preferito le vesti, le corone e gli scettri della terra, la cui durata è così relativa e la cui efficacia così nulla rispetto alle leggi dello spirito.
Onori, ricchezze, glorie, io non le maledico.
Dico solo che non sono fine a se stesse, ma sono mezzi per conquistare il vero fine: la vita eterna.
Bisogna usarne, se la vostra missione di uomini ve le affida, con cuore e mente pieni di Dio, facendo di queste ricchezze ingiuste non ragione di rovina ma di vittoria.
Esser poveri di spirito, guadagnare il Cielo con le ricchezze ingiuste: ecco due frasi che capite poco.
Poveri di spirito vuol dire non avere attaccamento a ciò che è terreno; vuol dire essere liberi e sciolti da ciò che è veste pomposa, come umili pellegrini che vanno verso la mèta godendo degli aiuti che la Provvidenza elargisce. Ma non godendone con superbia e avarizia, ma sibbene come gli uccelli dell’aria, che beccano contenti i granelli che il loro Creatore sparge per i loro piccoli corpi e poi cantano di gratitudine, tanto sono grati della piumosa veste che li ripara, e di più non cercano, e non si rammaricano con ira se un giorno il cibo è scarso e l’acqua del cielo bagna nidi e penne, ma sperano pazienti in Chi non li può abbandonare.
Poveri di spirito vuol dire vivere dove Dio vi ha posti, ma coll’animo staccato dalle cose delta terra e unicamente preoccupato di conquistare il Cielo.
Quanti re, quanti potenti in ricchezze della terra furono “poveri di spirito” e conquistarono il Cielo, usando la forza per domare l’umano che in loro si agitava verso le glorie labili, e quanti poveri della terra non sono tali perché, pur non possedendo ricchezze, le hanno anelate con invidia, e molte volte hanno ucciso lo spirito vendendosi a Satana per una borsa di denaro, per una veste di potere, per una tavola sempre imbandita di ciò che serve a formare il cibo per i vermi della putredine della tomba!
Guadagnare il Cielo con le ricchezze ingiuste vuol dire esercitare carità di ogni forma nelle glorie della terra.
Matteo, il pubblicano4, ha saputo fare delle ricchezze ingiuste scala per penetrare in Cielo.
Maria, la peccatrice, ha saputo, rinunciando agli artifizi con cui rendeva più seducente la sua carne e usandoli per i poveri di Cristo, cominciando da Cristo stesso, santificare quelle ricchezze di peccato.
Nei secoli, cristiani molti di numero, pochi rispetto alla massa, hanno saputo fare delle ricchezze e del potere la loro arma di santità. Sono quelli che hanno capito Me. Ma sono così pochi!»
^^^^

1  N.d.A.: Il riferimento che Gesù in questo brano dei ‘Quaderni’ fa al pubblicano e ricco Zaccheo – del quale i Vangeli canonici riportano la conversione – è dovuto al fatto che questi nel momento in cui si mise al seguito di Gesù comprese il senso e l’importanza di essere ‘poveri di spirito’, non solo e non tanto nel rinunciare alle proprie ricchezze, che distribuì infatti ai poveri ed a coloro che egli aveva defraudato nel richiedere tasse superiori al dovuto trattenendo per sé il di più incassato, quanto al fatto dell’aver compreso che la vera ricchezza dell’uomo è il liberarsi dell’attaccamento alle ‘ricchezze’ che non sono costituite dal solo denaro ma da tutti quei beni, anche immateriali, che vengono normalmente ‘idolatrati’ dall’uomo che se ne rende schiavo.
2  Mt 19, 16-26
3  M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – 13.10.1943 – seconda parte ‘serale’ – Centro Ed. Valtortiano
4 N.d.A.: Anche Matteo, il pubblicano poi chiamato da Gesù all’apostolato, si comportò con le proprie ricchezze guadagnate ingiustamente come avrebbe fatto in seguito il suo ‘collega’ Zaccheo più sopra citato in nota.
      
2.4 Gesù: «Dio per esigenze d’ordine crea anime di diverse tendenze, allo scopo che la terra goda di un equilibrio giusto in tutte le sue necessità inferiori e superiori, ma è solo la libertà dell’uomo che lo fa uscire volontariamente da questo ordine…»
Questo delle Beatitudini è un brano veramente da meditare e rimeditare con estrema attenzione.
Abbiamo detto che il praticare la Legge mosaica dei dieci comandamenti è già sufficiente per salvarsi, ma è certamente abbastanza difficile mettere in pratica anche solo alcuni dei consigli di perfezione qui enumerati e spiegati da Gesù.
Ma se sarebbe poi addirittura ‘da santi’ il praticarne tanti o tutti, è importante capirne il senso per cercare di seguirli almeno in parte.
Non bisogna infatti mai dimenticare che Dio conosce bene i nostri limiti, vorrebbe da noi la perfezione ma non la pretende, accontentandosi anche di quel ‘massimo relativo’ che gli possiamo onestamente offrire nell’ambito delle nostre capacità e forze.
Ripercorrendo comunque mentalmente il discorso di Gesù, c’è un concetto che mi ha colpito e che forse avrà colpito anche voi, ed è quando Egli spiega – attribuendola alla libertà dell’uomo - la causa dell’uscita dell’ordine ispirato da Dio, dicendo:
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Ho già mostrato come Dio provvede a creare con il suo pensiero anime di diverse tendenze, allo scopo che la terra goda di un equilibrio giusto in tutte le sue necessità inferiori e superiori.
Che se poi la ribellione dell’uomo altera questo equilibrio volendo andare sempre contro la Volontà divina, che amorosamente lo guida per la via giusta, non è di Dio la colpa.
Gli umani, perennemente scontenti del loro stato, o con sopruso vero e proprio o con conati di sopruso, invadono o turbano il campo altrui.
Cosa sono le guerre mondiali o le guerre famigliari e quelle di professione se non questi soprusi operanti?
Cosa sono le rivoluzioni sociali, cosa le dottrine che si ammantano del nome di ‘sociali’ ma che in realtà non sono che prepotenza e anticarità, perché non sanno volere e praticare il giusto che predicano, ma traboccano sempre in violenze che sollevano gli oppressi ma ne aumentano il numero a vantaggio di pochi prepotenti?
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Dunque Dio – concetto molto interessante - per esigenze di Ordine crea anime di diverse tendenze, ma è solo la propria libertà che fa uscire l’uomo da questo ordine!
È un concetto che avevo trovato espresso anche in un altro brano valtortiano.
Sono convinto che pochi avrebbero potuto immaginare e che potrebbero ora anche accettare di credere che nel momento in cui Dio crea un’anima le ‘infonda’ una sorta di sua specifica missione.
Gesù la chiama ‘tendenza’, e non ‘missione categorica’, perché Dio vuole rispettare la libertà dell’uomo facendogli sommessamente intuire quale sarebbe il suo ‘progetto’ su di lui.
Si tratta di una ‘tendenza’ tutta potenzialmente destinata ad assicurare equilibrio di ruoli e di funzioni per un ordinato sviluppo sociale oltre che spirituale.
Quella della vocazione sacerdotale, ad esempio, quando è ‘autentica’ non sarebbe una mera scelta dell’uomo, ma una adesione dell’uomo ad una missione che Dio gli ha ‘sussurrato’ nell’anima.
Dio sa benissimo che gli uomini sono fatti di ‘carne’, cioè non solo di esigenze spirituali superiori ma anche specificatamente di esigenze materiali inferiori e - volendoli felici in Cielo come ‘figli di Dio’ ma anche in terra come ‘uomini di carne’ - ne tiene appunto conto nel creare le anime e nell’imprimere a ciascuna una ‘tendenza’.
Tale equilibrio è in funzione delle necessità materiali e spirituali di cui la grande famiglia umana avrebbe in ogni momento bisogno secondo le circostanze, i luoghi e le esigenze di ogni società.
A ben riflettere, se crediamo al fatto che Dio crei di volta in volta le singole anime destinate a vivere in un determinato ambiente e situazione storica, mi meraviglierei del fatto che non lo facesse.
Dio è Padre dell’Umanità. Vede tutto e legge nel profondo dei cuori, e secondo me è fin troppo logico che Egli sappia quali compiti tendenziali ‘sussurrare’ alle anime per un più ordinato sviluppo della Società: medici, educatori, manager ed imprenditori che creino occasioni di lavoro, persone – queste ultime - ‘chiamate’ a sviluppare le loro attività in ragione non solo del loro interesse ma anche per svolgere una funzione sociale a favore degli altri lavoratori ai quali l’imprenditore procura benessere e pane in cambio delle loro prestazioni d’opera che a loro volta rendono ricco o benestante lui.
Dio suggerisce anche altre importanti ‘vocazioni’, come quelle dei governanti e leader politici affinché essi sappiano guidare i loro popoli verso ideali di giustizia, benessere e pace. Inoltre – importantissime – le ‘vocazioni’ alla famiglia: cellula fondamentale della società, per essere ‘giusti genitori’ capaci di educare moralmente e spiritualmente i propri figli e – infine le fondamentali vocazioni al sacerdozio perché vi siano ministri del culto che sappiano veramente essere i mediatori fra l’Uomo e Dio, evangelizzare, curare e assolvere le anime, amministrare i Sacramenti e così via.
Poi però è l’uomo che – pur avvertendo questa missione interiore - stabilisce come comportarsi, cioè se attuarla più o meno bene o se respingerla del tutto.
In definitiva è sempre l’uomo che nel suo libero arbitrio decide se rimanere nell’Ordine o meno.
      
2.5 Gesù: «La grazia è possedere in voi la luce, la forza, la sapienza di Dio. Ossia possedere la somiglianza intellettuale con Dio, il segno inconfondibile della vostra figliolanza in Dio. Non tutte le anime in grazia possiedono la Grazia nella stessa misura… non perché Noi la si infonda in misura diversa, ma perché in diversa maniera voi la sapete conservare in voi».
È lecito domandarsi anche come mai il Gesù valtortiano – dopo aver tenuto quel suo primo discorso riservato ad apostoli e discepoli sull’importanza della ‘luce’ e del ‘sale’ del sacerdozio – inizi il giorno successivo la serie giornaliera dei suoi insegnamenti alle folle partendo proprio dal concetto della Grazia santificante.
San Paolo, nella sua lettera ai romani (Cap. VII, 21-25) parla della coesistenza nell’essere umano del bene e del male, per cui l’uomo apprezza con lo ‘spirito’ il bene ma con la ‘carne’ subisce l’attrazione del male.
Chi può dunque liberarci – aggiunge San Paolo - dalla ‘Legge del peccato’ che lo porterebbe allo morte?
Lo può fare la Grazia di Dio – risponde San Paolo - ottenuta in virtù dei meriti infiniti di Gesù Cristo nostro Redentore.
Il concetto di Grazia – specie nel momento in cui ora noi affrontiamo il Discorso della montagna, con le sue Beatitudini, Consigli evangelici ed altro ancora – diventa quindi importante perché il seguire gli insegnamenti di Gesù è funzionale all’ottenimento ed al mantenimento di uno stato di grazia.
Avere in sé stessi la Grazia, significa avere in se stessi Dio, dandoci il diritto di chiamarlo ‘Padre’, perché è così che Dio può essere chiamato da chi vive con Gesù nel proprio cuore.
Infatti quando si vive con Gesù nel proprio cuore e si invoca il Padre, è come se il Padre si sentisse chiamare dallo stesso Gesù dall’interno dell’uomo, ed il Padre non può ignorare la chiamata del Figlio.
Il primo concetto che dobbiamo dunque approfondire per comprendere meglio i successivi discorsi di Gesù è proprio quello inerente alla Grazia, termine che viene molto usato senza che poi sia facile – almeno per il ‘normale’ cristiano – comprenderne meglio sostanza e contenuti.
Cominciamo allora da una fonte teologica ‘ufficiale’, peraltro stimatissima, consultando il suo ‘Dizionario del Cristianesimo’ alla voce ‘Grazia’:1
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Grazia: dono di Dio che eccede la natura, le facoltà, le aspirazioni, il finalismo, i meriti di ogni persona creata.
Grazia abituale è l’abito entitativo soprannaturale che rende l’uomo partecipe della natura e della vita di Dio; quindi, suo figlio adottivo, erede della sua beatitudine.
Grazia attuale è l’influsso soprannaturale e transeunte col quale Dio illumina la mente e stimola la volontà dell’uomo per disporlo a compiere opere meritorie di vita eterna.
Grazia-attuale-efficace è quella che di fatto produce l’effetto a cui è destinata, in quanto è assecondata dalla volontà umana.
Grazia-attuale-sufficiente è quella che rende la volontà umana pienamente capace di operare secondo lo scopo per il quale Dio la concede.
Si è sempre discusso da chi dipende che la grazia attuale, per sé sufficiente, sia anche efficace.
Ma il quesito suppone semplicisticamente che sia possibile separare l’iniziativa di Dio da quella dell’uomo, come se la causalità dell’uno non fosse conciliabile con quella dell’altro…: Dio è attivo solo nel e per dare; mentre l’uomo è attivo solo per e nel ricevere quanto darebbe a se stesso, se non dovesse dipendere da Dio.
Insomma la scelta della volontà è – misteriosamente – tutta di Dio e tutta dell’uomo.
Tutta di Dio, perché Causa Prima-omnicomprensiva di quanto avviene.
Tutta dell’uomo, perché «persona», «causa libera» (S.th., I,II, qq. 109-113).
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Tutto chiaro? Non proprio? Spiega meglio Gesù?
Allora ricominciamo da una prima risposta sulla Grazia che il Gesù valtortiano impartisce alla mistica non nelle visioni di 2000 anni fa ma - con linguaggio ‘moderno’ - nei ‘Quaderni’ degli anni ’40 del secolo scorso (i grassetti sono miei): 2
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6 giugno 1943, ore 4,30 ant.ne
Dice Gesù:
«Quest’oggi voglio parlarti della grazia. Vedrai che ha attinenza con gli altri argomenti anche se a tutta prima non ti pare. Sei un po’ stanca, povera Maria, ma scrivi lo stesso. Queste lezioni ti serviranno per i giorni di digiuno in cui Io, tuo Maestro, non ti parlerò.
Cosa è la grazia? L’hai studiato e spiegato molte volte. Ma Io te lo voglio spiegare a modo mio nella sua natura e nei suoi effetti.
La grazia è possedere in voi la luce, la forza, la sapienza di Dio. Ossia possedere la somiglianza intellettuale con Dio, il segno inconfondibile della vostra figliolanza in Dio.
Senza la grazia sareste semplicemente delle creature animali, arrivate ad un tale punto di evoluzione da essere provvedute di ragione, con un’anima, ma un’anima a livello di terra, capace di condursi nelle contingenze della vita terrena ma incapace di elevarsi nelle plaghe in cui si vive la vita dello spirito.
Poco di più dei bruti, perciò, i quali si regolano soltanto per istinto e, in verità, vi superano molto spesso col loro modo di condursi.
La grazia è dunque un dono sublime, il più grande dono che Dio, mio Padre, vi poteva dare.
E ve lo dà gratuitamente perché il suo amore di Padre, per voi, è infinito come infinito è Lui stesso. Volere dire tutti gli attributi della grazia vorrebbe dire scrivere una lunga lista di aggettivi e sostantivi, e non spiegherebbero ancora perfettamente cosa è questo dono.
Ricorda solo questo: la grazia è possedere il Padre, vivere nel Padre; la grazia è possedere il Figlio, godere dei meriti infiniti del Figlio; la grazia è possedere lo Spirito Santo, fruire dei suoi sette doni.
La grazia, insomma, è possedere Noi, Dio Uno e Trino, ed avere intorno alla vostra persona mortale le schiere degli angeli che adorano Noi in voi.
Un’anima che perde la grazia perde tutto.
Per lei inutilmente il Padre l’ha creata, per lei inutilmente il Figlio l’ha redenta, per lei inutilmente lo Spirito Santo l’ha infusa dei suoi doni, per lei inutilmente sono i Sacramenti. È morta.
Ramo putrido che sotto l’azione corrosiva del peccato si stacca a cade dall’albero vitale e finisce di corrompersi nel fango.
Se un’anima sapesse conservarsi come è dopo il Battesimo e dopo la Confermazione, ossia quando essa è imbibita letteralmente dalla grazia, quell’anima sarebbe di poco minore a Dio. E questo ti dica tutto.
Quando leggete i prodigi dei miei santi voi strabiliate. Ma, mia cara, non c’è nulla da strabiliare. I miei santi erano creature che possedevano la grazia, erano dèi, perciò, perché la grazia vi deifica. Non l’ho forse detto Io nel mio Vangelo che i miei faranno gli stessi prodigi che Io faccio? Ma per essere miei occorre vivere della mia Vita, ossia della vita della grazia.
Se voleste, potreste tutti essere capaci di prodigi, ossia di santità. Anzi Io vorrei che lo foste perché allora vorrebbe dire che il mio Sacrificio è stato coronato da vittoria e che Io vi ho realmente strappati all’impero del Maligno, relegandolo nel suo Inferno, ribattendo sulla bocca di esso una pietra inamovibile e ponendo su essa il trono di mia Madre, che fu l’Unica che tenne il suo calcagno sul dragone, impotente di nuocerle.
Non tutte le anime in grazia possiedono la grazia nella stessa misura.
Non perché Noi la si infonda in misura diversa, ma perché in diversa maniera voi la sapete conservare in voi.
Il peccato mortale distrugge la grazia, il peccato veniale la sgretola, le imperfezioni la anemizzano.
Vi sono anime, non del tutto cattive, che languono in una etisia spirituale perché, con la loro inerzia, che le spinge a compiere continue imperfezioni, sempre più assottigliano la grazia, rendendola un filo esilissimo, una fiammolina languente. Mentre dovrebbe essere un fuoco, un incendio vivo, bello, purificatore.
Il mondo crolla perché crolla la grazia nella quasi totalità delle anime e nelle altre langue.
La grazia dà frutti diversi a seconda che più o meno è viva nel cuore vostro.
Una terra è più fertile quanto più è ricca di elementi e beneficiata dal sole, dall’acqua, dalle correnti aeree. Vi sono terre sterili, magre, che inutilmente vengono irrorate dall’acqua, scaldate dal sole, corse dai venti. Lo stesso è delle anime.
Vi sono anime che con ogni studio si caricano di elementi vitali e perciò riescono a fruire del cento per cento degli effetti della grazia.
Gli elementi vitali sono: vivere secondo la mia Legge, casti, misericordiosi, umili, amorosi di Dio e del prossimo; è vivere di preghiera “viva”. Allora la grazia cresce, fiorisce, mette radici profonde e si eleva in albero di vita eterna.
Allora lo Spirito Santo, come un sole, inonda dei suoi sette raggi, dei suoi sette doni; allora Io, Figlio, vi penetro della pioggia divina del mio Sangue; allora il Padre vi guarda con compiacenza vedendo in voi la sua somiglianza; allora Maria vi carezza stringendovi sul seno che ha portato Me come i suoi figliolini minori ma cari, cari al suo Cuore; allora i nove angelici cori fanno corona alla vostra anima tempio di Dio e cantano il “Gloria” sublime; allora la vostra morte è Vita e la vostra Vita è beatitudine nel mio Regno
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Non può esservi sfuggito un concetto interessante: anche quando un uomo è ‘in grazia’, si tratta sempre di una grazia ‘relativa’, perché i ‘gradi’ di grazia sono diversi a seconda di come l’uomo si comporta e corrisponde alla volontà di Dio.
Gesù continua tuttavia con Maria Valtorta le sue spiegazioni sulla Grazia il giorno successivo (i grassetti sono i miei):3
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7 giugno 1943.
Dice Gesù:
«Continuo a parlarti della grazia, la quale dà la vita dello spirito.
Quando Iddio creò il primo uomo, infuse in esso, oltre che la vita della materia, fino ad allora inanimata, anche la vita dello spirito. Altrimenti non avrebbe potuto dire che vi aveva fatto a sua immagine a somiglianza.
Quello che era di perfetto la prima creatura nessuno di voi lo può immaginare.
Solo Noi possiamo vedere, nell’eterno presente che è la nostra eternità, la perfezione dell’opera regale della nostra Intelligenza creatrice.
Il seme di Adamo, se Adamo avesse saputo rimanere re quale Noi lo avevamo fatto, con potestà su tutte le cose e con dipendenza solo da Dio ‑ una dipendenza di figlio amatissimo ‑ sarebbe stato un seme di perpetua perfezione.
Ma vi era un vinto che vegliava per trarre vendetta.
Tu, Maria, che dici che dal tuo cuore non potrebbero uscire spontaneamente pensieri di perdono perché la tua natura umana ti porta allo spirito di vendetta e solo per riguardo mio sai perdonare, ci hai mai pensato che è stato lo spirito di vendetta che ha rovinato voi, figli di Adamo, e mandato Me, Figlio di Dio, sulla croce?
Lucifero ‑ ed era il bello fra i belli creati da Me ‑ dal baratro dove era piombato, brutto in eterno dopo la blasfema rivolta al suo Creatore, fu assetato di vendetta.
Al primo peccato di superbia unì così una serie interminabile di delitti, vendicandosi nei secoli dei secoli. E la prima vendetta fu sui miei creati Adamo ed Eva.
Nella perfezione della mia creazione il suo dente avvelenato mise il segno della sua bestialità comunicandovi la sua stessa libidine di lussuria, di vendetta, di superbia. E da allora il vostro spirito duella in voi contro i veleni del morso infernale.
Qualche rarissima volta lo spirito vince sulla carne e il sangue, e dà alla terra e al Cielo un nuovo santo. Qualche volta lo spirito vive stentatamente, con stasi di letargo in cui è come fosse morto e nelle quali vivete e agite come creature prive di luce, della mia Luce.
Qualche altra, viene letteralmente ucciso dalla creatura che volontariamente decade dal suo trono di figlia di Dio e diventa peggio di un bruto.
Diventa demonio, figlio di demonio.
In verità ti dico che oltre due terzi della razza umana appartengono a questa categoria che vive sotto il segno della Bestia. Per questa inutilmente Io sono morto.
La legge dei segnati dalla Bestia è in antitesi con la Legge mia.
In una domina la carne e genera opere di carne. Nell'altra domina lo spirito e genera opere di spirito.
Quando lo spirito domina, là è regno di Dio. Quando domina la carne, là è regno di Satana.
L'infinita Misericordia che anima la Triade ha dato al vostro spirito tutti gli aiuti per rimanere dominatore.
Ha dato il sacramento che leva il segno della Bestia nella vostra carne di figli di Adamo e imprime il mio Segno.
Ha dato la mia Parola di Vita, ha dato Me, Maestro e Redentore, ha dato il mio Sangue nell’Eucarestia e sulla Croce, ha dato il Paraclito: lo Spirito di verità.
Colui che sa stare nello Spirito genera opere dello spirito.
Dalla creatura posseduta dallo Spirito sgorga carità, mitezza, purezza, scienza e ogni opera buona unita a umiltà grande. Dagli altri escono, come serpi sibilanti, vizi, frodi, lussurie, delitti, poiché il loro cuore è nido di serpi infernali.
Ma dove sono quelli che sanno tendere alla vita dello spirito e rendersi degni di accogliere in sé l’infusione vitale del Consolatore che viene con tutti i suoi doni ma vuole per trono uno spirito pronto, desideroso di Lui?
No, che il mondo non lo vuole questo Spirito che vi fa buoni.
Il mondo vuole il potere a qualunque costo, la ricchezza a qualunque costo, l’appagamento del senso a qualunque costo, tutte le gioie della terra a qualunque costo, e respinge e bestemmia lo Spirito Santo e impugna la sua Verità, e si paluda di vesti profetiche parlando parole che non escono dal seno della Trinità Ss. ma dall’antro di Satana.
E ciò non è e non sarà perdonato. Mai.
E che non sia perdonato lo vedete. Dio si ritira nell’alto dei suoi Cieli perché l’uomo respinge il suo amore e vive per e nella carne.
Ecco le cause della vostra rovina e del nostro silenzio.
Dal profondo escono i tentacoli di Satana, sulla terra l’uomo si proclama dio e bestemmia il vero Dio, in alto il Cielo si chiude. Ed è già pietà, perché chiudendosi trattiene le folgori che voi meritate.
Una nuova Pentecoste troverebbe i cuori più duri e sozzi di un macigno sprofondato in uno stagno di fango. State perciò nel fango che avete voluto, in attesa che un comando, che non conosce ribellioni, ve ne tragga per giudicarvi e separare i figli dello spirito dai figli della carne.»
(…)
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Fra i tanti, qualche concetto che ci potrebbe aver pure colpito?
‘Le cause della nostra rovina e del silenzio di Dio: il ritiro di Dio!’.
Tremende queste parole: tutto quel che di orrendo vediamo succedere oggi nel mondo è dunque dovuto alla volontà dell’uomo ed all’abbandono dell’uomo a se stesso da parte del Dio respinto.
Quale persona dotata di semplice buon senso non rimane attonita – nei tempi in cui viviamo – per la ferocia umana che viene esibita ogni giorno quasi sadicamente dalle cronache giornalistiche e da quelle televisive?
Inoltre notizie incessanti di terremoti, uragani, cicloni, alluvioni devastanti, tsunami che hanno provocato centinaia e centinaia di migliaia di vittime, tutte cose che avvengono qui e là dappertutto con sempre maggiore frequenza e gravità, e ancora cambiamenti radicali delle stagioni con danni enormi all’agricoltura forieri di carestie e fame nel mondo, guerre a non finire, sanguinarie rivoluzioni ovunque a getto continuo, scandali e misfatti finanziari di portata mondiale che innescano crisi economiche speculative e sempre più impoveriscono in tutto il mondo i popoli concentrando ricchezze smisurate in mano a pochissimi (l’1% della popolazione mondiale).
Una volta avevo letto su di un giornale di una persona che aveva dichiarato che – tutti questi sono castighi divini.
Non lo avesse mai detto! Si era tirata addosso gli scherni e gli insulti di atei e agnostici che – negando Dio o comportandosi come se non ci fosse – non riescono proprio a concepire un pensiero… ‘bigotto’ del genere, che oltretutto molti di essi vivono inconsciamente come un rimprovero a quel residuo di coscienza ancora fumigante che persiste nel profondo del loro cuore.
Tuttavia anche le persone migliori non riescono a capacitarsi del fatto che tutto ciò possa dipendere dal Peccato collettivo dell’Umanità e dal conseguente allontanamento di Dio. Sembra impossibile!
Ad esempio - nel caso dei noti gravi disturbi climatici mondiali che producono alterazioni di clima e stagioni - se la ‘causa prossima’ fosse il famoso ‘effetto serra’ più che non le macchie solari in continua periodica eruzione atomica, o altro ancora, cosa impedisce di pensare che questo effetto disordinato, non abbia forse avuto come ‘causa remota’, a monte, il disordine spirituale nei comportamenti degli uomini nel loro complesso rispetto a quanto vorrebbe Dio?
Uomini che - all’insegna del profitto e degli abusi morali, di quelli scientifici e di quelli sulla natura e cioè all’insegna delle violazioni dell’Ordine divino - non hanno neanche più il minimo rispetto della natura creata ordinata da Dio e producono ‘modelli di sviluppo’ micidiali?
Taluni filosofi hanno sentenziato in passato che ‘Dio è morto’, ma la vera spiegazione delle rovine e del ‘silenzio di Dio’ – a costo di fare inorridire atei e laicisti - è proprio l’abbandono da parte di Dio addotto da Gesù poco sopra nei termini che vi ripeto:
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Il mondo vuole il potere a qualunque costo, la ricchezza a qualunque costo, l’appagamento del senso a qualunque costo, tutte le gioie della terra a qualunque costo, e respinge e bestemmia lo Spirito Santo e impugna la sua Verità, e si paluda di vesti profetiche parlando parole che non escono dal seno della Trinità Ss. ma dall’antro di Satana.
E ciò non è e non sarà perdonato. Mai.
E che non sia perdonato lo vedete.
Dio si ritira nell’alto dei suoi Cieli perché l’uomo respinge il suo amore e vive per e nella carne.
Ecco le cause della vostra rovina e del nostro silenzio.
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Il Ritiro di Dio! E’ una spiegazione estremamente semplice: Dio è Ordine, ed è anche il suo Ordine quello che mantiene ‘in ordine’ la natura e l’universo.
Nel momento in cui l’uomo respinge l’Ordine divino, il Dio respinto e oltraggiato si ritira, ed al suo Ordine subentra il Disordine: Satana.
Gli spazi lasciati vuoti vengono sempre occupati, e Satana subentra a Dio non solo nella psiche e nel cuore degli uomini ma anche nella natura sempre più disordinata.
L’argomento del secondo Discorso della montagna: la Grazia e le beatitudini, è tuttavia troppo importante per esaurirlo in una sola riflessione, lo riprenderemo dunque approfondendolo nella prossima.
La prossima riflessione sarà dedicata a:
3. IL SECONDO DISCORSO DELLA MONTAGNA: IL DONO DELLA GRAZIA E LE BEATITUDINI
(Seconda parte di due)

1 P. Enrico Zoffoli: ‘Dizionario del Cristianesimo’ - Grazia
2  M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – 6.6.1943 – Centro Editoriale Valtortiano
3  M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – 7.6.1943 – Centro Editoriale Valtortiano
      
3. (2/2) IL SECONDO DISCORSO DELLA MONTAGNA: IL DONO DELLA GRAZIA E LE BEATITUDINI.
3.1 La causa di tutti gli errori che si commettono sulla terra è il peccato che separa l'uomo dalla Grazia e quindi lo rende cieco.
Abbiamo visto che nell’Evangelo di Maria Valtorta Gesù ha esordito con un discorso serale riservato ad apostoli e discepoli parlando dell’importanza fondamentale per essi (e cioè futuri vescovi e sacerdoti) di saper essere ‘luce del mondo e sale della terra’.
Nel secondo discorso, quello ‘pubblico’ di fronte alle folle, aveva affrontato il tema dell’importanza della Grazia e delle Beatitudini.
Abbiamo inoltre constatato nella precedente ‘riflessione, quale sia l’importanza della Grazia: una importanza tanto grande da rendere ora necessario un ulteriore approfondimento.
Avevo una volta letto due 'Dettati', che Gesù aveva dato alla Valtorta nello stesso giorno,1 e mi avevano particolarmente colpito alcuni concetti.
Nel primo dettato Gesù parlava ancora una volta dell'importanza della Grazia.
Gli uomini – questo era il senso del discorso - che pur sono dotati di un'intelligenza superiore, sovente agiscono sconsideratamente quando non anche con bestiale irriflessione perché in loro si è lesa o spenta del tutto la forza dello spirito a causa del peccato che leva la Grazia.
La Grazia ci mantiene infatti in contatto con Dio e ci illumina delle sue luci.
La causa di tutti gli errori che si commettono sulla terra è il peccato che separa l'uomo dalla Grazia e quindi lo rende cieco.
Chi invece vive in Grazia - continuava Gesù - ha il ‘Sangue’ di Cristo che circola in lui e lo nutre al punto che il Padre suo e nostro, stringendoci al seno, non distingue più il nostro essere 'figli' di Adamo e ci chiama 'figli', figli come Gesù, e quando giungiamo al termine della nostra vita terrena ed entriamo in quella eterna il Padre ci saluta con i suoi bagliori di Luce perché riconosce in noi una parte di Sé che torna alla Sorgente divina da cui è scaturita.
Gesù invitava quindi gli uomini a vivere in Lui e di Lui, perché la gioia che ci attende, rispetto a questa vita terrena - che per quanto possa esser penosa è un attimo rispetto all'eternità - è smisurata come la gloria di Dio.
Nel secondo dettato Gesù sottolineava l'importanza di imparare ad amare, perché l'Amore è il principale attributo di Dio ed è la scienza delle scienze perché ci fa maestri nella scienza che dà Vita: la scienza di conoscere Iddio.
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«Colui che ama - diceva Gesù - possiede la vera intelligenza. Dio non si divide da chi lo ama. Ora, se Dio è in voi, voi possedete in voi l'intelligenza stessa, ed essa vi comunica le sue luci, così come fiamma chiusa in un cristallo traspare e riscalda al di fuori. E Dio è fiamma che vive in voi quando voi lo amate. La vostra natura umana si indìa al contatto.
L'uomo, animale dotato di ragione, cade come crisalide di farfalla e subentra il vero superuomo che non è quale lo crede il mondo: un povero superbo pieno di errori e di boria, ma un essere che, non ancora angelo e non più uomo, ha dell'uomo le lotte che danno il merito e degli spiriti la libertà sopra il senso, la luminosità e la chiaroveggenza, per cui la Verità si disvela e Dio appare - Padre e Signore - nella sua sopressenziale Bellezza...».
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Dunque l’uomo in grazia, poiché ama, ha Dio dentro di sé al punto che l’uomo stesso nella sua natura umana si indìa’ al contatto, vale a dire che si ‘compenetra’ con Dio, divenendo un ‘vero superuomo’ e non invece l’illusorio ‘superuomo’ vagheggiato dai cultori dell’evoluzionismo.
Costoro - partendo dalla scimmia ed ipotizzando successive fasi evolutive animalesche del passato per arrivare all’Homo Sapiens-sapiens attuale (che saremmo noi) – traguardano nel futuro vagheggiando appunto un ipotetico ‘superuomo’ frutto conclusivo della nostra evoluzione animale, quando non anche – secondo altre teorie – una trasformazione progressiva dell’animale-uomo in un altro animale finale diverso così come la scimmia in centinaia di migliaia di anni sarebbe diventata ‘uomo’ a sua volta diverso dal suo antenato ‘scimmia’.
Tuttavia – a ben riflettere sulle precedenti parole di Gesù con riguardo al suo concetto di ‘superuomo spirituale’ – non si può non convenire che il vero 'superuomo' sia l'amante nello spirito che attraverso le lotte contro la propria ‘carnalità’ materiale e morale, giunge ad essere uno spirito in carne umana libero dal senso, in certo qual modo più simile ad un angelo che ad un uomo.
Il vero superuomo è dunque l'amante - nello spirito - dello Spirito, che è Amore. Solo chi veramente ‘ama’ – perché in Grazia - è il vero superuomo.
Il vero Superuomo era l’Adamo del primo giorno. Era quello il superuomo per il quale Dio aveva creato l’Universo.
Ecco dunque la conseguenza più importante della Colpa, del Peccato d'Origine: la perdita della Grazia.
Ne abbiamo in parte già parlato ma è bene ritornare sull’argomento per approfondirlo ulteriormente mettendo in fila alcuni concetti:
Il primo uomo - come in seguito Maria SS., concepita immacolata, cioè priva di colpa d'origine - amava perché pieno di 'Grazia'. La Grazia è Sapienza, la Sapienza è Dio, Dio è Amore.
L'uomo aveva in sé l'Amore ed amava. Ma quando la Superbia, quel vapore che già si era condensato in Lucifero, si condensò nei primi due - ed essi, non paghi di avere praticamente tutto, vollero essere come Dio, come già Lucifero - ecco che essi diventarono di fatto ribelli, usurpatori, e come ribelli ed usurpatori vennero cacciati dal Paradiso.
Perché essi avevano perso la Grazia, cioè l'Amore di Dio, che sta e permane solo in coloro che amano. E poiché i primi due avevano smesso di amare, sotto le lusinghe e le adulazioni del Ribelle, essi persero la Grazia e, con la Grazia, tutte le virtù 'psichiche', cioè virtù dell'anima, che fino a quel momento avevano reso integra la loro 'psiche' ed il loro corpo.
La 'Psiche', non nella misura limitata in cui la intendiamo e comprendiamo normalmente noi ora, in realtà è l'Anima ma dell'Anima, ora, noi non abbiamo alcuna conoscenza: anzi, i più la negano.
Ma la relazione fra la psiche-anima ed il corpo è strettissima, perché la Psiche 'anima' il corpo, potremmo dire che lo permea in ogni suo poro della pelle, lo permea in ogni sua cellula, molecola, atomo.
La 'Psiche-anima' dell'uomo, nell'uomo, è quella che lo mantiene in vita.
L’uomo muore quando la Psiche-anima, cioè lo spirito, abbandona il corpo.
La ‘Psiche-anima’ non è solo un ‘principio fisicamente vitale’ – perché tale ‘principio’, per bontà del Signore che li ha voluti, e li ha voluti 'vivi' perché servissero all'uomo, è concesso anche agli animali - ma nell’uomo è, come ho già cercato di spiegare, anche un principio ‘spirituale’ immortale.
Questa è la differenza fra l'uomo e l'animale.
Gli uomini, per credersi ‘superiori’, vale a dire dei ‘superuomini’, si reputano discendenti di scimmie, cioè inferiori a quel che sono: ‘figli’ di Dio grazie alla psiche-anima (che non è la psiche-animale), anima spirituale che dà agli uomini (animali ma di un gradino superiore al resto del regno animale) quella differenza che li rende appunto ‘figli di Dio’. Degni pertanto di entrare nel Suo Paradiso, un Paradiso fatto su misura per noi: come per noi, uomini di carne, Dio aveva fatto il paradiso terrestre - poi per sua volontà decaduto – così come per noi ha fatto l’universo. Del resto - per dirla con le parole di San Michele Arcangelo - ‘Chi come Dio?’
Nel Suo Regno, in quello dove Lui regna, Lui che è Amore, può dunque entrare solo chi è in 'grazia', solo cioè chi conosce l'Amore.
Come il primo uomo perse la Grazia - e quindi il diritto, per cominciare, al Paradiso terrestre, anticipazione di quello celeste - così i 'successivi' perdono la Grazia, a causa del peccato: non quello d'origine ma quello che ogni giorno noi commettiamo contro noi stessi andando contro la Legge che Dio ha messo nei nostri cuori: la Legge dei Dieci comandamenti.
Gli uomini per mancanza d'amore peccano contro Dio e contro se stessi: omicidi degli altri, dell'anima degli altri, grazie al saper odiare, suicidi ad un tempo di se stessi uccidendo la Grazia in sé, quella che rende l'Anima 'viva', quella che la mantiene figlia di Dio e che, una volta perduta, ci fa figli di Satana.
Questo è del resto un costante insegnamento del Gesù valtortiano.
Ecco che allora - non solo per Adamo ed Eva, che pur sbagliarono ma sbagliarono su istigazione di un Lucifero, superbamente intelligente ed ‘angelicamente’ perfetto - ecco che Dio allora, per Pietà per i discendenti che avrebbero automaticamente contratto la 'malattia' con la riproduzione delle ‘specie’ (perché l'uomo, persa la Grazia, si può ben considerare un animale e quindi, certo, in questo caso si può davvero parlare di 'specie'), fece loro la promessa di salvezza.
La fece per loro conforto, per dare loro forza ed aiutarli a ravvedersi, come infatti successe ai Primi Due dopo l'omicidio di Abele da parte di Caino: prima anticipazione dei tanti omicidi che i caini della terra continuano a commettere, caini ed omicidi nello spirito, prima ancora che dei corpi.
Dio fece dunque la promessa anche per i successivi che sarebbero arrivati ad essere 'caini' non solo per loro personale demerito ma anche proprio a causa del Peccato Originale che li aveva privati della Grazia.
Né possiamo onestamente dire che i successivi, se avessero mantenuta la Grazia sarebbero stati migliori dei primi, perché anche questa sarebbe superbia.
Infatti il Peccato originale fu provvidenziale perché, se il primo uomo non avesse sbagliato e non fosse piombato nel fango conoscendone tutte le miserie, i successivi - nel loro libero arbitrio (che, ricordiamolo sempre, non è una condanna ma un dono, perché altrimenti noi non saremmo dei ‘figli’ ma degli automi), migliorandosi continuamente, nella moltiplicazione e quindi di generazione evolutiva in generazione evolutiva, di stadio in stadio - sarebbero diventati sempre più perfetti e avrebbero finito, nel libero arbitrio, di ritenersi del tutto perfetti, cioè come Dio, anzi loro Dèi, come Lucifero.
E si sarebbero ribellati: non disobbedienza ribelle, ma vera ribellione.
Non 'Chi come Dio ?!', ma 'Chi come Io ?!', avrebbero detto! E come Lucifero avrebbero meritato la condanna: eterna, immediata.
Ma nella Sua Misericordia - Giustizia coi primi due, Misericordia per i successivi - Dio fece la Promessa, la promessa di Salvarci: la promessa di Maria, la Piena di Grazia che sarebbe venuta – con il suo ‘Sì’ - a portarci la ‘Grazia’, cioè Gesù.
Cosa potremmo aggiungere ancora? Niente, se non il fatto – come già sottolineato nella riflessione precedente - che la Grazia è un davvero splendido dono fatto da Dio fin dall’inizio al primo uomo. Splendido Dono fattogli dallo Spirito Santo che volle santificarlo.
Splendido Dono che lo Spirito di Dio ancora concede all'uomo odierno per consentirgli di tornare a Lui, alla Fonte di ogni Bene: l'Amore.
Da qui, dunque l’importanza di amare, l’importanza della Grazia.
Si può dire che oggi per l’uomo comune il concetto di ‘grazia’ è praticamente sconosciuto.
Sono tuttavia davvero innumerevoli i Dettati in cui il Gesù valtortiano – nei Quaderni – parla della Grazia in maniera approfondita.
Vivere in grazia è fondamentale perché – lo abbiamo già detto e lo ripetiamo - è la grazia che ci mantiene in contatto con Dio.
Spiegava ancora Gesù in un altro suo Dettato che noi uomini siamo dei ‘nascituri’ alla Vita del Cielo.
La vera Vita non è quella che viviamo sulla terra in attesa della morte.
Questa nostra vita mortale è solo una fase di formazione di ciò che saremo in futuro.
L’esistenza umana è come una gestazione che ci forma per darci alla luce… in Cielo.
Questa vita terrena è come una palestra che serve a vincere la ‘battaglia’ della salvezza.
E’ un passaggio da una fase incompiuta alla compiutezza.
Il nostro ‘morire’ non è morire e la vera morte è quella dell’anima a causa del peccato, perché i veri morti sono quelli separati da Dio.
Il peccato è la vera morte perché uccide in noi la Grazia.
Il Gesù valtortiano non ha perso occasioni per parlare della Grazia – e questo lo avete già compreso – ma fra i tanti vi è un altro brano in cui Egli tornerà a parlare di questo argomento partendo dalle Origini, cioè dalla creazione di Adamo ed Eva (i grassetti sono miei):2
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In merito ai dettati 24-29.30 agosto e 2 settembre 1944. Nel Preevangelo.
Dice Gesù:
(…)
«… Dio creò l’uomo composto di due sostanze, una detta corpo, inizialmente creata col fango e susseguentemente procreata con la carne e col sangue dell’uomo, e di una detta anima, la quale creata volta per volta da Dio, e per una sola volta e per una sola carne, scende ad unirsi alla carne che si forma in un seno.
Senza l’anima l’uomo sarebbe una creatura animale guidata dall’istinto e dalle doti naturali.
Senza il corpo l’uomo sarebbe una creatura spirituale con doti soprannaturali d’intelligenza, volontà e grazia come gli angeli.
Dio, al capolavoro del creato, rappresentato dall’uomo, in cui sono unite le due creature, animale e spirituale, per fare una sola unità, cosa aveva donato oltre all’esistenza? Doni gratuiti che i teologi dividono in naturali, preternaturali, soprannaturali.
Naturali: il corpo sano e bello con i 5 sensi perfetti e l’anima ragionevole dotata di intelligenza, volontà e libertà.
Preternaturali: l’integrità, ossia la perfetta soggezione del senso, libero da fomiti di ogni genere, alla ragione; l’immortalità del corpo che non avrebbe conosciuto l’orrore della morte; l’immunità da ogni dolore; e la scienza proporzionata al suo stato di creatura eletta, e perciò grande scienza che il perfetto intelletto assimilava senza fatica.
Soprannaturali: la visione beatifica di Dio, la Grazia che fa dell’uomo un figlio di Dio, e il destino di godere eternamente di Dio.
Dunque l’uomo, e per l’origine e per i doni ricevuti, poteva veramente chiamarsi ‘figlio di Dio’ e conoscerlo come un figlio conosce il proprio padre.
Cosa è la Grazia?
Dice il Catechismo: “La Grazia è un dono soprannaturale, che illumina la mente, muove e conforta la volontà affinché l’uomo operi il bene e si astenga dal male”.
Ma essa è soprattutto amore. Amore di Dio alla sua creatura prediletta che è l’uomo, amore che eleva la creatura alla natura del Creatore deificandola, onde giusta è la parola della Sapienza: ‘Voi siete dèi e figli dell’Altissimo’. E’ inoltre mezzo di salute da quando l’uomo ha bisogno di mezzi di salute essendo rimasto debole per le conseguenze del peccato.
Attiva oltre ogni dire, quando non trova impedimento o inerzia in voi al lavoro che essa vuole compiere in voi, essa santifica la creatura e le azioni della creatura, e ha tre rami minori, dal suo tronco sublime, detti della grazia attuale, sufficiente, efficace. Ma è un’unica Grazia: principio trasformatore, qualità divina inerente all’anima, simile a luce il cui splendore, avvolgendo e penetrando le anime, ne cancella le macchie della colpa e comunica loro una radiosa bellezza.
Così la Chiesa docente nelle conclusioni del Concilio di Trento. Ed Io, Maestro dei maestri, contemplando la Grazia per ciò che è, nell’eterno “è” di Dio, dico che la Grazia è principio trasformatore della creatura in figlio di Dio, qualità perciò divina simile alla Luce dalla quale proviene, il cui splendore avvolgendo e penetrando le anime, sia che sia dono dato (come ad Adamo) o dono reso (come per i cristiani cattolici reintegrati in Grazia per i meriti del mio Sacrificio e del Sacramento da me istituito), comunica loro non soltanto una radiosa bellezza, ma la capacità di vedere e conoscere Iddio, così come il Primo Uomo lo conosceva vedendolo e comprendendolo col suo spirito pieno di innocenza e Grazia.
La Grazia è dunque restituzione dell’uomo alla capacità di amare e conoscere Iddio.
La Grazia è dunque lume a vedere ciò che è Immensa Tenebra al pensiero dell’uomo ma Infinita Luce per lo spirito in grazia, è dunque voce, e sapientissima voce, è vista, luminosissima vista per contemplare Iddio, è dono dato al desiderio dell’anima di conoscere Dio, è mezzo a ricordare l’Origine così come Essa desidera essere ricordata, è strumento alla deificazione della creatura.
E tanto più la creatura, per volontà propria e per giustizia raggiunta per volontà d’amore, cresce nella Grazia, altrettanto crescerà in lei ciò che è unione col Divino e crescerà in lei sapienza, che è uno dei divini attributi, e con la sapienza la capacità di comprendere, conoscere, amare la Verità e le verità. Perché la Grazia è lo spirito di Dio che entra nell’uomo con tutti i suoi doni, trasformando, elevando, santificando le potenze e le azioni dell’uomo. E fra queste, prima e principale, l’amore. Azione per la quale siete stati creati.
Amare è conoscere. Non si ama che chi non si conosce. Tanto più si ama quanto più si conosce.
Nessuno potrebbe sostenere di amare un parente sconosciuto, o un uomo abitante agli antipodi, così come ama il parente che ha presso o l’amico di casa. Il suo amore per questo non andrà più oltre di un astratto sentimento di fratellanza o di parentela, che non dà gioia se dura, e non pena se cessa. Mentre la perdita di un parente ben conosciuto o di un amico è vero dolore. E avvenuta che sia, si cerca di conservare di lui ogni ricordo per sentire men viva la perdita o, se è solo lontananza, in tutte le maniere si cerca renderla meno assoluta per sentir meno grave la lontananza. I fanciulli divenuti orfani nell’infanzia, osservateli con quale ansia cercano ricostruirsi una ideale figura dello scomparso genitore coi ricordi lasciati da lui o raccolti sui labbri dei parenti e amici.
La creatura ha bisogno di amare, e per sentirsi meno sola e per amare deve ricordare.
Il ricordo è come una catena che unisce all’amato, lanciata nelle distanze. Non se ne vede l’estremità, ma i movimenti che si sentono venire attraverso l’amorosa catena del ricordo reciproco dicono che si è amati come si ama.
Per questo Dio diede ai primi uomini la conoscenza di Sé. Perché essi fossero perfettamente felici nel periodo della Grazia e della Gioia, e avessero poscia un ricordo che li unisse ancora al Padre, nascosto dietro le caligini del peccato, alzate come un muro fra i decaduti e la Perfezione, ma non definitivamente perduto perché l’amore durava.
Adamo ed Eva conobbero Dio, ne ebbero la spirituale visione beatifica e ne compresero l’Essenza perché i loro spiriti, dico spiriti, in Grazia potevano fissarne l’incorporea e suprema Bellezza e intenderne la Sapienza nella voce di Dio “nel fresco della sera”.3
Oh! dolci colloqui, rapimenti di creature deificate con Dio loro Autore, nella pace del terrestre paradiso, divini ammaestramenti appresi senza fatica da due intelletti senza tare di imperfezioni fisiche o imperfezioni morali, accettati senza quelle cocciutaggini che rendono a voi difficili ad accettare le divine lezioni, perché voi non sapete più amare come gli Innocenti, o poveri uomini mutilati di troppe cose sante e empìti di troppe altre inutili e dannose, poveri uomini che potreste ritornare perfetti se possedeste un perfetto amore!
O lezioni di Dio, Sapienza che rifluiva dalla Sorgente paterna nei figli benedetti, ricevuta come un dono, amata come una festa, amore reciproco che era parola, che era domanda precorsa dalla risposta, che era fiducia, che era sorriso, che era pace! Pagina di un gaudio per sempre distrutto, pagina scritta nei libri della vita e ai primordi della vita e poi bruttata, e non più proseguita, dall’impronta incancellabile della Colpa, chi ti può leggere ai viventi perché comprendano ciò che hanno perduto e siano umili?
Umili guardando di quanto sono decaduti, considerando quanto Dio è buono nel dare ancor tanto di amore e sapienza, nonostante che la serpentina testa della superbia non doma sia sempre pronta a drizzarsi in loro per discutere con Dio che si rivela, consiglia e comanda a scopo buono.
Adamo ed Eva avevano dunque il dono della Grazia che è amore, luce, sapienza, conoscenza di Dio, e questo dono, essendo essi uomini privati e pubblici insieme, essendo i progenitori di tutta la famiglia umana, sarebbe stato trasmesso insieme agli altri doni ai loro discendenti e non ci sarebbe stato bisogno per essi di faticare per ricordare Dio, per risalire faticosamente dalle tenebre verso la Luce, lottando col peso del Male, con la controcorrente delle tentazioni, con le caligini dell’ignoranza, con tutta la miseria venuta dal decadimento dalla Grazia.
Non ci sarebbe stata necessità di ricordo perché non ci sarebbe stato da ricordare il Bene perduto, ma soltanto ci sarebbe stato gaudioso godere dell’Amato.
Poi Adamo ed Eva peccarono, e Dio li cacciò dal suo cospetto e li escluse dalla sua amicizia e dall’Eden “ponendo Cherubini sulle soglie di esso” dice la Genesi, e condannando l’Umanità al lavoro, al dolore, all’ignoranza, alla morte, per la parte materiale, alla privazione della Grazia, della conoscenza di Dio e del Paradiso celeste per la parte spirituale.
Il Catechismo dice: “Adamo ed Eva perdettero la Grazia di Dio e il diritto che avevano al Cielo, furono cacciati dal paradiso terrestre, sottoposti a molte miserie nell’anima e nel corpo e condannati a morire” e “i loro discendenti per eredità di colpa subirono i danni della privazione della grazia, la perdita del paradiso, l’ignoranza, l’inclinazione al male, tutte le miserie della vita e infine la morte”, di modo che “se Dio non avesse usato misericordia, gli uomini non avrebbero più potuto salvarsi”.
Quale fu la misericordia usata da Dio al genere umano?
Risponde ancora la Genesi con le sue pagine e il Catechismo con le sue risposte: “La misericordia di promettere subito ad Adamo il Redentore divino o Messia, e di mandarlo a suo tempo per liberare gli uomini dalla schiavitù del demonio e del peccato, reintegrandoli nello stato di figli di Dio con la restituzione dello stato di Grazia” per i miei meriti e la Passione mia.
Or dunque ditemi: se nel momento stesso della condanna, Dio Padre già la tempera nel suo rigore con la speranza di un redentore, con la promessa di un perdono, non sta questo a dimostrare che Egli stesso, sempre Misericordia anche nella Giustizia perché eterna e perfetta Carità, volle che nell’anima dell’uomo avvolta nelle tenebre e nel dolore rimanessero delle scintille di luce – ricordi – che impedissero la disperazione, l’abbattimento, l’abbandono, il languore di chi non ha più un fine e trascina senza vigore di speranze i suoi giorni? Sì, in verità, che così fu.
E riepilogando il detto fin qui, tratto dalla Genesi libro scritto sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, e perciò avente Dio per autore, come definisce il Concilio Vaticano – e dal Catechismo nel testo prescritto da quel mio vero Vicario e Pastore che ora è meco in Cielo dopo avermi amato con perfezione e perciò ricordato con perfezione sulla Terra – verità che nessuno può respingere a meno di dichiararsi eretico – si può concludere che l’uomo innocente e in grazia aveva il dono di grazia di conoscere Dio, amarlo e goderlo eternamente, e che l’uomo decaduto ebbe il dono di misericordia di una promessa, e di un ricordo perciò del Divino, che lo aiutasse a ben operare per potere, in un futuro certo, godere, dopo il dolore del castigo, la vista e il possesso di Dio.
(…)
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Che dire che già non sia chiaro?
Gesù ha detto sopra che l’uomo è il ‘capolavoro del Creato’.
Non usa parole superflue il Gesù valtortiano, questo lo avrete capito.
Conoscendo l’uomo attuale sembra impossibile pensare all’uomo come a un ‘capolavoro del Creato’.
Che cosa è il ‘Creato’? E’ la creazione operata da Dio, creazione spirituale quella degli Angeli, creazione materiale quella concernente appunto la materia e con essa i vegetali e gli animali fra cui anche l’uomo, che tuttavia non è solo materia vivente ma anche spirito immortale in carne umana.
L’uomo ‘capolavoro del Creato’, come lo ha definito Gesù, è quello di cui lo Spirito Santo – in un’altra sua Lezione aveva detto parlando della sua creazione (i grassetti sono miei): 4
«…L’uomo: vero anello di congiunzione fra Terra e Cielo, vero punto di unione fra il mondo spirituale e quello materiale, l’essere in cui la materia è tabernacolo allo spirito, l’essere in cui lo spirito anima la materia non già solo per la vita limitata mortale, ma per la vita immortale dopo la finale resurrezione. L’uomo: la creatura in cui splende e dimora lo Spirito Creatore...».
Un uomo che è immagine di Dio per l’anima deificata dalla Grazia e gli è somigliante – sempre per virtù della Grazia – per la carità.
Il ‘capolavoro del Creato’ non è dunque l’uomo odierno degenerato nei millenni a causa del Peccato originale e dei successivi peccati individuali, ma il primo uomo innocente, quale Dio l’aveva appena creato e quale sarà ancor più alla fine del mondo dopo la sua assunzione in Cielo in anima e corpo glorificati, con una bellezza corporea straordinaria ed una intelligenza quasi angelica, aumentata dal suo specchiarsi nella Luce di Dio.
C’è da rimanere attoniti, sbalorditi al pensiero che Dio – per avere un popolo di ‘figli’ da amare e dai quali essere riamato - avesse pensato e poi unito uno spirito ad una carne che sarebbe stata alla fine glorificata e che allo spirito e alla carne costituenti una unità psicosomatica avrebbe dato come Re il proprio Verbo incarnato.
Quando il Serpente della Genesi – per invogliare Eva a cogliere il frutto della perdizione – le disse ‘Eritis sicut dei’5, cioè ‘sarete come dei’, non sospettava di dire a sua insaputa una grande verità che si sarebbe realizzata grazie alla futura Redenzione da parte del Verbo incarnato: classico esempio di eterogenesi dei fini che potremmo anche più semplicemente definire come una conseguenza ‘non intenzionale’ di un’azione ‘intenzionale’.
E’ il concetto espresso in precedenza da Gesù quando ha detto che l’uomo in grazia che si abbandona all’amore verso Dio si ‘indìa’, concetto espresso in altro modo da San Paolo quando dice ‘… non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me…’.
A proposito ancora del peccato e soprattutto della Grazia, ricorderete forse l’episodio evangelico6 della Samaritana al pozzo di Sichar, raccontato dall’Apostolo Giovanni ma visto in visione con particolari molto più ampi dalla nostra mistica.7
Gesù – nell’Evangelo di Maria Valtorta, all’inizio del suo secondo anno di vita pubblica e di predicazione - attraversa la Samaria quando, stanco ed assetato, decide di fermarsi presso il pozzo di Giacobbe in attesa che gli apostoli tornino dal vicino paese di Sichar dove erano andati per acquistare cibo.
Si avvicina una donna del luogo per attingere dal pozzo e Gesù – seduto sul muretto dello stesso – le chiede dell’acqua.
Lei – una donna ‘emancipata’ e dalla vita ‘movimentata’ con varie esperienze ‘maritali’ pregresse - gli chiede con aria un poco ironica come mai lui – giudeo dall’aspetto – si degni di chiedere dell’acqua ad una ‘samaritana’…8
Gesù – che nella sua Onniscienza di Dio non ignorava il passato della donna e come Uomo privo di Peccato originale aveva il dono della introspezione perfetta dei cuori - contava però di convertirla.
Le risponde dunque che se lei avesse conosciuto il ‘dono’ di Dio e chi è che le diceva di dargli da bere, sarebbe stata lei stessa a chiedere ‘acqua’ ed Egli le avrebbe dato ‘Acqua viva’ perché chi avesse voluto bere l’acqua del pozzo avrebbe poi avuto ancora sete ma chi avesse invece bevuto la ‘sua’ Acqua non avrebbe avuto più sete in eterno, perché l’Acqua che Egli gli avrebbe dato sarebbe divenuta in lui una sorgente ‘zampillante fino alla vita eterna’.
Ebbene - fuor di metafora, e voi che leggete già lo sapete bene - l’Acqua viva a cui alludeva Gesù era appunto l’Acqua della Grazia, indispensabile per la Vita eterna.
La donna – e ritengo lo avesse fatto con una certa ironia ed un poco di sfacciataggine – gli risponde che allora gliela desse pure quell’acqua, almeno lei si sarebbe risparmiata la fatica di andare ogni volta a quel pozzo.
Gesù – ritengo con occhio più severo – la invita allora ‘con autorità’ ad andare a chiamare suo marito e tornare lì. Lei – con un certo imbarazzo – gli risponde di non avere marito…
Era la risposta che Gesù attendeva perché subito le replica che sì.., in effetti lei aveva detto la verità, perché di mariti… - aggiunge Gesù – lei ne aveva avuti cinque e quello attuale non era nemmeno suo marito…
Sentendosi rimproverare da uno sconosciuto giudeo il fatto che lei stesse ora convivendo con il suo sesto uomo e colpita anche all’aspetto maestoso di Gesù dal quale certamente trasluceva la Luce della sua Grazia perfetta – la donna intuisce in un lampo di trovarsi di fronte ad un Profeta, forse l’atteso Messia di cui tanto si parlava come prossimo a venire.
Lei glielo chiede, Gesù glielo conferma, lei molla allora lì a terra la brocca e corre senza indugio in paese ad avvisarne gli abitanti dicendo loro trafelata che aveva incontrato un uomo che conosceva ‘tutto quel che lei aveva fatto…’, e che forse costui era davvero il ‘Cristo’, cioè il Messia.
Gli altri interessanti dettagli di questo episodio, veramente bello, non li racconta l’Evangelista Giovanni – che come gli altri apostoli non era stato presente al colloquio essendo tutti andati in paese per compere - ma li riporta la relativa visione de ‘L’Evangelo’ di Maria Valtorta.9
I notabili ed il popolo corrono incontro a Gesù, lo accolgono con tutti gli onori facendolo fermare un paio di giorni affinché Egli – ad essi desiderosi di Verità - facesse dono della Sua Parola di Sapienza.
Gesù accondiscende volentieri e in due giorni di dialoghi… li converte in massa.10
Sempre con riferimento all’Acqua viva della Grazia, Gesù spiega in un’altra circostanza alla mistica che l’anima è come una cisterna d’acqua di certi deserti aridi, così comuni nei paesi caldi.
Dio – che provvede a tutti – lascia sgorgare da millenni acqua dalle viscere della terra.
Attorno a queste falde acquifere nascono delle oasi e crescono dei villaggi i cui abitanti fanno delle cisterne per raccogliere l’acqua che sgorga dal terreno.
Ma poiché queste cisterne con il tempo si deteriorano, ecco che essi si premurano di tappare continuamente le fessure che di quando in quando si formano, affinché la preziosa acqua non vada perduta e continui ad alimentarli.
Ebbene anche l’uomo – dice Gesù - deve fare la stessa cosa con la propria anima che deve poter accogliere ma anche saper conservare l’acqua della Grazia.
Ecco dunque perché è così importante per noi l’approfondimento del Discorso della montagna: gli insegnamenti di Gesù servono a fare della nostra anima ‘una cisterna della grazia’, e la pratica degli stessi serve a ‘tappare’ le fessurazioni che la vita nel mondo inevitabilmente provoca.

1  M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – 10 ottobre 1943 – Centro Editoriale Valtortiano
2  M.V.: ‘I Quaderni del 1945/1950’ – 28.1.47 – Centro Editoriale Valtortiano
3  Nel fresco della sera: come in Genesi 3, 8 secondo l’antica volgata
4  M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – 21/28.5.1948 – Centro Editoriale Valtortiano
5  Gn 3, 4-5
6  Gv 4,1-30: 1 Gesù venne a sapere che i farisei avevano sentito dire: «Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni» - 2sebbene non fosse Gesù in persona a battezzare, ma i suoi discepoli -, 3lasciò allora la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. 4Doveva perciò attraversare la Samaria.
5Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c'era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». 8I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 11Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest'acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». 13Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; 14ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna». 15«Signore - gli dice la donna -, dammi quest'acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». 16Le dice: «Va' a chiamare tuo marito e ritorna qui». 17Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: «Io non ho marito». 18Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». 19Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! 20I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 21Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». 25Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». 26Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
27In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». 28La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: 29«Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». 30Uscirono dalla città e andavano da lui.
7  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. II - Capp. 142 e 143 – Centro Editoriale Valtortiano
8  N.d.A.: I samaritani erano invisi ai giudei per ragioni politiche e religiose
9  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. II – Capp. 144, 145, 146 – Centro Editoriale Valtortiano
10  N.d.A.: Chi fosse curioso di sapere che fine abbia poi fatto quella samaritana, lo apprenderà meglio dall’Opera. Lei – di nome Fotinai – alla partenza del Gruppo apostolico da Sichar - si avvicina, chiede agli apostoli di poter parlare con Gesù e – gettandosi piangendo ai suoi piedi – si dichiara pentita e gli chiede illuminazione ed aiuto. Gesù la perdona e la invita alla penitenza, predicendole che lei si avvierà ad un percorso di redenzione come altre donne che avrebbero seguito il Redentore, percorso che lei – e se ne troverà conferma più tardi sempre dall’Opera – seguirà alla perfezione.

      
3.2 Lo Spirito Santo: «La Grazia rigenera l’uomo…, ma non una sola volta... ma ogni qualvolta l’uomo si pente, o piange sulla sua debolezza, o anche solo si turba...».
Lo Spirito Santo – nelle sue ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai romani’ – è anch’Egli particolarmente prodigo di insegnamenti sia in merito alla Grazia che alle Beatitudini.
Abbiamo letto nella ‘Parte prima’ di queste nostre riflessioni che Gesù aveva spiegato che la Grazia non è in tutti eguale.
La sua ‘qualità’ dipende infatti dallo stato di unione con Dio.
Non solo la ‘uccidono’ i peccati mortali, ma essa viene molto indebolita anche da quelli veniali e persino dalle stesse imperfezioni.
Dunque la Grazia non elimina del tutto l’umanità ma dell’uomo vecchio fa – a seconda del suo ‘grado’ di grazia – un uomo più o meno ‘nuovo’.
L’uomo appena battezzato – con il Battesimo che leva il Peccato originale ed il perdono dei peccati – ha invece la pienezza della Grazia che lo ‘rigenera’.
Ciò premesso, in una sua lezione lo Spirito Santo - che come Gesù parla alla mistica - spiega che la Grazia non rigenera però l’uomo una sola volta ma lo fa ogni qualvolta l’uomo si pente – dopo una caduta volontaria in materia grave – o piange sulla sua debolezza, causa di involontarie cadute, o anche solo si turba sentendo agitarsi in sé il vento dei fomiti e temendo che esso provochi tempesta di sensi nella quale si perda la vicinanza di Dio e venga soverchiata la sua voce pacifica, sempre simile ‘al soffio di un’aura leggera’.1
La Grazia ci rigenera, o ci conforta o ci assicura ogni volta che ne abbiamo bisogno con i suoi divini aiuti, grazie a Gesù Cristo e mediante i Sacramenti, mezzi istituiti da Gesù per rigenerarci e rinforzarci proprio nella Grazia.
Sono la Grazia e la buona volontà quelle che contribuiscono a tenere ordine fra le nostre parti carnali e spirituali in contrasto fra loro.
Dio - ancor prima della creazione dell’uomo, e quindi ancor prima della Prova in cui l’uomo avrebbe peccato di ribellione e superbia per voler divenire come Dio - nella Sua Misericordia aveva già stabilito, per dare agli uomini la misura del Suo Amore, il mezzo con cui avrebbe salvato gli uomini.
Ne abbiamo già accennato in precedenza: quel ‘mezzo’ sarebbe stato Gesù Cristo che ci avrebbe restituito - grazie al Suo Sacrificio in croce unito alla nostra buona volontà - la possibilità di riottenere la Grazia perduta che ci consente l’accesso al Paradiso.
Una domanda però ce la possiamo porre. Se la Grazia ci viene restituita con il Battesimo, e se solo in virtù della Grazia si può accedere al Cielo, cosa ne è stato o cosa ne sarà dei non battezzati? Non potranno salvarsi?
La risposta che ne dà lo Spirito Santo in un’altra lezione è di grande conforto e dà la misura della Bontà di Dio, Padre Creatore delle anime di tutti gli uomini e non solo dei ‘cristiani’(i grassetti sono miei):2
‘…Dio, anche a coloro che non sanno del Dio vero, mette nel cuore una legge naturale e una coscienza, per cui possano vivere in modo da appartenere, se non al Corpo, all’Anima del Corpo mistico, e quindi di poter godere dei benefici della Grazia.
Dio sa quali sono, o quali furono, o quali saranno ‑ e da sempre sa ‑ quelli che non lasceranno inerti i misteriosi aiuti di Dio perché l’uomo pervenga al suo fine.
E sa pure quali furono, sono o saranno, quelli che in maniera più o meno completa trasformano se stessi, o si trasformarono o si trasformeranno, nella somiglianza e immagine dell’Uomo-Dio, mediante l’amore, l’ubbidienza alla voce della coscienza e ai dettami della legge morale.
Veramente che all’ultimo giorno, al Gran Giudizio, si vedranno, tra coloro che saranno alla destra del Figlio dell’Uomo, molti di quelli che gli uomini giudicavano non eletti al Regno perché non appartenenti alla Chiesa, mentre saranno alla sua sinistra molti che, per essere stati almeno in apparenza ‑ ché solo Dio sa la verità delle cose ‑ membra vive del Corpo mistico, gli uomini giudicarono certi coeredi del Cielo. E grande sarà lo stupore di quelli che giudicarono, come delle due categorie di giudicati.
E gli eletti per misteriose operazioni di Dio, secondate dalla loro retta coscienza, diranno: Come noi qui, se non ti abbiamo conosciuto né servito come Tu dici, sfamandoti, dissetandoti, accogliendoti e visitandoti?”.
E il giusto Giudice, che morì per dare a tutti quelli di buona volontà la Vita eterna, risponderà: “Perché mi avete conosciuto senza saperlo, e senza saperlo servito mediante la carità data al prossimo vostro. Me avete sovvenuto, perché anche un sorso d’acqua dato per amore ad un assetato è stato amore dato a Me”.
E chiederanno i reietti: “Come ci puoi chiudere il tuo Regno se noi fummo dei tuoi?”.
Ed Egli risponderà: Come chiudeste il vostro cuore ai bisogni dei fratelli, così Io vi chiudo le porte del Regno. Ciò che non faceste al minimo tra voi, a Me non l’avete fatto, e con maggior gravità di colpa perché voi sapevate di Me, del mio Vangelo e della Legge.
Andate dunque lungi da Me, operatori d’iniquità, perché è mio fratello chi mi somiglia e voi, sotto ipocrita maschera, non mi somigliate essendo senza l’Amore che è mia Natura".3 (…)
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Da quanto precede, deduciamo che i ‘non battezzati’ che non hanno conosciuto il Dio vero ma con buona volontà ed in tutta ed onesta coscienza hanno rispettato la legge naturale incisa da Dio nella loro anima, se non possono appartenere al ‘Corpo mistico’ possono tuttavia appartenere all’Anima del Corpo mistico e possono quindi godere dei benefici della Grazia.
Essi – anche se non battezzati perché appartenenti ad altre religioni ma convinti di essere della religione vera – in quanto uomini ‘giusti’ potranno dunque andare in Paradiso, quantunque non subito dopo la morte del corpo ma alla fine, in occasione del Giudizio universale.
Le parole dello Spirito Santo impongono tuttavia una riflessione sui requisiti per la salvezza con particolare riferimento alla voce della propria coscienza.
Dio nel creare le anime di qualsivoglia uomo infonde in esse una sorta di ‘codice di condotta’, detto ‘Legge naturale’ perché trova la sua fonte nella ‘natura’ stessa dell’uomo.
La ‘Legge naturale’ - per la nostra religione e per l’ebraica – non è altro che quella che conosciamo come Legge mosaica dei ‘Dieci comandamenti’.
Dio dota inoltre la nostra anima di una ‘coscienza’, vale a dire una sorta di secondo ‘codice di guida’ che in qualche modo ci avverte quando noi contravveniamo alla legge naturale, così da consentirci – se di buona volontà - di rimetterci in carreggiata.
Ora da qualche tempo vi è un notevole dibattito sulla Stampa in merito al fatto se ascoltare la voce della ‘propria’ coscienza sia sufficiente alla salvezza.
Preciso qui che bisogna essere estremamente chiari per non produrre danni irreparabili. Non basta infatti seguire la voce di una ‘propria’ generica coscienza per salvarsi – come molti vorrebbero, liberandosi così dai propri complessi di colpa inconsci – ma deve essere la voce di una coscienza ‘retta’, ed una coscienza è retta quando – con la buona volontà ed il rispetto della legge naturale dei Dieci comandamenti – essa è in condizione di accorgersi se si riga dritto o meno, ed è quindi in condizione di suggerirci il comportamento più giusto secondo le circostanze.
E’ evidente che la ‘coscienza’ di un delinquente abituale, che vive lontano da Dio e non certo in Grazia, è come intorpidita, cieca, non riesce più a discernere, e non è quindi la stessa ‘coscienza’ di un uomo che si sforza invece di vivere alla luce di Dio, rimanendone in quale modo illuminato.
Non basta dunque dire – come taluni molto superficialmente vorrebbero sostenere – che per salvarsi è sufficiente seguire la ‘propria’ coscienza: questo è solo un pericoloso ‘relativismo morale’ soggetto peraltro a cambiare, solitamente in peggio, con il degradare dei costumi individuali o collettivi e quindi con il conseguente affievolimento della ‘voce’ della propria coscienza.
La coscienza deve dunque essere retta’, come chiarisce appunto sopra lo Spirito Santo, e per potersi considerare tale essa deve essere conforme alla Legge del Signore, cioè alla Legge naturale dei Dieci Comandamenti.
Se tuttavia praticare la Legge mosaica è condizione per avere quel minimo di Grazia necessario a salvarsi, seguire le Beatitudini e gli insegnamenti del Discorso della montagna è – come ho già avuto occasione di sottolineare – ‘il di più’ necessario per guadagnarsi non solo la salvezza ma anche una maggior Gloria in Cielo in misura proporzionale a come avremo voluto e saputo corrispondere alla volontà di Dio.
Se il Gesù valtortiano nell’enunciare le sue ‘Beatitudini’ sulle pendici di quel monte le ha spiegate, anche lo Spirito Santo aggiunge un proprio commento alle stesse sia pur partendo da una diversa prospettiva.
Infatti, in un’altra Lezione impartita alla mistica – sempre a commento dell’Epistola di Paolo ai Romani - lo Spirito Santo a proposito di Beatitudini ad un certo punto dice (i grassetti sono miei):4
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«…Dunque, chiunque crede e invoca il Signore ‑ e se lo invoca è perché lo ama ‑ è salvo, vive in Dio, serve Dio nel modo come Dio vuole essere dal suo servo servito; e un ugual premio attende coloro che con varietà di modi, avendo ricevuto da Dio missioni diverse e doni atti ad ogni missione, hanno servito il Signore.
Belli i piedi che si stancano nell’andare evangelizzando.
Ugualmente belli gli intelletti ed i cuori dei contemplativi che pregano per coloro che si consumano nella vita attiva.
E belli gli spiriti ubbidienti, attenti, umili, che fanno la volontà di Dio, anche se straordinaria, e non divagano il loro spirito né cadono in superbia per essere divenuti orecchio che ascolta il Signore e strumento di privata rivelazione ai fratelli.
Belli i perseguitati per questo. Alla corona dei giusti si aggiunge per essi la corona dei martiri, perché essi hanno sofferto per la giustizia.
In verità essi sono beati in tutte le beatitudini5.
Essi: poveri di spirito, perché non hanno attaccamento né alle ricchezze né alle lodi, non fanno mercato dei doni di Dio, non fanno bando del loro straordinario servizio. Sul segreto del Re6 calano i veli della loro umiltà, dando, nascoste sorgenti di sapienza, ai fratelli bisognosi, senza volere ricevere neppure il plauso della gente che, anzi, è per loro soltanto disturbo. E per questo il Regno dei Cieli è già loro, nel loro cuore, e apre i suoi misteri ai loro sensi spirituali in attesa di accoglierli per sempre, oltre la vita.
Essi: mansueti al volere di Dio, anche se è volere che diviene per essi dolore, possiedono la Terra, ossia operano nel loro nascondimento come ben pochi operano, conquistando innumeri animi a Dio. Sono re e maestri di molti durante ed oltre la vita, e può dirsi di loro ciò che è detto nel Cantico: “Si correrà dietro l’odore dei loro profumi di sapienza diffusa come un balsamo, perché molti n’abbiano guarigione e ristoro spirituale”7.
Essi che, poiché il mondo, ove non è tenebre, è almeno fumosa nebbia d’orgoglio, sono afflitti e piangono lacrime amare per l’incomprensione umana, sono dal Re dei dolori e dalla Madre desolata consolati qui ed oltre, mille volte mille per quanto hanno pianto.
Essi che, per fame e sete di giustizia, dovettero gustare cenere, fiele, assenzio e aceto da parte degli uomini, solo saziati nello spirito dallo Spirito d’amore, loro quotidiana manna, siederanno, alla fine, al banchetto nuziale dell’Agnello8, e Dio stesso li sazierà rivelandosi ad essi e rivelando tutti i letificanti misteri di Dio.
Essi che, per spirito di misericordia, non si rifiutarono al servizio di Dio ‑ ben sapendo con ciò di dover incontrare e di dover subire la non misericordia umana, che è invida verso gli eletti e se ne vendica in mille modi per fare della loro elezione una croce ‑ trovano e troveranno ogni misericordia presso il cuore dell’indistruttibile Misericordia: Gesù, e presso quello della Donna che non odiò gli uccisori del Figlio suo, ma pregò per la loro conversione.
Essi, puri di cuore, non avendo altro sguardo che non fosse per il Signore, per servirlo prontamente sempre ‑ né potevano ascoltare altre voci, né di sensi né di tentazioni, perché tesi solo ad ascoltare il Cielo ‑ già gustano la beatitudine della visione di Dio, della sua conoscenza, grande sebbene ancor limitata, e puramente attendono l’ora del vederlo quale è9; in eterno.
Essi, pacifici, perché figli e servi del Re della pace, compenetrati delle parole del Pacifico, i cui esempi seguono anche verso i loro avversari, veri figli di Dio sono, e saranno così chiamati in eterno ed abiteranno nei suoi tabernacoli10, dopo averlo ospitato nel cuore, perché Dio è con l’uomo di pace.
Essi che, per amore alla giustizia, e per essersi adoperati perché essa crescesse in molti, e molti andassero ad essa, soffersero persecuzioni d’ogni specie, né può dirsi che persecuzione sia solo martirio cruento, ma almeno rapido.
No. Il padrone del mondo ed i suoi servi, più o meno coscienti d’essere suoi servi, hanno mille modi per perseguitare, modi subdoli, nascosti, lenti, basati su menzogna, calunnia, ingiustizia, e quelli usano sui servi di Dio, con raffinata astuzia, martirizzandoli anche e soprattutto in quelle parti dell’io che nessun carnefice può martirizzare, sulle parti incorporee: la mente e soprattutto lo spirito.
Costoro spogliano i servi della giustizia di tutto, sin del diritto di servire il Signore e di lavorare per portare alla giustizia i fratelli, sin del loro buon nome, sin della verità della loro condizione, e li rivestono della veste di scherno con cui i nemici del Cristo rivestirono il Cristo11, e li dileggiano con le stesse parole: “Se è vero che sei ciò che dici di essere, di’ al Signore che intervenga e ti aiuti”12.
Ma ad ogni spogliazione, ad ogni dileggio patito da essi sulla Terra, corrisponde un nuovo ornamento sulla veste di nozze che li attende nel Cielo, un aumento di gloria per questi certi cittadini del Regno e una laude maggiore da parte del popolo dei santi e degli angeli che dall’alto dei Cieli, con giustizia soprannaturale, vedono e giudicano tutte le azioni degli uomini…
(…)
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1  M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – 7.6.48 – Centro Editoriale Valtortiano
2  M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – 25.4.50 – Centro Editoriale Valtortiano
3  Matteo 25, 31‑46; Marco 9, 41
4  M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai romani’ – 14.9.50 – Centro Editoriale Valtortiano
5  Matteo 5, 1‑12; Luca 6, 20‑23
6  Tobia 12, 7
7  Cantico dei Cantici 1, 3
8  Apocalisse 19, 7‑9
9  1 Giovanni 3, 2
10  Luca 16, 9
11  Matteo 27, 27‑30; Marco 15, 16‑20; Giovanni 19, 2‑3
12  Matteo 27, 39‑44; Marco 15, 29‑32; Luca 23, 35‑37
3.3 Predestinazione alla Grazia e predestinazione alla Gloria. Gesù: «Alla grazia sono predestinati tutti gli uomini indistintamente poiché Io per tutti sono morto. Alla Gloria sono predestinati quelli che rimangono fedeli almeno alla legge naturale del Bene. Alla fine dei secoli, sì, ognuno che sia vissuto da giusto avrà il suo premio…».
Sempre a proposito della Grazia - ed in particolare alla domanda che molti si fanno se si siamo o meno già destinati comunque alla salvezza o alla dannazione, per cui taluni dicono che sia inutile sforzarci sia nel bene che nel male perché tanto il nostro destino sarebbe ‘segnato’ in anticipo - vi è una interessante spiegazione di Gesù che, alla mistica Valtorta, spiega la differenza fra predestinazione alla Grazia e predestinazione alla Gloria (i grassetti sono miei)1.
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48.34
23-10-48
Dice Gesù rispondendo ad una mia interna riflessione sulla predestinazione alla grazia e su quella alla gloria, suscitata da una frase detta da una persona che era venuta a trovarmi:
«Alla grazia sono predestinati tutti gli uomini indistintamente poiché Io per tutti sono morto.
Alla gloria sono predestinati quelli che rimangono fedeli almeno alla legge naturale del Bene. Alla fine dei secoli, sì, ognuno che sia vissuto da giusto avrà il suo premio.
E Dio ab eterno conosce coloro che alla gloria sono destinati prima che nascessero alla vita, ossia "predestinati".
Attenta però che qui sta il punto per capire la giustizia di Dio con giustizia.
Vi sono i predestinati, è certo. E Dio li conosce da prima che il tempo sia per essi.
Ma tali non sono perché Dio, con palese ingiustizia, dia ad essi ogni mezzo per divenire gloriosi e impedisca con ogni mezzo ogni insidia del demonio, del mondo e della carne a costoro.
No. Dio dà ad essi ciò che dà a tutti. Ma essi usano con giustizia dei doni di Dio, e quindi conquistano la gloria futura ed eterna, di loro libero volere.
Dio sa che giungeranno a questa gloria eterna. Ma essi non lo sanno, né Dio in alcun modo lo dice loro.
Gli stessi doni straordinari non sono segno sicuro di gloria: sono un mezzo più severo degli altri per saggiare lo spirito dell'uomo nelle sue volontà, virtù e fedeltà a Dio e alla sua Legge.
Dio sa. Gode in anticipo di sapere che quella creatura giungerà alla gloria così come soffre in anticipo di sapere che quell'altra creatura giungerà volontariamente alla dannazione.
Ma in alcun modo non interviene a forzare il libero arbitrio di alcuna creatura perché essa giunga dove Dio tutti vorrebbe giungessero: al Cielo.
Certamente la rispondenza della creatura agli aiuti divini aumenta la sua capacità di volere. Perché Dio tanto più si effonde quanto più l'uomo lo ama in verità: ossia di una carità di azioni e non di parole.
E ancora: certamente più l'uomo vive da giusto e più Dio a lui si comunica e si manifesta: un'anticipazione di quella conoscenza di Dio che fa beati i santi del Cielo, e da questa conoscenza viene aumento di capacità di volere essere perfetti.
Ma ancora e sempre l'uomo è libero del suo volere e, se dopo aver già raggiunto la perfezione uno rinnegasse il bene sin lì praticato e si vendesse al Male, Dio lo lascerebbe libero di fare. Non vi sarebbe merito se vi fosse coercizione.
Concludendo:
Dio conosce ab eterno coloro che sono i futuri eterni abitanti del Cielo, ma l'uomo di sua libera volontà deve volere giungere al Cielo ben usando degli aiuti soprannaturali che l'Eterno Padre dà ad ogni sua creatura.
E così sino all'ultimo respiro, quali che siano i doni straordinari ricevuti e i gradi di perfezione raggiunti.
Ricordare che nessuno è mai veramente arrivato altro che quando il suo cammino è finito. Ossia: nessuno è certo di aver meritato la gloria altro che quando il suo tempo è finito e iniziata l'immortalità».
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In questo brano Gesù – in merito alla predestinazione alla Grazia - conferma quanto aveva detto in precedenza con altre parole lo Spirito Santo nelle sue lezioni alla mistica, e cioè che con il Suo Sacrificio Egli ha portato la redenzione a tutti gli uomini indistintamente aprendo loro le porte del Paradiso, precisando però anche che alla effettiva salvezza in Cielo, cioè alla Gloria, sono predestinati solo coloro che sono rimasti fedeli fino alla fine almeno alla Legge naturale, battezzati o non: i non battezzati potranno tuttavia entrare in Paradiso solamente alla fine del mondo, dopo il Giudizio universale.
Riepilogando.
Grazie al Sacrificio redentivo di Gesù che ci ha restituito la possibilità della Grazia, tutti gli uomini hanno potenzialmente la grande opportunità di andare in Paradiso se osservassero almeno la Legge naturale dei Dieci Comandamenti incisa nell’anima infusa da Dio nel concepito.
Non è però detto che tutti gli uomini vogliano osservare tale legge interiore, certamente non gli impenitenti perversi.
Dio, che vive fuori del tempo in un Eterno Presente, conosce le cose passate e future di ciascuno di noi che viviamo nel tempo e nello spazio, vale a dire che Egli conosce i nostri futuri comportamenti.
Egli sa dunque in anticipo - essendo Onnisciente e fuori del tempo - se noi ci vorremo salvare o meno, ma non interviene per correggere forzatamente la nostra autonomia decisionale.
Se Egli infatti intervenisse - ad esempio per salvarci contro la nostra volontà - noi non avremmo più alcun merito.
Dio non ci impedisce l’autodannazione, perché ciò sarebbe una grave menomazione del nostro libero arbitrio, e sarebbe oltretutto una ingiustizia nei confronti di quegli uomini che invece – grazie ai ‘loro’ sforzi e buona volontà – cercano di salvarsi con i loro mezzi.
Dio, lo ribadisco ancora a maggior chiarimento, conosce nel suo Pensiero in anticipo la sorte delle nostre anime e quindi il nostro futuro comportamento, perché - per Lui - Passato-Presente-Futuro non esistono.
Il Futuro è tale per noi ma è sempre un Presente per Dio. Lo stesso dicasi per il Passato.
Conoscendo quindi in anticipo il nostro libero comportamento, Dio gioisce nel sapere chi si salverà e soffre nel sapere chi si dannerà.
Egli ci vorrebbe infatti tutti salvi, tutti ‘figli di Dio’, perché a tutti ha dato la possibilità attraverso la Grazia di salvarsi e accedere al Paradiso, anche se non tutti vorranno mettere a frutto questo talento, il dono che Egli ci ha restituito grazie al Sacrificio del Verbo incarnato.
Pertanto se tutti sono predestinati alla Grazia e cioè alla potenziale salvezza, in virtù del Sacrificio redentivo di Gesù Cristo (predestinazione nel senso che la possibilità di ottenerla ce l’hanno tutti in primo luogo attraverso il Sacramento del Battesimo ed il rispetto dei Dieci comandamenti ed in secondo luogo, per i non battezzati, almeno con il rispetto della Legge naturale dei Dieci comandamenti), non tutti sono invece predestinati alla Gloria e cioè alla loro effettiva salvezza in Cielo, in quanto ciò dipende dalla loro libera volontà.
Insomma, Dio sa tutto in anticipo ma l’uomo saprà se si sarà salvato o meno solamente nel momento in cui – morto il corpo – la sua anima si presenterà a Dio per essere giudicata istantaneamente in un infinitesimo di attimo della nostra più piccola unità di tempo.
A questo riguardo ricordo che il Gesù valtortiano aveva precisato in una occasione:2 «…Tornare all’Origine, presentarsi al Giudice G., non vuol dire andare in un dato luogo né esattamente andare ai piedi dell’eterno trono. Sono, queste, formule usate per aiutare il vostro pensiero. L’anima che lascia la carne che animava si trova immediatamente di fronte alla Divinità che la giudica, senza necessità di salire e presentarsi alle soglie del beato Regno. È catechismo che Dio è in Cielo, in terra e in ogni luogo. E perciò l’incontro avviene dovunque. La Divinità empie di Sé il Creato. È quindi presente in ogni luogo del Creato. Io sono che giudico. Ma Io inscindibile dal Padre e dallo Spirito Santo, onnipresenti in ogni luogo».
L’anima viene dunque giudicata da Dio, e destinata alla vita eterna o alla morte eterna, proprio lì dove è nell’istante della morte corporale, cioè in qualunque luogo la persona si trovi, perché Dio è… ovunque: in Cielo, in terra e in ogni luogo.
Nell’istante in cui la vita corporale cessa, inizia per l’anima quella immortale, vita destinata a completarsi con il corpo risorto, nella buona come nella cattiva sorte, nel momento del Giudizio universale.
Nessuno può essere certo in anticipo della propria salvezza, né tantomeno lo potranno sapere quelle persone – ad esempio ‘strumenti’ di vario genere o profeti – che hanno ricevuto doni straordinari da Dio, ma hanno poi sprecato il talento finendo per meritare una maggior punizione in funzione del talento più o meno grande che avevano ricevuto.
Tutto ciò significa forse che Dio si disinteressa degli uomini?  No, Egli – che ci ha posto a fianco anche un Angelo Custode per guidarci meglio – aiuta tutti con consigli ‘silenziosi’ (per non menomare la nostra libertà come potrebbe succedere se ‘alzasse la voce’) sussurrati alla nostra anima spirituale. E lo fa anche - e oserei dire quasi soprattutto - nei confronti di chi pecca e che quindi ha più bisogno di consigli.
Dio tuttavia ha non solo ridonato a tutti gli uomini la predestinazione alla Grazia - attraverso Gesù Cristo - ma ha aggiunto altri importanti aiuti divini come i Sette Sacramenti, atti a sorreggerci nel nostro cammino spirituale, sol che lo vogliamo.
Pertanto quanto più l’uomo vive da giusto conoscendo in tal modo Dio sempre meglio, e quanto più si rafforza per migliorarsi ulteriormente, tanto più da Dio riceve soccorso in cambio della sua accertata e confermata buona volontà.

1  M.V.: ‘Quadernetti’ – 48.34 - 23.10.48 – Centro Editoriale Valtortiano
2  M.V.: ‘I Quaderni del 1945-1950’ – 28.1.47 – Centro Editoriale Valtortianao
3.4 Lo Spirito Santo: «Perché altra è la predestinazione alla Grazia divina, comune a tutti gli uomini, e perciò concessa gratuitamente da Dio in misura sufficiente a salvarsi; e altra è la predestinazione alla gloria che viene data a quelli che durante la vita terrena hanno bene usato del dono della Grazia, e le sono rimasti FEDELI».
L’argomento della Grazia - e della predestinazione alla Grazia ed alla Gloria - è davvero fondamentale e poiché – come dicevano i latini – ‘repetita juvant’, vorrei continuare ad approfondirlo qui di seguito attraverso una ulteriore lezione che lo Spirito Santo impartisce alla mistica.
Si tratta di lezioni oggettivamente ‘articolate’: per comprenderle meglio bisogna conoscere l’Epistola ai Romani redatta da San Paolo, alla quale esse sono un commento, ed avere possibilmente anche una conoscenza della totalità delle lezioni impartite alla mistica dallo Spirito Santo.
Determinati concetti si possono infatti comprendere meglio alla luce di una lezione precedente o susseguente.
Ciò nonostante, anche se qualcuno dei brani dello Spirito Santo qui riportati dovesse risultare un pochino ‘ostico’ per un lettore che non abbia particolari conoscenze di teologia, è comunque facile comprenderne il senso per via ‘intuitiva’, ed anche questo potrebbe essere un ‘dono’ dello Spirito Santo!
Ecco dunque la lezione (i grassetti sono miei): 1
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Ai Romani C. 7°, v. 14‑25.
Dice il Dolce Ospite:
«La Legge è spirituale. Lo è anche quando vieta cose materiali.
Veramente nel Decalogo2 i comandi puramente spirituali sono i primi tre.
Gli altri sette, e specie gli ultimi sei, sono divieti a peccati contro il prossimo, contro la sua vita, la sua proprietà, i suoi diritti, il suo onore. Si potrebbe allora dire che chiamare “spirituale” la Legge è giusto perché essa viene da Dio, ma non è in tutto giusto in quanto essa comanda, per due buoni terzi di essa, di non commettere atti materiali che Dio vieta di commettere.
Ma al disopra dei dieci Comandamenti della Legge perfetta sta la perfezione della Legge, coi due comandamenti dati dal Verbo docente: «‘Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente’. Questo è il massimo e primo comandamento. Il secondo è simile a questo: ‘Amerai il tuo prossimo come te stesso’. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge ed i profeti»3.
Nella luce della Luce, che è il Verbo, si illumina la spiritualità che è in tutta la Legge perché è data a far vivere nell’amore. Perché tutta la Legge riposa e vive per l’amore. E perché l’amore è cosa spirituale, quale che sia l’Ente o la creatura verso i quali si volge.
Triplice amore a Dio: amore del cuore, dell’anima, della mente; perché nell’uomo è questa piccola trinità: materia (cuore), anima (spirito), mente (ragione); e giusto è che le tre cose create da Dio per fare un’unica creatura ‑ l’uomo ‑ a Dio ugualmente diano riconoscenza per l’essere che hanno avuto da Dio.
Triplice amore dunque: amore del cuore, dell’anima, della mente; perché Adamo peccò col cuore (concupiscenza della carne), con l’anima (concupiscenza dello spirito), con la mente (concupiscenza della ragione), uscendo dall’ordine, per abusare dei doni ricevuti da Dio, e offendendo Dio con gli stessi doni da Lui ricevuti perché l’uomo potesse somigliargli ed essergli causa di gloria.
Con le cose che peccarono va dunque riparato il peccato, cancellata l’offesa, ristabilito l’ordine violato.
E il Verbo si fece Carne per fare ciò, e per ridarvi “la grazia e verità” e in misura piena, traboccante, inesauribile.
Con quanto peccò il primo uomo, l’Uomo‑Dio ripara.
E insegna a voi, con l’esempio più ancor che con la dottrina, che è perfetta ma che potreste giudicare impossibile a praticarsi, come si ripara.
Egli è Maestro di fatti, non solo di parole. E quanto Egli ha fatto voi potete fare.
In ogni uomo persiste l’eredità di Adamo.
È come nascosto in ogni carne un Adamo che può essere debole nella prova, come lo fu il primo Adamo all’origine del tempo.
Ma Cristo è venuto perché le vostre cadute siano riparate, risarcite le vostre piaghe, restituita la Grazia vitale quando la vostra debolezza nelle prove quotidiane vi fa morti di quella vita soprannaturale che il Battesimo vi aveva data.
Ma Cristo è venuto per esservi Maestro e Modello e perché voi gli siate discepoli e fratelli, non soltanto di nome e nella carne, ma in spirito e verità, imitandolo nella sua perfezione, nel suo triplice amore verso Dio.
Per questo triplice amore, Gesù fu fedele alla giustizia della carne, nonostante fosse provato e fosse libero nel suo libero arbitrio come ogni uomo.
Per questo triplice amore, Gesù fu perfetto nella giustizia dell’anima, ossia nell’ubbidienza all’antico precetto divino: “Amerai il Signore Iddio tuo”4, non sentendosi esente da questo dovere perché era Dio come il suo Eterno Generante; Uomo‑Dio, vero Uomo e vero Dio non per infusione temporanea dello Spirito di Dio in una carne predestinata a tal sorte, o per unione morale di un giusto col suo Dio, ma per unione ipostatica delle due Nature, senza mutazione della natura divina perché unita a quella umana, senza alterazione della natura umana - composta di carne, mente, spirito ‑ perché unita alla natura divina.
Per questo triplice amore, infine, Gesù fu sublime nella giustizia della mente, sottomettendo il suo intelletto perfettissimo non soltanto alla Legge divina, come deve fare ogni uomo che la conosca, ma anche ai disegni di Dio Padre per Lui e su Lui: l’Uomo, accettando ogni cosa proposta, compiendo ogni ubbidienza, sino all’estrema della morte di croce.
“Fattosi servo”5 per tutta un’Umanità decaduta, Gesù ha passato il segno da Lui stesso messo agli uomini perché raggiungano l’amore perfetto, ma non ha imposto agli uomini il sacrificio totale come termine d’amore per possedere il Cielo, e nel secondo precetto d’amore non vi dice altro che: “Amate il vostro prossimo come amereste voi stessi”.
Egli è andato oltre. Non si è limitato ad amare il prossimo suo come amava Se stesso, ma lo ha amato ben più di Se stesso, perché per dare bene a questo suo prossimo ha sacrificato la sua vita e l’ha consumata nel dolore e nella morte.
Ma a voi non propone tanto.
Gli basta che la grande maggioranza dei membri del suo Corpo Mistico portino la piccola croce di ogni giorno e amino il prossimo come amano se stessi.
Solo ai suoi eletti, ai suoi predestinati, Egli indica la sua Croce e la sua sorte e dice: “Amatevi come Io vi ho amato”, e insiste: “Nessuno ha un amore più grande di quello di colui che dà la vita per i suoi amici”, e termina: “Voi siete miei amici, se farete quello che Io comando”6.
La predestinazione non è mai separata dall’eroismo. I santi sono eroi. In questa o in quella maniera, nella maniera che Dio loro propone, la loro vita è eroica. Essi sanno ciò che fanno, sanno a cosa li conduce il fare ciò che fanno. Ma non se ne spaventano. Sanno anche che ciò che loro fanno serve a continuare la Passione di Cristo, e ad aumentare i tesori della Comunione dei Santi, a salvare il mondo dai castighi di Dio, a strappare all’Inferno tanti tiepidi e peccatori che, senza la loro immolazione, non si salverebbero dalla dannazione. Perché anche la tiepidezza, raffreddando gradatamente la carità che ogni uomo deve avere per poter vivere in Dio, conduce lentamente alla morte dell’anima come per un’inedia spirituale.
Se la predestinazione fosse disgiunta dal volere eroico della creatura, sarebbe cosa non giusta. E Dio non può volere cose non giuste.
Parlo qui della predestinazione alla santità, proclamata dalla giustizia della vita e dai fatti straordinari che punteggiano come stelle la vita e la via del predestinato fedele alla sua predestinazione alla gloria, e che continuano ad essere proclamati dai miracoli oltre la morte del predestinato.
Perché altra è la predestinazione alla Grazia divina, comune a tutti gli uomini, e perciò concessa gratuitamente da Dio in misura sufficiente a salvarsi; e altra è la predestinazione alla gloria che viene data a quelli che durante la vita terrena hanno bene usato del dono della Grazia, e le sono rimasti fedeli nonostante ogni prova di tentazione al male, o di ogni altro dono straordinario, accettato con commossa gioia, ma non preteso e non distrutto facendo di esso una stolta presunzione di essere tanto amati e tanto sicuri di possedere già la gloria, da non essere più necessario lottare e perseverare nell’eroismo per arrivarvi.
Il quietismo, nel quale degenerano talora i primi impulsi di uno spirito chiamato a via straordinaria, è inviso a Dio.
E così pure la superbia e la gola spirituale: i due peccati così facili negli eletti, beneficati e provati per confermarli nella missione o privarli di essa come indegni da doni straordinari, i peccati di Lucifero, di Adamo, di Giuda di Keriot, che avendo moltissimo vollero aver tutto; che credendosi sicuri di salvarsi senza merito e per il solo amore da parte di Dio; che fidando soltanto nell’infinita Bontà senza pensare che la perfetta, divina Bontà, pur essendo infinita, non diviene mai stoltezza e ingiustizia; che credendosi “dèi perché tanto erano stati eletti, peccarono così gravemente.
Dio certamente sa quali saranno coloro che rimarranno perseveranti eroicamente sino alla fine, mentre l’uomo non sa se sarà perseverante sino alla fine.
E anche in questo è giustizia.
Perché se Dio volesse che nonostante il libero arbitrio dell’uomo, molto sovente causa contraria rispetto al conseguimento della gloria ‑ perché l’uomo difficilmente usa giustamente di questo regale dono di Dio, donato onde l’uomo, conscio del suo fine ultimo, liberamente elegga di compiere solo le azioni buone per meritare il conseguimento di quel beato fine ‑ ogni uomo fosse salvo, costringerebbe gli uomini a non peccare.
Ma allora verrebbe meno al suo rispetto per la libertà dell’individuo, creato da Lui con tutti quei doni che lo rendono capace di distinguere il bene e il male, capace di comprendere la legge morale e la legge divina, capace di tendere al suo fine e di raggiungerlo.
E verrebbe pure a mancare per ogni singolo predestinato la causa della gloria: l’eroicità della vita per rimanere fedele al fine per cui fu creato e per usare, e usare santamente, dei doni gratuiti avuti da Dio, di quei doni che sono i frutti mirabili dell’Amore divino che vorrebbe la salvezza e il gaudio eterno di ogni uomo, ma che lascia libero l’uomo di volere il suo eterno futuro di gloria o di condanna.
Ed è anche giustizia, questo ignorare, da parte vostra, la vostra sorte ultima.
Perché se voi sapeste il vostro futuro eterno, restereste senza il movente che spinge i giusti ad agire per meritare la visione beatifica di Dio che è gaudio senza misura, e potreste cadere o in quietismo o in superbia anche transitori, ma sempre sufficienti a crearvi più lunga espiazione e minor grado di gloria, mentre gli ingiusti avrebbero in ciò il movente che li spingerebbe a divenire veri satana tanto giungerebbero ad odiare e bestemmiare Dio, odiare e nuocere al prossimo loro, senza più alcun freno, sapendosi già destinati all’inferno.
No. Conoscendo la Legge e il fine a cui porta l’ubbidienza o la disubbidienza alla Legge, ma ignorando quanto solo l’onniveggenza di Dio sa, onde non manchi ai giusti lo sprone del puro amore che meriterà loro la gloria, e non manchi ai perversi, che preferiscono peccato e delitto a giustizia e amore, la libertà di seguire ciò che a loro piace ‑ onde, nell’ora della divina condanna, non compiano l’estremo peccato contro l’Amore lanciandogli questa blasfema accusa: “Ho agito così perché Tu, da sempre, mi avevi destinato all’inferno” ogni creatura ragionevole deve liberamente scegliere la via che le piace, ed eleggersi il fine preferito.
La predestinazione alla gloria non è un dono gratuito concesso a tutti gli uomini, ma è una conquista, oltre che un dono, fatta dai perseveranti nella giustizia, una conquista che si ottiene coll’uso perfetto dei doni e aiuti di Dio e con la buona volontà che non lascia mai inerte alcuna cosa proposta o donata da Dio, ma tutto rende attivo e tutto volge al fine santo della visione intuitiva di Dio, e al possesso gaudioso di Lui.
Alcuno obbietta: “Ma allora solo coloro che sono santi al momento della morte hanno la gloria? E gli altri? Il Purgatorio è forse prigione meno dolorosa, ma sempre costringente, che separa le anime da Dio? Non sono dei predestinati al Cielo anche gli spiriti purganti?”.
Lo sono. Un giorno verrà, e sarà quello del Giudizio finale, nel quale il Purgatorio non sarà più, e i suoi abitanti passeranno al Regno di Dio.
E anche il Limbo non sarà più, perché il Redentore è tale per tutti gli uomini che seguono la giustizia per onorare il Dio in cui credono, e per tendere a Lui, così come lo conoscono, con tutte le loro forze.
Però quanto esilio ancora, dopo la vita terrena, per costoro!
E quanto, per coloro che limitano il loro amare ed operare a quel minimo sufficiente a non farli morire in disgrazia di Dio, che conoscono come cattolici!
Quanta differenza tra costoro, salvati, più che per merito loro, per i meriti infiniti del Salvatore, per l’intercessione di Maria, per i tesori della Comunione dei Santi e le preghiere e sacrifici dei giusti, e coloro che vollero la gloria non per egoismo ma per amore a Dio!
Quanta tra i primi che, a fatica e con molte soste di languore, sussurri di malcontento, e anche smarrimenti su vie di egoismo, trascinano come una catena e un peso il loro limitatissimo amore, e i secondi che, veri amanti di Dio e imitatori di Gesù Cristo, “amano come Gesù ha amato” dando anche la vita, e sempre abbracciando ogni croce, chiedendo anzi la croce come dono dei doni, per salvare la vita dell’anima al prossimo loro, anime-ostie le quali al conoscimento divino appaiono da sempre “amici di Gesù” perché faranno ciò che Egli comanda loro!
Presente eterno: “Siete miei amici”. Dio conosce.
Condizionale individuale: “Se farete”. Perché la conquista di un’amicizia richiede opere capaci di ottenere quell’amicizia. Ma l’assicurazione che tali opere vi fanno amico colui che volete tale, vi aiuta a compierle. Come tra gli uomini, così, e anche più perfettamente, tra Dio e uomini.
Gesù, quando già la lezione era più “fatto” che parola, dà l’ultima lezione ai suoi apostoli, perché raggiungano la perfezione richiesta da Gesù per chiamarli “amici”.
E quella è la perfezione richiesta da Gesù a tutti i predestinati a gloria rapida, proclamata dalla giustizia eroica della vita, dai fatti straordinari durante la vita, e dai miracoli dopo la morte. “Voi siete miei amici, se farete quello che Io vi comando”.
Rincuora allo sforzo futuro premiando già col presente: “siete”.
(…)
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Avevo in precedenza avvisato che le Lezioni dello Spirito Santo sono alquanto ‘articolate’ e qui sopra ne avete avuto un esempio. Sono ricchissime, riflettono la sua specifica ‘Personalità’, ed offrono molti spunti alla riflessione.
Al di là degli aspetti principali della suddetta lezione – di per sé chiari ed evidenziati come faccio io da apposite sottolineature in grassetto– vorrei richiamare la vostra attenzione su alcuni particolari:
Gesù, Uomo-Dio, nel suo voler essere ‘giusto’ non volle essere sottomesso solo alla Legge divina, come dovrebbe fare ogni uomo, ma si sottomise anche ai disegni di Dio Padre per Lui e su Lui. Dunque sottomissione totale.
Gesù - mentre si è accontentato di dare una meta relativa a noi uomini, e cioè amare il prossimo come vorremmo essere amati noi stessi - assegnò a Sé un traguardo ben maggiore, quello del sacrificio totale, non volendo limitarsi ad amare il prossimo come se stesso ma amarlo più di se stesso, a prezzo cioè della propria vita.
Non dobbiamo tuttavia spaventarci perché – nel suo amore – Gesù non pretende da noi sacrifici impossibili, non ci vuole addossare croci speciali particolarmente pesanti – privilegio che Egli riserva solo alle anime-vittima come Maria Valtorta - ma si accontenta che noi, oltre ad amare il prossimo come noi stessi, sopportiamo pazientemente la piccola croce di ogni giorno. Le nostre giornate sono piene di piccole croci. Potremmo imprecare, e chissà quante volte lo abbiamo fatto, specie quando abbiamo ragione, ma quale grande valore spirituale – per la Comunione dei santi - avrebbe un nostro sacrificio se dicessimo mentalmente: ‘Signore, quel che mi succede è ingiusto o comunque doloroso e non lo merito, ma io comunque lo accetto e lo offro per amore tuo e la salvezza degli altri!’
Con tale ‘offerta’ non è cambiata in niente la ‘croce’, ma è differente lo spirito con il quale la accettiamo e nel momento in cui facciamo questa piccola offerta la ‘croce’ stessa – caso strano a dirsi – diventa di colpo meno pesante, perché nobilitata dentro al nostro spirito dalla nostra offerta che va a favore di molti.
Gesù riserva invece la croce, la vera croce, ai suoi eletti, ai suoi predestinati alla croce e ... alla Gloria, anzi alla Gloria più alta, ai quali propone infatti la sua stessa sorte: dare la vita per amore degli altri. In questo tipo di predestinazione vi è sempre una componente di eroismo ma i ‘predestinati’ a questa speciale missione non se ne spaventano affatto, anzi per nulla vorrebbero rinunciare alla loro croce di vittime. Interviene infatti lo Spirito Santo che dona loro la forza ed il coraggio che infondeva ai primi martiri cristiani sbranati dalle belve nel Colosseo: essi morivano cantando inni al Signore. I romani pagani rimanevano attoniti, si chiedevano che Dio fosse mai quello per il quale essi accettavano di morire coraggiosamente e anche gioiosamente in quel modo, cominciavano a volerlo conoscere anch’essi e … finivano in molti casi per farsi cristiani, perché non c’è niente come il Sangue del martiri che alimenti la fede.
Dopo la predestinazione alla Grazia e la predestinazione alla gloria, vi è infine un’altra ‘predestinazione’ meno conosciuta, ed è quella alla santità: insomma quella dei santi comprovati tali da tanti segni in vita ed in particolare anche dai miracoli dopo la morte.
Avevamo detto che Dio lascia l’uomo libero di scegliere il proprio destino eterno fausto od infausto, ma non ce ne fa sapere in anticipo l’esito. Se infatti sapessimo di essere ‘destinati’ a salvarci verrebbe a mancarci la molla che ci spinge a far sempre meglio (a meritare quindi un maggior grado di gloria in Cielo ed a contribuire maggiormente ad arricchire il ‘tesoro’ della Comunione dei santi), per non parlare poi del rischio di cadere nel quietismo (inteso come caduta nella inattività e passività di comportamento) o nella superbia, incorrendo nel migliore dei casi in una più lunga espiazione in Purgatorio.
Se dovessimo venire a conoscenza della nostra futura dannazione – non avendo a quel punto più niente da perdere - potremmo essere spinti a comportarci in maniera ancora peggiore, a divenire dei veri ‘satana’ ed a fare ancor più male al prossimo.
Anche quelli del Purgatorio sono predestinati alla gloria, cioè alla salvezza in Cielo, perché il Purgatorio è già di per sé ‘salvezza’, anche se destinata a ‘perfezionarsi’ con la dovuta espiazione e purificazione.
C’è tuttavia modo e modo di salvarsi: c’è chi si può salvare facendo il minimo necessario per non perdersi, salvato solo per i meriti del Salvatore e della Comunione dei santi - ma quanta espiazione poi in Purgatorio! - e c’è chi invece si ‘vuole’ salvare per amore di Dio. I gradi di Gloria in Cielo saranno evidentemente diversi.
Il Limbo dei non battezzati, con i ‘giusti’ pagani attendenti in esso, e lo stesso Purgatorio, alla fine del mondo cesseranno di esistere. Al Giudizio universale i loro ‘abitanti’, già virtualmente salvi, grazie alla loro buona volontà ed ai meriti infiniti di Gesù Cristo, andranno tutti in Cielo.
Alla fine del mondo rimarranno infatti eterni solo il Paradiso e l’Inferno.
La prossima riflessione sarà dedicata a:
4. IL TERZO DISCORSO DELLA MONTAGNA: I CONSIGLI EVANGELICI CHE PERFEZIONANO LA LEGGE.

1 M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – 29.5 / 3.6.48 - Centro Editoriale Valtortiano
2  Esodo 20, 1‑17; Deuteronomio 5, 1‑22
3  Matteo 22, 37‑40
4  Deuteronomio 6, 5
5  Filippesi 2, 7
6  Giovanni 15, 9‑17
      
      
4. IL TERZO DISCORSO DELLA MONTAGNA: I CONSIGLI EVANGELICI CHE PERFEZIONANO LA LEGGE.
4.1. Gesù: «Come vedete, Io non muto e non mutilo la Legge, come non la corrompo con le sovrapposizioni di fermentanti teorie umane…, Io invece faccio della Legge la regina: la completo, l'incorono, mettendo sul suo sommo il serto dei consigli evangelici».
Siamo giunti al terzo giorno e quindi anche al terzo discorso della montagna.
Nella mia Introduzione vi avevo già spiegato le circostanze in cui il Discorso era stato tenuto, una vera e propria ‘Convention’ all’aperto, in un periodo primaverile che in Palestina è già moderatamente caldo e permette – su una collina boscosa1 più che un ‘monte’ vero e proprio – di sostare all’ombra nelle ore più calde del giorno e pernottare all’aperto anche nelle notti stellate e terse di quel paese.
Gli ebrei di allora erano abituati a questi che per noi sarebbero oggigiorno dei grossi disagi.
Portavano con sé delle colazioni al sacco, rifornendosi anche nei paesi più vicini, e si accontentavano di pane, formaggio, olive, piccoli otri d’acqua anche forse in tela che trasudando la mantenevano fresca.
All’occorrenza bevevano anche alle acque dei ruscelli, che allora certo non erano inquinate e scorrevano pure e limpide.
Per dormire all’aperto improvvisavano tende con teli sostenuti da pali recuperati nei boschi stessi, oppure facevano tettoie ricoperte da frasche, ma quanto al dormire si accontentavano di coprirsi dalla brezza fresca notturna con i loro mantelli, poggiando il capo sulle loro sacche. Del resto lo facevano sovente anche Gesù e gli apostoli nella buona stagione quando non trovavano case ospitali e dovevano dormire all’aperto.
Era infatti così che si organizzavano e alzavano tende vicino a Gerusalemme - sul monte degli ulivi suddiviso in ‘accampamenti’ per gruppi di analoga provenienza - i pellegrini che giungevano per quella festività nazionale chiamata Festa delle capanne o dei Tabernacoli che cadeva in autunno, come ringraziamento alla fine dei raccolti.
Quello ebreo era un popolo che aveva antiche tradizioni di vita all’aperto fin dai tempi dell’esodo mosaico nel deserto.
Per non perdere il ‘filo’ delle nostre riflessioni, ricorderò che la sera del primo giorno Gesù aveva tenuto un discorso per i soli apostoli e discepoli, attirando la loro attenzione sul fatto che essi – punto di riferimento per i futuri fedeli – sarebbero stati sotto l’occhio di tutti ed avrebbero quindi dovuto essere ‘luce del mondo e sale della terra’ affinché i fedeli trovassero nelle loro parole la ‘luce’ ed il ‘sapore’ di Dio.
Nel secondo giorno – questa volta per tutto il popolo – Gesù aveva dato inizio ‘ufficiale’ ai suoi discorsi parlando della grandissima importanza del dono della Grazia, elencando poi le varie Beatitudini.
Temi così importanti – ai fini della conoscenza della profondità della dottrina cristiana – che ho voluto dedicarvi ben due ‘riflessioni’: una cinquantina di pagine!
D’altra parte il nostro è un lavoro di ‘studio’ e non dobbiamo spaventarci della lunghezza, salvo meditare con calma paragrafo per paragrafo, anche perché queste ‘riflessioni’ - per quel che di valtortiano contengono – andrebbero ‘centellinate’ per metabolizzarne i vari contenuti.
Bisogna ammettere che gli approfondimenti valtortiani sulla Grazia aprono uno squarcio luminoso su un argomento del quale i più ignorano l’importanza fondamentale ai fini della salvezza.
Chi di noi avrebbe mai potuto avere una spiegazione così illuminante sulla Grazia Santificante – illuminante ed anche meravigliosamente semplice - quale ce l’ha data il Gesù valtortiano, il Maestro per eccellenza?
E la spiegazione delle Beatitudini, poi?
Certo, noi uomini comuni potremmo sentirci presi da una sensazione di sconforto di fronte agli obbiettivi che ci propone Gesù, sono infatti consigli di grande perfezione, ma non dobbiamo dimenticare che Egli indica l’optimum perché ci addita la santità, ma poi – se non ci è possibile – apprezza comunque la nostra buona volontà e conta sul fatto che noi rispettiamo almeno la Legge naturale dei Dieci comandamenti, che tuttavia sono il minimo da osservare, se ci vogliamo salvare.
La grande maggioranza della folla presente doveva essere a quell’epoca analfabeta e comunque incolta, ma dalle parole semplici di Gesù, parole che nessun teologo moderno sarebbe capace di proferire, essa percepiva intuitivamente la elevatezza e ‘giustizia’ di quei concetti, anche perché le parole dell’Uomo-Dio andavano direttamente al cuore dei presenti illuminandoli così come fa Gesù con voi ora con questi suoi Discorsi che avete la fortuna di leggere e meditare.
Ora, in questo terzo giorno, Gesù affronta il tema dei «consigli evangelici che perfezionano la Legge».
È una bella mattina, la gente è tutta raccolta in una conca di prati fioriti dalla quale si vede in basso il Lago di Genezareth con i suoi paesini e cittadine affacciati sulle rive, e sullo sfondo – molto più lontano ad una ottantina di chilometri in linea d’aria ma ben visibile nell’aria tersa, grazie anche alle sue cime scintillanti di neve - si vede l’alto monte Hermon.
Gesù – dotato di sguardo magnetico e voce vibrante e tenorile - riusciva a farsi udire e ben vedere parlando da una piccola roccia sopraelevata da dove, con il suo abito azzurro, dominava con l’occhio la folla sottostante che lo ascoltava in profondo silenzio.
La località del Discorso sarebbe stata oggigiorno individuata a circa una quindicina di chilometri sulle colline alle spalle della città di Tiberiade, mentre lungo le sponde del Lago, oltre Tiberiade, vi erano i paesi rivieraschi di Magdala, dove Maria Maddalena possedeva una sontuosa villa, quindi in successione a pochi chilometri l’uno dall’altro, le cittadine di Genezareth, Cafarnao, Corazim e Betsaida, paese – quest’ultimo – di Pietro e di Zebedeo, padre degli apostoli Giovanni e Giacomo di Zebedeo.2
Pietro e Zebedeo erano soci, ciascuno con una propria barca. Essi pescavano e poi commercializzavano il pesce vendendolo su banchetti in paese o nei paesi limitrofi o spedendolo anche in località più lontane magari dopo averlo salato o essiccato se non affumicato. Avevano anche dei garzoni che li aiutavano nel commercio e nella manutenzione delle barche e delle reti in aiuto ai figli di Zebedeo, anch’essi addetti alla pesca ed alle manovre delle barche a vela sotto i comandi di Pietro, Capo barca.
La naturale attitudine al comando di Pietro - oltre al rispetto che tutti gli altri apostoli gli portavano anche per la sua bontà sotto la scorza ruvida, per la sua umiltà e onestà oltre all’amore che egli nutriva per Gesù - sarà una delle qualità per cui Gesù lo avrebbe poi eletto Capo del Gruppo apostolico.
Diamo ora dunque corso alla visione di Maria Valtorta (i grassetti sono miei): 3
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25 maggio 1945.
Continua il discorso del Monte.
Il luogo e l'ora sono sempre gli stessi. La gente è ancora più aumentata. In un angolo, presso un sentiero, come volesse udire ma non eccitare ripugnanze fra la folla, è un romano. Lo distinguo per la veste corta e il mantello diverso. Ancora vi sono Stefano e Erma.
E Gesù va lentamente al suo posto e riprende a parlare.
«Con quanto vi ho detto ieri non dovete giungere al pensiero che Io sia venuto per abolire la Legge.4
No. Solo, poiché sono l'Uomo e comprendo le debolezze dell'uomo, Io ho voluto rincuorarvi a seguirla col dirigere il vostro occhio spirituale non all'abisso nero, ma all'Abisso luminoso. Perché, se la paura di un castigo può trattenere tre volte su dieci, la certezza di un premio slancia sette volte su dieci. Perciò più che la paura fa la fiducia. Ed Io voglio che voi l'abbiate piena, sicura, per potere fare non sette parti di bene su dieci, ma dieci parti su dieci e conquistare questo premio santissimo del Cielo.
Io non muto un iota della Legge.
E chi l'ha data fra i fulmini del Sinai? L'Altissimo.
Chi è l'Altissimo? Il Dio uno e trino.
Da dove l'ha tratta? Dal suo Pensiero.
Come l'ha data? Con la sua Parola.
Perché l'ha data? Per il suo Amore.
Vedete dunque che la Trinità era presente.
Ed il Verbo, ubbidiente come sempre al Pensiero e all'Amore, parlò per il Pensiero e per l'Amore.
Potrei smentire Me stesso? Non potrei.
Ma posso, poiché tutto Io posso, completare la Legge, farla divinamente completa, non quale la fecero gli uomini che durante i secoli non la fecero completa ma soltanto indecifrabile, inadempibile, sovrapponendo leggi e precetti, e precetti e leggi, tratti dal loro pensiero, secondo il loro utile, e gettando tutta questa macia a lapidare e soffocare, a sotterrare e sterilire la Legge santissima data da Dio.
Può una pianta sopravvivere se la sommergono per sempre valanghe, macerie e inondazioni? No. La pianta muore.
La Legge è morta in molti cuori, soffocata sotto le valanghe di troppe soprastrutture.
Io sono venuto a levarle tutte e, disseppellita la Legge, risuscitata la Legge, ecco che Io la faccio non più legge ma regina.
2Le regine promulgano le leggi. Le leggi sono opera delle regine, ma non sono da più delle regine.
Io invece faccio della Legge la regina: la completo, l'incorono, mettendo sul suo sommo il serto dei consigli evangelici.
Prima era l'ordine. Ora è più dell'ordine.
Prima era il necessario. Ora è più del necessario. Ora è la perfezione.
Chi la disposa, così come Io ve la dono, all'istante è re perché ha raggiunto il "perfetto", perché non è stato soltanto ubbidiente ma eroico, ossia santo, essendo la santità la somma delle virtù portate al vertice più alto che possa esser raggiunto da creatura, eroicamente amate e servite col distacco completo da tutto quanto è appetito e riflessione umana verso qual che sia cosa.
Potrei dire che il santo è colui al quale l'amore e il desiderio fanno da ostacolo ad ogni altra vista che Dio non sia. Non distratto da viste inferiori, egli ha le pupille del cuore ferme nello Splendore SS. che è Dio e nel quale vede, poiché tutto è in Dio, agitarsi i fratelli e tendere le mani supplici.
E senza staccare gli occhi da Dio, il santo si effonde ai fratelli supplicanti. Contro la carne, contro le ricchezze, contro le comodità, egli drizza il suo ideale: servire.
Povero il santo? Menomato?
No. E’ giunto a possedere la sapienza e la ricchezza vere. Possiede perciò tutto. Né sente fatica perché, se è vero che è un produttore continuo, è pur anche vero che è un nutrito di continuo. Perché, se è vero che comprende il dolore del mondo, è anche vero che si pasce della letizia del Cielo. Di Dio si nutre, in Dio si allieta. È la creatura che ha compreso il senso della vita.
Come vedete, Io non muto e non mutilo la Legge, come non la corrompo con le sovrapposizioni di fermentanti teorie umane. Ma la completo.
Essa è quello che è, e tale sarà fino all'estremo giorno, senza che se ne muti una parola o se ne levi un precetto. Ma è incoronata del perfetto.
Per avere salute basta accettarla così come fu data.
Per avere immediata unità con Dio occorre viverla come Io la consiglio.
Ma poiché gli eroi sono l'eccezione, Io parlerò per le anime comuni, per la massa delle anime, acciò non si dica che per volere il perfetto rendo ignoto il necessario. Però di quanto dico ritenete bene questo: colui che si permette di violare uno fra i minimi di questi comandamenti sarà tenuto minimo nel Regno dei Cieli.
E colui che indurrà altri a violarli sarà ritenuto minimo per lui e per colui che egli indusse alla violazione.
Mentre colui che con la vita e le opere, più ancora che con la parola, avrà persuaso altri all'ubbidienza, costui grande sarà nel Regno dei Cieli, e la sua grandezza si aumenterà per ognuno di quelli che egli avrà portato ad ubbidire e a santificarsi così.
Io so che ciò che sto per dire sarà agro alla lingua di molti. Ma Io non posso mentire anche se la verità che sto per dire mi farà dei nemici.
In verità vi dico che se la vostra giustizia non si ricreerà, distaccandosi completamente dalla povera e ingiustamente definita giustizia che vi hanno insegnata scribi e farisei; che se non sarete molto più, e veramente, giusti dei farisei e scribi, che credono esserlo con l'aumentare delle formule ma senza mutazione sostanziale degli spiriti, voi non entrerete nel Regno dei Cieli.
Guardatevi dai falsi profeti e dai dottori d'errore.5
Essi vengono a voi in veste d'agnelli e lupi rapaci sono, vengono in veste di santità e sono derisori di Dio, dicono di amare la verità e si pascono di menzogne. Studiateli prima di seguirli.
L'uomo ha la lingua e con questa parla, ha gli occhi e con questi guarda, ha le mani e con esse accenna. Ma ha un'altra cosa che testimonia con più verità del suo vero essere: ha i suoi atti.
E che volete che sia un paio di mani congiunte in preghiera se poi l'uomo è ladro e fornicatore?
E che due occhi che volendo fare gli ispirati si stravolgono in ogni senso, se poi, cessata l'ora della commedia, si sanno fissare ben avidi sulla femmina, o sul nemico, per lussuria o per omicidio?
E che volete che sia la lingua che sa zufolare la bugiarda canzone delle lodi e sedurvi con i suoi detti melati, mentre poi alle vostre spalle vi calunnia ed è capace di spergiurare pur di farvi passare per gente spregevole?
Che è la lingua che fa lunghe orazioni ipocrite e poi veloce uccide la stima del prossimo o seduce la sua buona fede? Schifo è! Schifo sono gli occhi e le mani menzognere.
Ma gli atti dell'uomo, i veri atti, ossia il suo modo di comportarsi in famiglia, nel commercio, verso il prossimo ed i servi, ecco quello che testimoniano: "Costui è un servo del Signore".
Perché le azioni sante sono frutto di una vera religione. Un albero buono non dà frutti malvagi e un albero malvagio non dà frutti buoni.
Questi pungenti roveti potranno mai darvi uva saporita? E quegli ancora più tribolanti cardi potranno mai maturarvi morbidi fichi? No, che in verità poche e aspre more coglierete dai primi e immangiabili frutti verranno da quei fiori, spinosi già pur essendo ancora fiori.
L'uomo che non è giusto potrà incutere rispetto con l'aspetto, ma con quello solo. Anche quel piumoso cardo sembra un fiocco di sottili fili argentei che la rugiada ha decorato di diamanti. Ma se inavvertitamente lo toccate, vedete che fiocco non è, ma mazzo di aculei, penosi all'uomo, nocivi alle pecore, per cui i pastori lo sterpano dai loro pascoli e lo gettano a perire nel fuoco acceso nella notte perché neppure il seme si salvi. Giusta e previdente misura.
Io non vi dico: "Uccidete i falsi profeti e gli ipocriti fedeli". Anzi vi dico: "Lasciatene a Dio il compito". Ma vi dico: "Fate attenzione, scostatevene per non intossicarvi dei loro succhi".
Come debba essere amato Dio, ieri l'ho detto. Insisto a come debba essere amato il prossimo.6
Un tempo era detto: "Amerai il tuo amico e odierai il tuo nemico". No. Non così. Questo è buono per i tempi in cui l'uomo non aveva il conforto del sorriso di Dio. Ma ora vengono i tempi nuovi, quelli in cui Dio tanto ama l'uomo da mandargli il suo Verbo per redimerlo.
Ora il Verbo parla. Ed è già Grazia che si effonde. Poi il Verbo consumerà il sacrificio di pace e di redenzione e la Grazia non solo sarà effusa, ma sarà data ad ogni spirito credente nel Cristo. Perciò occorre innalzare l'amore di prossimo a perfezione che unifica l'amico al nemico.
Siete calunniati? Amate e perdonate.
Siete percossi? Amate e porgete l'altra guancia a chi vi schiaffeggia pensando che è meglio che l'ira si sfoghi su voi, che la sapete sopportare, anziché su un altro che si vendicherebbe dell'affronto.
Siete derubati? Non pensate: "Questo mio prossimo è un avido", ma pensate caritativamente: "Questo mio povero fratello è bisognoso" e dategli anche la tunica se già vi ha levato il mantello. Lo metterete nella impossibilità di fare un doppio furto perché non avrà più bisogno di derubare un altro della tunica.
Voi dite: "Ma potrebbe essere vizio e non bisogno". Ebbene, date ugualmente. Dio ve ne compenserà e l'iniquo ne sconterà. Ma molte volte, e ciò richiama quanto ho detto ieri sulla mansuetudine, vedendosi così trattato, cade dal cuore del peccatore il suo vizio, ed egli si redime giungendo a riparare il furto col rendere la preda.
Siate generosi con coloro che, più onesti, vi chiedono, anziché derubarvi, ciò di cui abbisognano.
Se i ricchi fossero realmente poveri di spirito come ho insegnato ieri, non vi sarebbero le penose disuguaglianze sociali, cause di tante sventure umane e sovrumane.
Pensate sempre: "Ma se io fossi nel bisogno, che effetto mi farebbe la ripulsa di un aiuto?", e in base alla risposta del vostro io agite.
Fate agli altri ciò che vorreste vi fosse fatto e non fate agli altri ciò che non vorreste fatto a voi.7
L'antica parola: "Occhio per occhio, dente per dente", che non è nei dieci comandi ma che è stata messa perché l'uomo privo della Grazia è tal belva che non può che comprendere la vendetta, è annullata, questa sì che è annullata, dalla nuova parola: "Ama chi ti odia, prega per chi ti perseguita, giustifica chi ti calunnia, benedici chi ti maledice, benefica chi ti fa danno, sii pacifico col rissoso, condiscendente con chi ti è molesto, soccorri di buon grado chi a te ricorre e non fare usura, non criticare, non giudicare".
Voi non sapete gli estremi delle azioni degli uomini. In tutti i generi di soccorso siate generosi, misericordiosi siate.
Più darete più vi sarà dato, e una misura colma e premuta sarà versata da Dio in grembo a chi fu generoso. Dio non solo vi darà per quanto avete dato, ma più e più ancora.
Cercate di amare e di farvi amare. Le liti costano più di un accomodamento amichevole e la buona grazia è come un miele che a lungo resta col suo sapore sulla lingua.
Amate, amate! Amate amici e nemici per essere simili al Padre vostro che fa piovere sui buoni e sui cattivi e fa scendere il sole sui giusti e sugli ingiusti riservandosi di dare sole e rugiade eterne, e fuoco e grandine infernali, quando i buoni saranno scelti, come elette spighe, fra i covoni del raccolto.
Non basta amare coloro che vi amano e dai quali sperate un contraccambio. Questo non è un merito, è una gioia, e anche gli uomini naturalmente onesti lo sanno fare. Anche i pubblicani lo fanno e anche i gentili. Ma voi amate a somiglianza di Dio e amate per rispetto a Dio, che è Creatore anche di quelli che vi sono nemici o poco amabili. Io voglio in voi la perfezione dell'amore e perciò vi dico: "Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei Cieli".
Tanto è grande il precetto d'amore verso il prossimo, il perfezionamento del precetto d'amore verso il prossimo, che Io più non vi dico come era detto: "Non uccidete"8, perché colui che uccide sarà condannato dagli uomini. Ma vi dico: "Non vi adirate" perché un più alto giudizio è su voi e calcola anche le azioni immateriali.
Chi avrà insultato il fratello sarà condannato dal Sinedrio. Ma chi lo avrà trattato da pazzo, e perciò danneggiato, sarà condannato da Dio. Inutile fare offerte all'altare se prima non si è sacrificato nell'interno del cuore i propri rancori per amore di Dio e non si è compito il rito santissimo del saper perdonare.
Perciò se quando stai per offrire a Dio tu ti sovvieni di avere mancato verso il tuo fratello o di avere in te rancore per una sua colpa, lascia la tua offerta davanti all'altare, fa' prima l'immolazione del tuo amor proprio, riconciliandoti col tuo fratello, e poi vieni all'altare, e santo sarà allora, solo allora, il tuo sacrificio.
Il buon accordo è sempre il migliore degli affari.
Precario è il giudizio dell'uomo, e chi ostinato lo sfida potrebbe perdere la causa e dovere pagare all'avversario fino all'ultima moneta o languire in prigione. Alzate in tutte le cose lo sguardo a Dio. Interrogatevi dicendo: "Ho io il diritto di fare ciò che Dio non fa con me?".
Perché Dio non è così inesorabile e ostinato come voi siete. Guai a voi se lo fosse! Non uno si salverebbe. Questa riflessione vi induca a sentimenti miti, umili, pietosi. E allora non vi mancherà da parte di Dio, qui e oltre, la ricompensa.
6Qui, a Me davanti, è anche uno che mi odia e che non osa dirmi: "Guariscimi", perché sa che Io so i suoi pensieri. Ma Io dico: "Sia fatto ciò che tu vuoi. E come ti cadono le scaglie dagli occhi così ti cadano dal cuore il rancore e le tenebre".
Andate tutti con la mia pace. Domani ancora vi parlerò».
La gente sfolla lentamente, forse in attesa di un grido di miracolo che non viene. Anche gli apostoli e i discepoli più antichi, che restano sul monte, chiedono: «Ma chi era? Non è guarito forse?» e insistono presso il Maestro che è rimasto in piedi, a braccia conserte, a veder scendere la gente.
Ma Gesù sulle prime non risponde; poi dice: «Gli occhi sono guariti. L'anima no. Non può perché è carica di odio».
«Ma chi è? Quel romano forse?».
«No. Un disgraziato».
«Ma perché lo hai guarito, allora?» chiede Pietro.
«Dovrei fulminare tutti i suoi simili?».
«Signore... io so che Tu non vuoi che dica: "sì ", e perciò non lo dico… ma lo penso… ed è lo stesso...»
«E’ lo stesso, Simone di Giona. Ma sappi che allora... Oh! quanti cuori pieni di scaglie d'odio intorno a Me! Vieni. Andiamo proprio là in cima, a guardare dall'alto il nostro bel mare di Galilea. Io e te soli».


1  N.d.A.: Dalla carta geografica della Palestina riportante i viaggi di Gesù stampata a cura del Centro Editoriale valtortiano, il Monte delle Beatitudini (chiamato sulla ‘carta’ anche ‘Corni di Attin’) risulterebbe essere una collina alta 326 metri.
2  N.d.A.: Zebedeo aveva per moglie Maria di Zebedeo, ossia Maria Salome, discepola anch’ella di Gesù, che avrebbe poi chiesto a Gesù - per Giacomo e Giovanni, come citato nei Vangeli – il posto alla Sua destra e alla Sua sinistra per il suo Regno, perché anch’ella non ne aveva ben compreso la natura spirituale, come del resto lo stesso apostolo Giuda che – deluso nelle sue aspettative terrene - si decise a tradire Gesù quando lo comprese. Maria Salome sarà presente sul Calvario.
3  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. III, Cap. 171 – Centro Editoriale Valtortiano
4  Mt 5, 17-20: 17Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. 18In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. 19Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
20Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
5  Mt 7, 15-20: 15Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! 16Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? 17Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; 18un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. 19Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. 20Dai loro frutti dunque li riconoscerete.
6  Mt 5, 38-48: «38Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. 39Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l'altra, 40e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. 41E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. 42Da' a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
43Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. 44Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. 46Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.»
7  Mt 7, 12: 12Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti.
8  Mt 5, 21-26: 21Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: «Stupido», dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: «Pazzo», sarà destinato al fuoco della Geènna.
23Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
25Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. 26In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo!

      
4.2 Il consiglio evangelico del perdono: Gesù: «Perdonate sempre a chi vi fa del male. Perdonate per essere perdonati, perché anche voi avete colpe verso Dio e i fratelli. Il perdono apre il Regno dei Cieli tanto al perdonato come al perdonante.»
Voi avrete certamente notato che ho via-via contrassegnato alcuni punti del Discorso del Gesù valtortiano con i corrispondenti richiami in nota riferiti ai rispettivi brani del Vangelo di Matteo.
Avrete anche notato che il discorso di Gesù – quanto all’essenza riportata da Matteo non varia in niente, non la muta di uno jota ma piuttosto la completa ed amplifica rendendola più comprensibile.
Quei critici dell’Opera valtortiana (in antitesi invece con i numerosi ed autorevoli estimatori in tutto il mondo) che ne hanno messo in dubbio l’ispirazione divina – per altro in moltissimi casi senza neanche averla letta se non limitatamente a poche pagine o avendola letta con prevenzione che acceca e questo lo si comprende perfettamente dalle loro obbiezioni – non dovrebbero avere dubbi sulla sua origine soprannaturale non solo per la Sapienza che emerge dall’Opera ma anche per il perfetto ‘incastro’ logico dei brani dell’Evangelista Matteo nel contesto del Discorso del Gesù valtortiano.
E’ il Gesù valtortiano che consente di comprendere appieno il testo di Matteo, e non viceversa.
Solo Gesù-Dio può infatti esprimere con maggiore e anzi completa compiutezza e Sapienza quel che Matteo aveva ridotto a pochi versetti, versetti che un teologo particolarmente preparato potrebbe certamente sviluppare nelle implicazioni ma mai – dico mai – nella forma sapiente e pur semplice con cui lo fa qui l’Uomo-Dio.
I Vangeli canonici sono quattro e quattro restano e presentare ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ come un ‘quinto’ Vangelo, sarebbe un grave errore.
E’ stato detto1 che il suddetto ‘Evangelo’ è rivelato ed ha Dio per autore. Dio è autore di una rivelazione quando illumina la mente, muove la volontà e guida le facoltà di un suo strumento per dare agli uomini la sua rivelazione. Ora, tutta quest’Opera di Gesù dimostra questo intervento di Dio. Quindi, quest'Opera è rivelata ed ha Dio per autore.
Infatti, la mente del "piccolo strumento", Maria Valtorta, è illuminata da misteri e verità che lei stessa ignora; la sua memoria ricorda, con fedeltà impressionante, visioni, discorsi e dialoghi alquanto incomprensibili a mente umana; la sua volontà è mossa a compiere questa missione proprio quando il suo stato fisico è impedito da gravi malori; le sue facoltà, già scompensate dallo stato patologico quasi permanente, sono guidate e assistite a scrivere con infallibile verità tutte le cose dal Signore rivelate. Perciò l'Opera – pur non essendo un Vangelo canonico né un quinto Vangelo - è rivelata e il suo autore è Dio, come dice il Gesù valtortiano (i grassetti sono miei):2
«[…] Giusto è definire che lo scrittore ispirato "ha Dio per autore". Dio che rivela o illumina misteri o verità, secondo che a Lui piace, a questi suoi strumenti "eccitandoli e movendoli con soprannaturali virtù, assistendoli nello scrivere in modo che essi rettamente concepiscano coll'intelligenza e vogliano fedelmente scrivere, e con mezzi adatti e con infallibile verità esprimano tutte e sole quelle cose da Lui, Dio, comandate. È Dio che con triplice azione illumina l’intelletto perché conosca il vero senza errore, o con la rivelazione per verità ancora ignorate, o con l'esatto ricordo se sono stabilite ma ancora alquanto incomprensibili alla umana ragione; muove perché sia scritto con fedeltà quanto soprannaturalmente l'ispirato viene a conoscere; assiste e dirige perché le verità siano dette, nella forma e nel numero che Dio vuole, con verità e chiarezza, perché siano note ad altri per il bene di molti, con la stessa parola divina negli insegnamenti diretti, o con le parole dell'ispirato nel descrivere visioni o ripetere lezioni soprannaturali».
Dunque ‘L’Evangelo’ non aggiunge nulla di nuovo alle Verità già rivelate, ma piuttosto ‘completa’ i Vangeli canonici rendendoli più comprensibili nel senso, fornendone ulteriori chiavi di lettura, arricchendoli di particolari fino ad ora ignoti ma assolutamente coerenti e verosimili.
Esso ci fa meglio conoscere la persona di Gesù, la sua vita e la sua predicazione, rendendoci così più facile amarlo e comprendere inoltre molte di quelle che vengono considerate ‘discordanze evangeliche’: croce e delizia – a seconda dei punti di vista, come scrisse una volta Vittorio Messori di molti critici e teologi.
D’altra parte non aveva forse detto Gesù agli apostoli, che sarebbe venuto dopo di Lui lo Spirito Santo ad illuminare le cose che Egli aveva detto ma che essi non avevano ancora compreso?
E cosa è l’Opera valtortiana se non un segno potente dello Spirito Santo che viene – attraverso le parole dell’Opera – a farci capire nei nostri tempi quel che dopo duemila anni di Cristianesimo non abbiamo ancora capito al punto che stiamo quasi del tutto perdendo la Fede?
Cosa dire però ora su questo discorso di Gesù relativo ai consigli di perfezione?
I suoi consigli si prefiggono di insegnare come si deve amare il prossimo.
Nella trama di questo Discorso pare di vedere un certo filo conduttore. Egli sembra all’inizio preoccupato di rasserenare gli animi rimasti forse un poco scossi dal discorso del giorno prima sul Dono della Grazia e sulle Beatitudini, di così difficile applicazione.
Gli ebrei erano abituati alla Legge mosaica dei Dieci comandamenti: poche norme chiare, precise, relativamente facili da osservare per chi fosse stato di buona volontà:
Io sono il Signore Dio tuo:
1)  Non avrai altro Dio fuori di me.
2)  Non nominare il nome di Dio invano.
3)  Ricordati di santificare le feste.
4)  Onora il padre e la madre.
5)  Non uccidere.
6)  Non commettere atti impuri.
7)  Non rubare.
8)  Non dire falsa testimonianza.
9)  Non desiderare la donna d’altri.
10) Non desiderare la roba d’altri.
Il Gesù valtortiano aveva già illustrato in precedenza uno per uno i vari Comandamenti in una località detta ‘Acqua speciosa’ facendone emergere una interpretazione più ampia e dalle diverse sfaccettature.3
Egli era del resto venuto per perfezionare la Legge e quindi a farne comprendere la effettiva portata spirituale nei significati più profondi fino ad allora sfuggiti.
Era venuto il tempo dell’Amore, ed i Comandamenti dovevano essere interpretati non più sommariamente come prima (e come facciamo anche noi oggi) ma nella loro approfondita sostanza spirituale.
Nel caso dei Comandamenti, Gesù non aveva cambiato la Legge ma con la sua Dottrina l’aveva completata, come la completa ora con il suo discorso sui consigli evangelici di perfezione e con i discorsi dei giorni successivi.
Quanto alle Beatitudini del giorno precedente Gesù invita a non giudicarle troppo ‘severe’ ma a valutarle con occhio positivo, cioè con lo sguardo rivolto al Cielo.
Egli aveva infatti detto: «Non diciamo ‘Guai se non farò questo!’ rimanendo tremanti in attesa di peccare, di non essere capaci di non peccare. Ma diciamo: ‘Beato me se farò questo!’ e con slancio di soprannaturale gioia, giubilando, lanciamoci verso queste beatitudini, nate dall’osservanza della Legge come corolle di rose da un cespuglio di spine’.
Gesù ribadisce chiaramente fin dall’apertura che Egli non muta di uno jota la Legge che è stata tratta dal Pensiero di Dio Padre, data agli uomini dal suo Verbo-Parola, in virtù dell’Amore dello Spirito Santo.
Tutta la Trinità era dunque presente: Pensiero, Parola, Amore – precisa Gesù – ed Egli Verbo incarnato non può smentire Se stesso.
Gesù-Verbo non si può smentire ma Egli può tuttavia rendere la Legge ancora più completa in vista della imminente Redenzione.
Nei secoli trascorsi dal tempo di Mosè gli uomini, a causa della loro umanità, avevano finito per offuscarne l’originaria semplice bellezza caricandola di una miriade di norme umane che l’avevano resa ormai difficilmente praticabile fino a renderla morta nei cuori.
Bisognava riportarla all’antico splendore, rimuovendo le incrostazioni umane che ne avevano tolto la precedente lucentezza, ed incoronarla col ‘serto’ delle Beatitudini e dei Consigli evangelici rendendo così la Legge come una Regina. Dove prima c’era l’Ordine, ora vi è più dell’Ordine. Dove prima vi era il necessario ora vi è più del necessario: anzi la perfezione, con lo scopo di portare l’uomo alla santità.
Gesù è consapevole di stare per dire ora delle parole che saranno ‘agre’ al palato di molti che lo odiano, probabilmente frammisti alla folla, ma non può nascondere la verità, a costo di farsi dei nemici, perché – scandisce Gesù a lettere di fuoco - i seguaci di Gesù dovranno avere una ‘giustizia’ ben superiore a quella insegnata loro da scribi e farisei che si preoccupavano di corredare la Legge di formule farraginose e difficili da applicare ma che loro stessi si guardavano bene dal rispettare.
Gesù dà qui inizio ad una vera e propria ‘invettiva’ nei loro confronti invitando la folla a guardarsi da questi falsi profeti, lupi rapaci in veste di agnelli.
Quindi ricorda che se nel discorso del giorno precedente (dono della Grazia e Beatitudini) aveva insegnato come dovesse essere amato Dio, ora Egli dice di voler insistere su come deve essere amato il prossimo.
Si apre questo punto – come avete letto – l’elenco dei casi ‘pratici’ con i consigli sul come comportarsi.
Certamente colpisce il suo ragionamento iniziale quando spiega che se si vuole amare Dio e il prossimo, se si vuole essere dei veri ‘giusti’, non bisogna fare come gli scribi ed i farisei.
Ritorna in queste parole forti un tema – riportato nel Vangelo di Luca 4- che Gesù affronterà ‘di petto’ in seguito – sempre nel secondo anno della sua predicazione - nei confronti proprio di Scribi e Farisei.
La polemica fra Gesù da un lato, e scribi e farisei dall’altro, sarà quella che poi risulterà determinante per indurre la Casta di Gerusalemme a decretarne la morte.
Il brano di Luca trascritto in nota è illuminante, ma lo è ancor più il contenuto dello stesso brano così come pronunciato nella realtà da Gesù ne ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’.5
Premetto che Farisei e Scribi approfittavano di ogni occasione – come ho già avuto occasione di accennare - per tendere insidie a Gesù sperando di trovare nelle sue parole argomenti che servissero ad incriminarlo penalmente.
Talvolta lo provocavano apertamente, tal altra ricorrevano a false cortesie, adulazioni ed inganni. Gesù ne era ben conscio perché conosceva i loro cuori, ciò nonostante alle volte ‘stava al gioco’ perché non voleva tralasciare gli sforzi per convertirli, anche se sapeva che erano inutili, e non voleva d’altro canto che essi lo accusassero di rifiutare i loro sforzi di essere ‘amichevoli’ con lui.
E’ così che - nell’Opera valtortiana – un suo acerrimo nemico membro del Sinedrio, Elchìa, lo invita a pranzo a casa sua insieme ad altri suoi pari: farisei e dottori della Legge.
Entrati in casa, il gruppo apostolico viene lasciato solo ad attendere in piedi in una stanza mentre gli altri si allontanano, presumibilmente per andare a compiere come d’uso il ‘precetto’ di lavarsi le mani e purificarsi prima del pranzo. Quindi Elchìa e gli altri rientrano e senza indugio fanno sedere a tavola Gesù e gli apostoli.
Il discorso va avanti parlando del più e del meno di argomenti generali, ma poi – andando sul personale – alcuni dei presenti non riescono a trattenere l’odio: accusano Gesù di essere un esaltato, di non essere il Messia, e che la sua affermazione per cui – una volta morto – sarebbe risorto per darne la prova è a sua volta ‘prova di esaltazione’, anzi di bestemmia.
Elchìa – il padrone di casa – in un momento di silenzio rimugina fra sé e sé. Egli si accinge a parlare ma Gesù – che gli legge nel pensiero - lo previene invitandolo a non confondere la bellezza della Legge con le piccinerie, insomma quelle ‘incrostazioni’ umane della Legge che Egli stigmatizza in questo suo terzo discorso della montagna.
Elchìa capisce che Gesù gli aveva letto nella mente: stava infatti per accusarlo di aver trasgredito il ‘precetto’ della purificazione essendosi seduto a tavola con gli apostoli senza essersi lavato le mani.
Ecco il seguito del brano valtortiano che desidero farvi conoscere perché vi è un nesso con la precedente critica a scribi e farisei contenuta in questo suo terzo discorso della montagna, ma anche perché è proprio da tale episodio in casa del sinedrista che – come poco sopra da me anticipato e come potrete rilevare dalla conclusione di Elchìamatura definitivamente il progetto di uccidere Gesù (i grassetti sono miei):
(…)
Un silenzio glaciale, lungo. Elchìa, il gomito appoggiato al lettuccio, la guancia appoggiata alla mano, pensa, duro, chiuso come tutta la sua casa. Gesù si volge e lo guarda, e poi dice: «Elchìa, Elchìa, non confondere la Legge e i Profeti con le piccinerie!».
«Vedo che hai letto il mio pensiero. Ma non puoi negare che Tu hai peccato trasgredendo al precetto».
«Come tu, e con astuzia, perciò con più colpa, hai trasgredito al dovere dell'ospite, con volontà di farlo lo hai fatto, e mi hai distratto e poi qui mandato mentre tu cogli amici ti purificavi, e al tuo ritorno ci hai pregato di esser solleciti ché avevi adunanza, e tutto per potermi dire: "Hai peccato"».
«Potevi ricordarmi il mio dovere di darti di che purificarti».
«Tante cose potrei ricordarti, ma non servirebbe altro che a farti più intransigente e nemico».
«No. Dille, dille. Ti vogliamo ascoltare e...».
«E accusare presso i Principi dei Sacerdoti. Per questo ti ho ricordato l'ultima e la penultima maledizione. Lo so. Vi conosco. Sono qui, inerme, fra voi. Sono qui, isolato dal popolo che mi ama e davanti al quale non osate aggredirmi.
Ma non ho paura. Ma non vengo a compromessi né faccio viltà. E vi dico il vostro peccato, di tutta la casta vostra e vostro, o farisei, falsi puri della Legge, o dottori, falsi sapienti, che confondete e mescolate di proposito il vero e il falso buono, che agli altri e dagli altri esigete la perfezione anche nelle cose esteriori e da voi nulla esigete.
Voi mi rimproverate, uniti al vostro e mio ospite, di non essermi lavato avanti il desinare. Lo sapete che vengo dal Tempio, al quale non si accede altro che dopo essersi purificati dalle immondezze della polvere e della via. Volete allora confessare che il Sacro Luogo è contaminazione?».
«Noi ci siamo purificati avanti le mense».
«E a noi è stato imposto: "Andate là, attendete". E dopo: "Alle tavole senza indugio". Fra le tue pareti monde di disegni uno dunque ve ne era: quello di trarmi in inganno. Quale mano l'ha scritto sulle pareti il motivo per potermi accusare? Il tuo spirito o un'altra potenza che te lo regola e che ascolti? Orbene, udite tutti».
Gesù si alza in piedi e, stando con le mani appoggiate all'orlo della tavola, comincia la sua invettiva: «Voialtri farisei lavate l'esterno del calice e del piatto, e le mani vi lavate e i piedi vi lavate, quasi che piatto e calice, mani e piedi avessero ad entrare nel vostro spirito che amate proclamare puro e perfetto. Ma non voi, sibbene Dio questo lo deve proclamare.
Ebbene sappiate ciò che Dio pensa del vostro spirito. Egli pensa che è pieno di menzogna, sozzura e rapina, pieno di nequizia è, e nulla può dall'esterno corrompere ciò che già è corruzione».
Stacca la destra dalla tavola e involontariamente comincia a gestire con essa mentre continua: «Ma chi ha fatto il vostro spirito, come ha fatto il vostro corpo, non può esigere, almeno con uguale misura, il rispetto all'interno che avete per l'esterno? O stolti che mutate i due valori e ne invertite la potenza, ma non vorrà l'Altissimo un’ancor maggior cura per lo spirito, fatto a sua somiglianza e che per la corruzione perde la Vita eterna, che non per la mano o il piede la cui sporcizia può esser detersa con facilità e che, se anche rimanessero sporchi, non influirebbero sulla nettezza interiore? E può Dio preoccuparsi della nettezza di un calice o di un vassoio quando questi non sono che cose senz’anima e che non possono influire sulla vostra anima?
Leggo il tuo pensiero6, Simone Boetos. No. Non regge. Non è per pensiero di salute, per tutela della carne, della vita, che voi avete queste cure, che praticate queste purificazioni.
Il peccato carnale, anzi i peccati carnali della gola, delle intemperanze, delle lussurie, sono certo più dannosi alla carne di un poco di polvere sulle mani o sul piatto. Eppure voi li praticate senza preoccuparvi di tutelare la vostra esistenza e l'incolumità dei vostri familiari. E peccato fate di più nature, perché, oltre che la contaminazione dello spirito e del corpo vostro, lo sperpero di sostanze, il mancato rispetto ai familiari, fate offesa al Signore per la profanazione del vostro corpo, tempio dello spirito vostro, in cui dovrebbe essere il trono per lo Spirito Santo; e offesa per il giudizio che fate, che da voi vi dovete tutelare dai morbi venienti da un po' di polvere, quasi che Dio non potesse intervenire a proteggervi dai morbi fisici se a Lui ricorreste con spirito puro. Ma Colui che ha creato l'interno non ha forse creato anche l'esterno e viceversa? E non è l'interno il più nobile e il più marcato dalla divina somiglianza? Fate allora opere che siano degne di Dio e non grettezze che non si alzano dalla polvere per la quale e della quale sono fatte, della povera polvere che è l'uomo preso come creatura animale, fango composto in forma e che polvere torna, polvere che il vento dei secoli disperde.
Fate opere che restino, che siano opere regali e sante, opere che si incoronano della divina benedizione. Fate carità e fate elemosina, siate onesti, siate puri nelle opere e nelle intenzioni e, senza ricorrere all'acqua delle abluzioni, tutto sarà puro in voi.
Ma che vi credete? Di essere a posto perché pagate le decime sugli aromi? No.
Guai a voi, o farisei che pagate le decime della menta e della ruta, della senape e del comino, del finocchio e d'ogni altro erbaggio, e poi trascurate la giustizia e l'amor di Dio.
Pagare le decime è dovere e va fatto. Ma ci sono più alti doveri e anche quelli vanno fatti.
Guai a chi osserva le cose esteriori e trascura le altre interiori basate sull'amore a Dio e al prossimo.
Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e nelle adunanze e amate essere riveriti sulle piazze, e non pensate a fare opere che vi diano un posto in Cielo e vi meritino la riverenza degli angeli. Voi siete simili a sepolcri nascosti che passano inosservati a chi li sfiora e non ne ha ribrezzo, ma ribrezzo ne avrebbe se potesse vedere cosa è chiuso in essi. Dio però vede anche le più riposte cose e non si inganna nel giudicarvi».
Lo interrompe, alzandosi esso pure in piedi, in contraddittorio, un dottore della Legge.  
«Maestro, così parlando Tu offendi noi pure; e non ti conviene, perché noi ti dobbiamo giudicare».
«No. Non voi. Voi non potete giudicarmi. Voi siete i giudicati, non i giudici, e chi vi giudica è Dio. Voi potete parlare, emettere suoni con le vostre labbra. Ma anche la voce più potente non giunge ai Cieli né scorre tutta la Terra. Dopo poco spazio è silenzio... E dopo poco tempo è oblio. Ma il giudizio di Dio è voce che resta e non è soggetto a dimenticanze.
Secoli e secoli sono passati da quando Dio ha giudicato Lucifero e ha giudicato Adamo. Ma la voce di quel giudizio non si spegne. Ma le conseguenze di quel giudizio sono. E se ora Io sono venuto per riportare la Grazia agli uomini, mediante il Sacrificio perfetto, il giudizio sull'atto di Adamo resta quello che è, e chiamato sarà "colpa d'origine" sempre.
Saranno redenti gli uomini, lavati da una purificazione superiore ad ogni altra. Ma nasceranno con quel marchio perché Dio ha giudicato che quel marchio debba essere su ogni nato da donna, meno per Colui che, non per opera d'uomo, ma per Spirito Santo fu fatto, e per la Preservata e il Presantificato, vergini in eterno7. La Prima per poter essere la Vergine Deipara, il secondo per poter precorrere l'Innocente nascendo già mondo per una prefruizione dei meriti infiniti del Salvatore Redentore. Ed Io vi dico che Dio vi giudica.
E vi giudica dicendo: "Guai a voi, dottori della Legge, perché caricate la gente di pesi insopportabili, rendendo un castigo il paterno decalogo dell'Altissimo al suo popolo".
Egli con amore e per amore lo aveva dato, onde l'uomo fosse sorretto da una giusta guida, l'uomo, l'eterno e imprudente e ignorante bambino.
E voi, alle amorose dande con cui Dio aveva abbracciato le sue creature perché potessero procedere per la sua via e giungergli sul cuore, avete sostituito montagne di pietre aguzze, pesanti, tormentose, un labirinto di prescrizioni, un incubo di scrupoli, per cui l'uomo si accascia, si smarrisce, si ferma, teme Dio come un nemico.
Voi ostacolate l'andare a Dio dei cuori. Voi separate il Padre dai figli. Voi negate, con le vostre imposizioni, questa dolce, benedetta, vera Paternità. Ma voi, però, quei pesi che agli altri date, non li toccate neppure con un dito. Vi credete giustificati solo per averli dati.
Ma, o stolti, non sapete che sarete giudicati per quel che avete giudicato esser necessario a salvarsi?
Non sapete che Dio vi dirà: "Voi dicevate sacra, giusta la vostra parola. Orbene, Io pure la giudico tale. E poiché l'avete imposta a tutti e sul come fu accolta e praticata avete giudicato i fratelli, ecco Io vi giudico con la vostra parola. E poiché non avete fatto ciò che avete detto di fare, siate condannati"?
Guai a voi che innalzate sepolcri ai profeti che i vostri padri uccisero. E che? Credete con ciò di diminuire la grandezza della colpa dei padri vostri? Di annullarla agli occhi dei posteri? No anzi. Voi testimoniate di queste opere dei padri vostri. Non solo. Ma le approvate, pronti ad imitarli, elevando poi un sepolcro al profeta perseguitato per dirvi: "Noi lo abbiamo onorato". Ipocriti! É per questo che la Sapienza di Dio ha detto: "Manderò loro dei profeti e degli apostoli. Ed essi ne uccideranno alcuni ed altri li perseguiteranno, onde si possa chiedere a questa generazione il sangue di tutti i profeti che è stato sparso dalla creazione del mondo in poi, dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, ucciso fra l'altare e il santuario".
Sì, in verità, in verità vi dico che di tutto questo sangue di santi ne sarà chiesto conto a questa generazione che non sa distinguere Dio là dove è, e perseguita il giusto e l'accora perché il giusto è il confronto vivente con la sua ingiustizia.
Guai a voi, dottori della Legge, che vi siete usurpata la chiave della scienza e ne avete chiuso il tempio per non entrarvi ed essere da essa giudicati, e non avete permesso che altri vi entrassero. Perché sapete che, se il popolo fosse ammaestrato dalla vera Scienza, ossia dalla Sapienza santa, potrebbe giudicarvi. Onde lo preferite ignorante perché non vi giudichi. E mi odiate perché Io sono Parola di Sapienza e vorreste chiudermi anzitempo in una carcere, in un sepolcro perché Io non parlassi più.
Ma Io parlerò finché al Padre mio piacerà che Io parli. E dopo parleranno le mie opere più ancora delle mie parole. E parleranno i miei meriti più ancora delle opere, e il mondo sarà istruito e saprà, e vi giudicherà.
Il primo giudizio su voi.
E poi verrà il secondo, il singolo giudizio ad ogni singola vostra morte.
E infine l'ultimo: quello universale.
E ricorderete questo giorno e questi giorni e voi, voi soli conoscerete il Dio terribile che vi siete sforzati di agitare come una visione d'incubo davanti agli spiriti dei semplici, mentre voi, nell'interno del vostro sepolcro, vi siete irrisi di Lui, e dal primo e principale comandamento, quello dell'amore, all'ultimo dato sul Sinai, non ne avete avuto rispetto e avete disubbidito.
Inutilmente, o Elchìa, non hai figurazioni nella tua casa. Inutilmente, o voi tutti, non avete oggetti scolpiti nelle vostre case. Nell'interno del cuore avete l'idolo, più idoli. Quello di credervi dèi, quelli delle concupiscenze vostre. Venite, voi. Andiamo».
E, facendosi precedere dai dodici, esce per ultimo.
Un silenzio...
Poi i rimasti fanno un clamore dicendo tutti insieme: «Bisogna perseguitarlo, coglierlo in fallo, trovare oggetti di accusa! Ucciderlo bisogna!».
Altro silenzio. E poi, mentre due se ne vanno, disgustati dell'odio e dei propositi farisaici, e sono il parente di Elchìa e l'altro che per due volte ha difeso il Maestro, i rimasti si chiedono: «E come?».
Altro silenzio.
Poi, con una risata chioccia, Elchìa dice: «Occorre lavorare Giuda di Simone...».
«Già! Buona idea! Ma tu l'hai offeso!...».
«Ci penso io», dice quello che Gesù ha chiamato Simone Boetos.
«Io e Eleazaro di Anna... Lo circuiremo…»
«Un poco di promesse...».
«Un poco di paura...».
«Molto denaro...».
«No. Molto no... Promesse, promesse di molto denaro...».
«E poi?».
«Cosa, e poi?».
«Eh! Poi. A cose fatte. Che gli daremo?».
«Ma nulla! La morte. Così... non parlerà più», dice lentamente e crudelmente Elchìa.
«Uh! la morte...».
«Ne hai orrore? Ma va' via! Se uccidiamo il Nazareno che... è un giusto... potremo uccidere anche l'Iscariota che è un peccatore...»
Vi sono incertezze... Ma Elchìa, alzandosi, dice: «Sentiremo anche Anna...8 E vedrete che... dirà buona l'idea. E ci verrete anche voi... Oh! se ci verrete...».
Escono tutti dietro al loro ospite, che se ne va dicendo: «Ci verrete... Ci verrete!».
La Casta dominante – composta da scribi, farisei e sacerdoti del Tempio, e fra questi ultimi in particolare Anna (Sommo Sacerdote) e Caifa (Pontefice di turno, genero di Anna) – strumentalizzeranno in seguito paure ed ambizioni politiche di Giuda.
Giuda Iscariote – che in un primo tempo aveva interpretato il ruolo di Messia di Gesù in termini politici, come il futuro Capo della nazione ebraica – si era sentito deluso ed in qualche modo tradito nelle sue aspettative ed ambizioni di potere quando aveva capito dalle precise e, a dire il vero, ripetute parole di Gesù che si trattava invece di un Regno spirituale: un Regno di Dio nel cuore degli uomini.
Di fronte alla sempre più minacciosa reazione della Casta nei confronti di Gesù, Giuda – non certo animato da autentica ‘vocazione’ - aveva allora cominciato anche a temere per la propria vita in quanto membro del Collegio apostolico, per cui l’idea di ‘venderlo’ facilitandone l’arresto gli era sembrata una buona idea per salvarsi e ‘legittimarsi’ di fronte alla Casta ottenendone poi anche ‘onori’.
Quest’ultima, per altro verso, aveva fatto astutamente e subdolamente balenare davanti agli occhi del pur ‘giovane’ Giuda la possibilità di un brillante futuro politico per aver permesso la cattura di un pericoloso ‘sovversivo’ avverso al Tempio e – in quanto Re-Messia-Capo politico – potenziale nemico di Roma.
Questo brano valtortiano concernente scribi e farisei vi servirà comunque anche per constatare ancora una volta di persona – confrontandolo con il testo del Vangelo di Luca più sopra trascritto integralmente in nota – la potenza e completezza delle parole di Gesù, per concludere con me che il Gesù valtortiano non può essere che il Gesù…vero.
Ma quali considerazioni – a volo d’uccello – possiamo ancora fare o dedurre dal terzo discorso di Gesù sui Consigli evangelici che perfezionano la Legge?
La storia dell’Umanità, dal punto di vista divino, potrebbe essere divisa in due fasi.
La prima era quella che andava dal Peccato originale alla venuta di Gesù: era il tempo del corruccio da parte di Dio e quindi del rigore verso l’uomo, reo non solo del peccato originale ma di tutta la serie interminabile e spaventosa dei peccati individuali e collettivi successivi.
Se infatti Adamo ed Eva avevano peccato contro l’amor di Dio cercando di usurparne il ruolo, i loro successivi discendenti – a cominciare da Caino uccisore di Abele - avrebbero peccato anche contro l’amor di prossimo.
Le porte del Cielo erano dunque chiuse agli spiriti, che potevano andare in Purgatorio o nel Limbo – ma nel Limbo solo se spiriti di ‘giusti’ – oppure all’Inferno. Nessuno però in Paradiso.
La seconda fase era quella dell’amore e del Perdono, contrassegnata appunto dalla Incarnazione del Verbo in Gesù per redimere l’Umanità.
Se quindi nel tempo del rigore era detto: ‘Amerai il tuo amico e odierai il tuo nemico’ perché almeno l’amico bisognava pure imparare ad amarlo, ora – nei tempi nuovi - il Verbo-Gesù parla per dire che bisogna innalzare l’amore di prossimo alla perfezione ed amare non solo l’amico ma anche il nemico.
E’ annullata la Legge del taglione: ‘occhio per occhio dente per dente’.
Questa non faceva parte dei Dieci comandamenti ma era stata introdotta perché l’uomo – privo della Grazia - era in precedenza una tale belva pronta a vendette talmente sproporzionate che l’introdurre una limitazione per far sì che la vendetta fosse almeno in qualche modo proporzionata all’offesa ricevuta era già una cosa positiva.
Ora, però, la nuova Legge è quella di amare anche chi ti odia perché sarà Dio a punire poi chi si comporterà male.
Amare chi ci ama è il minimo, ed è anche facile perché solitamente da questo amore speriamo sempre di averne in un modo o nell’altro un ‘contraccambio’, ed è quindi sostanzialmente un amore con un fondo di ‘egoismo’. Bisogna invece imparare ad amare chi non ci ama, per rispetto a Dio.
Che dire poi del fatto di essere derubati? Come si può pensare di ‘perdonare’ chi ci ha derubato?
Eppure Gesù ci insegna un’altra perfezione: quella di sforzarci di capire che chi ci deruba può anche essere in una situazione di grande bisogno, ma anche se non lo fosse e dovesse essere invece un delinquente incallito, bisogna perdonare comunque e Dio farà poi giustizia sia nei confronti del colpevole sia nei nostri confortandoci con altri doni per aver saputo perdonare.
Insomma, gli uomini sbagliano continuamente nei confronti di Dio ma non possono poi pretendere di ottenere da Dio perdono per i propri peccati se essi non si sforzano di essere clementi con chi ha peccato verso di loro.
Peraltro se Dio fosse inesorabile con noi così come noi lo siamo con gli altri, nessuno sulla terra si salverebbe.
E se qualcuno fosse nel bisogno? Cercare di aiutarlo dandogli quanto questi – sovente umiliandosi – ci chiede.
Dovremmo infatti pensare a quanto soffriremmo noi al suo posto, e ancor più se ci sentissimo rispondere negativamente con ipocrisia o durezza di cuore.
Insomma se dovessimo fare una sintesi, direi che i consigli evangelici si potrebbero davvero tradurre in un unico comando d’amore: Non fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi e fare agli altri quel che vorremmo fosse fatto a noi’.
Vorrei tuttavia attirare l’attenzione - per quanto concerne l’amor di prossimo trattato in questo terzo Discorso della montagna e quindi anche sulla necessità del perdono al prossimo che ci fa del male - su due episodi trattati ne ‘L’Evangelo’ di Maria Valtorta avvenuti alcuni mesi dopo il Discorso della montagna, episodi che ci aiutano a capire meglio il pensiero di Gesù.
Il primo episodio sull’amor di prossimo è ripreso nei Vangeli di Matteo e Luca.9
Nell’Evangelo valtortiano vediamo Gesù nel giardino – sulle sponde del Lago di Tiberiade - della villa di Maria di Magdala, la quale per inciso aveva deciso di utilizzare tutti i propri beni per sovvenire il Gruppo apostolico.
Sono presenti gli apostoli ed anche altre persone fra le quali dei malati che Gesù guarisce, mendicanti ai quali dona denaro, mamme che gli porgono i loro bambini perché li benedica e ‘… un gruppo di sorelle che gli raccontano della condotta dell'unico fratello, causa della morte per crepacuore della madre e della loro rovina, e lo pregano, queste povere donne, di consigliarle e di pregare per loro …’.
E ad esse Gesù risponde (i grassetti sono miei):10
(…)
«In verità che pregherò. Pregherò che Dio vi dia pace e che vostro fratello si converta e si sovvenga di voi, rendendovi ciò che è giusto e soprattutto tornando ad amarvi. Perché, se questo farà, tutto il resto farà.
Ma voi lo amate, oppure è rancore in voi?
Lo perdonate di cuore, oppure nel vostro pianto è sdegno?
Perché anche egli è infelice. Più di voi. E, nonostante le sue ricchezze, è più povero di voi e bisogna averne pietà. Non possiede più l'amore ed è senza l'amore di Dio. Vedete quanto è infelice? Voi, vostra madre per prima, con la morte finirete in giubilo la vita triste che egli vi ha fatto fare. Ma lui no. Anzi, dal falso godere di ora passerebbe ad un tormento eterno e atroce. Venite presso a Me. Parlerò a tutti parlando a voi».
E Gesù si avvia al centro di un prato sparso di cespugli di fiori, al centro del quale un tempo doveva esservi una statua. Ora resta il basamento, circondato da una bassa siepe di mirto e di rosette minute. Gesù si addossa a quella siepe e fa l'atto di parlare.
Tutti tacciono e si affollano intorno a Lui.
«La pace sia a voi. Udite. É detto: "Ama il tuo prossimo come te stesso".
Ma nel prossimo chi c'è? Tutto il genere umano, preso in generale. Poi, più in ristretto, tutti i connazionali; poi, ancora più in ristretto, tutti i concittadini; poi, sempre più stringendosi, tutti i parenti; infine, ultimo cerchio di questa corona d'amore stretta come petali di una rosa intorno al cuore del fiore, l'amore ai fratelli di sangue: il primo dei prossimi.
Il centro del cuore del fiore d'amore è Dio, l'amore per Lui è il primo da aversi.
Intorno al suo centro ecco l'amore ai genitori, secondo ad aversi perché realmente il padre e la madre sono i piccoli "Dio" della Terra, creandoci e cooperando con Dio per crearci, oltreché curandoci con amore instancabile.
Intorno a questo ovario, che fiammeggia di pistilli e esala i profumi degli amori più eletti, ecco che si stringono i giri dei diversi amori.
Il primo è quello ai fratelli nati dallo stesso seno e dallo stesso sangue dal quale noi nascemmo. Ma come va amato il fratello? Solamente perché la sua carne e il suo sangue sono uguali alla nostra? Ciò sanno fare anche gli uccellini raccolti in un nido. Essi, infatti, non hanno che questo di comune: di essere nati da un’unica covata e di avere in comune sulla lingua il sapore della saliva materna e paterna. Noi uomini siamo da più di uccelli.
Abbiamo più di una carne e un sangue. Abbiamo il Padre, oltre un padre e una madre.
Abbiamo l'anima e abbiamo Dio, Padre di tutti. E allora ecco che bisogna saper amare il fratello, come fratello per il padre e la madre che ci hanno generato, e come fratello per Dio che è Padre universale. Amarlo perciò spiritualmente oltre che carnalmente. Amarlo non solo per la carne e il sangue, ma per lo spirito che abbiamo in comune. Amare, come va dovuto, più lo spirito della carne del fratello nostro. Perché lo spirito è più della carne. Perché il Padre Dio è più del padre uomo. Perché il valore dello spirito è più del valore della carne. Perché nostro fratello sarebbe molto più infelice se perdesse il Padre Dio che perdendo il padre uomo. L'orfanezza del padre uomo è straziante, ma non è che una mezza orfanezza. Lede solo ciò che è terreno, il nostro bisogno di aiuto e carezze. Ma lo spirito, se sa credere, non è leso dalla morte del padre. Anzi, per seguirlo là dove il giusto si trova, lo spirito del figlio sale come attratto da forza d'amore. E in verità vi dico che ciò è amore, amore di Dio e del padre, asceso col suo spirito a luogo sapiente. Sale a questi luoghi dove più vicino è Dio e agisce con maggior dirittura, perché non manca del vero aiuto, che sono le preghiere del padre che ora sa amare compiutamente, e del freno che è dato dalla certezza che il padre ora vede meglio che in vita le opere del figlio e dal desiderio di potersi riunire a lui mediante una vita santa.
Per questo bisogna preoccuparsi più dello spirito che del corpo del proprio fratello.
Sarebbe un ben povero amore quello che si rivolgesse solo a ciò che perisce, trascurando quello che non perisce e che, trascurato che sia, può perdere la gioia eterna. Troppi sono coloro che si affaticano di inutili cose, si affannano per ciò che ha un merito relativo, perdendo di vista ciò che è veramente necessario. Le buone sorelle, i buoni fratelli non devono solo preoccuparsi di tenere ordinate le vesti, pronti i cibi, oppure aiutare col lavoro i loro fratelli. Ma devono curvarsi sui loro spiriti e sentirne le voci, percepirne i difetti, e con amorosa pazienza affaticarsi a dar loro uno spirito sano e santo se in quelle voci e in quei difetti vedono un pericolo per il loro vivere eterno. E devono, se egli verso di loro ha peccato, darsi da fare per perdonare e per farlo perdonare da Dio mediante il suo ritorno all'amore, senza il quale Dio non perdona.
É detto nel Levitico: "Non odiare tuo fratello nel tuo cuore, ma riprendilo pubblicamente, per non caricarti di peccati per causa di lui". Ma dal non odiare all'amare è ancora un abisso.
Può parervi che l'antipatia, il distacco e l'indifferenza non siano peccato, perché odio non sono. No.
Io vengo a dare luci nuove all'amore, e necessariamente all'odio, perché ciò che fa lucido in ogni particolare il primo sa fare lucido in ogni particolare il secondo. La stessa elevazione ad alte sfere del primo porta di conseguenza un maggior distacco dal secondo, perché, più il primo si alza, pare che il secondo sprofondi in un basso sempre più basso.
La mia dottrina è perfezione. É finezza di sentimento e di giudizio. É verità senza metafore e perifrasi. Ed Io vi dico che antipatia, distacco e indifferenza sono già odio.
Semplicemente perché non sono amore. Il contrario dell'amore è l'odio.
Potete dare altro nome all'antipatia? All'allontanarsi da un essere? All'indifferenza? Chi ama ha simpatia verso l'amato. Dunque, se lo ha antipatico, non lo ama più. Chi ama, anche se la vita lo allontana materialmente dall'amato, continua ad essergli vicino con lo spirito.
Perciò, se uno da un altro si distacca con lo spirito, non lo ama più. Chi ama non ha mai indifferenza per l'amato ma, anzi, tutto di lui lo interessa. Perciò, se uno ha indifferenza per uno, è segno che non l'ama più.
Voi vedete dunque che queste tre cose sono ramificazioni di un'unica pianta: quella dell'odio.
Or che avviene non appena uno che amiamo ci offende? Nel novanta per cento, se non viene odio, viene antipatia, distacco o indifferenza. No. Così non fate. Non gelatevi il cuore con queste tre forme dell'odio. Amate. Ma voi vi chiedete: "Come possiamo?". Vi rispondo: "Come può Dio, che ama anche chi l'offende. Un amore doloroso, ma sempre buono". Voi dite: "E come facciamo?".
Io do la nuova legge sui rapporti col fratello colpevole e dico: "Se tuo fratello ti offende, non avvilirlo pubblicamente col riprenderlo pubblicamente, ma spingi il tuo amore a coprire la colpa del fratello agli occhi del mondo". Perché ne avrai gran merito agli occhi di Dio, precludendo per amore ogni soddisfazione al tuo orgoglio.
Oh! come piace all'uomo far sapere che fu offeso e che ne ebbe dolore! Va come un mendico folle, non a chiedere obolo d'oro dal re, ma va da altri stolti e pezzenti come lui a chiedere manciate di cenere e letame e sorsi di tossico bruciante. Il mondo questo dà all'offeso che va rammaricandosi e mendicando conforti. Dio, il Re, dà oro puro a chi, offeso, ma senza rancore, va a piangere solo ai suoi piedi il suo dolore e a chiedere a Lui, all'Amore e Sapienza, conforto d'amore e insegnamento per la contingenza penosa. Perciò, se volete conforto, andate da Dio e agite con amore.
Io vi dico, correggendo la legge antica: "Se tuo fratello ha peccato contro di te, va', correggilo fra te e lui solo. Se ti ascolta, hai guadagnato di nuovo tuo fratello. E insieme hai guadagnato tante benedizioni da Dio.
E se tuo fratello non ti ascolta, ma ti respinge cocciuto nella colpa, tu, acciò non si dica che sei consenziente ad essa o indifferente al bene dello spirito fraterno, prendi con te due o tre testimoni seri, buoni, fidati, e con essi torna dal fratello e benignamente ripeti alla loro presenza le tue osservazioni, affinché i testimoni possano di loro bocca dire che tu hai fatto tutto quanto potevi per correggere con santità tuo fratello.
Perché questo è il dovere di un buon fratello, dato che il peccato verso di te, fatto da lui, è lesione alla sua anima, e della sua anima tu ti devi preoccupare.
Se anche questo non serve, fallo sapere alla sinagoga, acciò essa lo richiami all'ordine in nome di Dio. Se non si corregge neppure con questo, e respinge la sinagoga o il Tempio come ha respinto te, tienlo in conto di pubblicano e di gentile".
Questo fate coi fratelli di sangue e con quelli di amore. Perché anche col prossimo vostro più lontano dovete agire con santità, senza avidità, senza inesorabilità, senza odio.
E quando sono cause per cui è necessario andare dai giudici e tu ci vai col tuo avversario, Io ti dico, o uomo che sovente ti trovi in mali maggiori per tua colpa, di fare di tutto, mentre sei per la strada, per riconciliarti con lui, sia che tu abbia torto come che tu abbia ragione.
Perché giustizia umana è sempre imperfetta, e generalmente l'astuto la vince sulla giustizia e potrebbe il colpevole passare per innocente e tu, innocente, passare per colpevole. E allora ti avverrebbe non solo di non avere riconosciuto il tuo diritto, ma di perdere anche la causa, e da innocente passare al ruolo di colpevole di diffamazione, e perciò il giudice ti passerebbe all'esecutore di giustizia, il quale non ti lascerebbe andare sino a che tu abbia pagato l'ultimo spicciolo.
Sii conciliante. Il tuo orgoglio ne soffre? Molto bene. La tua borsa si smunge? Meglio ancora. Basta che cresca la tua santità. Non abbiate nostalgia per l'oro. Non siate avidi di lode. Fate che sia Dio colui che vi loda. Fate di farvi una gran borsa in Cielo. E pregate per coloro che vi offendono. Perché si ravvedano.
Se ciò avviene, essi stessi vi renderanno onori e beni. Se non lo fanno, ci penserà Iddio.
Andate, ora, ché è l'ora del pasto. Restino solo i mendichi a sedersi alla mensa apostolica. La pace sia con voi».
Letto qui sopra il primo dei due episodi che vi avevo anticipato, quello sull’amore verso il prossimo ripreso nei Vangeli di Matteo e Luca, possiamo ora leggere il secondo episodio in merito all’importanza del perdono, citato nel Vangelo di Matteo. 11
Il luogo in cui il fatto si svolge è sempre quello del giardino della villa di Maria di Magdala, nel pomeriggio dello stesso giorno.
Gesù e gli apostoli – dopo il pranzo - vanno a sedersi in fondo al parco, proprio davanti alla riva del lago che è calmo e dove in periodo autunnale ma sotto un cielo azzurro veleggiano barche a vela da diporto e altre dedite alla pesca.
Tiberiade – oltre che essere una cittadina con uno splendido clima lacustre, era anche una città turistico-residenziale, ben costruita con un ottimo piano regolatore nella parte moderna dove si avverte il ‘tocco’ della maestria costruttiva romana, con belle strade pavimentate in pietra, fontane, ville pure di influenza architettonica romana: del resto l’influsso lo si capisce anche dal nome stesso della città alla quale molto ‘ossequiosamente’ era stato dato un nome in onore dell’imperatore Tiberio.
Pietro osserva le barche da pesca e forse pensa alla propria che egli ha abbandonato sulla spiaggia del suo paese per seguire Gesù, anche se di quando in quando, di ritorno dai vari viaggi di evangelizzazione, non esitava a rimettere la sua barca in acqua ed andare a pescare con Giovanni e Giacomo, e talora anche con gli altri apostoli, sia per mangiare che per far sù qualche soldo vendendo poi il pesce.
Gesù lo ‘consola’, dicendogli che lui in futuro farà ben altra pesca e aggiunge (i grassetti sono miei):12
(…)
La pesca che tu farai sarà in futuro e nel campo spirituale. E con te saranno pescatori ottimi la maggior parte di questi».
«Non tutti, Maestro?», chiede Matteo.
«Non tutti. Ma quelli che perseverando diverranno miei sacerdoti avranno buona pesca».
«Conversioni, eh?», domanda Giacomo di Zebedeo.
«Conversioni, perdoni, guide a Dio. Oh! tante cose».
«Senti, Maestro. Tu prima hai detto che, se uno non ascolta il fratello neppure alla presenza di testimoni, sia fatto consigliare dalla sinagoga. Ora, se io ho ben capito quanto Tu ci hai detto da quando ci conosciamo, mi pare che la sinagoga sarà sostituita dalla Chiesa, questa cosa che Tu fonderai. Allora, dove andremo per fare consigliare i fratelli zucconi?».
«Andrete da voi stessi, perché voi sarete la mia Chiesa. Perciò i fedeli verranno a voi, o per consiglio da avere per causa propria, o per consiglio da dare ad altri. Vi dico di più. Non solo potrete consigliare. Ma potrete anche assolvere in mio Nome. Potrete sciogliere dalle catene del peccato e potrete legare due che si amano facendone una carne sola. E quanto avrete fatto sarà valido agli occhi di Dio come fosse Dio stesso che lo avesse fatto.
In verità vi dico: quanto avrete legato sulla Terra sarà legato nel Cielo, quanto sarà sciolto da voi sulla Terra sarà sciolto in Cielo.
E ancora vi dico, per farvi comprendere la potenza del mio Nome, dell'amore fraterno e della preghiera, che se due miei discepoli, e per tali intendo ora tutti coloro che crederanno nel Cristo, si riuniranno a chiedere qualsiasi giusta cosa in mio Nome, sarà loro concessa dal Padre mio.
Perché grande potenza è la preghiera, grande potenza è l'unione fraterna, grandissima, infinita potenza è il mio Nome e la mia presenza fra voi.
E dove due o tre saranno adunati in mio Nome, ivi Io sarò in mezzo a loro, e pregherò con loro, e il Padre non negherà a chi con Me prega. Perché molti non ottengono perché pregano soli, o per motivi illeciti, o con orgoglio, o con peccato sul cuore.
Fatevi il cuore mondo, onde Io possa essere con voi, e poi pregate e sarete ascoltati».
Pietro è pensieroso. Gesù lo vede e gliene chiede ragione. E Pietro spiega: «Penso a che gran dovere siamo destinati. E ne ho paura. Paura di non sapere fare bene».
«Infatti Simone di Giona o Giacomo di Alfeo o Filippo e così via non saprebbero fare bene. Ma il sacerdote Pietro, il sacerdote Giacomo, il sacerdote Filippo, o Tommaso, sapranno fare bene perché faranno insieme alla divina Sapienza».
«E... quante volte dovremo perdonare ai fratelli? Quante, se peccano contro i sacerdoti; e quante, se peccano contro Dio? Perché, se succederà allora come ora, certo peccheranno contro di noi, visto che peccano contro di Te tante e tante volte. Dimmi se devo perdonare sempre o se un numero di volte. Sette volte, o più ancora, ad esempio?».
«Non ti dico sette, ma settanta volte sette. Un numero senza misura. Perché anche il Padre dei Cieli perdonerà a voi molte volte, un numero grande di volte, a voi che dovreste essere perfetti. E come Egli fa con voi, così voi dovete fare, perché voi rappresenterete Dio in Terra. Anzi, sentite. Racconterò una parabola che servirà a tutti».
E Gesù, che era circondato dai soli apostoli in un chioschetto di bossi, si avvia verso i discepoli che sono invece rispettosamente aggruppati su uno spiazzo decorato di una vasca piena di limpide acque. Il sorriso di Gesù è come un segnale di parola. E mentre Lui va col suo passo lento e lungo, per cui percorre molto spazio in pochi momenti, e senza affrettarsi perciò, essi si rallegrano tutti e, come bambini intorno a chi li fa felici, si stringono in cerchio. Una corona di visi attenti, finché Gesù si mette contro un alto albero e inizia a parlare.
«Quanto ho detto prima al popolo va perfezionato per voi che siete gli eletti fra esso.
Dall'apostolo Simone di Giona mi è stato detto: "Quante volte devo perdonare? A chi? Perché?".
Ho risposto a lui in privato ed ora a tutti ripeto la mia risposta in ciò che è giusto voi sappiate sin da ora. Udite quante volte e come e perché va perdonato.
Perdonare bisogna come perdona Dio, il quale, se mille volte uno pecca e se ne pente, perdona mille volte. Purché veda che nel colpevole non c'è la volontà del peccato, la ricerca di ciò che fa peccare, ma sibbene il peccato è solo frutto di una debolezza dell'uomo.
Nel caso di persistenza volontaria nel peccato, non può esservi perdono per le colpe fatte alla Legge. Ma per quanto queste colpe vi danno di dolore, a voi, individualmente, perdonate. Perdonate sempre a chi vi fa del male. Perdonate per essere perdonati, perché anche voi avete colpe verso Dio e i fratelli.
Il perdono apre il Regno dei Cieli tanto al perdonato come al perdonante.
Esso è simile a questo fatto che avvenne fra un re ed i suoi servi. Un re volle fare i conti coi suoi servi. Li chiamò dunque uno dopo l'altro cominciando da quelli che erano i più in alto.
Venne uno che gli era debitore di diecimila talenti. Ma il suddito non aveva con che pagare l'anticipo che il re gli aveva fatto per potersi costruire case e beni d'ogni genere, perché in verità non aveva, per molti motivi più o meno giusti, con molta solerzia usato della somma ricevuta per questo. Il re-padrone, sdegnato della sua infingardia e della mancanza di parola, comandò fosse venduto lui, la moglie, i figli e quanto aveva, finché avesse saldato il suo debito. Ma il servo si gettò ai piedi del re e con pianti e suppliche lo pregava: "Lasciami andare. Abbi un poco di pazienza ancora ed io ti renderò tutto quanto ti devo, fino all'ultimo denaro".
Il re, impietosito da tanto dolore - era un re buono - non solo acconsentì a questo ma, saputo che fra le cause della poca solerzia e del mancato pagamento erano anche delle malattie, giunse a condonargli il debito.
Il suddito se ne andò felice. Uscendo di li, però, trovò sulla sua via un altro suddito, un povero suddito al quale egli aveva prestato cento denari tolti ai diecimila talenti avuti dal re. Persuaso del favore sovrano, si credette tutto lecito e, preso quell'infelice per la gola, gli disse: "Rendimi subito quanto mi devi". Inutilmente l'uomo piangendo si curvò a baciargli i piedi gemendo: "Abbi pietà di me che ho tante disgrazie. Porta un poco di pazienza ancora e ti renderò tutto, fino all'ultimo spicciolo".
Il servo, spietato, chiamò i militi e fece condurre in prigione l'infelice perché si decidesse a pagarlo, pena la perdita della libertà o anche della vita.
La cosa fu risaputa dagli amici del disgraziato i quali, tutti contristati, andarono a riferirlo al re e padrone. Questi, saputa la cosa, ordinò gli fosse tradotto davanti il servitore spietato e, guardandolo severamente, disse: "Servo iniquo, io ti avevo aiutato prima perché tu diventassi misericordioso, perché ti facessi una ricchezza, poi ti ho aiutato ancora col condonarti il debito per il quale tanto ti raccomandavi che io avessi pazienza. Tu non hai avuto pietà di un tuo simile mentre io, re, per te ne avevo avuta tanta. Perché non hai fatto ciò che io ti ho fatto?".
E lo consegnò sdegnato ai carcerieri, perché lo tenessero finché avesse tutto pagato, dicendo: "Come non ebbe pietà di uno che ben poco gli doveva, mentre tanta pietà ebbe da me che re sono, così non trovi da me pietà".
Così pure farà il Padre mio con voi se voi sarete spietati ai fratelli, se voi, avendo avuto tanto da Dio, sarete colpevoli più di quanto non lo è un fedele.
Ricordate che in voi è l'obbligo di essere più di ogni altro senza colpe.
Ricordate che Dio vi anticipa un gran tesoro, ma vuole che gliene rendiate ragione. Ricordate che nessuno come voi deve saper praticare amore e perdono. Non siate servi che per voi molto volete e poi nulla date a chi a voi chiede. Come fate, così vi sarà fatto. E vi sarà chiesto anche conto del come fanno gli altri, trascinati al bene o al male dal vostro esempio.
Oh! che in verità se sarete santificatori possederete una gloria grandissima nei Cieli! Ma, ugualmente, se sarete pervertitori, o anche solamente infingardi nel santificare, sarete duramente puniti.
Io ve lo dico ancora una volta. Se alcuno di voi non si sente di essere vittima della propria missione, se ne vada. Ma non manchi ad essa. E dico: non manchi nelle cose veramente rovinose alla propria e all'altrui formazione. E sappia avere amico Dio, avendo sempre in cuore perdono ai deboli. Allora ecco che ad ognun di voi che sappia perdonare sarà da Dio Padre dato perdono.
La sosta è finita. Il tempo dei Tabernacoli è prossimo.13 Quelli ai quali ho parlato in disparte questa mattina, da domani andranno, precedendomi e annunciandomi alle popolazioni. Quelli che restano non si avviliscano. Ho trattenuto alcuni di loro per prudenziale motivo, non per spregio di loro. Essi staranno con Me, e presto li manderò come mando i settantadue primi.
La messe è molta e gli operai saranno sempre pochi rispetto al bisogno. Vi sarà dunque lavoro per tutti. E non basta ancora. Perciò, senza gelosie, pregate il Padrone della messe che mandi sempre nuovi operai per la sua mietitura.
Andate, intanto. Io e gli apostoli abbiamo in questi giorni di sosta completato la vostra istruzione sul lavoro che avete da fare, ripetendo quello che Io dissi prima di mandare i dodici.
Uno fra voi mi ha chiesto: "Ma come guarirò in tuo Nome?". Curate sempre prima lo spirito. Promettete agli infermi il Regno di Dio se sapranno credere in Me e, vista in essi la fede, comandate al morbo di andarsene, ed esso se ne andrà.
E così fate per i malati dello spirito. Accendete per prima cosa la fede. Comunicate con la parola sicura la speranza. Io sopraggiungerò a mettere in essi la divina carità, così come a voi l'ho messa in cuore dopo che in Me avete creduto e nella misericordia avete sperato.
E non abbiate paura né degli uomini né del demonio. Non vi faranno male. Le uniche cose di cui dovete temere sono la sensualità, la superbia, l'avarizia. Per esse potrete consegnarvi a Satana e agli uomini-satana, ché ci sono essi pure. Andate, dunque, precedendomi per le vie del Giordano. E, giunti a Gerusalemme, andate a raggiungere i pastori nella valle di Betlemme e con essi venite a Me nel posto che sapete, e insieme celebreremo la festa santa, tornando poi più corroborati che mai al nostro ministero. Andate con pace. Io vi benedico nel Nome santo del Signore».
Questo insegnamento di Gesù, incentrato sul tema del perdono di cui Egli ha parlato nel terzo Discorso della montagna, è stato rivolto in questo caso soprattutto ad apostoli e discepoli (i futuri vescovi e sacerdoti), ma vale evidentemente per tutti noi.
Un ulteriore avvertimento di Gesù in merito alla assoluta importanza del perdono che - fra le tante cose da Lui dette – ci deve fare ulteriormente riflettere, è il seguente:
«Perdonate sempre a chi vi fa del male. Perdonate per essere perdonati, perché anche voi avete colpe verso Dio e i fratelli. Il perdono apre il Regno dei Cieli tanto al perdonato come al perdonante»
Si tratta – in materia spirituale – di una cosa poco conosciuta dai più: il perdono apre il Regno dei Cieli tanto al perdonato come al perdonante.
Dio non perdona noi se noi a nostra volta non perdoniamo gli altri.
Chi ha ricevuto male da altri e coltiva nei loro confronti sentimenti di odio – anche per ragioni oggettivamente ‘giuste’ – sappia che egli stesso non verrà perdonato da Dio per i suoi peccati verso Dio e verso il prossimo se prima non perdonerà a sua volta il prossimo che gli ha fatto quel determinato male. Gesù ha sempre detto infatti che dove albergano sentimenti di ‘odio’ non vi è Dio ma Satana.
La prossima riflessione sarà dedicata a:
5. IL QUARTO DISCORSO DELLA MONTAGNA: IL GIURAMENTO, LA PREGHIERA, IL DIGIUNO.
(Prima parte di due)

1 ‘L’Opera di Gesù’ – ‘L’Opera è di natura divina’ – Par. 8 – Team Neval
2  Maria Valtorta: ‘I Quaderni del 1945-1950’ – 28.1.47 – Centro Editoriale Valtortiano
3  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. II. Capp. dal 117 al 132 – C.E.V.
4 Lc 11, 37-54: 37Mentre stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. 38Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo. 39Allora il Signore gli disse: «Voi farisei pulite l'esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. 40Stolti! Colui che ha fatto l'esterno non ha forse fatto anche l'interno? 41Date piuttosto in elemosina quello che c'è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro. 42Ma guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l'amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. 43Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. 44Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo».
45Intervenne uno dei dottori della Legge e gli disse: «Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi». 46Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito! 47Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. 48Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite. 49Per questo la sapienza di Dio ha detto: «Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno», 50perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall'inizio del mondo: 51dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, che fu ucciso tra l'altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione. 52Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l'avete impedito».
53Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, 54tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca.
5  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VI – Cap. 414 – Centro Ed. Valtortiano
6  N.d.A.: Gesù – in quanto Uomo, esente dal Peccato originale ed in Grazia perfetta, aveva il dono del ‘discernimento dei cuori’, leggeva cioè nel pensiero della gente. In quanto Dio-Verbo aveva l’Onniscienza.
7  N.d.A.: Oltre che a Gesù, il riferimento è qui a Maria SS., di Immacolata Concezione, ed a Giovanni Battista, Precursore di Gesù, concepito con il Peccato originale ma successivamente purificato fin dal grembo materno per Grazia e Dono divino.
8  N.d.A.: Anna, Sommo sacerdote - suocero del Pontefice Caifa che poi ebbe a condannare Gesù. Anna – nell’Opera valtortiana - aveva accolto false testimonianze contro Gesù. Caifa era invece il Pontefice di turno, al tempo della predicazione e della condanna di Gesù. Dopo la resurrezione di Lazzaro fu Caifa a convocare il Sinedrio e a far decretare la morte di Gesù avendo inoltre emesso un bando di cattura esposto in tutte le sinagoghe.
9  Mt 18, 15-17: 15Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
Lc 12, 58-59: 58Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all'esattore dei debiti e costui ti getti in prigione. 59Io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo».
10  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. IV – Cap. 277 – Centro Editoriale Valtortiano
11  Mt 18, 18-35:18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. 19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d'accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
21Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 22E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: «Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa». 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: «Restituisci quello che devi!». 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: «Abbi pazienza con me e ti restituirò». 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: «Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?». 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».
12  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. IV – Cap. 278 – Centro Editoriale Valtortiano
13  N.d.A.: Tabernacoli o Festa delle capanne, in autunno, ringraziamento al termine dell’anno agricolo.
      
5. (1/2) IL QUARTO DISCORSO DELLA MONTAGNA: IL GIURAMENTO, LA PREGHIERA, IL DIGIUNO.
5.1 Gesù: «Non giurare mai…, non nominare il nome di Dio invano… lo spergiuro è sacrilego, ladro, traditore, omicida… no all’orazione ipocrita ma pregare sempre Dio nel segreto del cuore, così come in segreto bisogna digiunare…».
Nel cammino che abbiamo fatto fino a questo momento, assistendo anche noi - come Maria Valtorta nelle sue visioni - ai discorsi del Gesù valtortiano, abbiamo visto che Egli, giorno dopo giorno, ha sviluppato le seguenti tre tematiche fra le sette che ho indicato nella Introduzione:
La missione degli apostoli e dei discepoli.
Il dono della grazia e le beatitudini.
I consigli evangelici che perfezionano la Legge.
Nei quattro giorni successivi Gesù affronterà di giorno in giorno rispettivamente i restanti argomenti:
Il giuramento, la preghiera, il digiuno.
L’uso delle ricchezze, l’elemosina, la fiducia in Dio.
La scelta fra Bene e Male, l’adulterio, il divorzio.
Amare la volontà di Dio.
Accingiamoci dunque ad affrontare il quarto discorso concernente il giuramento, la preghiera e il digiuno.
I tre temi sono indubbiamente interessanti. Cosa ci dirà Gesù in proposito?
Cosa ne sappiamo noi, ad esempio, del ‘giuramento’?
Il primo giuramento che mi viene in mente è quello attribuito ad Ippocrate, il famoso medico greco del IV secolo a.C., che aveva chiamato vari dèi a testimonianza del suo giuramento di ottemperare con ogni sua forza a tutta una serie di impegni deontologici a favore del malato, fra i quali – cosa che mi ha meravigliato – quello di non somministrare a nessuno alcun farmaco mortale, neppure se richiesto, né mai avrebbe dato tale consiglio a chicchessia, tantomeno avrebbe dato ad alcuna donna un medicinale abortivo.
Non ci sono commenti da fare se non che di fronte alle norme legislative ‘moderne e civili’ che prevedono in molti paesi l’eutanasia e l’aborto – siamo qui di fronte alla civiltà e al senso etico di un medico pagano di duemilaquattrocento anni fa e di una intera categoria di medici dell’antichità che tenevano evidentemente in somma considerazione la tutela della vita, sia di un adulto che di un embrione umano.
Il loro giuramento costituiva dunque un impegno solenne a fare o non fare certe cose, pronunciato di fronte ai loro dèi che venivano chiamati ad essere testimoni di tale impegno.
Il secondo giuramento al quale penso, non perché mi sia mai capitato di averlo ascoltato in un Tribunale bensì in tanti film televisivi, è quello del tipo: ‘Giuro di dire la verità, soltanto la verità, nient’altro che la verità…’ quando un magistrato chiama qualcuno a rendere testimonianza in giudizio.
E’ una formula solenne che prevede gravi sanzioni in caso di spergiuro, sanzioni severe motivate dal danno anche gravissimo che una falsa testimonianza può arrecare.
Lo ‘spergiuro’ è colui che vìola il giuramento di dire la verità dichiarando invece il falso e in quanto spergiuro può anche giustamente andare in galera.
Ma quanto al giuramento nella religione ed in particolare al Catechismo cattolico?
Si può chiamare Dio a testimone di quanto si asserisce? Non si deve, né che si giuri il vero né a maggior ragione che si giuri il falso.
Il nome di Dio non va infatti pronunciato invano.1
Anche il secondo dei dieci comandamenti prescrive di rispettare il nome del Signore, in particolare per l’uso della parola a proposito di cose sante.
Spergiurando si viene meno al rispetto verso Dio e si abusa del senso del sacro, che è una virtù della religione.
Insomma il secondo comandamento: ’Non nominare il nome di Dio invano’ proibisce l’abuso del nome di Dio. Le promesse – insegna il Catechismo della Chiesa cattolica – fatte ad altri nel nome di Dio impegnano l’onore, la fedeltà, la veracità e l’autorità divine e devono essere quindi mantenute per giustizia. Essere infedeli a queste promesse equivale dunque ad abusare del nome di Dio.
E’ proibito pertanto il falso giuramento perché fare promessa solenne o giurare è prendere Dio come testimone di ciò che si afferma ed è come invocare la veridicità divina a garanzia della propria veracità.
L’astenersi dal giuramento è un dovere verso Dio, mentre lo spergiurare costituisce una grave mancanza di rispetto nei suoi confronti.
Il giuramento per ragione grave e giusta – come essere chiamato a farlo in un Tribunale – è invece consentito dalla Tradizione della Chiesa.
Che dire poi della preghiera?
Verrebbe da dire che se non tutti pregano tutti sanno però cosa essa sia.
E’ una pratica comune a tutte le religioni con la quale ci si rivolge a Dio (purtroppo molte volte solo quando ne abbiamo bisogno) per chiedere qualcosa per se stessi oppure – meno egoisticamente – per ringraziare o esprimere devozione.
Quando l’uomo prega si eleva a Dio in modo cosciente. Tuttavia è una elevazione ‘teorica’, perché in realtà essa dipende da ‘come’ si prega e dallo ‘stato’ dei nostri rapporti con Dio.
Si può però chiedere nella preghiera una grazia a Dio se ci si ricorda di Dio solo quando se ne ha bisogno?
E può Dio accondiscendere alla preghiera di uno che si ricorda di lui solo quando gli vien bene o peggio ancora che vive coscientemente nel peccato?
Pregare non riesce a tutti: vi è – come già detto - chi non prega mai, chi prega svogliatamente e non con il cuore, chi prega non avendo il cuore ‘puro’, chi prega solo se ha bisogno di qualcosa, chi - ottenuta la grazia per la quale nel momento del bisogno aveva pregato - si dimentica di ringraziare Dio oppure – peggio ancora - pensa che quella cosa che egli desiderava tanto è arrivata… perché ‘si vede che doveva arrivare comunque’, privandone così Dio del merito e mostrandogli irriconoscenza.
Dio ci legge nel cuore e nella mente in ogni istante, tutte queste cose le sa in anticipo, prima che accadano, e regola di conseguenza la concessione delle sue eventuali ‘grazie’.
Pregano le suore in clausura, pregano i sacerdoti, pregano i laici, ma spesso non si vedono i frutti di questa preghiera: in tal caso quelle indicate più sopra potrebbero essere alcune delle cause.
A proposito della preghiera posso tuttavia citare un parere molto autorevole, quello di Papa Benedetto XVI che nel suo ultimo Angelus da Pontefice del 24 febbraio 2013, prendendo lo spunto dal Vangelo di quella domenica, sulla Trasfigurazione, disse 2:
«Meditando questo brano del Vangelo, possiamo trarne un insegnamento molto importante. Innanzitutto il primato della preghiera, senza la quale tutto l’impegno dell’apostolato e della carità si riduce ad attivismo… Inoltre la preghiera non è un isolarsi dal mondo e dalle sue contraddizioni, come sul Tabor avrebbe voluto fare Pietro, ma l’orazione riconduce al cammino, all’azione. L’esistenza cristiana – ho scritto nel messaggio per questa Quaresima – consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio, per poi ridiscendere portando l’amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio’».
Tutto ciò premesso, mi sembra opportuno sentire ora cosa insegna invece Gesù su questi argomenti nel suo quarto discorso.
I suoi sono infatti consigli di perfezione (i grassetti sono miei): 3
26 maggio 1945.
Continua il discorso sulla Montagna.
Lo stesso luogo e la stessa ora. La folla, meno il romano, è la stessa, forse ancora più numerosa perché molti sono fin sull'inizio dei sentieri che conducono alla valletta.
Gesù parla:
«Uno degli errori facili nell'uomo è la mancanza di onestà anche verso se stesso. E dato che l'uomo è difficilmente sincero e onesto, ecco che da se stesso si è creato un morso per essere obbligato ad andare per la via che ha detto. Morso che, del resto, egli, come cavallo indomito, presto si sposta modificando a suo piacere l'andare, o si leva del tutto facendo il suo comodo senza più riflessione a ciò che può ricevere di rimprovero da Dio, dagli uomini e dalla sua propria coscienza.
Questo morso è il giuramento.
Ma non è necessario il giuramento fra gli onesti, e Dio, di suo, non ve lo ha insegnato.
Anzi vi ha fatto dire: "Non dire falso testimonio" senza altra aggiunta. Perché l'uomo dovrebbe essere schietto senza bisogno di altro che della fedeltà alla sua parola.
Quando nel Deuteronomio si parla dei voti, anche dei voti che sono una cosa sorta da un cuore che si pensa fuso a Dio o per sentimento di bisogno o per sentimento di riconoscenza, è detto: "La parola uscita una volta dalle tue labbra la devi mantenere, facendo quanto hai promesso al Signore Iddio tuo, quanto di tua volontà e di tua bocca hai detto". Sempre si parla di parola data, senza altro che la parola.
Colui che sente il bisogno di giurare è perché è già insicuro di se stesso e del concetto del prossimo a suo riguardo. E chi fa giurare testifica con quell'esigenza che diffida della sincerità e onestà del giurante. Come vedete, questa abitudine del giuramento è una conseguenza della disonestà morale dell'uomo. Ed è una vergogna per l'uomo.
Doppia vergogna, perché l'uomo non è fedele neppure a questa cosa vergognosa che è il giuramento e irridendosi di Dio, con la stessa facilità con cui si irride del prossimo, giunge a spergiurare con la massima facilità e tranquillità.
Vi può essere creatura più abbietta dello spergiuro?
Costui, usando sovente una formola sacra, e chiamando perciò a suo complice e mallevadore Iddio, o usando l'invocazione degli affetti più cari - il padre, la madre, la moglie, i figli, i suoi morti, la sua stessa vita e i suoi organi più preziosi, invocati ad appoggio del suo bugiardo dire - induce il suo prossimo a credergli. Lo conduce perciò in inganno.
E’ un sacrilego, un ladro, un traditore, un omicida.
Di chi? Ma di Dio, perché mescola la Verità all'infamia della sua menzogna e lo sbeffeggia sfidandolo: "Colpiscimi, smentiscimi, se puoi. Tu sei là, io son qua e me ne rido".
Oh! sì! Ridete, ridete pure, o mentitori e beffeggiatori! Ma vi sarà un momento che non riderete, e sarà quando Colui a cui ogni potere è deferito vi apparirà terribile nella sua maestà e solo col suo aspetto vi farà atterriti e solo coi suoi sguardi vi fulminerà, prima, prima ancora che la sua voce vi precipiti nel vostro destino eterno marcandovi della sua maledizione.
E’ un ladro perché si appropria di una stima che non merita. Il prossimo, scosso dal suo giurare, gliela dona, e il serpente se ne orna fingendosi ciò che non è.
E’ un traditore perché col giuramento promette cose che non vuole mantenere.
E’ un omicida perché, o uccide l'onore di un suo simile levandogli col falso giuramento la stima del prossimo, o uccide la sua anima, perché lo spergiuro è un abbietto peccatore agli occhi di Dio, i quali, anche se nessun altro vede la verità, la vedono.
Dio non si inganna né con false parole, né con ipocrite azioni. Egli vede. Non perde per un attimo di vista ogni singolo uomo. E non vi è munita fortezza, né profonda cantina, dove non possa penetrare il suo sguardo. Anche nell'interno vostro, la fortezza singola che ogni uomo ha intorno al suo cuore, penetra Iddio. E vi giudica non per quello che giurate ma per quello che fate.
Perciò Io, all'ordine che vi fu dato, quando fu messo in auge il giuramento per mettere freno alla menzogna e alla facilità di mancare alla parola data, sostituisco un altro ordine.
Non dico come gli antichi: "Non spergiurare, ma anzi mantieni i tuoi giuramenti", ma vi dico: "Non giurate mai".4 Né per il Cielo che è trono di Dio, né per la terra che è sgabello ai suoi piedi, né per Gerusalemme e il suo Tempio che sono la città del gran Re e la casa del Signore Iddio nostro.
Non giurate né sulle tombe dei trapassati né sui loro spiriti. Le tombe sono piene di scorie di ciò che è inferiore nell'uomo e comune col bruto, gli spiriti lasciateli nella loro dimora. Fate che non soffrano e inorridiscano, se spiriti di giusti che già sono nella precognizione di Dio. E per quanto sia una precognizione, ossia cognizione parziale, perché fino al momento della Redenzione non possederanno Dio nella sua pienezza di splendori, non possono non soffrire del vedervi peccatori. E, se giusti non sono, non aumentate il loro tormento dall'aver ricordato col vostro il loro peccato.
Lasciate, lasciate i morti santi nella pace, i morti non santi nelle loro pene. Non levate ai primi, non aggiungete ai secondi. Perché appellarsi ai morti? Non possono parlare.
I santi perché la carità loro lo vieta: vi dovrebbero smentire troppe volte.
I dannati perché l'Inferno non apre le sue porte e i dannati non aprono le bocche che per maledire, e ogni voce resta soffocata dall'odio di Satana e dei satana, perché i dannati satana sono.
Non giurate né sul capo del padre né su quello della madre, né su quello della sposa e degli innocenti figli. Non ne avete diritto. Sono forse una moneta o una merce? Sono una firma su una carta? Sono più e meno di queste cose.
Sono sangue e carne del tuo sangue, uomo, ma sono anche creature libere e tu non le puoi usare come schiave per avallo di un tuo falso. E sono meno di una firma tua propria, perché tu sei intelligente, libero e adulto, e non un interdetto o un pargolo che non sa quello che si fa e che perciò deve essere rappresentato dai parenti. Tu sei tu, un uomo dotato di ragione, e perciò sei responsabile delle tue azioni e devi agire da te, mettendo ad avallo delle tue azioni e delle tue parole la tua onestà e la tua sincerità, la stima che hai saputo suscitare tu nel prossimo, non l'onestà, la sincerità dei parenti e la stima che essi hanno saputo suscitare.
Sono responsabili i padri dei figli? Sì, ma finché sono minorenni. Dopo, ognuno è responsabile di se stesso. Non sempre da giusti nascono giusti, né una santa donna è coniugata ad un santo uomo. Perché allora usare per base di garanzia la giustizia di chi vi è congiunto? Ugualmente, da un peccatore possono nascere figli santi e, finché innocenti sono, tutti sono santi. Perché allora invocare un puro per un vostro atto impuro quale è il giuramento che si vuole poi spergiurare?
Non giurate neppure per la vostra testa, i vostri occhi, e lingua e mani. Non ne avete diritto. Tutto quanto avete è di Dio. Voi non ne siete che i temporanei custodi, i banchieri dei tesori morali o materiali che Dio vi ha concessi. Perché usare allora di ciò che non è vostro? Potete voi aggiungere un capello al vostro capo o mutarne il colore? E se non potete fare questo, perché allora usate la vista, la parola, la libertà delle membra, per convalidare un vostro giuramento?
Non sfidate Dio. Potrebbe prendervi in parola e seccare i vostri occhi come può seccare i vostri frutteti, o strapparvi i figli come può svellervi la casa, per ricordarvi che Lui è il Signore e voi i sudditi, e che è maledetto chi si idolatra al punto da ritenersi da più di Dio sfidandolo con la menzogna.
Il vostro parlare sia: sì, sì; e no, no. Non di più. Il di più ve lo suggerisce il Maligno, e per ridere poi di voi che, non potendo tutto ritenere, cadete in menzogna e siete sbeffeggiati e conosciuti per mentitori. Sincerità, figli. Nella parola e nella preghiera.
Non fate come gli ipocriti5 che quando pregano amano stare a pregare nelle sinagoghe o sugli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini e lodati come uomini pii e giusti mentre poi, nell'interno delle famiglie, sono colpevoli verso Dio e verso il prossimo.
Non riflettete che questo è come uno spergiuro? Perché voi volete sostenere ciò che vero non è allo scopo di conquistarvi una stima che non meritate?
La orazione ipocrita ha lo scopo di dire: "In verità io sono un santo. Lo giuro agli occhi di chi mi vede e che non possono mentire di vedermi pregare". Velo steso sulla malvagità esistente, la preghiera fatta con simili scopi diviene una bestemmia.
Lasciate che Dio vi proclami santi, e fate che tutta la vostra vita gridi per voi: "Ecco un servo di Dio". Ma voi, ma voi, per carità di voi, tacete. Non fate della vostra lingua, mossa dalla vostra superbia, un oggetto di scandalo agli occhi degli angeli. Meglio sarebbe diveniste sull'istante muti se non avete la forza di comandare all'orgoglio e alla lingua, autoproclamandovi giusti e gradevoli a Dio. Lasciate ai superbi e ai falsi questa povera gloria! Lasciate ai superbi e ai falsi questa effimera ricompensa. Povera ricompensa! Ma è quale la vogliono, e non ne avranno altra perché più di una non se ne può avere. O quella vera, del Cielo, e che è eterna e giusta. O quella non vera, della terra, che dura quanto la vita dell'uomo e anche meno e che poi, essendo ingiusta, è pagata, oltre la vita, con una ben mortificante punizione.
Udite come dovete pregare e col labbro e col lavoro e con tutto voi stessi, per impulso del cuore che ama, sì, Dio, e Padre lo sente, ma che anche sempre ricorda chi è il Creatore e che è la creatura, e sta con amore riverenziale al cospetto di Dio, sempre, sia che òri o che traffichi, sia che cammini o che riposi, sia che guadagni o che benefichi.
Per impulso del cuore, ho detto.
E’ la prima ed essenziale qualità. Perché tutto viene dal cuore, e come è il cuore tale è la mente, tale la parola, lo sguardo, l'azione.
L'uomo giusto dal suo cuore di giusto trae fuori il bene, e più ne trae più ne trova, perché il bene fatto procrea novello bene, così come il sangue che si rinnovella nel circolo delle vene e torna al cuore arricchito di sempre nuovi elementi, tratti dall'ossigeno che ha assorbito e dal succo dei cibi che ha assimilato. Mentre il perverso dal suo buio cuore pieno di frode e di veleni non può che trarre frode e veleno, che sempre più si accrescono, corroborati come sono dalle colpe che si accumulano, come nel buono dalle benedizioni di Dio che si accumulano. Credete pure che è l'esuberanza del cuore quella che trabocca dalle labbra e si rivela nelle azioni.
Voi fatevi un cuore umile e puro, amoroso, fiducioso, sincero; amate Dio col pudico amore che ha una vergine per lo sposo. In verità vi dico che ogni anima è una vergine sposata all'eterno Amatore, a Dio Signor nostro; questa terra è il tempo del fidanzamento nel quale l'angelo dato a custode di ogni uomo è lo spirituale paraninfo, e tutte le ore della vita e le contingenze della vita altrettante ancelle che preparano il corredo nuziale.
L'ora della morte è l'ora delle nozze compiute e allora viene la conoscenza, l'abbraccio, la fusione, e con veste di sposa compiuta l'anima può alzare il suo velo e gettarsi nelle braccia del suo Dio senza che per amare così lo Sposo possa indurre altri allo scandalo.
Ma per ora, o anime ancora sacrificate nel laccio del fidanzamento con Dio, quando volete parlare allo Sposo, mettetevi nella pace della vostra dimora, e soprattutto nella pace della vostra dimora interiore, e parlate, angelo di carne fiancheggiato dall'angelo custode, al Re degli angeli.
Parlate al Padre vostro nel segreto del vostro cuore e della vostra stanza interiore.
Lasciate fuori tutto quanto è mondo: e la smania di essere notati e quella di edificare, e gli scrupoli delle lunghe preghiere colme di parole, parole, parole e monotone, e tiepide e scialbe d'amore.
Per carità! Liberatevi dalle misure nel pregare. In verità vi sono alcuni che sprecano più e più ore in un monologo ripetuto con le labbra sole, e che è un vero soliloquio perché neppur l'angelo custode lo ascolta, tanto è rumore vano che egli cerca di rimediare sprofondandosi di suo in ardente orazione per il suo stolto custodito.
In verità vi sono alcuni che non userebbero quelle ore diversamente neppure se Dio apparisse loro dicendo: "La salute del mondo dipende dal tuo lasciare questa loquela senz'anima per andare, magari, semplicemente ad attingere dell'acqua ad un pozzo ed a spargere quell'acqua al suolo per amore di Me e dei tuoi simili".
In verità vi sono alcuni che credono più grande il loro monologo all'atto cortese di accogliere un visitatore o a quello caritativo di soccorrere un bisognoso. Sono animi caduti nell'idolatria della preghiera.
La preghiera è azione d'amore. E amare si può tanto orando che facendo il pane, tanto meditando che assistendo un infermo, tanto compiendo pellegrinaggio al Tempio che accudendo alla famiglia, tanto sacrificando un agnello quanto sacrificando i nostri anche giusti desideri di raccogliersi nel Signore. Basta che uno intrida tutto se stesso e ogni sua azione nell'amore.
Non abbiate paura! Il Padre vede. Il Padre comprende. Il Padre ascolta. Il Padre concede. Quante grazie non sono date anche per un solo, vero, perfetto sospiro d'amore!
Quanta abbondanza per un sacrificio intimo fatto con amore. Non siate simili ai gentili.
Dio non ha bisogno che gli diciate ciò che deve fare perché voi ne abbisognate.
Ciò possono dirlo i pagani ai loro idoli che non possono intendere. Non voi a Dio, al vero, spirituale Iddio che non è solo Dio e Re, ma è Padre nostro e sa, prima ancora che voi glielo chiediate, di che avete bisogno.
Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto.6 Perché chiunque chiede riceve, chi cerca trova, e verrà aperto a chi picchia.
Quando un figlio vostro vi tende la manina dicendovi: "Padre, ho fame", gli date forse un sasso? Gli date un serpente se vi chiede un pesce? No, anzi che date pane e pesce, ma inoltre date carezza e benedizione, perché è dolce ad un padre nutrire la sua creatura e vederne il sorriso felice.
Se dunque voi di imperfetto cuore sapete dare buoni doni ai vostri figli solo per l'amore naturale, comune anche all'animale verso la prole, quanto più il Padre vostro che è nei Cieli concederà a coloro che gliele chiedono le cose buone e necessarie al loro bene.
Non abbiate paura di chiedere e non abbiate paura di non ottenere!
Però - ecco che Io vi metto in guardia contro un facile errore - però non fate come i deboli nella fede e nell'amore, i pagani della religione vera - perché anche fra i credenti vi sono pagani la cui povera religione è un groviglio di superstizioni e di fede, un manomesso edificio in cui si sono infiltrate erbe parassitarie d'ogni specie, al punto che esso si sgretola e cade in rovina - i quali, deboli e pagani, sentono morire la fede se non si vedono esauditi.
Voi chiedete. E vi pare giusto di chiedere. Infatti per quel momento non sarebbe neanche ingiusta quella grazia.
Ma la vita non termina in quel momento. E ciò che è bene oggi può essere non bene domani. Voi questo non lo sapete, perché voi sapete solo il presente, ed è una grazia di Dio anche questa. Ma Dio conosce anche il futuro. E molte volte per risparmiarvi una pena maggiore vi lascia non esaudita una preghiera. Nel mio anno di vita pubblica più di una volta ho sentito dei cuori gemere: "Quanto ho sofferto allora, quando Dio non mi ha ascoltato. Ma ora dico: 'Fu bene così perché quella grazia mi avrebbe impedito di giungere a quest'ora di Dio'."
Altri ho sentito dire e dirmi: "Perché, Signore, non mi esaudisci? A tutti lo fai, e a me no?".
E pur avendo dolore di veder soffrire ho dovuto dire: "Non posso", perché l'esaudirli avrebbe voluto dire mettere un intralcio al loro volo alla vita perfetta.
Anche il Padre delle volte dice: "Non posso". Non perché non possa compiere l'atto immediato. Ma perché non lo vuole compiere per conoscenza delle conseguenze future.
Udite. Un bambino è malato alle viscere. La madre chiama il medico e il medico dice: "Per guarire occorre digiuno assoluto". Il bambino piange, strilla, supplica, pare languire.
La madre, pietosa sempre, unisce i suoi lamenti a quelli del figlio. Le pare durezza del medico quel divieto assoluto. Le pare che possa nuocere al figlio quel digiuno e quel pianto. Ma il medico resta inesorabile. Infine dice: "Donna, io so, tu non sai. Vuoi perdere tuo figlio o vuoi che io te lo salvi?". La madre urla: "Voglio che egli viva!". "E allora" - dice il medico - "io non posso concedere cibo. Sarebbe la morte".
Anche il Padre dice così, delle volte. Voi, madri pietose del vostro io, non lo volete sentire piangere per negata grazia. Ma Dio dice: "Non posso. Sarebbe il tuo male ". Viene il giorno, o viene l'eternità, in cui si giunge a dire: "Grazie, mio Dio, di non avere ascoltato la mia stoltezza!".
Quanto ho detto per l'orazione dico per il digiuno.7
Quando digiunate non prendete un'aria melanconica come usano gli ipocriti, che ad arte si sfigurano la faccia acciò il mondo sappia e creda, anche se vero non è, che essi digiunano.
Anche essi hanno già avuto, con la lode del mondo, la loro mercede e non ne avranno altra. Ma voi, quando digiunate, prendete un'aria lieta, lavatevi a più acque il volto perché appaia fresco e liscio, ungetevi la barba e profumatevi le chiome, abbiate il sorriso del ben pasciuto sulle labbra. Oh! che in verità non vi è cibo che pasca quanto l'amore! E chi fa digiuno con spirito d'amore, di amore si nutre! In verità vi dico che se anche il mondo vi dirà "vanitosi" e "pubblicani", il Padre vostro vedrà il vostro segreto eroico e ve ne darà doppia ricompensa. E per il digiuno, e per il sacrificio di non essere lodati per esso.
Ed ora andate a dare cibo al corpo dopo che l'anima fu nutrita. Quei due poverelli restino con noi. Saranno gli ospiti benedetti che daranno sapore al nostro pane. La pace sia con voi».
E i due poverelli restano. Sono una donna molto scarna e un vecchio molto vecchio. Ma non sono insieme. Il caso li ha riuniti, ed erano rimasti in un angolo avviliti, tendendo inutilmente la mano a quelli che passavano loro davanti.
Gesù va direttamente verso di loro che non osano venire avanti e li prende per mano portandoli al centro del gruppo dei discepoli, sotto una specie di tenda che Pietro ha drizzato in un angolo e sotto la quale forse si ricoverano nella notte e si riuniscono di giorno nelle ore più calde.
E’ una tettoia di frasche e di... mantelli. Ma serve allo scopo per quanto sia così bassa che Gesù e l'Iscariota, i due più alti, si debbano abbassare per entrarvi.
«Ecco il padre ed ecco una sorella. Portate quanto abbiamo. Mentre prendiamo il cibo udremo la loro storia».
E personalmente Gesù serve i due vergognosi e ne ascolta la lamentosa narrazione. Solo il vecchio, dopo che la figlia è andata lontano col marito e si è dimenticata del padre. Sola la donna, dopo che la febbre le ha ucciso il marito, ed è malata per giunta.
«Il mondo ci sprezza perché poveri siamo» dice il vecchio. «Io vado elemosinando per raggranellare di che compiere la Pasqua. Ho ottant'anni. Ho sempre fatto Pasqua e può essere l'ultima questa. Ma non voglio andare in seno ad Abramo8 con nessun rimorso. Come perdono alla figlia così spero essere perdonato. E voglio fare la mia Pasqua».
«Lunga è la via, padre».
«Più lunga è quella del Cielo, se si manca al rito».
«Vai solo? Se ti senti male per via?».
«Mi chiuderà le palpebre l'angelo di Dio».
Gesù lo carezza sulla testa tremula e bianca e chiede alla donna: «E tu?».
«Io vado cercando lavoro. Se fossi più pasciuta guarirei dalle febbri. E se fossi guarita potrei lavorare anche ai grani».
«Credi. che solo il cibo ti guarirebbe?».
«No. Ci sei anche Tu... Ma io sono una povera cosa, una troppo povera cosa per poter chiedere pietà».
«E se ti guarissi, che vorresti dopo?».
«Nulla più. Avrei avuto già ben più di quanto possa sperare».
Gesù sorride e le dà un pezzo di pane intinto in un poco di acqua e aceto che fa da bevanda. La donna lo mangia senza parlare e Gesù continua a sorridere.
Il pasto cessa presto. Era così parco! Apostoli e discepoli vanno in cerca d'ombra per le pendici, fra i cespugli. Gesù resta sotto la tenda. Il vecchione si è messo contro la parete erbosa e dorme stanco.
Dopo un poco la donna, che pure si era allontanata cercando ombra e riposo, viene verso Gesù che le sorride per rincuorarla. Lei viene avanti timida e pure lieta, fin quando quasi è presso la tenda, e poi la vince la gioia e fa gli ultimi passi velocemente, cadendo bocconi con un grido soffocato: «Tu mi hai guarita! Benedetto! È l'ora del grande brivido ed io non l'ho più... Oh!» e bacia i piedi di Gesù.
«Sei sicura di essere guarita? Io non te l'ho detto. Potrebbe essere un caso...»
«Oh! no! Ora ho compreso il tuo sorriso nel darmi quel pane. La tua virtù è entrata in me con quel boccone. Io non ho nulla da ricambiarti fuorché il mio cuore. Comanda alla tua serva, Signore, ed ella ti ubbidirà fino alla morte».
«Sì. Vedi quel vecchio? E' solo ed è un giusto. Tu avevi un marito e te lo levò la morte. Egli aveva una figlia e gliela levò l'egoismo. E’ peggio. Eppure non impreca. Ma non è giusto che vada solo nelle sue ultime ore. Siigli figlia».
«Sì, mio Signore».
«Ma guarda che vuol dire lavorare per due».
«Sono forte, ora, e lo farò».
«Vai allora là, su quel greppo, e di' all'uomo che riposa là, a quello vestito di bigio, che venga da Me».
La donna va sollecita e torna con Simone Zelote.
«Vieni, Simone. Ti devo parlare. Attendi, donna».
Gesù si allontana qualche metro.
«Pensi che Lazzaro avrebbe difficoltà ad accogliere una lavoratrice di più?».
«Lazzaro? Ma io credo che non sappia neppure quanti sono i suoi servi! Uno più, uno meno! ... Ma chi è?».
«Quella donna. L'ho guarita e...»
«Basta, Maestro. Se Tu l'hai sanata è segno che l'ami. Ciò che Tu ami è sacro a Lazzaro. Mi impegno per lui».9
«E’ vero. Ciò che Io amo è sacro a Lazzaro. Hai detto bene. E per questo Lazzaro diventerà santo, perché amando ciò che Io amo amerà la perfezione. Voglio unire quel vecchio a quella donna e far fare l'ultima sua Pasqua in letizia a quel patriarca. Voglio molto bene Io ai vecchi santi, e se posso dar loro tramonto sereno sono felice».
«Vuoi bene anche ai bambini...»
«Sì, e ai malati...»
«E a quelli che piangono...»
«E a quelli che sono soli...»
«Oh! mio Maestro! Ma non ti accorgi di volere bene a tutti? Anche ai tuoi nemici?».
«Non me ne accorgo, Simone. Amare è la mia natura. Ecco che il patriarca si sveglia. Andiamo a dirgli che farà la Pasqua con una figlia vicino e senza più bisogno del pane».
Tornano alla tenda dove la donna li attende e vanno tutti e tre dal vecchio che si è seduto e si riallaccia i sandali.
«Che fai, padre?».
«Scendo a valle. Spero trovare un ricovero per la notte, e domani mendicherò sulla via, e poi giù, giù, giù, fra un mese, se non muoio, sarò al Tempio».
«No».
«Non devo? Perché?».
«Perché il buon Dio non vuole. Non andrai solo. Questa verrà con te. Ti condurrà dove Io dirò e sarete accolti per amor mio. Farai la tua Pasqua, ma senza fatica. La tua croce l'hai già portata, padre. Posala adesso. E raccogliti solo in orazione di grazie al buon Dio».
«Ma perché... ma perché... io... io non merito tanto... Tu... una figlia... Più che se mi donassi vent'anni... E dove, dove mi mandi?...» Il vecchio piange fra il cespuglio del suo barbone.
«Da Lazzaro di Teofilo. Non so se lo conosci».
«Oh!... io sono dei confini della Siria10 e ricordo Teofilo. Ma... ma... oh! Figlio benedetto di Dio, lascia che io ti benedica!».
E Gesù, seduto come è sull'erba, di fronte al vecchione, veramente si curva per lasciare che lo stesso gli imponga, solenne, le mani sul capo, tuonando, con la sua voce cavernosa di vegliardo, l'antica benedizione: «Il Signore ti benedica e custodisca. Il Signore ti mostri la sua faccia e abbia di te misericordia. Il Signore volga a te il suo volto e ti dia la sua pace».
E Gesù, Simone e la donna rispondono insieme: «E così sia».
5.2 Qualche considerazione generale sulle preghiere…, anche su quelle false.
Bisogna riconoscere che il Discorso della montagna – già di per sé concettualmente profondo nelle sintetiche e celebrate enunciazioni del Vangelo di Matteo – lo diventa ancora molto di più in quelle del Gesù valtortiano.
Difficile poter immaginare concetti espressi in siffatta forma, senza dover ammettere che davvero ci troviamo di fronte all’Uomo-Dio che enuncia verità sublimi pur dovendosi adattare - nel linguaggio - al livello culturale ed intellettivo degli ascoltatori di allora e di ora.
Chi avrebbe mai pensato - parlando ad esempio del ‘giuramento’ - a tutte le sfumature ed aspetti che Gesù sottopone alla nostra attenzione?
Gesù aveva esordito fin dall’inizio dicendo che i suoi sarebbero stati consigli di perfezione: il ‘serto’ che incorona la ‘Legge’ che è ‘Regina’!
Se il rispetto della Legge mosaica è sufficiente per ‘salvarci’, bisogna convenire – da quanto abbiamo fino ad ora letto, ed il Discorso della montagna non è ancora finito – che il riuscire a mettere in pratica questi nuovi insegnamenti possa davvero aiutare l’uomo a divenire ‘santo’ già in terra, per quanto glielo consenta la sua ‘umanità’.
Non sono pochi i concetti del discorso di Gesù che potrebbero averci colpito.
Ad esempio quello, di sottile rilevanza psicologica, per cui – mancando l’uomo di onestà non solo verso gli altri ma anche verso se stesso – egli, conoscendosi, si autoimpone una sorta di ‘guinzaglio’ anzi un ‘morso’ come si fa con i cavalli, un ‘morso’ che in qualche modo lo aiuti a mantenere quanto promesso.
Questo ‘morso’ è il giuramento, morso relativo, tuttavia, perché poi l’uomo tende ad ‘aggiustarselo’ giungendo a compromessi con se stesso secondo le proprie convenienze del momento, quando invece non spergiuri del tutto.
Persino un ‘voto’ è una ‘parola’ data al Signore e va mantenuto come un giuramento.
L’uomo non dovrebbe servirsi del giuramento, abitudine legata alla sua disonestà morale.
Se poi è spergiuro si prende gioco di Dio che chiama ad essere suo complice e mallevadore.
Che dire poi – continua Gesù - quando si giura o si spergiura sulla testa dei propri figli, la nostra cosa più sacra dopo Dio?
Ed invocare a testimonianza della propria onestà – o disonestà nel caso di spergiuro - le anime dei nostri più cari defunti?
Spergiurare significa ingannare il prossimo portato a credere che mai oseremmo dire il falso dopo aver chiamato Dio a testimonio.
Significa anche essere coscienti del fatto che di per se stessi non si è ‘credibili’ e che nemmeno gli altri crederebbero alla verità delle nostre parole se non si giurasse.
Lo spergiurare è una autentica sfida e provocazione nei confronti di Dio: spergiuriamo infatti nel suo nome, davanti a Lui che è sempre presente fin dentro i nostri più reconditi pensieri, ma sappiamo in cuor nostro in anticipo di giurare il falso.
E’ dunque un peccato che grida vendetta.
Gesù nel suo discorso dedica un ampio rilievo alla preghiera e anche io vorrei intrattenervi con delle mie considerazioni.
Questo è infatti un argomento fondamentale per tutti i popoli e per tutte le religioni, perché il ‘timor di Dio’ è innato nell’anima di tutti gli uomini, un’anima che ha ‘conosciuto’ Dio nell’attimo infinitesimale della sua creazione prima di essere infusa nel concepito salvo rimanerne poi ‘smemorata’.
La preghiera è importante anche per via della ‘Comunione dei Santi’.
Se il Peccato reca offesa all’Altissimo, la preghiera rende onore a Dio.
Dunque la preghiera è ‘riparazione’, perché ripara le offese di chi non ama Dio, ed è contemporaneamente ‘amore ‘, perché rendendo ‘Gloria’ a Dio lo ‘consola’ delle offese subite: offese subite dal Padre.
La preghiera è una ‘catena’ che unisce noi a Dio e Dio a noi.
Ecco perché la Madonna, nelle sue sempre più frequenti apparizioni, ci invita costantemente alla preghiera.
La preghiera è il minimo, per chi non riesca a fare nient’altro.
Come si ama, pregando? Si ama parlando al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo come al proprio padre, al proprio fratello, al proprio spirito. E dal colloquio filiale e fraterno nasce quel tipo di confidenza che ci abitua a vivere con Dio e in Dio. E quando si comincia a vivere insieme a Dio, posto che Egli è buono, lo si ama anche. E quando lo si ama si fa anche la sua Volontà.
Le false preghiere sono invece delle ipocrisie che hanno punti in comune con il giuramento del falso.
Gesù spiega infatti che chi prega premurandosi di farsi vedere per farlo sapere agli altri e farsi così considerare un ‘giusto’, è un bugiardo e un ipocrita.
Si ingannano gli altri ma non si inganna Dio, che osserva in silenzio ogni attimo della nostra vita e scandaglia i nostri pensieri più intimi, un Dio la cui pazienza potrebbe avere anche un limite.
E quelle nostre preghiere recitate come litanie? A chi di noi non è mai capitato?
A volte ci giustifica la stanchezza, a volte è la monotonia corale che addormenta lo spirito, altre volte ancora essa è un mero pregare ‘con le labbra’ perché – come in certi rosari collettivi di suffragio - ci si ‘adegua’ agli altri.
Queste ultime preghiere sono solo ‘suono di voce’, non partecipazione spirituale con un’altra anima morta da poco e che si è già presentata davanti alla Giustizia di Dio, avendo conosciuto una sentenza che in taluni casi potrebbe essere stata di condanna all’inferno o - in altri casi - di condanna al Purgatorio, che tutto è fuorché una cosa piacevole, anche se l’anima del defunto è ‘consolata’ dalla certezza di essere comunque salva.
Gesù insegna dunque che la preghiera può certamente essere verbale ma deve soprattutto essere fatta con il ‘cuore’.
Faccio peraltro osservare – se poco adusi alla prassi della preghiera – che Dio si accontenta anche di poche parole, se dette appunto con il cuore: da figlio a Padre.
Certamente si possono chiedere con la preghiera delle grazie a Dio, ma non solo quando ci fa comodo, e non solo per cose materiali, per non dire cose ingiuste.
Dio vuole preghiere innanzitutto per ragioni spirituali e poi – se è per il nostro bene – esaudisce anche le nostre esigenze materiali senza che neanche glielo chiediamo e senza che ce ne rendiamo conto, perché Egli sa benissimo di cosa abbiamo veramente bisogno.
Bisogna poi pregare il Signore – aggiungo ancora - abituandosi a chiedere aiuto e compartecipazione di preghiera anche al nostro Angelo Custode, che di norma prega e perora le nostre giuste cause ma è più contento se noi glielo chiediamo.
Chiedere aiuto al nostro Angelo custode è un po’ come ‘consolarlo’ facendogli vedere che lo ricordiamo e che gli siamo grati: è un compagno di viaggio che ci segue per tutto il percorso della nostra vita e – pochi lo sanno – persino in Purgatorio dove sovente viene a consolarci ed a darci forza nell’espiazione.
Il Signore ce lo ha messo a fianco sin dal concepimento, attimo per attimo, una vita vissuta in simbiosi con noi, e noi spesso non lo degniamo che di rari ed astratti pensieri.
E’ bene pregare raccogliendosi anche per brevi momenti in solitudine, per poter parlare a Dio nel silenzio dell’anima, cioè intimamente, e poter eventualmente ascoltare le parole che Egli ispira al nostro orecchio spirituale.
Quando – ad esempio – nella nostra normale vita giornaliera noi ci apprestiamo ad essere ammessi alla presenza di una persona importante alla quale vorremmo chiedere un favore, non è del resto opportuno presentarci con il nostro aspetto fisico migliore e con i vestiti lindi ed in ordine, non certo macchiati o stazzonati?
Così per Dio. Nel pregarlo – che è sempre un mettersi alla sua presenza – e ancor più nel ‘chiedere’, preoccuparsi di essere ‘con le vesti adatte’1, cioè ben confessati e con le migliori intenzioni spirituali, se vogliamo che Egli almeno ci ascolti.
Quanto all’esaudirci si vedrà, perché non è detto che le cose che chiediamo siano cose che ci facciano bene. Noi non conosciamo il futuro, ed una cosa che oggi ci sembrerebbe la migliore e più desiderabile, nel futuro – che Dio invece vede – potrebbe rivelarsi pericolosa sia per la nostra vita materiale che soprattutto per la Vita della nostra anima.
Dio guarda soprattutto all’anima perché è l’anima quella che è destinata alla Salvezza se rispetta la legge interiore dei Dieci comandamenti.
Ricordate le spiegazioni di Gesù sulla ‘predestinazione alla Grazia’ di tutti gli uomini, anche dei non battezzati?
E’ infatti nella prospettiva della Vita eterna che Dio ci ha creato, e non solo per questa vita terrena limitata che è una frazione infinitesimale, che è un nulla rispetto all’Eternità.
Vita terrena che se da un lato è gioia dall’altro è anche prova dura, perché la Terra – a causa del continuo peccato degli uomini – è sostanzialmente un ‘Tempio di espiazione’.
E’ comunque confermato dal Gesù valtortiano che l’espiazione in terra – per quanto a noi possa sembrare pesante al punto che preferiremmo rimandarla al Purgatorio – è molto più leggera di quella in Purgatorio.
Ci sono in ogni caso tanti modi di pregare: ad esempio con i propri ‘comportamenti’ nella vita abituale.
Sono ad esempio ‘preghiera’ – se fatti con spirito soprannaturale - l’allevare bene i propri figli per farne dei futuri potenziali ‘figli di Dio’ destinati al Paradiso, oppure curare la famiglia ed il proprio marito o moglie non solo dal punto di vista affettivo ma in onore del Matrimonio, che cristianamente parlando non è un ‘contratto civile’ ma un vero e proprio Sacramento istituito da Dio dove i due sposi, uomo e donna, si giurano per sempre reciproco amore, fedeltà e assistenza nella buona come nella cattiva sorte.
E’ pure ‘preghiera’ comportarsi - nelle scuole - da buoni maestri ai quali i nostri figli giovani vengono affidati con fiducia allo scopo di indirizzarli verso una vita spiritualmente e socialmente ordinata e sana.
La Scuola non deve essere mero ‘nozionismo’ culturale o solo mezzo per trovare in futuro un lavoro od acquisire una miglior posizione sociale, ma deve essere formazione anche di valori di vita a cominciare dai valori etici ‘non negoziabili’, tanto per capirci.
E’ ancora ‘preghiera’ essere buoni medici interpretando la propria missione come ‘vocazione’ per la vita – come la intendeva Ippocrate – e non come un comune lavoro finalizzato talvolta ad un mero guadagno economico, anche se legittimo.
Lo stesso concetto di ‘preghiera’ vale per tante altre mansioni ed azioni della nostra vita, se svolte correttamente e con un occhio rivolto al Cielo, non ultime quelle nel campo della politica, dove i governanti dovrebbero innanzitutto preoccuparsi del benessere collettivo di tutti i ‘governati’ e non – ad esempio - solo degli interessi di quelli della propria parte politica.
La responsabilità dei governanti di fronte a Dio è dunque enorme perché riguarda la tutela e la formazione civile non di poche persone ma dell’intera collettività che Dio ha loro affidata.
Se infatti è indubitabile che governati ‘cattivi’ possano designare governanti altrettanto ‘cattivi’, è anche vero il contrario, e cioè che governanti ‘buoni’ possono ‘educare’ e rendere migliori i ‘governati’ che lo sono meno.
La prossima riflessione sarà dedicata a:
6. IL QUARTO DISCORSO DELLA MONTAGNA: IL GIURAMENTO, LA PREGHIERA, IL DIGIUNO.
(Seconda parte di due)

1 Mt 22, 1-14: 1 Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: 2«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest'ordine: «Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!». 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero.
7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: «La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze».
10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
11Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l'abito nuziale. 12Gli disse: «Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?». Quello ammutolì. 13Allora il re ordinò ai servi: «Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti». 14Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
      
6. (2/2) IL QUARTO DISCORSO DELLA MONTAGNA: IL GIURAMENTO, LA PREGHIERA, IL DIGIUNO.
6.1 Gesù: «Nel Pater noster è la perfezione della preghiera».
Vi siete già a questo punto resi conto che la preghiera è una cosa troppo importante per non continuare ad approfondire l’argomento in maniera quasi monografica.
Per chi non sapesse pregare ricordo che la Preghiera più semplice e perfetta ce l’ha data proprio Gesù: è quella del ‘Padre nostro’, l’unica Preghiera che Egli ci abbia insegnato.
Se detta meditandola con il cuore, si potrebbe dire – con una battuta - che ‘Un Padre nostro al giorno… leva il medico di torno’. Meglio se due ‘Pater’, uno al mattino al risveglio per ringraziarlo di averci preservato in vita durante il sonno, ed uno prima di dormire perché – di notte - faccia ben vegliare il nostro Angelo Custode su di noi in quella che è notoriamente l’ora delle Tenebre.
Ecco comunque cosa spiega Gesù a Maria Valtorta proprio in merito alla Preghiera per eccellenza (i grassetti sono miei):1
7 luglio.
Dice Gesù:
«Nel Pater noster è la perfezione della preghiera.
Osserva: nessun atto è assente nella brevità della formula. Fede, speranza, carità, ubbidienza, rassegnazione, abbandono, domanda, contrizione, misericordia sono presenti.
Dicendola, pregate con tutto il Paradiso, durante le prime quattro petizioni, poi, lasciando il Cielo, che è la dimora che vi attende, tornate sulla terra, rimanendo con le braccia alte verso il Cielo per implorare per le necessità di quaggiù e per chiedere aiuto nella battaglia da vincersi per tornare lassù.
“Padre nostro che sei nei cieli”.
O Maria! Solo il mio amore poteva dirvi: dite “Padre nostro”. Con questa espressione vi ho investiti pubblicamente del titolo sublime di figli dell’Altissimo e fratelli miei.
Se qualcuno, schiacciato dalla considerazione della sua nullità umana, può dubitare di essere figlio di Dio, creato a sua immagine e somiglianza, pensando a questa mia parola non può più dubitare. Il Verbo di Dio non erra e non mente. E il Verbo vi dice: dite “Padre nostro”.
Avere un padre è dolce cosa e forte aiuto. Io, nell’ordine materiale, ho voluto avere un padre sulla terra per tutelare la mia esistenza di bimbo, di fanciullo, di giovane. Con questo ho voluto insegnarvi, sia ai figli che ai padri, quanto sia grande la figura morale del padre. Ma avere un Padre di perfezione assoluta, quale è il Padre che è nei Cieli, è dolcezza delle dolcezze, aiuto degli aiuti. Guardate a questo Padre-Dio con timore santo, ma sempre più forte del timore sia l’amore riconoscente per il Datore della vita in terra e in cielo.
“Sia santificato il Nome tuo”.
Con lo stesso movimento dei serafini e di tutti i cori angelici, ai quali e coi quali vi unite nell’esaltare il nome dell’Eterno, ripetete questa esultante, riconoscente, giusta lode al Santo dei Santi. Ripetetela pensando a Me che prima di voi, Io, Dio figlio di Dio, l’ho detta con venerazione somma e con sommo amore. Ripetetela nella gioia e nel dolore, nella luce e nelle tenebre, nella pace e nella guerra. Beati quei figli che mai hanno dubitato del Padre e in ogni ora, in ogni evento, hanno saputo dirgli: “Sia benedetto il tuo Nome!”.
“Venga il tuo Regno”.
Questa invocazione dovrebbe essere il battito del pendolo di tutta la vostra vita, e tutto dovrebbe gravitare su questa invocazione al Bene. Perché il Regno di Dio nei cuori, e dai cuori nel mondo, vorrebbe dire: Bene, Pace, e ogni altra virtù. Scandite perciò la vostra vita di innumeri implorazioni per l’avvento di questo Regno. Ma implorazioni vive, ossia agire nella vita applicando il vostro sacrificio di ogni ora, perché agire bene vuol dire sacrificare la natura, a questo scopo.
“Sia fatta la tua Volontà come in Cielo così in terra”.
Il Regno del Cielo sarà di chi ha fatto la Volontà del Padre, non di chi avrà accumulato parole su parole, e poi si è ribellato al volere del Padre, mentendo alle parole anzidette.
Anche qui vi unite a tutto il Paradiso che fa la Volontà del Padre.
E se tale Volontà la fanno gli abitanti del Regno, non la farete voi per divenire, a vostra volta, abitanti di lassù? Oh! gioia che vi è stata preparata dall’amore uno e trino di Dio!
Come potete voi non adoperarvi con perseverante volontà a conquistarla?
Chi fa la Volontà del Padre vive in Dio. Vivendo in Dio non può errare, non può peccare, non può perdere la sua dimora in Cielo, poiché il Padre non vi fa fare altro che ciò che è Bene, e che, essendo Bene, salva dal peccare, e conduce al Cielo.
Chi fa sua la Volontà del Padre, annullando la propria, conosce e gusta dalla Terra la Pace che è dote dei beati.
Chi fa la Volontà del Padre, uccidendo la propria volontà perversa e pervertita, non è più un uomo: è già uno spirito mosso dall’amore e vivente nell’amore.
Dovete, con buona vo1ontà, svellere dal cuore vostro la volontà vostra e mettere al suo posto la Volontà del Padre.
Dopo avere provveduto alle petizioni per lo spirito, poiché siete poveri, viventi fra i bisogni della carne, chiedete il pane a Colui che provvede di cibo gli uccelli dell’aria e di vesti i gigli del campo.
“Dacci oggi il nostro pane quotidiano”.
Ho detto oggi e ho detto pane. Io non dico mai nulla di inutile.
Oggi. Chiedete giorno per giorno gli aiuti al Padre. È misura di prudenza, giustizia, umiltà.
Prudenza: se aveste tutto in una volta, ne sciupereste molto. Siete degli eterni bambini e capricciosi per giunta. I doni di Dio non vanno sciupati. Inoltre, se aveste tutto, dimentichereste Iddio.
Giustizia: Perché dovreste avere tutto in una volta quando Io ebbi, giorno per giorno, l’aiuto del Padre? E non sarebbe ingiusto pensare che è bene che Dio vi dia tutto insieme, sotto-pensando con sollecitudine umana che, non si sa mai, è bene avere oggi tutto nella tema che domani Dio non dia? La diffidenza, voi a ciò non riflettete, è un peccato. Non bisogna diffidare di Dio. Egli vi ama con perfezione. È il Padre perfettissimo. Chiedere tutto insieme urta la fiducia e offende il Padre.
Umiltà: il dover chiedere giorno per giorno vi rinfresca nella mente il concetto del vostro nulla, della vostra condizione di poveri, e del Tutto e della Ricchezza di Dio.
Pane. Ho detto “pane” perché il pane è l’alimento-re, l’indispensabile alla vita. Con una parola e nella parola ho chiuso, perché li chiedeste tutti, tutti i bisogni della vostra sosta terrena. Ma come sono diverse le temperature della vostra spiritualità, così sono diverse le estensioni della parola.
“Pane-cibo” per coloro che hanno una spiritualità embrionale al punto che è già molto se sanno chiedere a Dio il cibo per saziare il loro ventre. Vi è chi non lo chiede e lo prende con violenza, imprecando a Dio e ai fratelli. Costui è guardato con ira dal Padre poiché calpesta il precetto da cui vengono gli altri: “Ama il tuo Dio con tutto il tuo cuore, ama il tuo prossimo come te stesso”.
“Pane-aiuto” nelle necessità morali e materiali per chi non vive solo per il ventre, ma sa vivere anche per il pensiero, avendo una spiritualità più formata.
“Pane-religione” per coloro che, ancora più formati, antepongono Dio alle soddisfazioni del senso e del sentimento umano e già sanno muovere le ali nel soprannaturale.
“Pane-spirito, pane-sacrificio” a quelli che, raggiunta l’età piena dello spirito, sanno vivere nello spirito e nella verità, occupandosi della carne e del sangue solo quel tanto che è strettamente necessario per continuare ad esistere nella vita mortale, finché sia l’ora di andare a Dio. Questi hanno ormai scalpellato se stessi sul mio modello e sono copie viventi di Me, sulle quali il Padre si curva con abbraccio d’amore.
“Perdonaci i nostri debiti come noi li perdoniamo ai nostri debitori”.
Non v’è, nel numero dei creati, nessuno, eccetto mia Madre, che non abbia avuto da farsi perdonare dal Padre colpe più o meno gravi a seconda della propria capacità d’esser figli di Dio. Pregate il Padre che vi cancelli dal novero dei suoi debitori. Se lo farete con animo umile, sincero, contrito, piegherete l’Eterno in vostro favore.
Ma condizione essenziale per ottenere, per essere perdonati, è di perdonare.
Se vorrete solo e non darete pietà al vostro prossimo, non conoscerete perdono dell’Eterno. Dio non ama gli ipocriti e i crudeli, e colui che respinge il perdono al fratello respinge il perdono del Padre a se stesso.
Considerate inoltre che, per quanto possiate essere stati feriti dal prossimo vostro, le vostre ferite a Dio sono infinitamente più gravi. Questo pensiero vi spinga a perdonare tutto come Io perdonai per mia Perfezione e per insegnare il perdono a voi.
“Non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male”.
In tentazione Dio non vi induce. Dio vi tenta con doni di Bene soltanto, e per attirarvi a Sé.
Voi, interpretando male le mie parole, credete che esse vogliano dire che Dio vi induca in tentazione per provarvi. No.
Il buon Padre che è nei Cieli il male lo permette, ma non lo crea. Egli è il Bene da cui sgorga ogni bene. Ma il Male c’è. Ci fu dal momento in cui Lucifero si aderse contro Dio.
Sta a voi fare del Male un Bene, vincendolo e implorando dal Padre le forze per vincerlo.
Ecco cosa chiedete con l’ultima petizione. Che Dio vi dia tanta forza da sapere resistere alla tentazione. Senza il suo aiuto la tentazione vi piegherebbe perché essa è astuta e forte, e voi siete ottusi e deboli.
Ma la Luce del Padre vi illumina, ma la Potenza del Padre vi fortifica, ma l’Amore del Padre vi protegge, onde il Male muore e voi ne rimanete liberati.
Questo è quanto chiedete col Pater che Io vi ho insegnato.
In esso vi è tutto compreso, tutto offerto, tutto chiesto di quanto è giusto sia chiesto e dato.
Se il mondo sapesse vivere il Pater, il Regno di Dio sarebbe nel mondo.
Ma il mondo non sa pregare. Non sa amare. Non sa salvarsi. Sa solo odiare, peccare, dannarsi.
Ma Io non ho dato e fatto questa preghiera per il mondo che ha preferito essere regno di Satana.
Io ho dato e ho fatto questa preghiera per coloro che il Padre mi ha dato perché sono suoi, e l’ho fatta affinché siano una cosa sola col Padre e con Me fin da questa vita, per raggiungere la pienezza dell’unione nell’altra.»
Alcune concetti offrono lo spunto ad ulteriori riflessioni.
I temi dell’amore e del perdono ricorrono molto spesso nel Discorso della montagna.
Ai fini della salvezza è importante perdonare per essere perdonati da Dio.2
Gesù aveva infatti detto: «Perdonate per essere perdonati da Dio perché anche voi avete colpe verso Dio e i fratelli. Il perdono apre le porte al Regno dei Cieli tanto al perdonato come al perdonante».
Nella preghiera del ‘Padre nostro’ Gesù ha illustrato l’invocazione: ‘Perdonaci i nostri debiti come noi li perdoniamo ai nostri debitori’ e lo ha fatto con le seguenti parole che ritrascrivo perché…‘repetita juvant’:
“Perdonaci i nostri debiti come noi li perdoniamo ai nostri debitori”.
Non v’è, nel numero dei creati, nessuno, eccetto mia Madre, che non abbia avuto da farsi perdonare dal Padre colpe più o meno gravi a seconda della propria capacità d’esser figli di Dio. Pregate il Padre che vi cancelli dal novero dei suoi debitori. Se lo farete con animo umile, sincero, contrito, piegherete l’Eterno in vostro favore.
Ma condizione essenziale per ottenere, per essere perdonati, è di perdonare.
Se vorrete solo e non darete pietà al vostro prossimo, non conoscerete perdono dell’Eterno. Dio non ama gli ipocriti e i crudeli, e colui che respinge il perdono al fratello respinge il perdono del Padre a se stesso.
Considerate inoltre che, per quanto possiate essere stati feriti dal prossimo vostro, le vostre ferite a Dio sono infinitamente più gravi. Questo pensiero vi spinga a perdonare tutto come Io perdonai per mia Perfezione e per insegnare il perdono a voi.
La necessità del Perdono, come la si evince dalla preghiera del ‘Padre nostro’,
è dunque estremamente importante.
Il suddetto brano del Gesù valtortiano sulla preghiera a Dio per ottenere il perdono me ne ricorda però anche un altro dove, nel luglio del 1946, Egli dice alla mistica che - dopo averle dettato un’Ora Santa3 per coloro che la desideravano, dopo averle svelato nei dettagli i propri pensieri della sua Ora di Agonia del Getsemani4 le offre, poiché lei con le sue sofferenze di anima-vittima è sulla ‘Croce’, anche un’Ora di preparazione alla morte5 con un commento a ciascuna delle seguenti ‘sette parole della Croce’:
I. “Padre mio, se è possibile passi da me questo calice…”
II. “Padre, perdona loro…”
III. “Ecco tuo figlio…”
IV. “Ricordati di me…”
V. “Dio mio, perché mi hai abbandonato? …”
VI. “Ho sete…”
VII. “Tutto è compiuto…”
La seconda è appunto: ‘Padre, perdona loro’. 6
Quante volte – di fronte alla gravità di certe ingiustizie subite o dolori arrecatici – sembra impossibile ‘perdonare’. Talora - vedendo in televisione la cronaca di efferati assassinii, se non anche stragi - si sente che il cronista interpella la moglie, o il marito, o comunque un parente stretto, chiedendogli se ha ‘perdonato’ il colpevole.
Per chi ascolta e guarda sembra quasi una domanda ‘sadica’ e ‘insulsa’ di fronte a quel dolore, e chi la fa non si rende neanche conto – nel clima vigente di ‘perdonismo’ e ‘umanitarismo’ che tuttavia non ha niente a che vedere con il perdono cristiano – di chiedere con leggerezza una cosa che è in quel momento enorme, anche se la Dottrina di Gesù, in chiave spirituale’ ci chiede proprio di dare perdono, ma per ben altre ragioni.
Se però é umanamente difficile perdonare in certe situazioni, ecco che Gesù – che è stato Uomo e che ci conosce alla perfezione – nella sua Bontà e desiderio di aiutarci dà un consiglio preziosissimo a chi, umanamente, non riesce a perdonare di suo:
Ecco dunque il commento di Gesù nel luglio 1946:7
(…)
“Padre, perdona loro”.
È il momento di spogliarsi di tutto quanto è peso per volare più sicuri a Dio. Non potete portare con voi né affetti né ricchezze che non siano spirituali e buone. E non c’è uomo che muoia senza avere da perdonare qualcosa ad uno od a molti suoi simili e in molte cose, per molti motivi. Quale l’uomo che giunga a morire senza aver patito l’acre di un tradimento, di un disamore, di una menzogna, un’usura, un danno qualsiasi, da parenti, consorti, o amici?
Ebbene: è l’ora di perdonare per essere perdonati. Perdonare completamente, lasciando andare non solo il rancore, non solo il ricordo, ma anche la persuasione che il nostro motivo di sdegno era giusto.
È l’ora della morte. Il tempo, il mondo, gli affari, gli affetti hanno fine, divengono “nulla”. Un solo vero esiste ormai: Dio. A che dunque portare oltre le soglie ciò che è del di qua delle soglie?
Perdonare. E poiché giungere alla perfezione d’amore e di perdono, che è il neppur più dire: “Eppure io avevo ragione”, è molto, troppo difficile per l’uomo, ecco passare al Padre l’incarico di perdonare per noi. Dargli il nostro perdono, a Lui che non è uomo, che è perfetto, che è buono, che è Padre, perché Egli lo depuri nel suo Fuoco e lo dia, divenuto perfetto, a chi merita il perdono.
Perdonare, ai vivi e ai morti. Si. Anche ai morti che sono stati cagione di dolore.
La loro morte ha levato molte punte al corruccio degli offesi, talora le ha levate tutte.
Ma il ricordo dura ancora. Hanno fatto soffrire, e si ricorda che hanno fatto soffrire.
Questo ricordo mette sempre un limite al nostro perdono. No. Ora non più. Ora la morte sta per levare ogni limite allo spirito. Si entra nell’infinito. Levare perciò anche questo ricordo che limita il perdono.
Perdonare, perdonare perché l’anima non abbia peso e tormento di ricordi e possa essere in pace con tutti i fratelli viventi o penanti, prima di incontrarsi col Pacifico.
“Padre, perdona loro”. Santa umiltà, dolce amore del perdono dato, che sottintende perdono chiesto a Dio per i debiti verso Dio e verso il prossimo che ha colui che chiede perdono per i fratelli. Atto d’amore.
Morire in un atto d’amore è avere l’indulgenza dell’amore.
Beati quelli che sanno perdonare in espiazione di tutte le loro durezze di cuore e delle colpe dell’ira.
Il ricordo di quanto subito limita la nostra capacità di perdono.
Ecco cosa bisogna dunque cercare di fare: seguire il consiglio di Gesù di ‘passare al Padre l’incarico di perdonare per noi’, dicendogli: ‘Padre, tu conosci la mia umanità, Tu sai bene che il Peccato originale mi ha reso imperfetto, Tu sai anche che il ‘ricordo’ dell’ingiustizia è più forte di me, Tu sai pure che il dolore mi rende incapace di perdonare, ma Tu sei anche Spirito Perfettissimo, e sei anche Buono, e sei anche Padre, mio e dell’altro, e se l’altro lo merita perdonagli allora Tu per me…’.
Sempre a proposito della preghiera del ‘Padre nostro’, richiamo l’attenzione su quella che in termini giuridici si potrebbe definire la ‘interpretazione autentica’ – da parte del Gesù valtortiano - di alcune parole che hanno fatto discutere per secoli in quanto ritenute di non chiara comprensione, e cioè quelle sul ‘Non ci indurre in tentazione…’.
Dio ci induce forse in tentazione? No, non lo fa. Egli permette tuttavia le tentazioni del nostro ‘io’ e del ‘mondo’ perché ci ha creato ‘liberi’. Egli sa però anche che – se vogliamo - le possiamo vincere ed in tal caso il nostro impegno serve a rafforzarci spiritualmente ed a superare poi prove superiori guadagnando così per il Cielo un merito ancora maggiore.
Poi vi sono tentazioni molto forti, come ad esempio quelle indotte da Satana, e anche con quella invocazione noi chiediamo al Padre la forza per resistervi.
Dio non impedisce dunque le tentazioni, rispetta il nostro libero arbitrio, ma – se gli chiediamo aiuto con convinzione e con fede, anche in una incipiente debolezza che avanza – Egli non ci nega la forza per superarle.
Ancora una considerazione.
Gesù sottolinea che Egli non ha dato questa preghiera del Padre nostro per il ‘mondo’.
Egli sa infatti bene che ‘il mondo’ respinge l’amore di Dio, ma Gesù aggiunge che l’ha data per coloro che il Padre – conoscendo in anticipo dal suo Eterno Presente il loro futuro comportamento – sa che vorranno comportarsi bene per cui Egli concederà loro gli aiuti, anche materiali, che con la preghiera essi gli chiedono.
Se la preghiera al Padre è dunque ottima cosa, è però anche importante la preghiera a Maria SS.: l’Ave Maria.
Troppi non considerano abbastanza il fatto che Lei è la ‘Figlia’ del Padre, la ‘Sposa’ dello Spirito Santo, la Mamma di Gesù.
Ella – in questa triplice veste – è la ‘Mediatrice’ ideale fra l’uomo e Dio, ed è capace di perorare la nostra causa e di ottenerci, se la invochiamo con autentica fede, quanto Gesù – per una questione di ‘giustizia’ - forse non ci darebbe se fossimo solo noi a chiederlo.
Gesù non riesce infatti a resistere ad una preghiera di sua Mamma, ed è anche per questo – cioè per offrirci una ulteriore opportunità – che, per amore nostro, Egli le ha conferito il ruolo di Madre dell’Umanità.

      
6.2 La preghiera che non serve, cioè la maggioranza delle nostre preghiere. Gesù: «Voi fate preghiere e preghiere in questi tempi. Ma non servono come dovrebbero… perché Religione vuol dire ubbidienza ai desideri e ai voleri di Dio, e voi nelle grandi e nelle piccole cose disubbidite a Dio… condizione essenziale per essere ascoltati è di non avere in cuore l’odio che uccide l’amore».
Le preghiere – aveva detto in un’altra occasione Gesù – sono spesso inutili perché dettate dall’egoismo: vorremmo, ad esempio, essere preservati dal Male ma non chiediamo lo stesso per i nostri nemici.
Nelle nostre preghiere – Egli spiegava - c’è infatti sempre come una segreta molla di odio ed egoismo.
Bisogna invece imparare ad amare per amore anche i nostri nemici.
A proposito di ‘nemici’ e di preghiere di invocazione a Dio, sappiamo che molte guerre sono state fatte e vengono ancora oggi fatte pregando ed invocando ‘Dio’.
Ogni popolo o singolo combattente, perciò, prima di entrare in battaglia, prega per la propria vittoria e – conseguentemente – per la sconfitta e morte dei nemici. E lo fa invocando appunto il ‘suo’ Dio, che tuttavia è lo stesso Dio di tutti, anche dei suoi nemici.
Se Dio ascoltasse gli uni e gli altri si troverebbe davvero in un bell’imbarazzo.
Dio dunque non ‘parteggia’ nelle guerre, ma talvolta permette che una parte vinca al fine di punire la parte avversa che ha troppo peccato. Salvo poi punire anche quella che ha vinto se questa dovesse a sua volta prevaricare nella oppressione degli avversari o degenerasse troppo nei propri comportamenti e costumi.
La storia dell’Antico Israele annovera casi di questo genere, ma succede anche ai nostri giorni.
Sono molti gli Imperi, a cominciare da quello egizio fino a quello romano e altri ancora che si sono succeduti nel corso dei secoli, che se da un lato possono avere contribuito a mantenere un certo ‘ordine mondiale’ o ‘regionale’ che ha evitato guai peggiori - dall’altro lato hanno finito per decadere progressivamente, come alcuni storici hanno potuto rilevare, quando sono venute meno le tensioni morali e le virtù civiche che ne avevano permesso la crescita.
Di norma il declino o la caduta di queste ‘civiltà’, o Imperi, o Governi o nazioni, viene attribuita a cause naturali, come la fine ‘per esaurimento’ di un ciclo storico – e questo in parte è anche vero – ma pochi sanno riconoscere o vogliono riconoscere che in questo declino vi possono essere anche ragioni ‘spirituali’.
Quando un popolo sbaglia, Dio - finché può – ‘porta pazienza’ ma - oltre un certo limite – lo lascia declinare ed affondare quando poi non lo colpisce direttamente.
A proposito poi della preghiera nelle guerre – e qui mi riferisco alla seconda guerra mondiale del Novecento che ha comportato molti milioni di morti e sofferenze inenarrabili – mentre la mistica Valtorta pregava chiedendo l’aiuto di Gesù per le afflizioni che la guerra dei primi anni ’40 stava provocando all’Italia – Gesù le aveva parlato della preghiera che non serve: (i grassetti sono miei):1
10 agosto 19432
Mi lamento piano col Signore perché aprendo, come mia abitudine, a caso il libro del Vangelo o della Bibbia, mi fa, anche questa mattina, cadere sotto agli occhi un punto tristissimo (Geremia cap. 9°).
Avrei tanto bisogno di una parola di speranza per la mia povera Patria!... Riconosco che siamo colpevoli delle colpe di cui siamo accusati e puniti. Ma amore di patria mi fa sentire dolore delle afflizioni con cui Dio ci colpisce.
Gesù mi lascia lamentare e poi mi richiama l’attenzione sui versetti 23, 24, e sull’ultima frase del versetto 25. Comprendo che sarò istruita su questo... e aspetto.
Dice Gesù:3
La preghiera è buona e santa cosa, buona cosa è pure meditare e studiare la Sapienza.
Ma nulla è più utile all’uomo di una conoscenza: quella di essere convinto di Dio.
Quando uno ha conosciuto veramente chi è il Signore, non sbaglia più, sa pregare non con un moto macchinale di labbra dal quale esulano seri propositi di bontà, di perdono, di continenza, di umiltà, ma con vera adesione a Dio, ma con vero proposito di praticare sempre meglio la Legge per essere benedetto da Dio.
Quando uno ha conosciuto chi è il Signore, possiede per sempre la Scienza, la Ricchezza, la Forza, che dànno la Gloria vera che non muore in eterno e che piace a Dio.
Voi fate preghiere e preghiere in questi tempi. Ma non servono come dovrebbero.
Non pensate che il vostro Dio abbia cambiato la sua Natura d’infinita Bontà e di Paternità perfetta! È che a Lui voi presentate preghiere contaminate da troppe cose.
Spogliatevi della triplice veste che opprime il vostro spirito e lo contamina.
Via l’ipocrisia, via l’odio, via la lussuria.
Vi sarebbero altre cose da levare. Ma queste sono le più abbiette ai miei occhi.
E siete ipocriti quando venite a Me per funzioni religiose che compite con senso umano e non soprannaturale.
Ma chi volete ingannare? Me? O infelici! Vi potrete ingannare fra di voi, mostrando un volto di religione, una maschera, anzi, sul volto vero che è di irreligione, perché Religione vuol dire ubbidienza ai desideri e ai voleri di Dio, e voi nelle grandi e piccole cose disubbidite a Dio.
Potrete ingannarvi fra di voi, ma il vostro Dio non lo ingannate.
Che diresti, Maria, e che faresti se uno ti offrisse un mazzo di fiori o un piatto di frutta tutto sporco o bacato? Che faceva meglio a non offrirtelo perché ti ripugna e ti offende.
Ecco: Io dico lo stesso della maggioranza delle vostre preghiere.
Odiate. Sicuro. Odiate. E siete così appesantiti nello spirito che neppure ve ne accorgete di essere pieni di astio verso tutti e di egoismo. Ma che vi ho detto Io?
“Se quando stai per pregare ti sovvieni d’aver offeso il fratello o che egli ha qualcosa in cuore contro di te, riconciliati prima con esso e poi vieni”.
Condizione essenziale per essere ascoltati è di non avere in cuore l’odio che uccide l’amore.
Come potete venire a Me, che sono Misericordia, quando non siete misericordiosi?
Come potete giudicare e pensare che Io, che sono Giustizia, non vi giudichi?
Non vedete che dando condanna d’odio verso chi vi nuoce - e non fu forse il primo, ma il primo foste voi -- non vedete che da voi stessi vi condannate?
Siete lussuriosi. Quanta lussuria: della carne, della mente, del cuore, dilaga sul mondo sgorgando da voi come da tante bocche di fontana le cui origini siano nel profondo dove regna il Nemico!
È un diluvio, non voluto da Dio, ma da Satana ed al quale vi siete prestati, quello che si riversa sulla terra e vi scaccia la Luce, la Verità, la Vita.
E Luce e Verità e Vita, come colomba che non ama il fango putrido, si ritira nei Cieli, scendendo rapida da essi per raccogliere il volo sulle rare creature che come vette di monte emergono sulla fanghiglia che vi disonora.
Il mio Figlio4 diletto ha preclusa la sua dimora fra gli uomini dagli uomini stessi.
Ascoltatelo, o voi che ancora lo sapete fare, voi che resistete all’onda corruttrice, per amore Nostro. In Lui è la salvezza, perché Egli è l’eterno Redentore, ed i meriti infiniti del suo infinito dolore operano in eterno. Ma voi li sterilite sotto il corrosivo del male satanico di cui siete ripieni. Più ancora del suo Sangue sugli ebrei, questo vostro distruggere in voi gli effetti del suo Sangue col peccato, che amate come la vostra vita di un’ora, vi condanna e vi fa degni del mio castigo.
Cuori incirconcisi siete. Non sapete, non volete mettere anello di triplice penitenza a quel vostro cuore che avete tolto a Dio e avete dato al Nemico di Dio e del genere umano.
Questo è quello che è necessario perché Io intervenga: pentirvi e fare penitenza.
Senza queste due cose ogni vostra preghiera, ogni vostro atto religioso è menzogna e offesa che fate a Dio.
E se lo Spirito d’Amore non può più operare in voi i prodigi dell’amore perché il vostro agire neutralizza la sua azione, e se il Verbo del Padre non può più operare i miracoli del suo Sangue e della sua Parola perché in voi sono forze contrarie, il Padre, il Signore Iddio, può sempre agitare su voi la sferza della punizione e difendere in Sé le tre divine Persone troppo, troppo, troppo offese dall’umanità.»
Merita di essere ben valutata, sempre a proposito della preghiera, anche l’osservazione fatta sopra per cui è bene pregare, meditare e conoscere la sapienza di Dio ma nulla è più utile di avere la conoscenza di Dio e quindi di essere ‘convinti’.
Quando una persona ha conosciuto Dio riceve da Lui tutto quanto gli necessita.
La mistica stava leggendo il seguente brano di Geremia (i grassetti sono miei):
Geremia 9, 23-25:
23Ma chi vuol vantarsi, si vanti di avere senno e di conoscere me, perché io sono il Signore che pratico la bontà, il diritto e la giustizia sulla terra, e di queste cose mi compiaccio. Oracolo del Signore.
24Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore - nei quali punirò tutti i circoncisi che rimangono non circoncisi: 25l'Egitto, Giuda, Edom, gli Ammoniti e i Moabiti e tutti coloro che si radono le tempie, i quali abitano nel deserto, perché tutte queste nazioni e tutta la casa d'Israele sono incirconcisi nel cuore».
Gesù – nel suo più sopra trascritto Dettato – aveva attirato l’attenzione di Maria Valtorta su due concetti delle parole che erano state ispirate secoli prima a Geremia:
1) la necessità di ‘conoscere Dio’ (versetto 9, 23)
2) il fatto che – allora per Israele e ora per i giorni nostri – Egli punirà tutti gli uomini, della religione giusta e non giusta, perché tutti costoro sono ‘pagani’ cioè ‘idolatri’ nel cuore (versetto 9, 24)
Quello del versetto 9, 24 di Geremia è tuttavia il pericolo che ancor oggi corriamo a causa della generale apostasia che ha ‘afferrato’ da alcuni decenni la quasi totalità dei cristiani - che oggi ‘non conoscono’ più Gesù essendosene allontanati - ma anche la quasi totalità dei ‘pagani’ che, pur non avendo potuto ‘conoscere’ Gesù, per odio non vogliono conoscere Dio nel loro cuore.

1  M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – 10.8.43 – Centro Editoriale Valtortiano
2  N.d.R.: Il Dettato di Gesù è dato nel 1943, nel pieno delle atrocità della seconda guerra mondiale.
3  Nota Editore: ‘Dice Gesù…’. Ma verso la fine sembrano parole del Padre
4  N.d.A.: Il Dettato, iniziato da Gesù - come detto dall’Editore nella precedente nota - qui è continuato con certezza dal Padre che accenna infatti a Suo ‘Figlio’ e dice che è pronto ad agitare la sua ‘sferza’ di punizione. Non deve stupire questa alternanza e sostituzione di Persona in alcuni ‘dettati’: Padre, Figlio e Spirito Santo sono una stessa Unità e quando Uno parla… gli Altri ascoltano e annuiscono.
      
6.3 Gesù: «SEMPRE dal cominciare della preghiera la grazia del Signore scende su voi. Parlo della preghiera santa, non della stolta richiesta di cose inutili, o da Dio e dalla morale retta riprovate…».
A proposito del come bisognerebbe pregare, Gesù aveva detto in precedenza:
«…Udite come dovete pregare e col labbro e col lavoro e con tutto voi stessi, per impulso del cuore che ama, sì, Dio, e Padre lo sente, ma che anche sempre ricorda chi è il Creatore e che è la creatura, e sta con amore riverenziale al cospetto di Dio, sempre, sia che òri o che traffichi, sia che cammini o che riposi, sia che guadagni o che benefichi. Per impulso del cuore, ho detto. E’ la prima ed essenziale qualità. Perché tutto viene dal cuore, e come è il cuore tale è la mente, tale la parola, lo sguardo, l'azione…».
Se ne deduce e si ha qui riconferma del fatto che, quando si prega il Signore, lo si deve fare con animo contrito, puro e per ottenere una cosa giusta, meglio ancora se poi la grazia che si chiede ha una valenza spirituale.
Non bisogna peraltro stancarsi nel chiedere, perché ciò starebbe a significare che poi a quella certa ‘cosa’ che si chiede non ci si tiene poi veramente tanto, oppure che non si ha fiducia nell’aiuto di Dio.
Quando però chi prega è nelle giuste condizioni di spirito e determinazione, allora Dio ‘si piega’ su di lui e concede quanto richiesto, e a volte concede anche di più perché Egli – amando con sovrabbondanza - dona con sovrabbondanza.
Un esempio di preghiera rivolta al Signore nel modo ‘giusto’ - e dove il Signore ha risposto appunto ‘con sovrabbondanza’ - è quella del Profeta Daniele che pregava per il popolo di Israele deportato a Babilonia, preghiera che viene esaudita da Dio che gli darà conferma non solo del rientro in patria ma gli farà anche avere dall’Arcangelo Gabriele la famosa profezia delle ‘settanta settimane’ che sarebbero intercorse dal rientro in patria del popolo ebraico alla manifestazione del futuro Messia. (Dn 9, 1-27)
Dovete infatti sapere che Geremia – come riportato in nota a piè di pagina - aveva in precedenza profetizzato1 che, a causa dei peccati e abbandono della fede da parte di Israele, il suo popolo sarebbe stato castigato da Dio e – sconfitto in guerra dal Re Nabucodonosor - sarebbe stato deportato prigioniero a Babilonia dove la prigionia sarebbe durata settanta anni, e lo stesso re di Babilonia, prevaricatore, sarebbe stato sconfitto e punito per le sue male azioni da un altro re.
Con riferimento a questa profezia di Geremia, attiro la vostra attenzione su quanto ho già accennato con riguardo alla ‘Giustizia’ divina quando gli uomini eccedono nel peccato.
Quando un popolo sbaglia, e sbaglia a lungo e ripetutamente tanto da far perdere 'la pazienza' a Dio Padre, e sbaglia in particolare abbandonando volutamente fede ed insegnamenti divini, Dio lo punisce lasciandolo in balìa delle sue male passioni e di altri popoli prevaricatori dei quali Dio si serve permettendo che essi si trasformino in strumenti umani di punizione.
Poi però – se questi popoli esagerano infierendo sui vinti o per loro decadenza morale - Dio prima o poi li punisce a loro volta lasciando anch’essi in balìa di altri popoli o comunque vittime di distruzioni per fenomeni anche naturali.
Anche questa dovrebbe essere una chiave di ri-lettura di tutta la Storia dell’Umanità, anche quella moderna, e potremmo – con questa lente di ingrandimento - trovarci di fronte a delle vere e proprie sorprese che spiegherebbero le alterne vicissitudini di molti popoli.
Per tornare tuttavia al discorso di poc’anzi a proposito di come dovrebbe essere una giusta preghiera, e cioè quella di un cuore accorato, riporterò di seguito quella del già citato Profeta Daniele.
Daniele meditava e rimeditava sulla profezia di Geremia in merito ai settanta anni di prigionia, cercando di capire con maggior chiarezza quale sarebbe stato l’anno in cui Dio avrebbe liberato il popolo dalla schiavitù rendendo possibile il suo ritorno in patria.
Ecco allora come egli si rivolge al Signore:2
Daniele: 9, 1-27:
1 Nell'anno primo di Dario, figlio di Serse, della progenie dei Medi, il quale era stato costituito re sopra il regno dei Caldei, 2nel primo anno del suo regno io, Daniele, tentavo di comprendere nei libri il numero degli anni di cui il Signore aveva parlato al profeta Geremia e che si dovevano compiere per le rovine di Gerusalemme, cioè settant'anni.
3Mi rivolsi al Signore Dio alla ricerca di un responso con preghiera e suppliche, con il digiuno, veste di sacco e cenere 4e feci la mia preghiera e la mia confessione al Signore, mio Dio:
«Signore Dio, grande e tremendo, che sei fedele all'alleanza e benevolo verso coloro che ti amano e osservano i tuoi comandamenti, 5abbiamo peccato e abbiamo operato da malvagi e da empi, siamo stati ribelli, ci siamo allontanati dai tuoi comandamenti e dalle tue leggi!
6Non abbiamo obbedito ai tuoi servi, i profeti, i quali nel tuo nome hanno parlato ai nostri re, ai nostri prìncipi, ai nostri padri e a tutto il popolo del paese. 7A te conviene la giustizia, o Signore, a noi la vergogna sul volto, come avviene ancora oggi per gli uomini di Giuda, per gli abitanti di Gerusalemme e per tutto Israele, vicini e lontani, in tutti i paesi dove tu li hai dispersi per i delitti che hanno commesso contro di te.
8Signore, la vergogna sul volto a noi, ai nostri re, ai nostri prìncipi, ai nostri padri, perché abbiamo peccato contro di te; 9al Signore, nostro Dio, la misericordia e il perdono, perché ci siamo ribellati contro di lui, 10non abbiamo ascoltato la voce del Signore, nostro Dio, né seguito quelle leggi che egli ci aveva dato per mezzo dei suoi servi, i profeti.
11Tutto Israele ha trasgredito la tua legge, si è allontanato per non ascoltare la tua voce; così si è riversata su di noi la maledizione sancita con giuramento, scritto nella legge di Mosè, servo di Dio, perché abbiamo peccato contro di lui.
12Egli ha messo in atto quelle parole che aveva pronunciato contro di noi e i nostri governanti, mandando su di noi un male così grande, che sotto tutto il cielo mai è accaduto nulla di simile a quello che si è verificato per Gerusalemme.
13Tutto questo male è venuto su di noi, proprio come sta scritto nella legge di Mosè. Tuttavia noi non abbiamo supplicato il Signore, nostro Dio, convertendoci dalle nostre iniquità e riconoscendo la tua verità.
14Il Signore ha vegliato sopra questo male, l'ha mandato su di noi, poiché il Signore, nostro Dio, è giusto in tutte le cose che fa, mentre noi non abbiamo ascoltato la sua voce.
15Signore, nostro Dio, che hai fatto uscire il tuo popolo dall'Egitto con mano forte e ti sei fatto un nome qual è oggi, noi abbiamo peccato, abbiamo agito da empi.
16Signore, secondo la tua giustizia, si plachi la tua ira e il tuo sdegno verso Gerusalemme, tua città, tuo monte santo, poiché per i nostri peccati e per l'iniquità dei nostri padri Gerusalemme e il tuo popolo sono oggetto di vituperio presso tutti i nostri vicini.
17Ora ascolta, nostro Dio, la preghiera del tuo servo e le sue suppliche e per amor tuo, o Signore, fa' risplendere il tuo volto sopra il tuo santuario, che è devastato.
18Porgi l'orecchio, mio Dio, e ascolta: apri gli occhi e guarda le nostre distruzioni e la città sulla quale è stato invocato il tuo nome!
Noi presentiamo le nostre suppliche davanti a te, confidando non sulla nostra giustizia, ma sulla tua grande misericordia.
19Signore, ascolta! Signore, perdona! Signore, guarda e agisci senza indugio, per amore di te stesso, mio Dio, poiché il tuo nome è stato invocato sulla tua città e sul tuo popolo».
20Mentre io stavo ancora parlando e pregavo e confessavo il mio peccato e quello del mio popolo Israele e presentavo la supplica al Signore, mio Dio, per il monte santo del mio Dio, 21mentre dunque parlavo e pregavo, Gabriele, che io avevo visto prima in visione, volò veloce verso di me: era l'ora dell'offerta della sera.
22Egli, giunto presso di me, mi rivolse la parola e mi disse:
«Daniele, sono venuto per istruirti e farti comprendere. 23Fin dall'inizio delle tue suppliche è uscita una parola e io sono venuto per annunciartela, poiché tu sei un uomo prediletto.
Ora sta' attento alla parola e comprendi la visione:
24Settanta settimane sono fissate per il tuo popolo e per la tua santa città per mettere fine all'empietà, mettere i sigilli ai peccati, espiare l'iniquità, stabilire una giustizia eterna, suggellare visione e profezia e ungere il Santo dei Santi.
25Sappi e intendi bene: da quando uscì la parola sul ritorno e la ricostruzione di Gerusalemme fino a un principe consacrato, vi saranno sette settimane.
Durante sessantadue settimane saranno restaurati, riedificati piazze e fossati, e ciò in tempi angosciosi.
26Dopo sessantadue settimane, un consacrato sarà soppresso senza colpa in lui.
Il popolo di un principe che verrà distruggerà la città e il santuario; la sua fine sarà un'inondazione e guerra e desolazioni sono decretate fino all'ultimo.
27Egli stringerà una solida alleanza con molti per una settimana e, nello spazio di metà settimana, farà cessare il sacrificio e l'offerta; sull'ala del tempio porrà l'abominio devastante, finché un decreto di rovina non si riversi sul devastatore».
Certamente avrete notato con quale ‘cuore’ e ardente sentimento Daniele abbia nutrito la sua preghiera, e come il Signore si sia ‘piegato’ su di lui appunto con ‘sovrabbondanza’, facendo rispondere dall’Arcangelo Gabriele – sia pur in profezia velata, perché Gabriele aveva ad esempio taciuto se sarebbero state settanta settimane di giorni, di mesi o di anni, lasciando il rompicapo alla perspicacia degli uomini - non solo in merito alla data della liberazione dalla schiavitù ma anche riguardo alla data di manifestazione sulla Terra del Messia.
Nei secoli successivi fu proprio la profezia data a Daniele quella che diede la forza al popolo ebraico di resistere a tutte le travagliate vicissitudini storiche, avendo esso acquisito una sicurezza incrollabile persino sull’epoca in cui sarebbe venuto il loro Messia-Liberatore, anche se la Casta di Scribi, Farisei, Sadducei e Sacerdoti del Tempio – nella sua umanità – se lo auspicava come ‘Liberatore dai nemici politici’ anziché dal peccato e da Satana.
Ecco comunque un commento di Gesù in merito alla ‘qualità santa’ di tale preghiera di Daniele (i grassetti sono miei): 3
29.11.43
Daniele Cap. 9° v. 20-27
Dice Gesù:
«Sempre dal cominciare4 della preghiera la grazia del Signore scende su voi.
Parlo della preghiera santa, non della stolta richiesta di cose inutili, o da Dio e dalla morale retta riprovate.
L’Eterno che veglia su voi dai Cieli non ha cuore di bronzo simile al vostro che siete duri ai fratelli e ingrati a Dio.
Egli subito si piega su voi quando con cuore umile, amoroso e fidente, quando con sacrificio e costanza, chiedete a Dio pietà.
Pane e conforto, scienza e guida vi dà Dio quando a Lui vi rivolgete. E se non sempre siete esauditi, non pensate di rimanere senza risposta al vostro pregare.
Per un che, negato da una intelligenza che tutto conosce, voi ricevete altri doni che non sempre subito apprezzate e dei quali non siete subito riconoscenti. Ma prima o poi dovete riconoscere questa Bontà intelligente che vi cura. E se qui non lo conoscete, sarà certamente oltre la vita della terra che conoscerete quanto fu grande e buono con voi il Signore.
A Daniele che ancora pregava - e la preghiera di lui potreste dirla anche ora - il mio angelo parlò.
Il Consolatore, che è anche l’Annunziatore5, non è mai disgiunto da ciò che mi riguarda.
Messaggero di Dio, spirito ubbidiente e amoroso, fece sempre suo gaudio portare i voleri di Dio agli uomini e consolare coloro che soffrono. Non lasciò rapido il Cielo unicamente per l’annunzio beato6, per consolare Giuseppe7, per confortare la mia tremenda agonia.8
Già ai profeti era andato a portare la parola e a disvelare il futuro che mi concerne come Messia. Spirito infiammato d’amore, ai desiderosi di Dio aleggia da presso e porta i sospiri degli amanti a Dio e le luci di Dio ai suoi amanti.
Uno solo poteva levare prevaricazione, peccato e ingiustizia dalla Terra9, che era meritevole di un nuovo diluvio e che fu unicamente sommersa e mondata da un Sangue divino e innocente. Io, Dio vero fatto carne per voi.
Corruzione, peccato, ingiustizia e guerra fra l’uomo e Dio, avrebbero avuto termine quando non di regale unzione ma di unzione funebre sarebbe stato unto il Santo dei santi, l’innocente ucciso per amore degli uomini.
Sospiro dei Patriarchi e di tutto il popolo di Dio, il Messia doveva sorgere per creare la Gerusalemme nuova che non muore in eterno. La Chiesa che vive e vivrà fino alla fine dei secoli e che continuerà a vivere nei suoi santi oltre il giorno di questa Terra.
E a Daniele viene dato a conoscere il numero dei giorni che separavano i viventi dal tempo del Signore e le conseguenze della nequizia del popolo che al prodigio di Dio risponde con una condanna.
La condanna del Cristo segna la condanna del popolo.
Sempre un delitto attira una punizione. E dato che nessun delitto è più grande di quello di infierire sugli innocenti e calunniare gli incolpevoli, quale punizione poteva esser serbata a chi aveva ucciso l’innocente, che non fosse distruzione totale del luogo dove l’anonimo s’era installato?
Inutili ormai i sacrifici quando la misura è sorpassata. Dio è longanime, ma non è ingiusto. E perdonare la pertinacia nel peccare dopo aver dato tutti i mezzi per conoscere l’errore ed uscirne, e per tornare a Dio, sarebbe da parte di Dio ingiustizia verso i giusti e verso coloro che i malvagi hanno torturato.
Le settantadue settimane10 potrebbero essere, ora, anche di secoli, o figlia, e al termine di esse venire la desolazione sulla Terra e l’abominio là dove tutto dovrebbe essere santo. Già vi siete incamminati.
Troppo sgretolare di umana scienza rode come una carie i cuori dei miei ministri che non sanno esser di Dio ma del mondo, e che assorbono lo spirito del mondo e dànno al mondo il loro alito non più di Cielo.
È il grande dolore del Cristo. Troppe plaghe senza chiese. Troppe chiese senza sacerdoti. Troppi fedeli senza guida. Troppi cuori senza amore.
Se Gabriele tornasse non troverebbe che ben difficilmente cuori che sapessero orare come Daniele e che accogliessero la sua parola senza vivisezionarla fino ad ucciderla per studiarla e per giungere a negarla. E non è già questo un abominio nella casa di Dio, là, dove almeno i ministri di essa, quelli almeno, dovrebbero essere luce alle turbe?
Cristo lo state uccidendo una seconda volta. Nel vostro spirito lo uccidete.
E fra poco non sarete più popolo suo, ma tribù di idolatri. Non vi lamentate perciò se il Cielo è chiuso, sul vostro fermentare di abominio.
In verità vi dico che se non vi convertite al Signore Iddio vostro, la desolazione durerà fino alla fine.»
Cosa dire su questo Dettato di Gesù che – ve lo ricordo – era stato dato nel novembre 1943, in piena guerra mondiale?
L’Umanità di allora stava peccando gravemente, ma quella di ora sembra sia messa ancora peggio.
Ecco perché Gesù dice che se i Capi del popolo ebraico uccisero allora Gesù, subendone poi collettivamente condanna, anche ora che Cristo viene ucciso nel cuore degli uomini, potrebbe arrivare analoga punizione collettiva.
Per altro verso colpisce l’affermazione da parte di Gesù del ruolo di ‘portatore di ordini divini’ dell’Arcangelo Gabriele, ruolo che andrebbe a mio avviso ulteriormente ‘rivalutato’.
Se infatti – a parte il caso di Daniele - Egli non fu solo l’Angelo dell’Annunciazione ma anche l’Angelo che, come citato nelle note precedenti, consolò Giuseppe convinto che Maria - in 'attesa' - lo avesse tradito, poi lo avvisò di lasciare Betlemme e fuggire in Egitto11, che si recò infine a consolare Gesù durante l’agonia di sangue del Getsemani, ebbene si può supporre che potrebbe allora essere stato sempre lui, Gabriele, l’angelo misterioso che – In Egitto – disse a Giuseppe di ritornare in Palestina e, successivamente, lo avvertì ancora una volta in sogno di ritornare a Nazareth.12

1  Geremia 25, 1-14: 1 Questa parola fu rivolta a Geremia per tutto il popolo di Giuda nel quarto anno del regno di Ioiakìm, figlio di Giosia, re di Giuda, cioè nel primo anno del regno di Nabucodònosor, re di Babilonia.
2Il profeta Geremia l'annunciò a tutto il popolo di Giuda e a tutti gli abitanti di Gerusalemme dicendo: 3«Dall'anno tredicesimo del regno di Giosia, figlio di Amon, re di Giuda, fino ad oggi sono ventitré anni che mi è stata rivolta la parola del Signore e io ho parlato a voi con premura e insistenza, ma voi non avete ascoltato. 4Il Signore vi ha inviato con assidua premura tutti i suoi servi, i profeti, ma voi non avete ascoltato e non avete prestato orecchio per ascoltare 5quando vi diceva: «Ognuno abbandoni la sua condotta perversa e le sue opere malvagie; allora potrete abitare nella terra che il Signore ha dato a voi e ai vostri padri dai tempi antichi e per sempre.
6Non seguite altri dèi per servirli e adorarli e non provocatemi con le opere delle vostre mani e io non vi farò del male. 7Ma voi non mi avete ascoltato - oracolo del Signore - e mi avete provocato con l'opera delle vostre mani per vostra disgrazia».
8Per questo dice il Signore degli eserciti: Poiché non avete ascoltato le mie parole, 9ecco, manderò a prendere tutte le tribù del settentrione - oracolo del Signore - e Nabucodònosor re di Babilonia, mio servo, e li farò venire contro questo paese, contro i suoi abitanti e contro tutte le nazioni confinanti, voterò costoro allo sterminio e li ridurrò a oggetto di orrore, a scherno e a obbrobrio perenne.
10Farò cessare in mezzo a loro i canti di gioia e di allegria, il canto dello sposo e della sposa, il rumore della mola e il lume della lampada.
11Tutta questa regione sarà distrutta e desolata e queste genti serviranno il re di Babilonia per settanta anni.
12Quando saranno compiuti i settanta anni, punirò per i loro delitti il re di Babilonia e quel popolo - oracolo del Signore -, punirò il paese dei Caldei e lo ridurrò a una desolazione perenne.
13Manderò dunque a effetto su questo paese tutte le parole che ho pronunciato a suo riguardo, tutto quanto è scritto in questo libro, ciò che Geremia aveva profetizzato contro tutte le nazioni.
14Nazioni numerose e re potenti ridurranno in schiavitù anche costoro, e così li ripagherò secondo le loro azioni e le opere delle loro mani».
2  N.d.R.: Molti studiosi ritengono che l’Editto con il quale venne autorizzato il ritorno degli ebrei in Israele fu quello del re Artaserse nel 445 a.C.
Non dobbiamo tuttavia entrare qui nel merito della profezia data dall’Arcangelo Gabriele a Daniele. E’ una esercitazione molto difficile e la sua interpretazione ha impegnato per secoli prima rabbi e dottori della legge ebraici e poi esperti teologi cristiani che alla fine, pur avendone compreso in parte il senso complessivo per quanto riguarda la nascita di Gesù-Messia e la distruzione di Gerusalemme, hanno rinunciato a capirlo fino in fondo.
Essi hanno dovuto convenire che alcuni aspetti sono davvero oscuri.
In specie nei versetti della parte finale con quell’accenno alla cessazione del Sacrificio nello spazio di ‘metà settimana’ (come dire metà settimana di giorni, equivalente a tre ‘giorni’ e mezzo, o forse metà settimana di anni, come di anni era stata la profezia di Daniele sulle ‘settanta settimane’, ed in tal caso come dire tre anni e mezzo)
Oppure con quell’altro accenno ad un “abominio della desolazione” sul Tempio, dove vi potrebbe essere un molto velato riferimento a quanto si potrebbe nuovamente verificare nel nostro futuro, trovandoci qui forse di fronte ad una profezia ripetitiva del primo abominio sul Tempio di Gerusalemme per la uccisione dell’Uomo-Dio, abominio che portò allora – come predetto dal Gesù dei Vangeli - alla distruzione della città di Gerusalemme ad opera dei Romani nel 70. d.C. ma che potrebbe riguardare anche il Tempio della Cristianità in futuro. Una prospettiva che taluni ipotizzano possa riguardare – forse prima della fine o anche alla fine del mondo – una Cristianità ed una Umanità allontanatesi da Dio, come diceva anche Geremia in 9, 23-25.
A quest’ultimo riguardo lo stesso Gesù valtortiano dirà comunque – nel corso della sosta del sabato fra il sesto e settimo Discorso della montagna e con riferimento alla Profezia di Daniele – che questi aveva meritato ‘le alte profezie del Cristo e dell’Anticristo, chiave dei tempi di ora e dei ‘tempi ultimi’ (Da ‘L’Evangelo’, dettato 1.6.45).
Da notare che nell’Opera valtortiana il termine ‘tempi ultimi’ o anche ‘tempo ultimo’ vengono usati anche per indicare una fase storica cruciale che può riguardare sia l’epoca dell’Anticristo che quella di Satana (Ap 20, 7-10) alla fine del mondo.
Quella di Daniele è in ogni caso una profezia ‘messianica’, forse la più famosa perché è l’unica che, oltre a far capire a Daniele il tempo della liberazione del popolo di Israele, fece anche conoscere - attraverso il calcolo numerico delle settanta settimane di anni ripartite in vari scaglioni (e qui io aggiungo: anni non solari ma composti di mesi lunari, e quindi più brevi, come si apprende dall’Opera ‘L’Evangelo’) – l’epoca in cui in seguito si sarebbe manifestato il Messia sulla Terra.
Ricordo che Vittorio Messori, in una sua opera, aveva osservato al riguardo che è l’unica profezia dell’Antico Testamento in cui viene precisata con assoluta esattezza e per di più - con quasi cinque secoli di anticipo - la data dell’avveramento della nascita di Gesù.
3  M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – 29.11.43 – Centro Editoriale Valtortiano
4  N.d.A.: ‘Sempre dal cominciare’: Infatti l’Arcangelo Gabriele comunica a Daniele che Egli ricevette l’ordine di andare ad istruire Daniele fin dal cominciare della sua preghiera, quindi quasi ancor prima che egli pregasse.
5  N.d.A.: L’Arcangelo Gabriele
6  Lc 1, 26-38: 26Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
29A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
34Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio». 38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l'angelo si allontanò da lei.
7  Mt 1, 18-21: 18Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
8  Lc 22, 39-46: 39Uscì e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. 40Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione». 41Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: 42«Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». 43Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. 44Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra. 45Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. 46E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione».
9  N.d.R.: Vedi versetto Dn 9, 24 della già citata profezia: 24Settanta settimane sono fissate per il tuo popolo e per la tua santa città per mettere fine all'empietà, mettere i sigilli ai peccati, espiare l'iniquità, stabilire una giustizia eterna, suggellare visione e profezia e ungere il Santo dei Santi.
10  N.d.A.: Notare che in questo caso Gesù, parlando del futuro, fa pensare che la profezia di Daniele sia ripetitiva, cioè destinata a riavverarsi in particolari analoghe circostanze. Ma qui, misteriosamente, Gesù non parla di ‘settanta settimane’ ma di ‘settantadue’. L’Editore, da me interpellato per sapere se si fosse trattato di un refuso di stampa, ha controllato il manoscritto originale di Maria Valtorta e poi mi confermato che il testo dice proprio ‘settantadue’ e tale dunque rimane.
11  Mt 2, 12-15: 12Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.3Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». 14Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, 15dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall'Egitto ho chiamato mio figlio.
12 Mt 2, 19-23: 19Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va' nella terra d'Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». 21Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d'Israele. 22Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea 23e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».
      
6.4 Il ‘digiuno’ più difficile è quello spirituale. Un vero e proprio ‘cilicio’ che consiste nel violentare se stessi per dimostrare a Dio che intendiamo combattere il nostro ‘io’ per amore suo.
Abbiamo parlato molto della Preghiera - perché abbiamo dovuto capire bene le molteplici regioni che la rendono importante - ma cosa si potrebbe invece dire del digiuno?
Il Vangelo di Matteo1 dice poco e - nel suo Discorso della montagna - Gesù non vi dedica molto spazio, limitandosi a dire:
Quanto ho detto per l'orazione dico per il digiuno.
Quando digiunate non prendete un'aria melanconica come usano gli ipocriti, che ad arte si sfigurano la faccia acciò il mondo sappia e creda, anche se vero non è, che essi digiunano.
Anche essi hanno già avuto, con la lode del mondo, la loro mercede e non ne avranno altra. Ma voi, quando digiunate, prendete un'aria lieta, lavatevi a più acque il volto perché appaia fresco e liscio, ungetevi la barba e profumatevi le chiome, abbiate il sorriso del ben pasciuto sulle labbra. Oh! che in verità non vi è cibo che pasca quanto l'amore! E chi fa digiuno con spirito d'amore, di amore si nutre! In verità vi dico che se anche il mondo vi dirà "vanitosi" e "pubblicani", il Padre vostro vedrà il vostro segreto eroico e ve ne darà doppia ricompensa. E per il digiuno, e per il sacrificio di non essere lodati per esso.
Quella del digiuno è una pratica oggi molto in voga, ma solo per mantenere o raggiungere una linea snella: in sostanza per soddisfare il proprio senso estetico e la propria vanità, qualora non vi siano ovviamente ragioni di salute che invece lo consigliano.
Oggi si tende ad avere cura solo del corpo, anziché dell’anima.
Il corpo non va però idolatrato, come si suggerisce surrettiziamente in certi tipi di propaganda televisiva ‘salutista’.
Se invece riuscissimo a vivere anche solo saltuariamente un digiuno a scopo ‘spirituale’, inteso come un sacrificio di offerta personale o anche di preghiera collettiva, potremmo fare molto per ridurre la presenza del Male nel mondo.
Digiunare significa vivere distaccati dalla ‘carne’ privandosi in parte degli alimenti vitali e dei propri più impellenti ‘bisogni’.
Pregare significa vivere intimamente con Dio ed avere – come diceva San Paolo – Gesù che vive in noi.
Naturalmente bisogna chiarire meglio cosa si possa intendere per digiuno.
Non è ‘digiuno’ solo il ‘non mangiare’, ma lo è anche il fatto di rinunciare per periodi più o meno lunghi a qualcosa che ci preme molto, facendolo per ragioni spirituali e offrendo a Dio questo nostro sacrificio.
Il Cristianesimo è sostanzialmente una religione ascetica, cioè di ‘rinuncia’.
È ad esempio ‘digiuno’ quello dei consacrati che rinunciano al ‘mondo’.
È poi importante ‘digiunare’ anche nell’orgoglio perché – come aveva detto prima Gesù - ‘l’orgoglio sazio rende apatica la mente e l’anima, e diviene tiepida, inerte l’orazione, così come il corpo troppo sazio è sonnolento e pesante’.
L’importanza del digiuno anche materiale è davvero grande. Non per niente Gesù, prima di iniziare la sua missione di evangelizzazione si ritirò 40 giorni nel deserto a digiunare e pregare per avere la forza umana e spirituale necessaria per la futura missione di evangelizzazione.
Il digiuno fisico, infatti, vera e propria sofferenza della ‘carne’, spiritualizza, rarefà la nostra umanità e consente di unirci meglio a Dio.
Quando Gesù si ritirò sul ‘monte’ per l’elezione apostolica impose agli apostoli un ritiro di una settimana a ‘pane e acqua’, più acqua che pane, ognuno nella solitudine di una sua grotta per una meditazione nel silenzio dell’ambiente e del proprio spirito.
Il ‘digiuno’ più difficile è tuttavia quello di ‘rinunciare’ al proprio ‘Io’ - cioè al proprio ‘Ego’, alla propria aggressività, al proprio brutto carattere - per dimostrare così a Dio che intendiamo sacrificarci per amore suo.
Essere veramente cristiani significa peraltro, metaforicamente parlando, ‘digiunare’ anche nelle piccole cose della vita quotidiana - vita che certo non ci fa mancare le occasioni - mettendoci noi un cilicio2 di natura spirituale.
Quale maggior ‘penitenza’ e ‘mortificazione’ che sforzarsi ogni giorno, rispondendo da vero cristiano a tutte le provocazioni che ci vengono dal mondo, dal nostro ‘io’ e da… satana?
Non è facile, è vero, ma d’altra parte questi insegnamenti di Gesù sono ‘insegnamenti di perfezione’.
Lo avevo detto: con i Dieci comandamenti ci si salva, con l’adesione alle Beatitudini ed ai Consigli evangelici è invece… una maggior Gloria.
La prossima riflessione sarà dedicata a:
7. IL QUINTO DISCORSO DELLA MONTAGNA: L’USO DELLE RICCHEZZE, L’ELEMOSINA, LA FIDUCIA IN DIO.

1  Mt 6, 6-18: 16E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un'aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 17Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, 18perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
2  N.d.A.: Cilicio, cintura di tessuto grossolano, pungente, di lana di capra o crine di cavallo, quando non anche ruvida cintura a nodi portata sotto la veste sulla pelle nuda come pratica di penitenza

      
IL QUINTO DISCORSO DELLA MONTAGNA: L’USO DELLE RICCHEZZE, L’ELEMOSINA, LA FIDUCIA IN DIO.
7.1. Gesù: «I tesori della Terra non durano. Ma i tesori del Cielo sono eterni…, fatevi delle borse in Cielo. Voi, quando fate l’elemosina, non suonate la tromba davanti a voi per attirare l’attenzione del passante ed essere onorato come gli ipocriti che vogliono l’applauso degli uomini. Non siate in pensiero per quello che mangerete per sostenervi nella vita…, sapete che il Padre sa i vostri bisogni e che vi ama. Fidate dunque in Lui».
I giorni, in quelle bellissime giornate di primavera, passano sereni.
Nel valloncello della collina del ‘Discorso della montagna’ Gesù - vista al lago, spalle al monte, in piedi su una sporgenza di roccia che consente a tutti di vederlo, alto nella sua persona maestosa, nella sua veste azzurra - parla alla folla come è sua abitudine accompagnandosi con ampi e lenti gesti delle braccia.
Certo avrete cercato di immaginarvi il volto, l’aspetto, la figura di Gesù, il suo modo di parlare, il portamento.
Quanto al modo di parlare ve ne sarete già fatti una idea leggendo i suoi discorsi fino ad ora.
Ma il resto?
Anche a costo di andare fuori tema, rispetto a quello specifico di questo 'Discorso della Montagna', vi vorrei parlare ora per qualche pagina dell'Uomo-Gesù perché ciò vi renderà più facile immaginarvelo fisicamente nella vostra mente quando Egli terrà i successivi discorsi, fatto che vi consentirà una migliore immedesimazione e 'famigliarità' con Lui.
E' sempre più facile 'intendersi' con una persona di cui si conosca non solo il pensiero ma anche il volto, no?
Gesù – nelle descrizioni di Maria Valtorta - era un bell’uomo, alto, di costituzione robusta, fine nel volto e pur molto virile.
Dall’Evangelo valtortiano, si capisce da qualche piccolo particolare che – essendo virilmente bello – era ammirato anche dalle donne, che per altro Egli in quanto tali ignorava poiché la sua virilità era del tutto casta e perché Egli – privo di Peccato originale – era esente da fomiti di natura sensuale che come noto sono una conseguenza di quel Peccato.
Era insomma l’uomo perfetto, quale avrebbe dovuto essere l’Adamo originario se non avesse acconsentito al peccato.
Nell’Opera valtortiana la mistica lo descrive in più di una occasione: dalle circostanze in cui parlava e si mostrava nella sua normalità di uomo, a quelle in cui sprigionava potenza divina dal suo sguardo magnetico, uno sguardo che – quando il suo Verbo interiore desiderava manifestarsi per le esigenze della missione - esprimeva soggezione, talvolta timore, per arrivare anche a paralizzare i nemici che volevano assalirlo, tanto i suoi occhi erano folgoranti.
Aveva una bella voce dal timbro tenorile ed appariva anche molto intonato come aveva osservato una volta la mistica Valtorta quando – durante una solenne festività religiosa a Gerusalemme – lo aveva visto (e sentito) cantare dei salmi mentre era diretto al Tempio alla guida del suo gruppo di dodici apostoli tutti vestiti per l’occasione con abiti eleganti e che cantavano anch’essi.
La mistica ce lo ha descritto anche nei momenti umanamente peggiori della sua vita, come nell’ultimo anno della sua predicazione quando - esausto per i continui viaggi che duravano ormai da quasi tre anni con notevoli disagi fisici ma soprattutto stanco dell’odio che sentiva montare intorno a sé e per lo sconforto nel vedere quanto poco seguito riuscisse ad avere da parte dell’Israele che contava - le sue spalle si mostravano a momenti più curve, il suo volto più pallido, gli occhi incavati, il colorito tanto più esangue quanto più si avvicinava al momento in cui Egli sapeva nella sua preveggenza che sarebbe salito sul Calvario e su una Croce.
Ecco comunque come ce lo descrive la nostra mistica, facendo anche qualche raffronto con Maria SS. (i grassetti sono miei):1
«… Capelli divisi alla metà del capo e ricadenti in lunghe ciocche sino alle spalle.
Ondulati per un buon palmo, poi terminanti in vero ricciolo.
Lucidi, sottili, ben ravviati, di un colore biondo acceso che specie nel ricciolo finale ha decise tonalità di rame.
Fronte molto alta, bellissima, liscia come una fascia, dalle tempie lievemente incavate sulle quali le vene azzurrine mettono lievi ombre d’indaco trasparendo sotto la pelle bianchissima, di quel bianco speciale di certi individui di capelli rosso-biondi: un bianco di latte di una sfumatura appena tendente all’avorio ma con un “che” lievissimo di azzurrino, pelle delicatissima che pare di petalo di camelia candida, così fina che ne traspare la più lieve venuzza e così sensibile che ogni emozione vi si disegna con pallori più intensi e rossori vivi.
Ma Gesù io l’ho veduto sempre pallido, appena un poco tinto dal sole, preso liberamente nel suo treenne andare per la Palestina. Maria invece è più bianca perché è stata più ritirata in casa, ed è di un bianco più rosato. Gesù è di un bianco avorio con quel lieve riflesso all’azzurro.
Naso lungo e dritto, con appena una lieve curva in alto, verso gli occhi, un bellissimo naso sottile e ben modellato.
Occhi incassati, bellissimi, del colore che ho tante volte descritto di zaffiro molto scuro.
Sopracciglia e ciglia folte, ma non troppo, lunghe, belle, lucide, castano scure ma con una microscopica scintilla d’oro al vertice di ogni peluzzo.
Quelle di Maria sono invece di un castano chiarissimo, più sottili e rade. Forse appaiono tali perché tanto più chiare, così chiare da esser quasi bionde.
Bocca regolare, tendente al piccolo, ben modellata, somigliantissima a quella della Madre, dalle labbra giuste di grossezza, né troppo sottili da parere serpentine, né troppo pronunciate. Al centro sono tonde e accentuate in bella curva, ai lati quasi scompaiono facendo apparire più piccola che non sia la bocca bellissima di un rosso sano che si apre sulla dentatura regolare, forte, dai denti piuttosto lunghi e bianchissimi.
Quelli di Maria sono invece piccini ma regolari e uniti ugualmente. Guance magre ma non scarne. Un ovale molto stretto e lungo ma bellissimo, dagli zigomi né troppo salienti né troppo sfuggenti.
La barba, folta sul mento e bipartita in due punte crespute, circonda, ma non copre, la bocca sino al labbro inferiore… e sale sempre più corta verso le guance dove, all’altezza degli angoli della bocca, diviene corta corta, limitandosi a mettere un’ombra come di spolveratura di rame sul pallore delle guance.
Essa è, dove è folta, di un color rame scuro: un biondo-rosso scuro.
E così sono i baffi non molto folti e tenuti corti, di modo che coprono appena il labbro superiore fra il naso e il labbro e si limitano agli angoli della bocca.
Orecchie piccole ben modellate e molto unite al capo. Non sporgono affatto…».
Insomma, riassumendo i tratti del volto di Gesù come più estesamente li descrive la mistica potremmo ora fare il seguente ‘identikit’:
Capelli divisi alla metà del capo, in lunghe ciocche sino alle spalle, ondulati per un buon palmo, terminanti in un vero ricciolo.
Colore dei capelli biondo acceso tendenti al ramato verso il ricciolo finale.
Fronte molto alta, bellissima.
Carnagione bianca appena tendente all’avorio, colorito sempre pallido, appena un poco tinto dal sole.
Naso lungo e diritto.
Occhi incassati, bellissimi, color zaffiro molto scuro.
Sopracciglia e ciglia folte, ma non troppo lunghe, castano scure.
Bocca regolare e labbra di giusta grossezza, denti regolari e bianchissimi.
Barba folta sul mento, di color rame scuro, bipartita in due punte crespute, sempre più corta salendo verso le guance e che diviene corta-corta all’altezza degli angoli della bocca.
Baffi color rame scuro non molto folti e tenuti corti.
Orecchie piccole e ben modellate.
Avete ora per caso presente l’immagine del Gesù della Divina Misericordia visto in visione da Santa Faustina Kowalska, immagine descritta e fatta dipingere ad un pittore negli anni ’30 del Novecento?
Mi sembra che questa immagine del volto, umanamente dipinta e quindi certamente molto imperfetta rispetto alla sua effettiva bellezza vista in visione dalla mistica Faustina, abbia delle forti analogie con la descrizione di Gesù che ne ha fatto la Valtorta.
L’espressione dello sguardo nel dipinto esprime in questo caso l’idea di un ‘Gesù misericordioso’, ma non credo sia specificatamente l’immagine del Gesù che 2000 anni fa era solito parlare al popolo e – non di rado in maniera imperiosa e folgorante - a scribi e farisei.
I singoli tratti somatici sembrano tuttavia proprio gli stessi.
Ma oltre al Gesù-Uomo-Dio sopra descritto, ne ‘L’Evangelo’ abbiamo ‘visto’ apparire il Gesù ‘glorioso’, il Dio-Uomo, quando – dopo la sua Resurrezione – si presenta all’alba di fronte a sua Mamma - nella sua stanza - con il suo corpo glorificato ma solido di una umana corporeità: sempre con una fisionomia simile a quanto visto nel sopracitato dipinto della Kowalska che riproduciamo qui sotto nella sua interezza:
Ecco come ce lo descrive Maria Valtorta all’alba della Domenica di Resurrezione (i grassetti sono miei):2  
[21 febbraio 1944]
Maria ora è prostrata col volto a terra. Pare una povera cosa abbattuta. Pare quel fiore morto di sete di cui Ella ha parlato. La finestra chiusa si apre con un impetuoso sbattimento delle pesanti imposte e, col raggio del primo sole, entra Gesù.
Maria, che s’è scossa al rumore e che alza il capo per vedere che vento abbia aperto le imposte, vede il suo raggiante Figlio: bello, infinitamente più bello di quando ancora non aveva patito, sorridente, vivo, luminoso più del sole, vestito di un bianco che par luce tessuta, e che si avanza verso di Lei.
Ella si raddrizza sui ginocchi e, congiungendo le mani sul petto, in croce, dice con un singhiozzo che è riso e pianto: «Signore, mio Dio».
E resta così rapita nel contemplarlo, col viso tutto lavato di lacrime ma fatto sereno, pacificato dal sorriso e dall'estasi. Ma Egli non la vuole vedere, la sua Mamma, in ginocchio come una serva. E la chiama, tendendole le Mani dalle cui ferita escono raggi che fanno ancor più luminosa la sua Carne gloriosa: «Mamma!».
Ma non è la parola accorata dei colloqui e degli addii avanti la Passione, né il lamento straziato dell'incontro sul Calvario e dell'agonia. É un grido di trionfo, di gioia, di liberazione, di festa, di amore, di gratitudine. E si curva sulla sua Mamma, che non osa toccarlo, e le mette le sue Mani sotto i gomiti piegati, e la alza in piedi e la stringe al Cuore e la bacia. Oh! allora Maria comprende che non è una visione, che è il Figlio realmente risorto, che è il suo Gesù, il Figlio che l'ama da Figlio ancora. E con un grido gli si getta al collo e lo abbraccia e lo bacia3, ridendo nel pianto.
Lo bacia sulla Fronte dove non sono più ferite, sulla Testa non più spettinata e sanguinosa, sugli Occhi fulgidi, sulle Guance risanate, sulla Bocca non più enfiata.
E poi gli prende le Mani e ne bacia il dorso e la palma, sulle raggianti ferite, e d'un subito si curva ai suoi Piedi e li scopre da sotto la veste splendente e li bacia. Poi si alza, lo guarda, non osa. Ma Egli sorride e capisce. Socchiude la veste sul petto e dice: «E questa, Mamma, non la baci questa che t'ha fatto tanto male e che tu sola sei degna di baciare? Baciami sul Cuore, Mamma. Il tuo bacio mi leverà l'ultimo ricordo di tutto quanto è dolore, e mi darà quella gioia che ancora manca alla mia Gioia di Risorto».
E prende fra le sue Mani il volto della Madre e ne appoggia le labbra sulle labbra della ferita del Costato, da cui escono fiotti di luce vivissima.
Il viso di Maria è aureolato da quella luce, tuffato come è nel suo raggio. Ella bacia, bacia, mentre Gesù la carezza. Non si stanca di baciare. Pare un assetato che abbia attaccato la bocca alla fonte e ne beva la vita che gli sfuggiva.
Ora Gesù parla.
«Tutto è finito, Mamma. Ora non hai più da piangere per il tuo Figlio. La prova è compiuta. La Redenzione è avvenuta. Mamma, grazie di avermi concepito, allevato, aiutato in vita e in morte.
Ho sentito venire a Me le tue preghiere. Esse sono state la mia forza nel dolore, le mie compagne nel mio viaggio sulla Terra ed oltre la Terra. Esse sono venute meco sulla Croce e nel Limbo.4 Erano l'incenso che precedeva il Pontefice, che andava a chiamare i suoi servi per portarli nel Tempio che non muore: nel mio Cielo. Esse sono venute meco in Paradiso, precedendo come voce angelica il corteo dei redenti guidati dal Redentore, perché gli angeli fossero pronti a salutare il Vincitore che tornava al suo Regno.
Esse sono state udite e viste dal Padre e dallo Spirito, che ne hanno sorriso come del fiore più bello e del canto più dolce nati in Paradiso. Esse sono state conosciute dai Patriarchi e dai nuovi Santi, dai nuovi, primi cittadini della mia Gerusalemme, ed Io ti porto il loro grazie, Mamma, insieme al bacio dei parenti e alla loro benedizione e a quella del tuo sposo d'anima, Giuseppe.
Tutto il Cielo canta il suo osanna a te, Madre mia, Mamma santa! Un osanna che non muore, che non è bugiardo come quello dato a Me pochi giorni or sono.
Ora Io vado al Padre con la mia veste umana. Il Paradiso deve vedere il Vincitore nella sua veste d'Uomo con cui ha vinto il Peccato dell'Uomo.
Ma poi verrò ancora. Devo confermare nella Fede chi non crede ancora ed ha bisogno di credere per portare altri a credere, devo fortificare i pusilli che avranno bisogno di tanta fortezza per resistere al mondo.
Poi salirò al Cielo. Ma non ti lascerò sola. Mamma, lo vedi quel velo?5 Ho, nel mio annichilimento, sprigionato ancora potenza di miracolo per te, per darti quel conforto. Ma per te compio un altro miracolo. Tu mi avrai, nel Sacramento, reale come ero quando mi portavi.6
Non sarai mai sola. In questi giorni lo sei stata. Ma alla mia Redenzione occorreva anche questo tuo dolore.7 Molto va continuamente aggiunto alla Redenzione, perché molto sarà continuamente creato di Peccato. 8
Chiamerò tutti i miei servi a questa compartecipazione redentrice. Tu sei quella che da sola farai più di tutti i santi insieme. Perciò ci voleva anche questo lungo abbandono.
Ora non più. Io non sono più diviso dal Padre. Tu non sarai più divisa dal Figlio. E, avendo il Figlio, hai la Trinità nostra. Cielo vivente, tu porterai sulla Terra la Trinità fra gli uomini e santificherai la Chiesa, tu, Regina del Sacerdozio e Madre dei Cristiani.
Poi Io verrò a prenderti.9 E non sarò più Io in te, ma tu in Me, nel mio Regno, a far più bello il Paradiso. Ora vado, Mamma. Vado a fare felice l'altra Maria10.
Poi salgo al Padre. Indi verrò a chi non crede. Mamma. Il tuo bacio per benedizione. E la mia Pace a te per compagna. Addio».
E Gesù scompare nel sole che scende a fiotti dal cielo mattutino e sereno.
Da questo brano – a ben meditare – emerge la ‘cronologia’, cioè la immediata successione degli avvenimenti fra la morte in croce di Gesù e l’apparizione serale agli apostoli nel Cenacolo.
Egli – in spirito, mentre il suo Corpo giaceva inerte sulla pietra della tomba che Giuseppe di Arimatea aveva messo a disposizione – discende agli ‘Inferi’, e cioè nel Limbo, e libera - come si evince dall’Opera valtortiana - le anime dei giusti che vi attendevano in attesa della Redenzione. Dall’Opera della mistica si apprende un piccolo particolare molto significativo: Egli libera anche una parte di coloro che erano in Purgatorio.
Quindi – sempre in spirito – il Verbo-Gesù conduce il suo primo esercito di ‘liberati’ in Paradiso le cui ‘porte’ erano rimaste chiuse dopo il Peccato originale: è il suo primo corteo trionfale di Redentore!
Poi Egli ‘ridiscende’ in terra, si ‘riappropria’ del Suo Corpo nel quale Egli infonde nuovamente la Vita come già l’aveva infusa alcuni mesi prima nel corpo di Lazzaro di Betania che era morto da ben quattro giorni.
Risorgendo appare, trasfigurato, innanzitutto alla Mamma: non in visione ma materializzato con il nuovo Corpo glorificato, corpo di carne vera ma glorificata, vestito di tessuti ‘di luce’, cioè tessuti ‘glorificati’.
Si mostrerà quindi a Maria Maddalena che si trovava in lacrime presso la tomba vuota, avendo creduto che i nemici ne avessero rubato in spregio il corpo.
Dopo essersi mostrato alla Maddalena, Gesù ascende al Cielo per presentarsi a Dio Padre con il suo corpo umano perché alla Mamma aveva detto:
«Ora Io vado al Padre con la mia veste umana. Il Paradiso deve vedere il Vincitore nella sua veste d'Uomo con cui ha vinto il Peccato dell'Uomo».
Successivamente Gesù ritornerà sulla Terra per apparire agli apostoli e ad altre persone che – avendolo saputo morto, e di quella morte - avrebbero avuto bisogno di vederlo risorto per uscirne confortati e rafforzati nella fede.
Attiro ora l’attenzione su un particolare piccolo ma significativo.
Nel Vangelo di Giovanni, tradotto dal greco, quando Gesù appare a Maria Maddalena e lei fa il gesto di toccarlo, il testo dice: ‘Non trattenermi, perché non sono ancora asceso al Padre…’.
Nel brano valtortiano della Resurrezione, invece, Maria Maddalena fa per gettarsi ai piedi di Gesù perché li vorrebbe baciare, ma Gesù la scosta toccandola appena con il sommo delle dita presso la fronte e le dice: «Non mi toccare! Non sono ancora salito al Padre mio con questa veste. Va’ dai miei fratelli e amici, e dì loro che Io salgo al Padre mio e vostro, al Dio mio e vostro. E poi verrò da loro».
Dopodiché Gesù si smaterializza e scompare.
A ben riflettere Gesù non permette alla Maddalena di toccarlo mentre Maria SS. lo aveva potuto abbracciare e baciare: Lei era infatti la Mamma che lo aveva tenuto in grembo, priva della Macchia del Peccato originale e quindi la ‘Tutta Pura’ e – infine – era anche la ‘Corredentrice’.
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Ora però – durante il discorso della montagna – siamo ancora di fronte non al Dio-Uomo glorificato della Resurrezione, ma all’Uomo-Dio che deve ancora completare la sua missione. La ‘glorificazione’ del Suo Corpo sarà infatti il ‘serto’ posto sul Capo del Liberatore e Vincitore del Peccato e di Satana.
Potrete quindi cercare di ‘visualizzarlo’ ed immaginarvelo sulla base della descrizione fatta da Maria Valtorta.
Ciò che qui affascina di più la folla non è solo la sua sapienza e il suo particolare modo di parlare, ma è il ‘sentire d’anima’ di coloro che ascoltano e vedono, fatto che li rende convinti di trovarsi veramente di fronte al più grande dei Profeti che parla in nome di Dio, oppure a ‘Dio stesso’ incarnato in Lui, come del resto la folla sente ripetere continuamente dagli apostoli.
In questi giorni Gesù ha parlato nel primo giorno ai soli apostoli e discepoli spiegando loro l’importanza della missione sacerdotale e quindi del loro dover essere Luce del mondo e Sale della terra.
Nel secondo giorno Egli ha parlato alla folla del dono della Grazia e delle Beatitudini.
Nel terzo giorno ha impartito i ‘Consigli evangelici’ che perfezionano la Legge.
Nel quarto giorno, ha affrontato i temi del giuramento, della preghiera e del digiuno.
Il giuramento, vale a dire chiamare Dio a testimonio di quanto si dice, non va mai fatto per principio, ma quando è falso diventa una vera blasfemia che grida vendetta agli occhi di Dio che – chiamato ad essere testimonio di un falso - si vede anche irriso.
La preghiera, poi, non deve essere una meccanica ‘tiritera’ mnemonica, ma un sentimento di amore che sgorga dal profondo del cuore: anche poche parole, ma dette con sentimento, rivolgendoci al Padre al quale possiamo confidare filialmente i nostri pensieri.
Molti degli ascoltatori devono aver sorriso nell’ascoltare quei due paragoni portati come esempio da Gesù forse con un sottile filo di ironia. Il primo a proposito di coloro che sprecano più e più ore in monologhi ripetuti solo con le labbra, dei veri soliloqui che neppure il loro Angelo custode ascolta, essendo ‘rumore’ vano al quale l’Angelo cerca di rimediare sprofondandosi lui in una ardente preghiera a favore del suo ‘stolto’ custodito. Il secondo paragone a proposito di quello immerso nella preghiera ‘meccanica’ che non smetterebbe di pregare in quel modo neppure se Dio in persona gli apparisse davanti dicendogli che la salvezza del mondo dipende dal suo lasciare quella preghiera senz’anima per andare semplicemente a trarre acqua da un pozzo per spargerla a terra per amor di Dio e degli altri uomini.
Eccoci però ora giunti – con una nuova visione della mistica - al quinto giorno ed al quinto discorso, avente come tema quello dell’uso delle ricchezze, dell’elemosina e della fiducia in Dio (i grassetti sono miei): 11
27 maggio 1945.
Lo stesso discorso della Montagna.
La folla aumenta sempre, più i giorni passano. Vi sono uomini, donne, vecchi, bambini, ricchi, poveri. E' sempre presente la coppia Stefano-Erma, per quanto ancora non aggregata e fusa ai vecchi discepoli capitanati da Isacco.
E ancora vi è la nuova coppia, costituita ieri, del vecchione e della donna.
Sono ben davanti, vicino al loro Consolatore, e i loro aspetti sono molto più sollevati di ieri. Il vecchio, quasi per rifarsi dei molti mesi o anni che fu trascurato dalla figlia, ha messo la sua mano rugosa sulle ginocchia della donna, e questa gliela carezza per quel bisogno innato della donna, moralmente sana, di essere materna.
Gesù passa loro vicino per salire al suo rustico pulpito e nel passare carezza la testa del vecchione, che lo guarda come lo vedesse già in veste di Dio.
Pietro dice qualcosa a Gesù, che gli fa un cenno come dire: «Non importa». Ma non capisco quello che dice l'apostolo, che però resta vicino a Gesù e al quale si uniscono poi Giuda Taddeo e Matteo. Gli altri si perdono fra la moltitudine.
«La pace sia con tutti voi!
Ieri ho parlato della preghiera, del giuramento, del digiuno.
Oggi vi voglio istruire su altre perfezioni. Sono anche esse preghiera, fiducia, sincerità, amore, religione.
La prima di cui parlo è il giusto uso delle ricchezze, mutate, per buona volontà del servo fedele, in altrettanti tesori del Cielo.12
I tesori della terra non durano. Ma i tesori del Cielo sono eterni.
Avete in voi l'amore a ciò che è vostro? Vi fa pena il morire perché non potete più curare i vostri beni e li dovete lasciare? E allora trasponeteli in Cielo!
Voi dite: "Nel Cielo non entra ciò che è della terra e Tu insegni che il denaro è la cosa più lurida della terra. Come possiamo allora trasportarlo in Cielo?".
No. Non potete portare le monete, materiali quali sono, nel Regno dove tutto è spirito.
Ma potete portare il frutto delle monete.
Quando voi date ad un banchiere il vostro oro, perché lo date? Perché lo faccia fruttare.
Non ve ne private certo, sebbene momentaneamente, perché egli ve lo renda tal quale.
Ma volete che su dieci talenti egli ve ne renda dieci più uno, o più ancora. Allora siete felici e lodate il banchiere. Altrimenti dite: "Costui è un onesto, ma è uno sciocco". E se poi, invece dei dieci più uno, ve ne dà nove dicendo: "Ho perduto il resto", voi lo denunciate e lo gettate in prigione.
Cosa è il frutto del denaro?
Semina forse il banchiere i vostri denari e li annaffia per farli crescere? No.
Il frutto è dato da un accorto maneggio di affari, di modo che, e con ipoteche e con prestiti a interesse, il denaro si aumenti dell'aggio giustamente richiesto per il favore dell'oro prestato. Non è così?
Ora dunque udite.
Dio vi dà le ricchezze terrene. A quali molte, a quali appena quante necessitano al vivere, e vi dice: "Ora a te. Io te le ho date. Fai di questi mezzi un fine quale il mio amore lo desidera per tuo bene. Io te le affido. Ma non perché tu te ne faccia un male. Per la stima che ho in te, per riconoscenza dei miei doni, tu fa' fruttare, e per questa vera Patria, i tuoi beni.
Ed ecco il metodo per giungere a questo fine.
Non vogliate accumulare i vostri tesori sulla terra, vivendo per essi, essendo crudeli per essi, essendo maledetti dal prossimo e da Dio per essi. Non merita. Sono sempre insicuri quaggiù.
I ladri possono sempre derubarvi. Il fuoco può distruggervi le case. Le malattie delle piante o delle mandre sterminarvi greggi e frutteti.
Quante cose insidiano i beni! Siano essi immobili e inattaccabili, come le case e l'oro; o siano soggetti ad essere lesi nella loro natura, come tutto quanto vive, come sono i vegetali e gli animali; e persino siano le stoffe preziose, possono essere soggetti a menomazione. Il fulmine sulle case, e le fiamme e le acque; e i ladri, la ruggine, la siccità, i roditori, gli insetti sui campi; il capostorno, le febbri, le scosciature, le morve negli animali; le tignole e i topi nelle stoffe preziose e nei mobili pregiati; l'erosione delle ossidazioni nei vasellami, e lumiere, e cancelli artistici; tutto, tutto è soggetto a menomazione.
Ma se voi di tutto questo bene terreno fate un bene soprannaturale, ecco che esso è salvo da ogni lesione del tempo, degli uomini e delle intemperie.
Fatevi delle borse in Cielo, là dove non entrano ladri e dove non accadono sventure.
Lavorate con l'amore misericordioso verso tutte le miserie della terra.
Accarezzate, sì, le vostre monete, baciatele anche, se volete, giubilate per le messi che prosperano, per i vigneti carichi di grappoli, per gli ulivi che si piegano sotto il peso di infinite ulive, per le pecore dal fecondo seno e dalle turgide mammelle. Fate tutto ciò. Ma non sterilmente. Non umanamente. Fatelo con amore e ammirazione, con godimento e calcolo soprannaturale.
"Grazie, mio Dio, di questa moneta, di queste messi, di queste piante, di queste pecore, di questi commerci! Grazie, pecore, piante, prati, commerci, che mi servite così bene. Siate benedetti tutti, perché per tua bontà, o Eterno, e per vostra bontà, o cose, ecco che io posso fare tanto bene a chi ha fame, a chi è ignudo, senza tetto, malato, solo... Lo scorso anno feci per dieci. Quest'anno - poiché, per quanto io abbia dato molto in elemosina, ho maggior denaro e più pingui sono i raccolti e numerosi i greggi - ecco che io darò due, tre volte, quanto diedi lo scorso anno. Perché tutti, anche i derelitti di ogni bene loro proprio, godano della mia gioia e benedicano, con me, Te, Signore eterno".
Ecco la preghiera del giusto. Quella preghiera che, unita all'azione, trasporta i vostri beni in Cielo, e non solo ve li conserva eternamente, ma ve li fa trovare aumentati dei frutti santi dell'amore.
Abbiate il vostro tesoro in Cielo per avere là il vostro cuore al disopra e al di là del pericolo che non solo l'oro, le case, i campi, le greggi possano subire sventura, ma che sia insidiato il vostro stesso cuore e derubato, corroso, bruciato, ucciso dallo spirito del mondo. Se così farete avrete il vostro tesoro nel vostro cuore perché avrete Dio in voi fino al giorno beato in cui voi sarete in Lui.
Però, per non diminuire il frutto della carità, badate di essere caritatevoli con spirito soprannaturale.
Come ho detto per la preghiera e il digiuno, così dico per la beneficenza e di ogni altra opera buona che possiate fare. Conservate il bene che fate dalla violazione del senso del mondo, conservatelo vergine da umana lode.
Non profanate la rosa profumata, vero incensiere di profumi grati al Signore, della vostra carità e del vostro agire buono. Profana il bene lo spirito di superbia, il desiderio di esser notati nel fare il bene e la ricerca della lode. La rosa della carità allora viene sbavata e corrosa dai lumaconi viscidi dell'orgoglio soddisfatto, e nell'incensiere cadono fetide paglie della lettiera su cui il superbo si crogiola come bestia ben pasciuta.
Oh! quelle beneficenze fatte per esser citati! Ma meglio, meglio non farle affatto!
Chi non fa pecca di durezza. Chi fa, facendo conoscere e la somma data e il nome di chi l'ha avuta, e mendicando la lode, pecca di superbia col rendere nota l'offerta, ossia dice: "Vedete quanto io posso?", pecca di anticarità perché mortifica il beneficato col rendere noto il suo nome, pecca di avarizia spirituale volendo accumulare lodi umane... Paglie, paglie, non di più che paglie. Fate che vi lodi Dio coi suoi angeli.
Voi, quando fate elemosina, non suonate la tromba davanti a voi per attirare l'attenzione del passante ed essere onorato come gli ipocriti, che vogliono l'applauso degli uomini e perciò fanno elemosina solo là dove possono essere visti da molti. Anche questi hanno già avuto la loro mercede e non ne avranno altra da Dio. Voi non incorrete nella stessa colpa e nella stessa presunzione.
Ma quando fate elemosina non sappia la vostra sinistra quel che fa la destra, tanto nascosta e pudica è la vostra elemosina, e poi dimenticatevene.13
Non state a rimirarvi l'atto compiuto, gonfiandovi di esso come fa il rospo, che si rimira coi suoi occhi velati nello stagno e che, posto che vede riflessi nell'acqua ferma le nuvole, gli alberi, il carro fermo presso la riva, e vede lui così piccino rispetto a quelli così grossi, si empie d'aria fino a scoppiare. Anche la vostra carità è un nulla rispetto all'Infinito che è la Carità di Dio, e se voleste divenire simili a Lui e rendere la vostra carità piccina, grossa, grossa, grossa per uguagliare la sua, vi empireste di vento d'orgoglio e finireste per perire.
Dimenticatevene. Dell'atto in se stesso dimenticatevene. Vi resterà sempre presente una luce, una voce, un miele, e vi farà luminoso il giorno, dolce il giorno, beato il giorno.
Perché quella luce sarà il sorriso di Dio, quel miele la pace spirituale che è ancora Dio, quella voce la voce del Padre-Dio che vi dirà: "Grazie". Egli vede il male occulto e vede il bene nascosto, e ve ne darà ricompensa. Io ve lo...»
«Maestro, Tu menti alle tue parole!».
L'insulto, astioso e improvviso, viene dal centro della folla. Tutti si volgono in direzione della voce. Vi è della confusione.
Pietro dice: «Te lo avevo detto! Eh! quando c'è uno di quelli lì... non va più bene niente!».
Fra la folla partono fischi e mormorii verso l'insultatore. Gesù è il solo che resti calmo.
Ha incrociato le braccia sul petto e sta alto, col sole in fronte, ritto sul suo masso, nel suo abito azzurro cupo.
L'insultatore continua, incurante della reazione della folla: «Sei un cattivo maestro perché insegni ciò che non fai e...».
«Taci! Va' via! Vergognati!» urla la folla. E ancora: «Vai dai tuoi scribi! A noi ci basta il Maestro. Gli ipocriti con gli ipocriti! Falsi maestri! Strozzini!…» e continuerebbero, ma Gesù tuona: «Silenzio! Lasciatelo parlare» e la gente non urla più, ma bisbiglia i suoi improperi conditi da occhiate feroci.
«Sì. Tu insegni ciò che non fai. Dici che si deve fare elemosina senza essere visti e ieri, alla presenza di tutto un popolo, hai detto a due poveri: "Rimanete e vi sfamerò".
«Ho detto: "Rimangano i due poverelli. Saranno gli ospiti benedetti e daranno sapore al nostro pane". Non di più. Non ho significato di volerli sfamare. Quale è quel povero che almeno non ha un pane? La gioia era di dar loro amicizia buona».
«Eh! già! Sei astuto e sai fare l'agnello!».
Il vecchione si alza, si volta e alzando il suo bastone grida: «Lingua infernale che accusi il Santo, credi forse di sapere tutto e di potere accusare per ciò che sai? Come ignori chi è Dio e chi è Colui che tu insulti, così ignori le sue azioni. Solo gli angeli e il mio cuore giubilante lo sanno. Udite, uomini, udite tutti, e sappiate se Gesù è il mentitore e il superbo che questo avanzo del Tempio vuol dire. Egli...»
«Taci, Ismaele! Taci per amor mio! Se ti ho fatto felice, fammi felice tacendo» lo prega Gesù.
«Ti ubbidisco, Figlio santo. Ma lasciami dire questo solo: la benedizione del vecchio israelita fedele è su di Lui che mi ha beneficato da Dio, e Dio l'ha messa sulle mie labbra per me e per Sara14, mia figlia novella. Ma sul tuo capo non sarà benedizione. Io non ti maledico. Non sporco la mia bocca, che deve dire a Dio: "Accoglimi", con una maledizione. Non l'ho avuta neppure per chi mi ha rinnegato, e già ne ho ricompensa divina. Ma ci sarà chi fa le veci dell'Innocente accusato e di Ismaele, amico di Dio che lo benefica».
Un coro di urli fa chiusa al discorso del vecchio che si siede di nuovo, e un uomo se la svigna e se ne va, inseguito da improperi. E poi la folla grida a Gesù: «Continua, continua, Maestro santo! Noi non ascoltiamo che Te, e Tu ascolta noi. Non quei corvi maledetti! E' gelosia la loro. Perché ti amiamo più di loro! Ma in Te è santità, in loro cattiveria. Parla, parla! Vedi che non ci punge più altro desiderio che la tua parola. Case, commerci? Nulla per udire Te!».
«Sì, parlo. Ma non ve la prendete. Pregate per quegl'infelici. Perdonate come Io perdono. Perché se perdonerete agli uomini i loro falli, anche il vostro Padre dei Cieli vi perdonerà i vostri peccati. Ma se avrete rancore e non perdonerete agli uomini, nemmeno il Padre vostro vi perdonerà le vostre mancanze. E tutti hanno bisogno di perdono.
Vi dicevo che Dio vi darà ricompensa anche se voi non gli chiedete premio per il bene fatto. Ma voi non fate il bene per avere ricompensa, per avere una mallevadoria per il domani.
Non fate il bene misurato e trattenuto dalla tema: "E poi, per me, ne avrò ancora? E se non avrò più nulla chi mi aiuterà? Troverò chi mi fa ciò che ho fatto? E quando non potrò più dare, sarò ancora amato?".
Guardate: Io ho amici potenti fra i ricchi e amici fra i miseri della terra. E in verità vi dico che non sono gli amici potenti i più amati. Vado da quelli non per amore di Me e per mio utile. Ma perché da essi posso avere molto per chi non ha nulla. Io sono povero. Non ho nulla. Vorrei avere tutti i tesori del mondo e mutarli in pane per chi ha fame, in tetto per chi è senza tetto, in vesti per chi è ignudo, in medicine per chi è malato. Voi direte: "Tu puoi guarire".
Sì. Questo ed altro posso. Ma non sempre è la fede negli altri, ed Io non posso fare ciò che farei e che vorrei fare se trovassi della fede nei cuori per Me.
Io vorrei beneficare anche questi che non hanno fede. E posto che non chiedono il miracolo al Figlio dell'uomo vorrei, da uomo ad uomo, dar loro soccorso. Ma non ho nulla.
Per questo Io tendo la mano a chi ha e chiedo: "Fammi la carità, in nome di Dio".
Ecco perché Io ho amicizie in alto. Domani, quando Io non sarò più sulla terra, ancora vi saranno i poveri, ed Io non ci sarò né a compiere miracolo per chi ha fede, né a fare elemosina per portare alla fede.
Ma allora i miei amici ricchi avranno imparato, al mio contatto, come si fa a beneficare, e i miei apostoli avranno, pure dal mio contatto, imparato a elemosinare per amore dei fratelli. E i poveri avranno sempre un soccorso.
Ebbene, ieri Io, da uno che non ha nulla, ho avuto più di quanto mi hanno dato tutti coloro che hanno.
E' un amico povero quanto Me. Ma mi ha dato una cosa che non si compera con nessuna moneta e che mi ha fatto felice, riportandomi tante ore serene della mia fanciullezza e giovinezza, quando ogni sera sul mio capo si imponevano le mani del Giusto ed Io andavo al riposo con la sua benedizione per custode del mio sonno.
Ieri questo mio amico povero mi ha fatto re con la sua benedizione. Vedete che ciò che lui mi ha dato nessuno dei miei amici ricchi me l'ha mai dato. Perciò non temete. Anche se non avrete più potenza di denaro, solo che abbiate amore e santità, potrete beneficare chi è povero, stanco o afflitto.
E perciò vi dico: non siate troppo solleciti per tema di avere poco. Avrete sempre il necessario.
Non siate troppo preoccupati pensando al futuro.15
Nessuno sa quanto futuro ha ancora davanti.
Non siate in pensiero per quello che mangerete per sostenervi nella vita, né di che vi vestirete per tenere caldo il vostro corpo. La vita del vostro spirito è ben più preziosa del ventre e delle membra, vale molto più del cibo e del vestito, così come la vita materiale è più del cibo e il corpo più della veste. E il Padre vostro lo sa. Sappiatelo dunque anche voi.
Guardate gli uccelli dell'aria: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, eppure non muoiono di fame perché il Padre celeste li nutre. Voi uomini, creature predilette del Padre, valete molto più di loro.
Chi di voi, con tutto il suo ingegno, può aggiungere alla sua statura un sol cubito? Se non riuscite ad alzare la vostra statura neppure di un palmo, come potete pensare di mutare le vostre condizioni future, aumentando le vostre ricchezze per garantirvi una lunga e prospera vecchiaia?
Potete dire alla morte: "Tu mi verrai a prendere quando io vorrò"? Non potete. A che, allora, preoccuparvi del domani?
E perché avere tanta pena per tema dì rimanere senza vesti? Guardate come crescono i gigli del campo: non faticano, non filano, non vanno dai venditori di panni a fare acquisti.
Eppure vi assicuro che nemmeno Salomone con tutta la sua gloria fu mai vestito come uno di loro. Ora se Dio riveste così l'erba del campo, che oggi è e domani serve a scaldare il forno o a pasturare il gregge e finisce in cenere o in sterco, quanto più provvederà voi, figli suoi.
Non siate gente di poca fede. Non vi angosciate per un futuro incerto, dicendo: "Quando sarò vecchio come mangerò? Che berrò? Come mi vestirò?".
Queste preoccupazioni lasciatele ai gentili che non hanno l'alata certezza della paternità divina. Voi l'avete e sapete che il Padre sa i vostri bisogni e che vi ama. Fidate dunque in Lui.
Cercate prima le cose veramente necessarie: la fede, la bontà, la carità, l'umiltà, la misericordia, la purezza, la giustizia, la mansuetudine, le tre e le quattro virtù principali, e tutte, tutte le altre ancora, di modo da essere amici di Dio e di avere diritto al suo Regno.
E vi assicuro che tutto il resto vi sarà dato per giunta senza che neppure lo chiediate.
Non vi è ricco più ricco del santo, e sicuro più sicuro di esso. Dio è col santo. Il santo è con Dio. Per il suo corpo non chiede, e Dio lo provvede del necessario. Ma lavora per il suo spirito, ed a questo Dio dà Se stesso, qui, e il Paradiso oltre la vita.
Non mettetevi dunque in pena per ciò che non merita la vostra pena. Affliggetevi di essere imperfetti, non di essere scarsi di beni terreni.
Non crucciatevi per il domani. Il domani penserà a se stesso, e voi ad esso penserete quando lo vivrete. Perché pensarvi da oggi? Non è già abbastanza piena dei ricordi penosi di ieri, e dei pensieri crucciosi di oggi, la vita, per sentire bisogno di mettervi anche gli incubi dei "che sarà?" del domani? Lasciate ad ogni giorno il suo affanno! Ve ne saranno sempre più di quante ne vorremmo di pene nella vita, senza aggiungere pene presenti a pene future! Dite sempre la grande parola di Dio: "Oggi". Siete suoi figli, creati secondo la sua somiglianza. Dite dunque con Lui: "Oggi".
E oggi Io vi do la mia benedizione. Vi accompagni fino all'inizio del nuovo oggi, di domani, ossia di quando vi darò nuovamente la pace in nome di Dio».

1  M.V.: ‘I Quaderni del 1944’ – 7.4.1944 – Centro Editoriale Valtortiano
2  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. X - Cap. 618 – Centro Editoriale Valtortiano
3  N.d.A.: Gesù si è materializzato, e la Mamma lo può abbracciare e sentire nella sua corporeità fisica, come avrebbero potuto fare successivamente gli apostoli, la sera di quello stesso giorno, durante la sua materializzazione nel Cenacolo dove essi erano riuniti a commentare i fatti del giorno dopo che le varie discepole avevano parlato di un Gesù Risorto all’alba ma che gli apostoli tuttavia non avevano ancora visto.
4  N.d.A.: Limbo, dove Gesù dopo la Redenzione era disceso per liberare i giusti ‘attendenti’ aprendo loro le porte del Paradiso.
5  N.d.A.: Riferimento al volto di Gesù impresso durante la salita al Calvario nel velo detto della ‘Veronica’
6  N.d.A.: Riferimento al ‘Gesù Eucaristico’ dopo l’istituzione del Sacramento dell’Eucarestia durante l’Ultima Cena del Giovedì Santo nel Cenacolo.
7  N.d.A.: Riferimento al ruolo di Maria SS. che con la sua adesione al Progetto redentivo divino e con le sue sofferenze era stata associata a Gesù nella Redenzione come ‘Corredentrice’.
8  N.d.A.: Riferimento al futuro contributo come ‘piccole corredentrici’ delle anime-vittima, quali la stessa Maria Valtorta, e di quanti accettano e offrono il loro dolore per la salvezza altrui.
9  N.d.A.: Riferimento alla futura Assunzione al Cielo in anima e corpo di Maria SS.
10  N.d.A.: Da questo si comprende che la prima a vedere Gesù dopo la Resurrezione non fu Maria Maddalena, come si potrebbe pensare dal Vangelo di Giovanni, perché Gesù apparirà alla Maddalena solo dopo essersi mostrato, giustamente, alla Sua Mamma in questa apparizione nell’intimità della stanzetta del Cenacolo in cui Maria SS. era ancora raccolta in preghiera fin da dopo la crocefissione.
11  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 173 – Centro Editoriale Valtortiano
12  Mt 6, 19-21:19Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; 20accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. 21Perché, dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.
13  Mt 6, 1-4: 1State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c'è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. 2Dunque, quando fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 3Invece, mentre tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, 4perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
14  N.d.A.: Sara ed Ismaele: due personaggi che abbiamo già conosciuti nel corso del ‘discorso’ del giorno precedente. Gesù ha affidato Ismaele a Sara, guarita dalla sua malattia e con il compito di accudire il vecchio ‘patriarca’ che era stato abbandonato dalla figlia. Sara lo accompagnerà da Lazzaro a Betania dove lei lavorerà alle sue dipendenze dedicandosi al lino mentre a Ismaele – ormai troppo anziano – verrà affidata la cura degli alveari. Egli amava le sue api, e un giorno verrà trovato morto, ricoperto dalle sue care api. In seguito Sara sarebbe entrata a far parte del personale di fiducia di Lazzaro e delle sue sorelle a Betania.
15  Mt 6, 25-34:25Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? 26Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 28E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 31Non preoccupatevi dunque dicendo: «Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?». 32Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. 33Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.

      
7.2 Riflettiamo ancora su alcuni punti di questo quinto discorso della montagna.
Che dire in merito a questo discorso? Il mio primo suggerimento è di leggere le citazioni evangeliche in nota e poi confrontarle con i corrispondenti punti nel discorso di Gesù.
Impossibile non rilevare quanto vi avevo detto sin dall’inizio: i brani del Vangelo di Matteo sono ‘succhi’ estremamente sintetici di alcuni concetti che Gesù aveva espresso in maniera più elaborata nell’ambito di un discorso molto più articolato.
Matteo prendeva appunti, spesso in condizioni precarie per scrivere, non aveva un moderno ‘registratore’, non sapeva ‘stenografare’, non sapeva e non poteva star dietro all’oratoria incalzante di Gesù come invece Maria Valtorta che tuttavia lo faceva per speciale ‘grazia’ divina. Quindi Matteo – avendo ben capito il senso del discorso - appuntava su tavolette di cera o su pergamena i ‘concetti’ che più lo avevano colpito e che gli sarebbero serviti da ‘promemoria’ per la futura meditazione, evangelizzazione e compilazione del suo Vangelo.
E’ sulla base di altri appunti di questo genere che sono stati probabilmente ‘composti’ gli altri due Vangeli ‘sinottici’ di Luca e Marco il quale ultimo deve anche aver potuto usufruire anche dei ricordi di Pietro, di cui egli era ‘allievo’.
Tranne che per il Vangelo di Giovanni, per il quale Gesù rivelò una volta alla mistica Valtorta che quel Vangelo (ad esempio, come non ricordare lo splendido e ‘famoso’ Prologo dallo spirito decisamente divino?1) glielo aveva ‘dettato’ direttamente Lui, esattamente come Egli stava facendo con lei.
Abbiamo dunque sentito parlare Gesù innanzitutto delle ricchezze, o meglio del ‘giusto uso’ delle stesse.
Le ricchezze non sono di per sé ‘demonizzate’ a condizione che si mantenga verso di esse il giusto distacco e se ne faccia un ‘giusto uso’.
Le ricchezze…, sono anche dette ‘sterco del demonio’! Perché?
Perché anche se molte possono essere frutto di onesto lavoro, altre sono frutto di ‘rapina’, appropriazioni indebite, inganno, speculazione indegna, avidità, cupidigia, quindi avarizia e strumento di sopraffazione sui più deboli.
Spesso, anche se giustamente guadagnate, anziché appagare un legittimo bisogno di sicurezza, alimentano per cupidigia un bisogno ancora maggiore, come succede con la droga: più se ne assume e più se ne vorrebbe assumere.
Se si mantiene invece un distacco verso di esse, senza divenirne schiavi, e soprattutto facendone un buon uso anche a favore del prossimo, ecco che esse diventano – come spiega Gesù - un ‘capitale’ che produce interessi spirituali. Un tesoro depositato in Cielo che produce ‘frutti’ inattaccabili dalle situazioni che possono insorgere in Terra.
In alcune religioni pur cristiane ma non cattoliche, si crede che le ricchezze, ed il successo mondano che spesso vi è collegato, siano un segno di predilezione divina.
Non è affatto così. Dio non fa dono all’uno o all’altro di maggiori o minori ricchezze.
Gli uomini sono liberi, nascono nel loro ambiente, sani o malati, ricchi o poveri, felici o infelici.
Dio non interferisce, ma poi tiene conto di tutto.
A chi ha poco avuto ma si è ben comportato darà molto in Cielo, ma chi ha avuto molto e non si è ben comportato poi dovrà rispondere del ‘talento’ che le opportunità di vita gli avevano offerto e che egli ha così male utilizzato.
Le ricchezze possono essere frutto anche di eredità, ma a maggior ragione, in quanto ‘guadagnate’ senza merito, esse dovrebbero essere ben utilizzate dal possessore.
Anche donare poco può essere importante, perché tutto è relativo ed il ‘poco’ - per uno che ha già poco - può essere più importante del ‘tanto’ di un ricco che ha già tanto.
Gesù sottolinea la caducità e vulnerabilità delle ricchezze materiali mentre invece attira l’attenzione sul fatto che il ‘frutto’ spirituale del loro buon uso rimane ben custodito in Cielo, un ‘tesoro’ inattaccabile dalle insidie del mondo, per cui Egli invita ‘ad avere il nostro tesoro in Cielo per avere là il nostro cuore’.
Dio ci lascia dunque le ricchezze auspicando che noi le utilizziamo per aiutare anche il prossimo, ma non dimentichiamo mai che come Egli ce le ha lasciate così ce le può anche togliere.
Un ragionamento per certi versi analogo vale per le elemosine.
Il punto centrale è che la carità deve avere uno ‘spirito’ soprannaturale, bisogna cioè beneficare il prossimo non per mero spirito umanitario – che sarebbe comunque di per sé una cosa umanamente apprezzabile - ma soprattutto per amore e gloria di Dio, senza farsene fregio e nemmeno aspettandosene segretamente ricompensa dal Signore, perché in tal caso l’azione risulterebbe essere stata fatta per interessi egoistici personali.
Durante il discorso uno dei presenti, forse uno scriba o fariseo infiltrato fra la folla, apostrofa rabbiosamente Gesù, venendo poi zittito e messo in fuga dalla folla stessa.
Gesù – in omaggio al suo precedente insegnamento sulla necessità di perdonare ai propri nemici - invita tutti a perdonarlo e qui Egli ricorda ancora una volta il concetto per cui se gli uomini non perdonano agli altri i loro falli, neppure Dio perdonerà i loro.
E’ sempre la Legge dell’amore! Deve essere veramente una cosa importante se Gesù nel suo Discorso ripete il concetto. Non dimentichiamolo dunque.
Quanto ancora alle elemosine, Gesù era solito dare ai poveri quanto gli apostoli ricevevano dai ricchi. Egli talvolta ‘coltivava’ (detto in senso benevolo) le relazioni con i ricchi non solo per convertirli ma anche per avere denaro da dare ai poveri. Egli avrebbe potuto tuttavia dare ai poveri tutto il pane e tesori del mondo e medicine e altro ancora, ma per poter fare ciò aveva la necessità di trovare la fede negli altri, e quando la trovava faceva miracolo.
Ecco un altro concetto da meditare: è la fede quella che ‘forza’ la mano di Dio e lo induce – se Egli lo ritiene giusto – a fare l’impossibile. E’ la forza della fede che rende possibile il miracolo.
Infine, sempre con riferimento alle ricchezze ed alla paura di perderle, Gesù invita – terzo argomento della giornata – a non preoccuparsi troppo del futuro ma ad avere fiducia in Dio, perché - come Dio provvede al sostentamento degli uccelli che non seminano, e non mietono, non hanno granai eppure non muoiono di fame – così può provvedere a noi uomini che avendo un’anima immortale destinata al Paradiso siamo da più degli uccelli.
Dio conosce benissimo le nostre vere e giuste esigenze.
Quest’ultimo aspetto, quello di aver ‘fiducia’ in Dio è forse una delle cose più difficili da accettare, un po’ perché forse molti non pensano che Dio ‘possa’ pensare a noi, un po’ perché i nostri sensi di colpa ci lasciano dubbiosi sul fatto che Dio ‘voglia’ pensare a noi, un po’ forse perché la vita moderna con tutte le ‘necessità’ consumistiche che ci creiamo - spesso artificiosamente - genera non poche ansie per la loro realizzazione, un po' infine perché siamo incapaci di autentica fede e quindi di autentico abbandono.
Avere ‘abbandono’ non significa restare sdraiati sotto l’albero aspettando che la mela ci cada da sola in bocca. Non significa cioè rinunciare ad essere attivi e ad usare la nostra iniziativa ed energia per ottenere il ‘meglio’, perché in tal caso oltre che infingardi faremmo un cattivo uso della intelligenza che è pur sempre un dono che Dio ci ha dato per servircene.
Abbandono e fiducia in Dio significano invece – in particolare quando si vive da ‘giusti’ con una coscienza retta – fare tutto il possibile ma anche, di fronte alle difficoltà, non scoraggiarsi ed avere fiducia che Dio in qualche modo, prima o poi, anzi al momento veramente necessario, interverrà.
E’ tuttavia opportuno avere a questo riguardo ben chiaro nella mente un concetto che riguarda la ‘pedagogia’ dell’intervento di aiuto divino.
Dio non ci fa sapere in anticipo che ci aiuterà, altrimenti magari ci adageremmo sugli allori o smetteremmo di pregare con umiltà, ma si riserva senza alcun preavviso di farlo solo al momento opportuno, nel momento in cui veramente sorge quella certa nostra impellente esigenza, e talvolta lo fa anche ‘in extremis’, quasi volesse farci capire che quell’intervento del tutto inaspettato ed imprevedibile è proprio dovuto a Lui e bene abbiamo fatto a sperare fino all’ultimo.

1 Gv 1, 1-18: Prologo. In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
2Egli era, in principio, presso Dio: 3tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
4In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; 5la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta.
6Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. 7Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
8Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
9Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.
10Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
11Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.
12A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, 13i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
14E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.
15Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me
è avanti a me, perché era prima di me».
16Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia.
17Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
18Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.

      
7.3 L’attaccamento alle ricchezze spirituali. Gesù: «Le ricchezze di un figlio, che Io do a un figlio, devono essere un godimento di tutti e non esclusivo di uno…, ma il dono deve circolare fra tutti. Perché Io parlo a uno per tutti».
Oggi viviamo in una società dove l’obbiettivo della ricchezza materiale sembra essere l’unico vero scopo della nostra vita.
Nella prima parte del nostro commento al secondo discorso della montagna, parlando dell’uso delle ricchezze avevo fatto un breve cenno all’episodio evangelico del giovane ricco che, desiderando poter andare al seguito di Gesù come discepolo, gli aveva chiesto cosa avrebbe dovuto fare di buono per avere la vita eterna.1
E Gesù gli aveva risposto che per entrare nella Vita egli doveva osservare i Dieci Comandamenti.
Alla risposta del giovane che Egli li aveva sempre osservati e alla domanda di cosa gli mancasse ancora, Gesù risponde: ‘Se vuoi essere perfetto, và, vendi quanto hai, dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo: poi vieni e seguimi’.
Ecco: per andare in Cielo basta il rispetto della Legge dei dieci Comandamenti, ma se si vuole – in più – essere del tutto perfetti, ecco il ‘consiglio evangelico’ di Gesù: distacco dalle ricchezze, donare tutto ai poveri e a quel punto seguire Gesù come discepolo che, per essere veramente tale, deve essere distaccato da tutto tranne che da Dio.
Il giovane avrebbe voluto essere ‘discepolo’ di Gesù, come dire essere un odierno ‘sacerdote’ che abbia saputo rinunciare ai suoi averi, ma l’essere discepoli comporta una disciplina particolare che Dio non pretende dagli altri.
Essere ‘discepoli’ significa accettare una particolare vocazione, accettare cioè di appartenere a Dio e per amore a Dio rinunciare a tutto.
Bisogna tuttavia aver bene chiaro in mente cosa intendesse Gesù per ‘ricchezze’.
Il termine andava inteso in senso lato.
Dovete sapere che la Parola di Dio è Pienezza della Parola e quindi ‘moltiplicazione’ della stessa.
Ricchezza può dunque avere tanti diversi significati ed a questo proposito attirerò di seguito la vostra attenzione su un paio di discorsi di Gesù - non tratti da ‘L’Evangelo’ ma dai Quaderni’- discorsi che prendono lo spunto proprio dall’episodio del ‘giovane ricco’ e che spiegano appunto meglio cosa significhi veramente ‘distacco’ e più in particolare da quali ‘ricchezze’ ci si debba anche distaccare per essere davvero perfetti e come tali meritare non solo la salvezza in Cielo, che è già di per sé Gloria, ma una maggior Gloria (i grassetti sono miei):2
Dice Gesù:
«Anche oggi ti parlerò riferendomi al Vangelo. Ti illustrerò una frase. Una sola, ma che ha significati vastissimi. Voi la considerate sempre sotto un sol punto di vista. La vostra limitatezza umana non vi permette di più. Ma il mio Vangelo è opera spirituale, perciò il suo significato non resta circoscritto al punto materiale di cui parla, ma si propaga come un suono in cerchi concentrici, e sempre più vasti abbracciando tanti significati.
Io ho detto al giovane ricco: “Va’, vendi quello che hai e vieni a seguire Me”.
Voi avete creduto che Io dessi il consiglio evangelico della povertà. Sì, ma non della povertà quale voi la intendete; non quello soltanto.
Il denaro, le terre i palazzi, i gioielli, sono cose che amate e che vi costa sacrificio a rinunciare di averle o dolore a perderle. Ma per una vocazione d’amore sapete anche spogliarvene.
Quante donne non hanno venduto tutto per mantenere lo sposo o l’amante - il che è peggio - e continuare una vocazione di amore umano?
Altri per un’idea fanno getto della vita. Soldati, scienziati, politici, banditori di nuove dottrine sociali, più o meno giuste, si immolano ogni giorno al loro ideale vendendo la vita, dando la vita per la bellezza, o per quello che loro reputano bellezza, di una idea. Si fanno poveri della ricchezza della vita per la loro idea.
Anche fra i miei seguaci molti hanno saputo e sanno rinunciare alla ricchezza della vita, offrendola a Me per amore mio e del loro prossimo. Rinuncia molto più grande di quella delle materiali ricchezze.
Ma nella mia frase c’è un altro significato ancora, come c’è una ricchezza più grande dell’oro e della vita e infinitamente più cara.
La ricchezza intellettuale. Il proprio pensiero! Come ci si tiene! Ci sono, è vero, gli scrittori che lo elargiscono alle folle. Ma lo fanno per lucro, e poi il vero loro pensiero non lo dicono mai. Dicono quello che serve alla loro tesi, ma certe intime luci le tengono sotto chiave nello scrigno della mente. Perché spesso sono pensieri di dolore per intime pene o rimproveri della coscienza destata dalla voce di Dio.
Ebbene, in verità ti dico, che essendo questa una ricchezza più grande e più pura - perché ricchezza intellettuale e perciò incorporea - la sua rinuncia ha un valore diverso agli occhi miei. Quanto in voi si accende, viene dal centro del Cielo dove Io, Dio Uno e Trino, sono. Non è quindi giusto che voi diciate: “Questo pensiero è mio”.
Io sono il Padre e il Dio di tutti. Perciò le ricchezze di un figlio, che Io do a un figlio, devono essere godimento di tutti e non esclusivo di uno.
A quell’uno che si è meritato d’essere - dirò così - il depositario, il ricevente, resta la gioia d’esser tale. Ma il dono deve circolare fra tutti. Perché parlo a uno per tutti.
Quando uno trova un tesoro, se è un onesto, si affretta a consegnarlo a chi di dovere e non lo tiene colpevolmente per sé.
Colui che trova il Tesoro, la mia Voce, deve consegnarla ai fratelli. È tesoro di tutti.
Non amo gli avari. Neppure gli avari nella pietà. Ci sono molti che pregano per sé, usano delle indulgenze per sé, si nutrono di Me per sé. Mai un pensiero per gli altri.
È la loro anima che preme loro. Non mi piacciono.
Non si danneranno perché restano in grazia mia. Ma avranno solo quel minimo di grazia che li salverà dall’Inferno. Il resto, che dovrà dare loro il Paradiso, dovranno guadagnarselo con secoli di Purgatorio.
L’avaro, materiale e spirituale, è un goloso, un ingordo e un egoista.
Si rimpinza. Ma non gli fa pro. Anzi questo produce in lui malattie dello spirito.
Diviene un impotente a quell’agilità spirituale che vi rende capaci di percepire le divine ispirazioni, regolarvi su di esse e raggiungere con sicurezza il Cielo.
Vedi quanti significati può avere una mia parola evangelica? E ne ha altri ancora. Ora, piccola gelosa dei miei segreti, regolati. Non fare delle ricchezze che ti do delle ricchezze ingiuste.»
(…)
Questo che avete letto è un insegnamento che è anche un garbato rimprovero alla mistica che – parrebbe di capire - talvolta si mostrava forse un poco ‘gelosa’ dei suoi ‘segreti’ e restìa a farli conoscere a tutti coloro che le stavano attorno.
Siamo però anche di fronte ad un vero monito, per di più molto grave, rivolto a tutti coloro che – avendo per grazia di Dio avuto la possibilità di ricevere insegnamenti direttamente dal Signore – poi non ne fanno compartecipi gli altri affinché anche essi possano uscirne arricchiti.
È una avarizia spirituale grave. Chi vuole tenere queste rivelazioni per sé – dice Gesù – è un goloso, un infingardo ed un egoista: queste ricchezze sono di tutti e devono essere date a tutti, ovviamente nei dovuti modi e circostanze.
Chi non lo fa – dice sempre Gesù – rischia anche secoli di Purgatorio.
Come non si può pensare allora anche a chi, pur non ricevendo dal Signore rivelazioni personali, viene a conoscenza ad esempio di quelle – veri e propri tesori – dell’Opera valtortiana, le apprezza, ne gode anche intellettualmente oltre che spiritualmente, legge e rilegge anche svariate volte, ma poi - tenendosele egoisticamente per sé - non si sforza, almeno nei limiti del possibile, di utilizzarle per fare apostolato rendendone compartecipi anche altri e magari - se per timidezza non se ne sente capace - diffondendo i libri dell’Opera che parlano da soli ?
Ecco la necessità – da parte almeno dei ‘valtortiani’ che qui leggono - di una ‘evangelizzazione‘ alla luce delle rivelazioni a Maria Valtorta, evangelizzazione che è uno degli scopi di queste nostre riflessioni che si propongono di rendere più agevole il compito di chi in futuro vorrà o potrà cimentarsi.

1 Gv 19, 16-30: 16Ed ecco, un tale si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?».
17Gli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti».
18Gli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, 19onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso».
20Il giovane gli disse: «Tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca?».
21Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!».
22Udita questa parola, il giovane se ne andò, triste; possedeva infatti molte ricchezze.
23Gesù allora disse ai suoi discepoli: «In verità io vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. 24Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio».
25A queste parole i discepoli rimasero molto stupiti e dicevano: «Allora, chi può essere salvato?».
26Gesù li guardò e disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile».
27Allora Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?».
28E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d'Israele. 29Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. 30Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi.
2  M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – Dettato del 29 giugno 1943 – Centro Editoriale Valtortiano

      
7.4 Gesù: « Fra le ricchezze ve ne è un’altra ancora... Sono gli affetti… Io non la distruggo la vostra ricchezza affettiva. La levo dalla Terra per trapiantarla in Cielo. Là saranno ricostruite in eterno le sante convivenze famigliari, le pure amicizie…»
Dopo questo riferimento all’avarizia spirituale, Gesù - il giorno successivo - riprende con la mistica il discorso sulla ‘ricchezza’, discorso evidentemente del tutto importante (i grassetti sono miei):1
(…)
Dice ancora Gesù:
«Fra le ricchezze da dare via per seguire Me e che ti ho elencate2, ve ne è un’altra ancora. Quella che è la più legata allo spirito e che a strapparla fa più dolore che a strapparsi la carne. Sono gli affetti, questa ricchezza così viva. Eppure per amore mio bisogna sapere dare via anche quelli.
Io non condanno gli affetti. Anzi li ho benedetti e santificati con la Legge e i Sacramenti. Ma siete sulla terra per conquistare il Cielo. Quella è la dimora vera.
Quanto Io ho creato per voi quaggiù va guardato attraverso la lente di lassù. Quanto Io vi ho donato va preso con riconoscenza, ma riconsegnato con prontezza alla mia richiesta.
Io non la distruggo la vostra ricchezza affettiva. La levo dalla terra per trapiantarla in Cielo.
Là saranno ricostruite in eterno le sante convivenze famigliari, le pure amicizie, tutte quelle forme di affetto onesto e benedetto che Io, Figlio di Dio fatto uomo, ho voluto anche per Me stesso e che so quanto siano care. Ma se sono care, tanto care, non sono più care di Dio e della vita eterna.
Ma non dimostrano una vera fede nel dolce Padre che è nei Cieli coloro che davanti ad un affetto che si spezza non sanno pronunciare la parola più bella della figliolanza in Dio, ma si ribellano. E non riflettono che se Io do quel dolore è certo per evitare dolori più grandi e per procurare un merito maggiore!
Tu, anche tu non hai saputo dire: “Sia fatto come Tu vuoi!”.
Sono dovuti passare degli anni prima che tu mi dicessi: “Grazie, Padre, per quel dolore”. Ma credi tu che il tuo Gesù te lo avrebbe dato se non fosse stato un bene dartelo?
Ora rifletti e capisci. Ma quanto hai tenuto a farlo! Io ti chiamavo, cercavo farti intendere la ragione. Ma non udivi il tuo Dio. Era l’ora delle tenebre per la mente e per l’anima.
Non chiedermi: “Perché l’hai permessa?”.
Se l’ho permessa non è stato senza motivo.3 Te ne parlo questa sera in cui più soffri. Io sono con te appunto perché soffri. Ti faccio compagnia. Ma ricorda che Io non ebbi nessuno nell’ora della tentazione. Ho dovuto superarla da Me. Tu invece mi hai sempre avuto vicino, anche quando non mi vedevi perché lo Spirito del Male ti disturbava al punto di impedirti di vedere e udire il tuo Gesù.
Ora, se Io ti dicessi che l’adesione di un figlio alla morte di un padre abbrevia al medesimo il Purgatorio, che il perdono di un figlio alle colpe, più o meno vere, di un padre, è refrigerio per quell’anima, ci crederesti. Ma allora non ti davi pace e sciupavi il bene che facevi.
Rinunciare alla ricchezza di un affetto, per seguire la Volontà mia senza rimpianti umani, è la perfezione della rinuncia consigliata al giovane del Vangelo.
Ricordalo per tutto il resto della vita. Un padre quale Io sono non dà mai nulla di nocivo ai figli. Anche se l’apparenza è quella di un sasso a chi chiede un bacio, quel sasso è oro puro e eterno. Sta all’anima il riconoscerlo e mantenerlo tale, pronunciando la parola che attirò Me dai Cieli nel seno di Maria e mise Me sulla Croce per redimere il mondo: fiat.»
Anche qui – fra gli altri – vi sono due insegnamenti sui quali desidero attirare ancor più la vostra attenzione.
Gesù – e qui ritorna il mio discorso di poc’anzi sulla ‘Pienezza’ della Parola divina – inserisce fra le ricchezze dalle quali bisogna imparare a ‘distaccarsi’ anche le ricchezze affettive.
E’ infatti, ad esempio, il distacco che si chiede a quei religiosi che senza rimpianti umani lasciano la propria famiglia per un’altra di ordine spirituale oppure il ‘distacco’ di chi, da laico, decide - chi in un modo e chi nell’altro - di dedicarsi al servizio di Dio.
Nelle ricchezze affettive non vi sono comprese solo quelle della perdita di contatto con i propri genitori, fratelli, parenti in genere, amici, rinuncia al matrimonio e ai figli, ma anche il contatto con il ‘mondo’.
Quanto agli affetti dei famigliari e dei nostri amici in Terra, qui Gesù ci dà però una grande e consolante assicurazione: li rivedremo in Cielo, glorificati, e li conosceremo ed apprezzeremo molto di più di quanto abbiamo potuto fare in terra limitati dalla nostra umanità.
Gesù dice infatti:
Io non la distruggo la vostra ricchezza affettiva. La levo dalla terra per trapiantarla in Cielo.
Là saranno ricostruite in eterno le sante convivenze famigliari, le pure amicizie, tutte quelle forme di affetto onesto e benedetto che Io, Figlio di Dio fatto uomo, ho voluto anche per Me stesso e che so quanto siano care. Ma se sono care, tanto care, non sono più care di Dio e della vita eterna.
Attenzione tuttavia ad un piccolo particolare: Gesù parla degli affetti dei famigliari ‘santi’, e delle amicizie ‘pure’. Parla cioè delle ‘ricostruzione’ e ricomposizione in Paradiso degli ‘affetti’ ed ‘amicizie’ di coloro che si saranno salvati, e non certo di quelli che sono andati volontariamente all’inferno.
L’aspettativa di poter un giorno rivedere in Cielo i nostri cari è necessariamente dunque legata alla nostra e alla loro salvezza, magari dopo un lungo soggiorno in Purgatorio, ma comunque ‘salvezza’.
Gesù non ci promette dunque ‘solo’ il Paradiso, ma addirittura un Paradiso fatto a misura dei nostri affetti terreni sublimati dal fatto di ritrovarci tutti in Cielo: prima in spirito e - al Giudizio universale - anche con i corpi glorificati e... solidi.
Non ci deve sembrare pazzesco: l’universo e la natura che ci circonda sono composti e funzionano in maniera molto più ‘pazzesca’ che non la prospettiva di ritrovarci un giorno, dopo il Giudizio Universale, in questa misteriosa realtà che chiamiamo ‘Paradiso’ con il nostro corpo glorificato ma ‘solido’, come lo hanno in Cielo Gesù e la stessa Madonna.
Ricordo al riguardo un Dettato di Maria SS. a Maria Valtorta - a commento della Sua Assunzione al Cielo - che così diceva: 4
[Dice Maria:]
«La mia umiltà non poteva farmi permettere di pensare che tanta gloria mi fosse riserbata in Cielo. Nel mio pensiero era la quasi certezza che la mia umana carne, fatta santa dall'aver portato Dio, non avrebbe conosciuto la corruzione, poiché Dio è Vita e, quando di Sé stesso satura ed empie una creatura, questa sua azione è come aroma preservatore da corruzione di morte.
Io non soltanto ero rimasta immacolata, non solo ero stata unita a Dio con un casto e fecondo abbraccio, ma m'ero saturata, sin nelle mie più profonde latebre, delle emanazioni della Divinità nascosta nel mio seno e intenta a velarsi di carni mortali. Ma che la bontà dell'Eterno avesse riserbato alla sua ancella il gaudio di risentire sulle sue membra il tocco della mano del Figlio mio, il suo abbraccio, il suo bacio, e di riudire con le mie orecchie la sua voce, di vedere col mio occhio il suo volto, questo non potevo pensare che mi venisse concesso, né lo desideravo. Mi sarebbe bastato che queste beatitudini venissero concesse al mio spirito, e di ciò sarebbe stato già pieno di felicità beata il mio io.
Ma, a testimonianza del suo primo pensiero creativo a riguardo dell'uomo, da Lui, Creatore, destinato a vivere, trapassando senza morte dal Paradiso terrestre a quello celeste, nel Regno eterno, Dio volle me, Immacolata, in Cielo in anima e corpo, subito che fosse cessata la mia vita terrena. [...]
Il secondo insegnamento che ci da Gesù è quello per cui l’accettazione ed adesione spirituale alla volontà di Dio da parte ad esempio di un figlio che ha perso gli amati madre o padre, come nel caso di Maria Valtorta che per la morte prematura del padre soffrì moltissimo, abbrevia al congiunto il Purgatorio.
Impensabile, ma è un’altra prova della Misericordia e dell’amore di Dio.
La nostra accettazione, la nostra fiducia, anzi la nostra adesione alla Divina volontà, diventa infatti un merito che torna a vantaggio – nella Comunione dei Santi – del nostro amato congiunto.
Quante persone - di fronte alla morte di una persona cara - non ne fanno addirittura rimprovero al Signore come se fosse colpa sua, come se gli si imputasse la colpa di non averlo impedito?
Ma se Dio facesse così con uno sarebbe ingiusto con tutti gli altri. Non sarebbe un atto di amore e di giustizia ma di ingiustizia!
A volte Dio si prende un ‘giusto’ perché lo ama troppo e lo vuole assolutamente vicino a Sé, altre volte se lo prende prima che succedano nella sua vita delle cose ancora peggiori e dolorose che noi non possiamo prevedere ma che Dio vede in anticipo.
Non cogliamo forse – noi - la frutta e gli ortaggi del nostro orto quando sono quasi maturi, prima che magari degenerino diventando ‘troppo’ maturi?
Ebbene io sono convinto che la Terra per Dio sia come un infinito orto spirituale dove Dio è l’Ortolano il quale può cogliere anzitempo alcuni frutti che - avendo magari qualche difetto - potrebbero più facilmente deteriorarsi, lasciare invece altri sulla pianta perché maturino spiritualmente meglio, ed infine cogliere anzitempo anche quelli che sono giunti alla giusta maturazione spirituale per la Mensa del Cielo.
E’ ingiusta la morte prematura dei bimbi innocenti?
Umanamente lo è ma essi, spiritualmente parlando, sono dei ‘piccoli ladri del Paradiso’ in quanto – pur privati della esperienza di vita e di affetti in terra, vita peraltro non priva di gravi rischi spirituali - ‘guadagnano’ gratuitamente una felice vita eterna, senza rischiare di perdersi invece nella vita terrena.
I loro genitori – dopo il giusto e comprensibile dolore in terra, che sarà comunque per essi anche espiazione e purificazione – potranno essere sicuri di riabbracciarli con smisurata gioia in Cielo. Del resto, cosa è questa temporalmente limitata e spesso miserabile e dolorosa vita terrena rispetto ad una felice Eternità?
La prossima riflessione sarà dedicata a:
8. IL SESTO DISCORSO DELLA MONTAGNA: LA SCELTA TRA BENE E MALE, L’ADULTERIO, IL DIVORZIO. L’ARRIVO IMPORTUNO DI MARIA DI MAGDALA.
(Prima parte di due)

1 M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – Dettato del 30 giugno 1943 – Centro Editoriale Valtortiano
2  N.d.R.: Nel dettato precedente del 29.6.43
3  N.d.A.: Allo scrivente parrebbe di capire che qui si tratti di un riferimento alla morte del papà di Maria Valtorta che ella amava intensamente.
4  M.V: 'L'Evangelo come mi è stato rivelato' - Vol. X, Cap. 651.13 - Dettato dicembre 1943 - Centro Editoriale Valtortiano
      
8. (1/2) IL SESTO DISCORSO DELLA MONTAGNA: LA SCELTA TRA BENE E MALE, L’ADULTERIO, IL DIVORZIO. L’ARRIVO IMPORTUNO DI MARIA DI MAGDALA.
8.1 Gesù: «Fra il sentiero di Dio e quello di Satana vi è una grande distanza e che sempre più si fa profonda…, la vita è così, scorre a cavaliere fra il passato e il futuro, fra il male e il bene. Al centro è l’uomo, con la sua volontà e il libero arbitrio…, l’uomo può scegliere. Nessuno lo forza».
Cammin facendo, siamo arrivati ai due ultimi discorsi della montagna del Gesù valtortiano.
Gesù ha elargito ammaestramenti di grande Sapienza e certamente – io meditandoci sopra per scriverveli, e voi per leggerli – avremo certamente ‘ritenuto’ a mente qualcosa, pronto a saltare fuori dalla nostra memoria ‘inconscia’ o dalla nostra anima quando meno ce l’aspetteremmo.
Riepilogando ancora una volta, i temi dei precedenti discorsi sono stati i seguenti:
1. La missione degli apostoli e dei discepoli.
2. Il dono della grazia e le beatitudini.
3. I consigli evangelici che perfezionano la Legge.
4. Il giuramento, la preghiera, il digiuno.
5. L’uso delle ricchezze, l’elemosina, la fiducia in Dio.
Rimangono da affrontare gli ultimi due discorsi:
6. La scelta fra Bene e Male, l’adulterio, il divorzio.
7. Amare la volontà di Dio.
È dunque il sesto Discorso quello che tratteremo ora in questa nostra riflessione.
Il tema della scelta fra il Bene e il Male, non potrebbe essere più attuale rispetto ai tempi che stiamo vivendo da parecchi decenni a questa parte.
Che il Male esista non può essere negato da nessuno, anche se vi è chi non esita a darne la colpa a Dio come se il ‘Male’ l’avesse creato lui anziché Lucifero e l’uomo stesso.
Mai come nel XX secolo ed ancora oggi agli inizi del XXI - e niente sappiamo ancora del futuro – pare che si siano scatenate tutte le potenze dell’inferno.
Due guerre mondiali che – direttamente o indirettamente e insieme ad ideologie nefaste – hanno comportato, dicono gli storici, circa un centinaio di milioni di vittime.
Guerre mondiali che sono continuate in scala ‘regionale’ e che ancor oggi non mancano di mietere centinaia di migliaia di vittime – ad esempio in Africa – con uccisioni in massa, carestie ed esodi biblici di popolazioni in cerca di salvezza verso terre meno coinvolte ma poco accoglienti.
L’adulterio ed il divorzio – su un piano morale e apparentemente meno pericoloso, certamente incruento – possono però anch’essi fare parte del quadro complessivo del Male in questa nostra particolarissima epoca storica.
La disintegrazione dell’unità della famiglia fondata sul matrimonio, cristianamente intesa, è ormai un dato di fatto.
La distruzione della cellula famigliare, nucleo della società, punto di partenza per un corretto allevamento e formazione morale e spirituale dei figli e per la loro felicità, è infatti inoppugnabile, se sono vere le statistiche per l'Italia che indicano nel 50% le unioni che si disintegrano.
Oggi si divorzia con grande facilità, complici gli adulteri da una parte o dall’altra, oppure - per evitare unioni matrimoniali con relativi obblighi reciproci – si preferisce la formula della ‘convivenza’…, finché dura.
Prepariamoci dunque ad una attenta meditazione di questo sesto Discorso della montagna (i grassetti sono miei): 1
29 maggio 1945.
In una mattinata splendida, di un nitore d'aria ancora più vivo del solito, per cui pare che le lontananze si accorcino o che le cose siano viste attraverso una lente oculare che le rende nitide anche nei più piccoli particolari, si prepara la folla ad ascoltare il Maestro.
Di giorno in giorno la natura si fa più bella, rivestendosi della veste opulenta della piena primavera, che in Palestina mi pare sia proprio fra marzo e aprile, perché dopo prende già l'aspetto estivo con i grani maturi e le foglie già folte e complete.
Ora è tutto un fiore. Dall'alto del monte, che di suo si è vestito di fiori anche nei punti apparentemente meno atti a fiorire, si vede la pianura col suo mareggiare di grani ancora flessuosi al vento, che dà loro moto d'onda verde glauca, appena tinta di oro pallido sulla cima delle spighe che graniscono fra le reste spinose.
Su questo ondulare di messi al vento lieve, stanno ritti nella loro veste dì petali - e sembrano tanti enormi piumini da cipria oppure pallottole di garza bianca, rosa tenuissimo, rosa carico, rosso vivo - gli alberi da frutto, e raccolti nella loro veste di penitenti ascetici gli ulivi pregano, e la loro preghiera già si muta in un nevicare, per ora ancora incerto, di fiorellini bianchi.
L'Hermon è un alabastro rosa nella cima che il sole bacia, e dall'alabastro scendono due fili di diamante - da qui sembrano fili - dai quali il sole trae uno scintillìo quasi irreale, e poi si affossano sotto le gallerie verdi dei boschi e non si vedono più altro che a valle, dove formano corsi d'acqua che certo vanno al lago di Meron, da qui invisibile, e poi ne escono con le belle acque del Giordano per poi tuffarsi nuovamente nello zaffiro chiaro del mare di Galilea, che è tutto un tremolìo di scaglie preziose alle quali il sole fa da castone e da fiamma. Sembra che le vele scorrenti su questo specchio, quieto e splendido nella sua cornice di giardini e campagne meravigliose, siano guidate dalle nuvolette leggere che veleggiano nell'altro mare del cielo.
Veramente il creato ride in questa giornata di primavera e in quest'ora mattutina.
E la gente affluisce, affluisce, senza posa. Sale da tutte le parti: vecchi, sani, malati, bimbi, sposi che pensano iniziare la loro vita con la benedizione della parola di Dio, mendichi, benestanti che chiamano gli apostoli e danno loro offerte per chi non ha, e pare si confessino tanto cercano un posto nascosto per farlo.2
Tommaso ha preso una delle loro sacche da viaggio e rovescia in essa tranquillamente tutto questo tesoro di monete, come fosse del becchime da polli, e poi porta tutto vicino al masso dove Gesù parla, e ride allegro dicendo: «Godi, Maestro! Oggi ne hai per tutti!».
Gesù sorride e dice: «E cominceremo subito, perché chi è triste sia subito contento. Tu e i compagni scegliete i malati e i poveri e portateli qui davanti».
Cosa che avviene con un tempo relativamente breve, perché si deve ascoltare i casi di questo e quello, e durerebbe molto di più senza l'aiuto pratico di Tommaso che col suo vocione potente, montato su un sasso per essere visto, grida: «Tutti coloro che hanno sofferenze nel corpo vadano a destra di me, là, dove è ombra».
Lo imita l'Iscariota, anche lui dotato di una voce non comune in potenza e bellezza, che a sua volta grida: «E tutti coloro che credono avere diritto all'obolo vengano qui, intorno a me. E badate bene di non mentire perché l'occhio del Maestro legge nei cuori».
La folla si agita per separarsi così in tre parti: chi è malato, chi è povero, chi è solo desideroso di dottrina.
Ma fra questi ultimi, due, poi tre, sembrano aver bisogno di qualche cosa che non è salute e non è denaro, ma che è più necessario di queste cose. Una donna e due uomini.
Guardano, guardano gli apostoli e non osano parlare.
Passa Simone Zelote col suo aspetto severo; passa Pietro indaffarato che arringa una diecina di frugoli, ai quali promette delle ulive se staranno buoni fino alla fine e delle busse se faranno baccano mentre parla il Maestro; passa Bartolomeo anziano e serio; passa Matteo con Filippo, che portano a braccia uno storpiato che troppa fatica avrebbe fatto a fendere la folla fitta; passano i cugini del Signore3 dando braccio ad un mendicante quasi cieco e ad una poverella di chissà quanti mai anni, che piange narrando a Giacomo tutti i suoi guai; passa Giacomo di Zebedeo con in braccio una povera bambina, certo malata, che egli ha preso alla madre, che lo segue affannosa, per impedire che la folla le faccia del male; ultimi a passare sono gli, potrei dire, indivisibili Andrea e Giovanni, perché se Giovanni, nella sua serena naturalezza di fanciullo santo4, va ugualmente con tutti i compagni, Andrea, per la sua grande ritenutezza, preferisce andare con l'antico compagno di pesca e di fede nel Battista. Questi erano rimasti presso l'imbocco dei due sentieri principali, per dirigere ancora la folla ai suoi posti, ma ora il monte non presenta altri pellegrini sulle sue vie sassose, e i due si riuniscono per andare dal Maestro con le ultime offerte ricevute.
Gesù è già curvo sui malati, e gli osanna della folla punteggiano i singoli miracoli.
La donna, che pare tutta in pena, osa tirare per la veste Giovanni che parla con Andrea e sorride. Egli si china e le chiede: «Che vuoi, donna?».
«Vorrei parlare col Maestro...»
«Hai del male? Povera non sei...»
«Non ho male e non sono povera. Ma ho bisogno di Lui... perché vi sono mali senza febbre e vi sono miserie senza povertà, e la mia... e la mia...» e piange.
«Senti, Andrea. Questa donna ha una pena nel cuore e vorrebbe dirla al Maestro. Come facciamo?».
Andrea guarda la donna e dice: «Certo è cosa che addolora farla conoscere...».
La donna assente col capo. Andrea riprende: «Non piangere... Giovanni, fa' di portarla dietro la nostra tettoia. Io porterò il Maestro».
E Giovanni, col suo sorriso, prega di far largo per poter passare, mentre Andrea va in direzione opposta verso Gesù. Ma la mossa è osservata dai due uomini afflitti, e uno ferma Giovanni ed uno Andrea, e dopo poco, ecco, che tanto l'uno che l'altro sono insieme a Giovanni e alla donna dietro il riparo di frasche che fa da parete alla tenda.
Andrea raggiunge Gesù nel momento che Questo guarisce lo storpiato, che alza le grucce come due trofei, arzillo come un ballerino, gridando la sua benedizione.
Andrea sussurra: «Maestro, dietro la nostra tettoia vi sono tre che piangono. Ma il loro affanno è di cuore e non può essere noto...».
«Va bene. Ho ancora questa bambina e questa donna. Poi verrò. Va' a dire loro che abbiano fede».
Andrea se ne va mentre Gesù si china sulla bambina che la madre ha ripreso in grembo:
«Come ti chiami?» le chiede Gesù.
«Maria».
«Ed Io come mi chiamo?».
«Gesù» risponde la bambina.
«E chi sono?».
«Il Messia del Signore venuto per dare bene ai corpi e alle anime».
«Chi te lo ha detto?».
«La mamma e il papà che sperano in Te per la mia vita».
«Vivi e sii buona».
La bambina, che credo fosse malata alla spina perché, per quanto già sui sette e più anni, non si muoveva che con le mani ed era tutta stretta in grosse e dure fasce dalle ascelle alle anche - si vedono perché la madre le ha aperto la vesticciola per mostrarle - sta così come era per qualche minuto, poi ha un sussulto e scivola dal grembo materno a terra e corre da Gesù, che sta guarendo la donna di cui non capisco il caso.
I malati sono esauditi tutti e sono quelli che più urlano fra la molta folla che applaude al «Figlio di Davide, gloria di Dio e nostra».
Gesù va verso la tettoia.
Giuda di Keriot grida: «Maestro! E questi?».
Gesù si volge e dice: «Attendano dove sono. Saranno essi pure consolati» e va lesto dietro le frasche, là dove sono, con Andrea e Giovanni, i tre in pena.
«Prima la donna. Vieni con Me fra queste siepi. Parla senza timore».
«Signore, mio marito mi abbandona per una prostituta. Ho cinque figli, e l'ultimo ha due anni... Il mio dolore è grande... e penso ai figli... Non so se li vorrà lui o li lascerà a me.
I maschi, il primo almeno, lo vorrà... Ed io che l'ho partorito non devo più avere la gioia di vederlo? E che penseranno essi del padre o di me? Di uno devono pensare male. Ed io non vorrei giudicassero il padre loro...»
«Non piangere. Sono il Padrone della vita e della morte. Tuo marito non sposerà quella donna. Vai in pace e continua ad essere buona».
«Ma... non ucciderai lui? Oh! Signore, io lo amo!».
Gesù sorride: «Non ucciderò nessuno. Ma ci sarà chi farà il suo mestiere. Sappi che il demonio non è da più di Dio. Tornando alla tua città saprai che ci fu chi uccise la creatura malefica e in un modo tale che tuo marito comprenderà che cosa stava facendo e ti amerà di rinato amore».
La donna gli bacia la mano, che Gesù le ha messo sulla testa, e se ne va.
Viene uno degli uomini. «Ho una figlia, Signore. Sventuratamente andò a Tiberiade con delle amiche e fu come avesse aspirato il tossico. Mi è tornata come ebbra. Vuole andarsene con un greco... e poi... Ma perché mi è nata? Sua madre è malata di dolore e forse morrà... Io... solo le tue parole, che ho udito l'inverno passato, mi trattengono da ucciderla. Ma, te lo confesso, il mio cuore l'ha già maledetta».
«No. Dio, che Padre è, non maledice che a peccato compiuto e ostinato. Che vuoi da Me?».
«Che Tu la ravveda».
«Io non la conosco ed ella, certo, da Me non viene»
«Ma Tu puoi cambiarle il cuore anche da lontano! Sai chi mi manda a Te? Giovanna di Cusa. Stava partendo per Gerusalemme quando io sono andato al suo palazzo per chiedere se le era noto questo greco infame. Pensavo che ella non lo conoscesse perché ella è buona, pur vivendo a Tiberiade, ma poiché Cusa avvicina i gentili... Non lo conosce. Ma mi ha detto: "Vai da Gesù. Egli mi ha richiamato lo spirito da tanto lontano e mi ha guarita, con quella chiamata, dalla mia etisia. Guarirà anche il cuore a tua figlia. Io pregherò e tu abbi fede". Ce l'ho. Lo vedi. Abbi pietà, Maestro».
«Tua figlia entro questa sera piangerà sui ginocchi di sua madre chiedendo perdono. Tu pure sii buono come la madre: perdona. Il passato è morto».
«Sì, Maestro. Come Tu vuoi e che Tu sia benedetto!». Si rivolge per andarsene... ma poi torna sui suoi passi: «Perdona, Maestro... Ma ho tanta paura... La lussuria è un tal demone! Dammi un filo della tua veste. Lo metterò nel capezzale di mia figlia. Mentre dorme il demonio non la tenterà».
Gesù sorride e crolla il capo... ma accontenta l'uomo dicendo: «Perché tu sia più tranquillo. Ma credi che quando Dio dice: "Voglio" il diavolo se ne va senza bisogno di altro. Vuol dire che terrai questo per ricordo di Me» e dà un fiocchetto delle sue frange.
7Viene il terzo uomo: «Maestro, mio padre è morto. Noi credevamo avesse delle ricchezze in denaro. Non ne abbiamo trovate. E sarebbe poco male, perché non ci manca il pane fra fratelli. Ma io vivevo con mio padre, essendo il primogenito. Gli altri due fratelli mi accusano di avere fatto sparire le monete e mi vogliono fare causa come ladro. Tu vedi il mio cuore. Io non ho rubato un picciolo. Mio padre teneva i suoi denari in uno scrigno, in una cassetta di ferro. Morto che fu, aprimmo lo scrigno e la cassetta non c'era più. Loro dicono: "Questa notte, mentre noi dormivamo, tu l'hai presa". Non è vero. Aiutami a mettere pace e stima fra di noi».
Gesù lo guarda ben fisso e sorride.
«Perché sorridi, Maestro?».
«Perché il colpevole è tuo padre, una colpa da bambino che nasconde il suo giocattolo per paura che glielo piglino.
«Ma non era avaro. Credilo. Faceva del bene».
«Lo so. Ma era molto vecchio... Sono le malattie dei vecchi... Voleva preservare per voi, e vi ha messi in urto, per troppo amore. Ma la cassetta è sotterrata ai piedi della scala della cantina. Te lo dico perché tu sappia che Io so. Mentre ti parlo, per un puro caso, tuo fratello minore, percuotendo il suolo con ira, l'ha fatta vibrare e l'hanno scoperta, e sono confusi e pentiti di averti incolpato. Torna a casa sereno e sii buono con loro. Non avere parole per la loro disistima».
«No, Signore. E neppure vado. Ti sto a sentire. Andrò domani».
«E se ti levano del denaro?».
«Tu dici che non bisogna essere avidi. Non lo voglio essere. Mi basta che la pace sia fra noi. Del resto... non sapevo quanto denaro era nella cassetta e non avrò afflizione per nessuna notizia disforme al vero. E penso che poteva essere perduto quel denaro... Come sarei vissuto prima vivrò ora, se me lo negheranno. Mi basta che non mi dicano ladro».
«Sei molto avanti nella via di Dio. Procedi e la pace sia con te».
E anche questo se ne va contento.
Gesù torna verso la folla, verso i poverelli e dà, secondo sue proprie misure, gli oboli.
Ora tutti sono contenti e Gesù può parlare.
«La pace sia con voi.
Quando Io vi spiego le vie del Signore è perché voi le seguiate. Potreste voi seguire il sentiero che scende da destra e quello che scende da sinistra, insieme? Non potreste. Perché se prendete uno dovete lasciare l'altro. Neppure se fossero due sentieri vicini potreste durare a camminare sempre con un piede in uno e l'altro nell'altro. Finireste a stancarvi e a sbagliare anche fosse una scommessa.
Ma fra il sentiero di Dio e quello dì Satana vi è una grande distanza e che sempre più si fa profonda, proprio come quei due sentieri che sboccano qui, ma che man mano che scendono a valle sono sempre più lontani l'uno dall'altro, l'uno andando verso Cafarnao, l'altro verso Tolemaide.
La vita è così, scorre a cavaliere fra il passato e il futuro, fra il male e il bene.
Al centro è l'uomo, con la sua volontà e il libero arbitrio; ai termini: da una parte Dio e il suo Cielo, dall'altra Satana e il suo Inferno. L'uomo può scegliere. Nessuno lo forza.
Non mi si dica: "Ma Satana tenta" a scusa delle discese verso il sentiero basso. Anche Dio tenta col suo amore, ed è ben forte; con le sue parole, e sono ben sante; con le sue promesse, e sono ben seducenti! Perché allora lasciarsi tentare da uno solo dei due, e da colui che è il più immeritevole di essere ascoltato?
Le parole, le promesse, l'amore dì Dio non sono sufficienti a neutralizzare il veleno di Satana?
Guardate che ciò depone male per voi. Quando uno è fisicamente e fortemente sano non è immune dai contagi, ma li supera con facilità. Mentre, se uno è già malato e perciò debole, perisce quasi certamente per una nuova infezione e, se sopravvive, è più malato di prima perché non ha la forza, nel suo sangue, di distruggere i germi infettivi completamente. Lo stesso è per la parte superiore. Se uno è moralmente e spiritualmente sano e forte, credete pure che non è esente da essere tentato, ma il male non attecchisce in lui.
Quando Io sento uno dirmi: "Ho avvicinato questo e quello, ho letto questo e quello, ho cercato di convincere questo e quello al bene, ma in realtà il male che era nella mente e nel cuore loro, il male che era nel libro, è entrato in me", Io concludo: "il che dimostra che in te avevi già creato il terreno favorevole per la penetrazione. Il che dimostra che sei un debole privo di nerbo morale e spirituale. Perché anche dai nostri nemici noi dobbiamo trarre del bene. Osservando i loro errori dobbiamo imparare a non cadere negli stessi. L'uomo intelligente non diviene zimbello della prima dottrina che sente.
L'uomo saturo di una dottrina non può fare in sé posto per altre. Questo spiega le difficoltà che si incontrano per cercare di persuadere i convinti di altre dottrine a seguire la vera Dottrina.
Ma se tu mi confessi che muti pensiero al minimo soffio di vento, Io vedo che tu sei pieno di vuoti, hai la tua fortezza spirituale piena dì aperture, le dighe del tuo pensiero sono sfondate in mille punti, ed escono da esse le acque buone e vi entrano le inquinate, e tu sei tanto stolto e apatico che non te ne accorgi neppure e non provvedi. Sei un disgraziato".
Perciò sappiate, dei due sentieri, scegliere il buono e proseguire su quello resistendo, resistendo, resistendo agli allettamenti del senso, del mondo, della scienza e del demonio.
Le mezze fedi, i compromessi, i patti con due, contrari l'uno all'altro, lasciateli agli uomini del mondo. Non dovrebbero essere neppure fra loro, se gli uomini fossero onesti.
Ma voi, voi almeno, uomini di Dio, non abbiateli. Con Dio né con Mammona non potreste averli. Non abbiateli però neppure con voi stessi, perché non avrebbero valore. Le vostre azioni, mescolate di buono e di non buono, non avrebbero valore alcuno. Quelle completamente buone verrebbero poi annullate dalle non buone. Quelle malvagie vi porterebbero direttamente in braccio al Nemico. Non fatele perciò. Ma siate leali nel vostro servire.
Nessuno può servire a due padroni di diverso pensiero. O amerà l'uno e odierà l'altro, o viceversa. Non potete essere ugualmente di Dio e di Mammona.5
Lo spirito di Dio non può conciliarsi con lo spirito del mondo. L'uno sale, l'altro scende. L'uno santifica, l'altro corrompe. E se siete corrotti come potete agire con purezza? Il senso si accende nei corrotti, e dietro al senso le altre fami.
Voi già sapete come si corruppe Eva e come Adamo per lei.
Satana baciò l'occhio della donna6 e lo stregò così, di modo che ogni aspetto, fino allora puro, prese per lei aspetto impuro e svegliò curiosità strane.
Poi Satana le baciò le orecchie e le fece aperte a parole di una scienza ignota: la sua.
Anche la mente di Eva volle conoscere ciò che non era necessario.
Poi Satana all'occhio e alla mente svegliati al Male mostrò ciò che prima non avevano visto e capito, e tutto in Eva fu desto e corrotto, e la Donna, andando all'Uomo, rivelò il suo segreto e persuase Adamo a gustare il nuovo frutto, tanto bello a vedersi e così interdetto fino ad ora. E lo baciò e lo guardò con la bocca e le pupille in cui già era il torbido di Satana. E la corruzione penetrò in Adamo che vide, e attraverso l'occhio appetì al proibito, e lo morse con la compagna cadendo da tanta altezza al fango.
Quando uno è corrotto trascina a corruzione, a meno che l'altro non sia un santo nel vero senso della parola.
Attenti allo sguardo, uomini.
Allo sguardo dell'occhio e a quello della mente.7
Corrotti che siano, non possono che corrompere il resto.
Lume del corpo è l'occhio.
Lume del cuore è il tuo pensiero.
Ma se l'occhio tuo non sarà puro - perché per la soggezione degli organi al pensiero i sensi si corrompono per un pensiero corrotto - tutto in te diverrà offuscato, e nebbie seduttrici creeranno impuri fantasmi in te.
Tutto è puro in chi ha pensiero puro che dà puro sguardo, e la luce di Dio scende padrona dove non è ostacolo di sensi. Ma se per mala volontà tu hai educato l'occhio alle torbide visioni, tutto in te diverrà tenebre. Inutilmente guarderai anche le cose più sante. Nel buio non saranno che tenebre e farai opere di tenebre.
Perciò, figli di Dio, tutelate voi stessi contro voi stessi. Sorvegliatevi attentamente contro tutte le tentazioni. Essere tentati non è male. L'atleta si prepara alla vittoria con la lotta. Ma il male è essere vinti perché impreparati e disattenti. Lo so che tutto serve a tentare. Lo so che la difesa snerva. Lo so che la lotta stanca. Ma, suvvia, pensate cosa vi acquistano queste cose. E vorreste per un'ora di piacere, di qual che sia genere, perdere un'eternità di pace? Cosa vi lascia il piacere della carne, dell'oro e del pensiero? Nulla. Cosa vi acquista il ripudiarli? Tutto. Io parlo a peccatori, perché l'uomo è peccatore.
Ebbene, ditemi, in verità: dopo avere appagato il senso, o l'orgoglio, o l'avarizia, vi siete sentiti più freschi, più contenti, più sicuri? Nell'ora che segue all'appagamento, e che è sempre ora di riflessione, avete proprio sinceramente sentito di essere felici? Io non ho gustato questo pane del senso. Ma rispondo per voi: "No. Appassimento, scontento, incertezza, nausea, paura, irrequietezza. Ecco cosa è stato il succo spremuto dall'ora passata".
Però, ve ne prego. Mentre vi dico: "Non fate mai ciò, anche vi dico: "Non siate inesorabili con coloro che sbagliano".
Ricordatevi che siete tutti fratelli, fatti di una carne e di un'anima. Pensate che molte sono le cause per cui uno è indotto a peccare.
Siate misericordiosi verso i peccatori e con bontà rialzateli e conduceteli a Dio, mostrando che il sentiero da loro percorso è irto di pericoli per la carne e per la mente e per lo spirito. Fate questo e ne avrete gran premio. Perché il Padre che è nei Cieli è misericordioso coi buoni e sa dare il centuplo per uno. Onde Io vi dico...»
(E qui Gesù mi dice che lei8 mi deve copiare la visione-dettato del 12 agosto 1944, B 961, dalla 35a riga della visione fino alla fine della stessa, ossia fino alla partenza della Maddalena, alle parole "e ride di rabbia e di scherno". Poi continuerà con quanto segue, naturalmente omettendo questa parentesi).
12 agosto 1944.
Dice Gesù:
«Guarda e scrivi. È Vangelo della Misericordia, che do a tutti e specie a quelle che si riconosceranno nella peccatrice e che invito a seguirla nella redenzione».
Gesù in piedi su un masso parla a molta folla. Il luogo è alpestre. Una collina solitaria, fra due valli.
La collina ha la vetta in forma di giogo, anzi, è più chiaro: in forma di gobba di cammello, di modo che a pochi metri dalla cima ha un naturale anfiteatro in cui la voce rimbomba netta come in una sala da concerti, molto ben costruita.
La collina è tutta in fiore. Deve esser buona stagione. Le messi delle pianure tendono ad imbiondire e a farsi pronte per la falce. A nord un alto monte splende col suo nevaio al sole. Immediatamente sotto, al oriente, il mare di Galilea pare uno specchio spezzato in innumeri scaglie di cui ognuna è uno zaffiro acceso dal sole. Abbacina col suo tremolìo azzurro e oro, su cui non si riflette che qualche nuvola fioccosa che veleggia in un cielo purissimo e l'ombra fuggente di qualche vela.
Oltre il lago di Genezaret vi è un lontanare di pianure che, per una lieve nebbia terra a terra, forse vaporare di rugiade - perché deve essere ancor mattina e in sulle prime ore, dato che l'erba montana ha ancora qualche diamante rugiadoso sperso fra i suoi steli - paiono continuare il lago, ma con tinte quasi d'opale venato di verde, e oltre ancora una catena montana dalla costa molto capricciosa che fa pensare ad un disegno di nuvole sul cielo sereno.
La folla è seduta chi sull'erba chi su dei pietroni, altra folla è in piedi.
Il collegio apostolico non è completo.
Vedo Pietro e Andrea, Giovanni e Giacomo, e sento chiamare gli altri due Natanaele e Filippo. Poi ve ne è un altro che è e non è nel gruppo. Forse l'ultimo arrivato: lo chiamano Simone. Gli altri non ci sono. A meno che io non li veda fra la gran folla.
Il discorso è già incominciato da un po'. Capisco che è il discorso della Montagna.
Ma le beatitudini sono già enunciate. Anzi direi che il discorso si avvia alla fine, perché Gesù dice: «Fate questo e ne avrete gran premio. Perché il Padre che è nei Cieli è misericordioso coi buoni e sa dare il centuplo per uno. Onde Io vi dico».
Molto movimento avviene fra la folla che si assiepa verso il sentiero che sale al pianoro.
Le teste dei più prossimi a Gesù si voltano. L'attenzione si svia. Gesù sospende di parlare e volge lo sguardo nella direzione degli altri. È serio e bello nel suo abito azzurro cupo, con le braccia conserte sul petto e il sole che lo sfiora sul capo col primo raggio che sormonta il picco orientale del colle.
«Fate largo, plebei» grida una iraconda voce d'uomo.
«Fate largo alla bellezza che passa»... e vengono avanti quattro bellimbusti tutti azzimati, di cui uno è certo romano perché ha la toga romana, i quali portano come in trionfo sulle loro mani incrociate a sedile Maria di Magdala, gran peccatrice ancora.
E lei ride con la sua bellissima bocca, buttando indietro la testa dalla capigliatura d'oro, tutta intrecci e riccioli trattenuti da forcine preziose e da una lamina d'oro, sparsa di perle, che le fascia il sommo della fronte come un diadema, dal quale scendono ricciolini lievi a velare gli occhi splendidi di loro e resi ancor più grandi e seduttori da un sapiente artificio. Il diadema, poi, si perde dietro le orecchie, sotto la massa delle trecce che pesano sul collo candidissimo e scoperto tutto. Anzi... lo scoperto va molto oltre il collo.
Le spalle sono scoperte sino alle scapole, e il petto molto più ancora. La veste è trattenuta sulle spalle da due catenelle d'oro. Le maniche non esistono. Il tutto è coperto, per modo di dire, da un velo che ha il solo incarico di riparare la pelle dall'abbronzatura del sole.
La veste è molto leggera e la donna, buttandosi come fa, per vezzo, contro l'uno o l'altro dei suoi adoratori, è come ci si buttasse addosso nuda. Ho l'impressione che il romano sia il preferito, perché a lui vanno di preferenza risatine e occhiate e più facilmente riceve il capo di lei sulla spalla.
«Ecco accontentata la dea» dice il romano.
«Roma ha fatto da cavalcatura alla Venere novella. E là è l'Apollo che hai voluto vedere. Seducilo dunque... Ma lascia anche a noi briciole dei tuoi vezzi».
Maria ride e con mossa agile e procace balza a terra, scoprendo i piedini calzati da sandali bianchi con fibbie d'oro e un bel pezzo di gamba.
Poi la veste, che è amplissima, di una lana sottile come velo e candidissima, trattenuta alla vita, ma molto in basso, verso i fianchi, da un cinturone tutto a borchie d'oro, snodate, copre tutto.
E la donna sta come un fiore di carne, un fiore impuro, sbocciato per sortilegio sul verde pianoro in cui sono mughetti e narcisi selvatici in grande quantità.
È bella più che mai. La bocca piccola e porporina pare un garofano che sbocci sul candore della dentatura perfetta. Il volto e il corpo potrebbero accontentare il più incontentabile pittore o scultore, sia per tinta che per forme.
Ampia di petto e di fianchi in misura giusta, con una vita naturalmente flessuosa e sottile rispetto ai fianchi e al petto, pare una dea, come ha detto il romano, una dea scolpita in un marmo lievemente rosato, su cui si tende la stoffa lieve sui fianchi per poi ricadere in una massa di pieghe sul davanti. Tutto è studiato per piacere.
Gesù la guarda fisso. E lei ne sostiene con spavalderia lo sguardo mentre ride e si torce lievemente per il solletico che il romano le fa scorrendola sulle spalle e sul seno, che ha scoperti, con un mughetto colto fra l'erba.
Maria, con un corruccio studiato e non vero, rialza il velo dicendo: «Rispetto al mio candore», il che fa scoppiare i quattro in una fragorosa risata.
Gesù la continua a fissare. Appena il rumore delle risate si perde, Gesù, come se l'apparizione della donna avesse riacceso fiamme al discorso che si assopiva nella finale, riprende, e non la guarda più. Ma guarda i suoi uditori che paiono impacciati e scandalizzati per l'avvenuto.
Gesù riprende: «Ho detto d'esser fedeli alla Legge, umili, misericordiosi, di amare non solo i fratelli di sangue ma anche chi vi è fratello sol perché nato come voi da uomo.
Vi ho detto che il perdono è più utile del rancore, che il compatimento è migliore dell'inesorabilità.
Ma ora vi dico che non si deve condannare se non si è esenti dal peccato per cui si è portati a condannare.
Non fate come scribi e farisei che sono severi con tutti ma non con se stessi. Che chiamano impuro ciò che è esterno, e può contaminare solo l'esterno, e poi accolgono nel più fondo seno - il cuore - l'impurità.
Dio non è con gli impuri. Perché l'impurità corrompe ciò che è proprietà di Dio: le anime, e specie le anime dei piccoli che sono gli angeli sparsi sulla terra.
Guai a quelli che strappano loro le ali con crudeltà di belve demoniache e prostrano questi fiori di Cielo nel fango, facendo loro conoscere il sapore della materia! Guai!... Meglio sarebbe morissero arsi da un fulmine anziché giungere a tale peccato!
Guai a voi, ricchi e gaudenti! Perché è proprio fra voi che fermenta la più grande impurità a cui fanno letto e guanciale ozio e denaro! Ora siete satolli. Fino alla gola vi arriva il cibo delle concupiscenze e vi strozza. Ma avrete fame. Una fame tremenda, insaziabile e senza addolcimento in eterno.
Ora siete ricchi. Quanto bene potreste fare colla vostra ricchezza! Ve ne fate tanto male per voi e per gli altri. Conoscerete una povertà atroce in un giorno che non avrà fine.
Ora ridete. Credete d'essere i trionfatori. Ma le vostre lacrime empiranno gli stagni della Geenna. E non avranno più sosta.
Dove si annida adulterio? Dove corruzione di fanciulle? Chi ha due o tre letti di licenza, oltre il proprio di sposo, e su essi profonde il suo denaro e la vigoria di un corpo che Dio gli ha dato sano perché lavori per la sua famiglia e non si spossi in luridi connubi che lo mettono al disotto di una bestia immonda?
Avete udito che fu detto: "Non commettere adulterio".
Ma Io vi dico che chi avrà guardato una donna con concupiscenza, che chi è andata ad un uomo col desiderio, anche solo con questo, ha già commesso adulterio nel suo cuore.
Nessuna ragione giustifica la fornicazione. Nessuna.
Non l'abbandono e il ripudio di un marito. Non la pietà verso una ripudiata. Avete un'anima sola. Quando essa è congiunta ad un'altra per patto di fedeltà, non menta.
Altrimenti il bel corpo per cui peccate andrà seco voi, anime impure, nelle fiamme inesauste. Mutilatelo piuttosto, ma non l'uccidete in eterno dannandolo.
Tornate uomini, voi ricchi, sentine verminose di vizio, tornate uomini per non fare ribrezzo al Cielo...»
Maria, che ha ascoltato in principio con un viso che era un poema di seduzione e di ironia, avendo di tanto in tanto delle risatine di scherno, sulla fine del discorso si fa nera di corruccio.
Capisce che senza guardarla Gesù parla a lei.
Il suo corruccio si fa sempre più nero e ribelle e all'ultimo ella non resiste. Si avvolge dispettosa nel suo velo e, inseguita dalle occhiate della folla che la scherniscono e dalla voce di Gesù che la persegue, si dà in corsa giù per la china lasciando lembi di veste sui cardi e sui cespugli di rose canine che sono ai margini del sentiero, e ride di rabbia e di scherno.
Non vedo altro.
Ma Gesù dice: «Vedrai ancora».


1  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. III, Cap. 174. 1/10 – Centro Editoriale Valtortiano
2  N.d.A.: Evidente risultato del precedente discorso di Gesù sul corretto uso delle ricchezze e delle elemosine.
3  N.d.A.:I cugini del Signore: cioè gli apostoli Giacomo e Giuda d’Alfeo
4  N.d.A.:Giovanni era infatti giovanissimo, il più giovane degli apostoli
5  Mt 6, 24: 24Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.
6  N.d.A.: Nell’Opera segue un richiamo dell’Editore ad una lunga nota separata della mistica nella quale viene spiegato in che consistette la ‘corruzione dell’occhio e orecchio di Eva’, bacio immateriale ossia lezione di malizia intellettuale. Rimandiamo per l’interessante ma lunga spiegazione alla nota stessa in ‘L’Evangelo’ – Vol. III, Cap. 174.9
7  Mt 6, 22-23:22La lampada del corpo è l'occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; 23ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!
8 Maria Valtorta si rivolge qui con una sua annotazione fra parentesi al suo direttore spirituale Padre Migliorini, che si prendeva cura di dattilografare i manoscritti valtortiani, pregandolo di omettere poi questa parentesi ma di seguire le indicazioni di Gesù.
Nell’Opera (L’Evangelo…’, Vol. III, Cap. 174.11/14), in merito a questa ‘omissione’ suggerita da Gesù, segue una lunga nota dell’Editore, alla quale rimandiamo chi fosse interessato a leggerla integralmente, con cui si spiega in buona sostanza come si sia invece ritenuto - per ragioni editoriali e di ripresa integrale e fedele del manoscritto originale - di riprodurre il testo integrale (inclusivo cioè della parte iniziale) della visione del 12 agosto 1944 citata da Maria Valtorta, visione integrale che é quella qui immediatamente seguente.
Il Discorso della montagna è iniziato in definitiva con il brano riportato fin dall’inizio relativo ad una visione del 29 maggio 1945 ma - come è agevole rilevare - continua con il brano di una visione precedente del 12 agosto 1944.
Nell’Opera valtortiana non sono infrequenti i casi di visioni di episodi che la mistica vede prima ma che in realtà fanno parte di una collocazione logica successiva. Alla fine dell’Opera sarà infatti Gesù stesso ad indicare alla mistica in quale ordine di concatenazione ‘storica’ collocare i vari episodi della futura Opera editoriale. Gesù, infatti, faceva vedere in anticipo molte visioni per esigenze ‘formative e spirituali’ della mistica come pure dei Direttori spirituali o anche altre persone che assistevano o frequentavano intimamente Maria Valtorta, ma si riservava poi di dare agli oltre 600 episodi dell’Opera la giusta collocazione anche rispetto all’ordine dei Vangeli canonici anche per dimostrare ai detrattori dell’ispirazione divina dell’Opera che solo il Suo Autore, il Gesù-Dio di 2000 anni fa, poteva conoscere quale era il giusto ordine e contesto storico-sociale in cui gli episodi si erano svolti.
8.2 Nelle visioni di Maria Valtorta sulla vita evangelica di Gesù sono frequenti gli episodi in cui – dopo aver chiesto ai malati (che nei vari villaggi dove entrava già lo attendevano e venivano presentati in serie davanti a Lui) se avevano Fede in Lui e ricevutane conferma – Egli li guariva in … sequenza.
Facciamo ora qualche commento ‘a volo d’uccello’ su alcuni passi di questo sesto discorso.
Avrete notato che nel riportare i brani de ‘L’Evangelo’ non mi limito a trascrivere quella parte strettamente connessa all’argomento ‘principe’ del Discorso di Gesù, ma riporto anche le descrizioni dell’ambiente, le situazioni dei vari personaggi, gli scambi di opinioni fra apostoli ed apostoli e fra Gesù e loro.
Lo scopo è di farvi apprezzare non solo la Sapienza di Gesù che emerge limpida dal Discorso in senso proprio, ma anche la vita comune, il suo modo di parlare anche quando non appariva ‘il Sapiente’.
Noterete una particolarità dell’Opera valtortiana, i circa settecento personaggi che qui e là vi compaiono – e lo avete potuto sperimentare conoscendone qualcuno - parlano ciascuno con la propria psicologia e peculiarità culturale, ognuno in maniera diversa dall’altro, sulla base del proprio carattere e anche del proprio mestiere: il soldato parla da soldato, il falegname da falegname, lo scriba da scriba, il fariseo da fariseo e così via.
Ciò non è frutto di ‘capacità psicologica’ e ‘letteraria’ - nel creare ad arte un determinato personaggio - da parte della scrittrice (definita da taluni - che non credevano che le sue fossero ‘rivelazioni’ - come un autentico ‘genio letterario’) ma del fatto che lei 'vede' quel personaggio, lo descrive nei tratti somatici e ne trascrive la parlata ed il fraseggiare che appare aderente al personaggio stesso come un vestito fatto su misura, e ciò perché quel personaggio è esattamente quello che lei ‘vede’ e ‘sente’ parlare.
Vorrei però attirare ora la vostra attenzione su una curiosità.
Se avete ben letto la precedente nota a piè di pagina avete ormai ben compreso – e questo mio è un ulteriore chiarimento - che la mistica aveva avuto in anticipo di quasi un anno la seconda parte finale del Discorso della montagna.
Arrivata – nella prima visione del 29 maggio 1945 - alla parole ‘Onde Io vi dico…’, Gesù la interrompe dicendole di inserire in quel punto il seguito della visione concernente Maria di Magdala, seguito che fa tuttavia parte di una visione precedente, del 12 agosto 1944, riferita allo stesso episodio.
Noterete tuttavia che mentre nella parte iniziale del 29 maggio 1945 la mistica indica e descrive nome per nome tutti i membri dell’intero Collegio apostolico, nella visione che Gesù le fa inserire (12 agosto 1944) lei vede, riconosce e descrive solo alcuni degli apostoli, mentre altri li vede ma non li sa riconoscere. Ciò avviene perché lei farà conoscenza di tutto il collegio apostolico solo successivamente.
Riepilogando, mentre nella visione precedente del 1944, pur vedendoli tutti, Maria Valtorta non li conosceva ancora tutti, lei mostra invece di conoscerli tutti perfettamente in quella che Gesù le ha dato, successivamente, il 29 maggio 1945.
Infatti nel periodo che va dalla visione del 12 agosto 1944 a quella del 29 maggio 1945, lei – visione per visione di vita evangelica – aveva nel frattempo completato la conoscenza dell’intero Collegio apostolico.
Maria Valtorta descrive dunque, come al solito, l’ambiente in cui l’azione si svolge: primavera sempre più inoltrata, cielo terso al punto che si vede benissimo il Grande Hermon distante parecchie decine di chilometri in linea d’aria.
Si notano persino i fili argentei di ruscelli che scintillando scendono dal monte per riunirsi in basso da qualche parte come affluenti di un corso d’acqua che confluisce a sua volta come immissario nel Lago Meron, da dove ne esce poi come emissario con il nome del fiume Giordano per affluire infine più a valle nello splendido Lago di Tiberiade, detto anche di Genezareth o Mar di Galilea, che – in quei giorni primaverili caratterizzati da brezze anche ‘tese’ – è particolarmente adatto alla navigazione veloce non solo per le barche da pesca munite di vela ma anche per quelle a vela da diporto usate dai residenti o villeggianti di ricche famiglie ebraiche, greche e romane, queste ultime in particolare di commercianti, funzionari e militari di grado elevato.
Gli apostoli vengono descritti dalla mistica con rapidi cenni somatici, troveremo però successivamente nell’Opera, per ogni apostolo, precise descrizioni del volto e del corpo, nonché dei caratteri di ciascuno di essi.
Molto particolare il carattere di Pietro, a tratti rude, molte volte del tutto bonario e con un vero e proprio debole per i bambini, con in quali scherza volentieri.
Pietro – pur sposato con Porfirea – non aveva avuto la fortuna di avere figli e avrebbe voluto almeno adottarne uno, un orfanello di nome Marziam.
Gesù era contrario e sembrava irremovibile perché non voleva che gli affetti famigliari con il loro attaccamento distraessero Pietro dalla sua futura missione di Capo della Chiesa ma poi – su intercessione di Maria SS. che appianerà le difficoltà proponendo Porfirea per le cure materne al bambino – Gesù ‘autorizzerà’ l’adozione.
Sarà Marziam ad insegnare il ‘Pater noster’ a Maria Maddalena, una volta convertita, ed egli si impegnerà a trascrivere meglio che potrà i discorsi di Gesù.
Nell’Opera valtortiana, dopo la Resurrezione e prima della Sua Ascensione, Gesù gli imporrà il nome di Marziale ed il giovinetto seguirà Pietro quando lascerà in seguito la Palestina.
Molto interessanti i dialoghi fra Gesù e i malati come quando – parlando in maniera del tutto famigliare all’apostolo Andrea, che gli sussurra che dietro la parete di frasche della loro tettoia vi erano tre persone bisognose di confessargli le loro pene di cuore - risponde con un normalissimo e famigliarissimo: «Va bene. Ho ancora questa bambina e questa donna. Poi verrò…».
Quasi come dire: ‘Ora mi sbrigo e poi vengo subito dagli altre tre bisognosi di conforto spirituale’.
Questa espressione di ‘normalità del miracolo’ parrà inverosimile ai ‘razionalisti’ che già non credono ai miracoli né tantomeno alla divinità di Gesù. Per molti credenti, poi, un miracolo di guarigione dovrebbe avere una cornice ‘sfolgorante’, ma per Gesù – fatta eccezione per miracoli straordinari dai quali doveva rifulgere, per la Sua Missione, la Sua Divinità, come ad esempio nel caso di Lazzaro – il ‘guarire’ rientrava proprio nella ‘normalità’.
I malati gli venivano portati anche dalle contrade più lontane grazie alla voce che correva con il ‘passa-parola’.
Nelle visioni sono frequenti gli episodi in cui – dopo aver chiesto ai malati (che nei vari villaggi dove entrava già lo attendevano e venivano presentati in serie davanti a Lui) se avevano Fede in Lui e ricevutane conferma – Egli li guariva in … sequenza.
È anche per questo suo modo di operare e di guarire che il cristianesimo si era subito diffuso in Palestina fra il popolo che - pur non colto come le classi razionaliste della Casta - avvertiva istintivamente in Lui la divinità grazie a quella sua misteriosa Sapienza e soprattutto grazie ai miracoli.
E il miracolo sulla bambina? È paralitica, come ‘imballata’ in grosse fasce che hanno il compito di sostenerle la spina dorsale. Gesù le dice un semplicissimo ‘Vivi e sii buona’ e procede - senza attendere oltre - ad occuparsi degli altri malati. Passa qualche minuto, pare di vedere il sangue rigenerarsi nel corpo della piccola, la ricostituzione lenta ma progressiva di cellule sane al posto di quelle malate del midollo spinale e del resto del corpo, ed ecco che la piccola avverte come una forza speciale dentro di sé, una forte energia, ha un sussulto, scivola dal grembo materno e corre verso Gesù che già non pensava più a lei, dovendo occuparsi di un altro caso pietoso.
Anche i Vangeli canonici riportano fatti di questo genere come quelli di paralitici che riacquistano una completa mobilità o ciechi che recuperano all’istante la vista.
Non possiamo poi fare a meno di pensare a quale metamorfosi deve essersi verificata nel corpo ormai ampiamente corrotto di Lazzaro quando venne resuscitato, senza contare quello di Gesù non solo resuscitato nel Sepolcro dove giaceva con atroci ferite ma resuscitato con un Corpo ‘glorioso’.
Dio è il Padre della Vita e se può creare dal nulla guarisce anche ciò che normalmente apparirebbe inguaribile, e – così come dal nulla crea – Egli può rigenerare organi e tessuti già compromessi dalle malattie o difettosi per nascita.
Ed i tre dietro alla tettoia? Visti dalla mistica e descritti perfettamente con le loro caratteristiche umane e la loro particolare psicologia: insomma personaggi reali con i loro problemi reali, ansie e diverse situazioni.
Per ognuno di loro Gesù ha un consiglio ed una parola buona. Egli – dotato di preveggenza – non fa qui miracolo – ma il ‘miracolo’ è il suo onniveggente prevedere il futuro per cui li consola anticipando la positiva conclusione delle loro sofferenze.
Che dire poi della richiesta del terzo personaggio che – non si sa mai – voleva un filo della sua veste come un ‘talismano’ per metterlo nel capezzale della figlia tornata guarita dal demonio?
Gesù lascia fare con indulgenza – nonostante quella fosse una forma di ‘superstizione’ – e con un sorriso lo accontenta, giusto per lasciarglielo come ricordo e tranquillizzarlo spiegandogli però che quando Dio dice il suo ‘Voglio’ non c’è demonio che tenga.
Finalmente Gesù – adempiuti i doveri più importanti per i malati e gli spiritualmente sofferenti, affinché anch’essi potessero ascoltare felici – inizia la sua ‘Catechesi’.
Il primo tema è quella della scelta fra il Bene e il Male.
Solo successivamente Egli parlerà dell’adulterio e del divorzio, due situazioni di vita che hanno punti in comune.
‘Fra il sentiero di Dio e quello di Satana – dice Gesù - vi è una grande distanza e che sempre più si fa profonda…, la vita è così, scorre a cavaliere fra il passato e il futuro, fra il male e il bene. Al centro è l’uomo, con la sua volontà e il libero arbitrio…, l’uomo può scegliere. Nessuno lo forza’.
L’uomo ha come di fronte questi due sentieri che poi proseguendo si divaricano. Non si può camminare tenendo un piede in uno e l’altro piede nel secondo.
Non ha senso mescolare buono e cattivo sperando di cavarsela credendo che Dio cancellerà il cattivo in virtù del buono, e ciò perché le azioni buone vengono annullate dalle cattive, specie se quelle cattive sono tali da portare direttamente all’inferno, se non ci si pente sinceramente. Nessuno può servire due padroni contemporaneamente perché dei due o si ama l’uno o si ama l’altro.
Satana - aveva detto Gesù - tenta al Male e Dio tenta al Bene, ma l’uomo purtroppo si mostra più incline a seguire le tentazioni del Maligno.
Non servono però i compromessi fra Male e Bene, perché non si può ubbidire - a seconda delle situazioni di vita e di comodo - a due diversi ed opposti padroni: se si ama uno si odia l’altro, e viceversa, e se poi una persona fa del bene che poi mescola con il male, il bene che essa ha fatto viene vanificato dal male.
‘Il Bene e il Male sono eterni ed immutabili nella Legge di Dio’, dice Gesù, e questa è una sua risposta di 2000 anni fa a coloro che oggi sostengono il ‘relativismo etico’ proponendo essi che i valori cristiani una volta fondanti debbano adeguarsi alla evoluzione dei tempi, dei costumi e della morale.
Quanto alla affermazione che Gesù fa in questo discorso della montagna per cui Bene e Male sono eterni ed immutabili nella Legge di Dio, ricordo che Gesù in un Suo Dettato del 19431 alla mistica le aveva detto che il mondo – con il procedere della razza verso la cosiddetta civiltà - ripete nel presente gli errori del passato, ma mentre i ravvedimenti sono divenuti sempre più embrionali gli errori si sono sempre più perfezionati.
Oggi - diceva in quegli anni Gesù - ci troviamo al culmine dell’età del mondo ed abbiamo raggiunto anche il culmine della malizia e della superbia.
Si tratta del culmine di una parabola ascendente e poi discendente, fatto – quello della parabola - che potrebbe far pensare che il mondo abbia ancora molto da vivere ma – continuava Gesù - non sarà così perché la parabola discendente sarà sempre più un precipitare verso la fine.
E poi aveva continuato (i grassetti sono miei):
‘…Ma se voi avete proceduto così: a ritroso nel Bene, a capofitto verso il Male, Io - l’Eterno – sono rimasto fermo nella mia esatta misura del Bene e del Male.
Dal dì che fu la luce, e con essa ebbe inizio il mondo, è stabilito, dalla Mente che non erra, ciò che è Bene e ciò che è Male. E forza umana, la piccola forza umana, non può smuovere e sgretolare quel codice eterno scritto dal dito di Dio su pagine intoccabili e che non sono di questa Terra.
Unica mutazione, dall’istante in cui il mio Volere creò il mondo e l’uomo, sta in questo: che prima dovevate reggervi e guidarvi sulle tavole della Legge e sulla parola dei Profeti; dopo aveste Me, Verbo e Redentore, a spiegarvi la Legge, a darvi il mio ammaestramento, il mio Sangue, a portarvi con la mia venuta lo Spirito che non lascia ombre, a sorreggervi poi, nei secoli, coi Sacramenti e i sacramentali. Ma che avete fatto della mia venuta? Un nuovo peso di colpe di cui dovrete rispondere…’.

1  M.V. ‘I Quaderni del 1943’ - Dettato 21.7.43 – Centro Editoriale Valtortiano
8.3 Gesù: «Cosa è l’adulterio? È il desiderare febbrilmente colui che non è nostro, o colei che non è nostra… Non solo il peccato consumato ma il desiderio di consumarlo è già peccato… Chi ha guardato una donna con concupiscenza ha già commesso adulterio su lei perché il suo pensiero ha già commesso l’atto del suo desiderio».
Gesù – alla fine della visione che si era conclusa con la fuga precipitosa di Maria di Magdala – aveva detto alla mistica: ‘Vedrai ancora’…
Quelle due parole di Gesù stavano a significare – e qui lo ripeto - che quella visione del 12 agosto 1944 veniva interrotta perché Egli sapeva che le avrebbe mostrato in seguito la visione del 29 maggio 1945 con la quale sarebbe iniziato il sesto Discorso della montagna.
Dopo quel ‘Vedrai ancora…’ ed una interruzione, Gesù riprende la visione come segue (i grassetti sono miei):
[29 maggio 1945]
Gesù riprende:1
«Voi siete sdegnati dell'avvenuto. Sono due giorni che il nostro rifugio, ben alto sul fango, è turbato dal sibilo di Satana. Non è più dunque un rifugio e noi lo lasceremo. Ma voglio ultimarvi questo codice del "più perfetto" in quest'ampiezza di luci e di orizzonti.
Qui realmente Dio appare nella sua maestà di Creatore, e vedendo le sue meraviglie noi possiamo giungere a credere fermamente che il Padrone è Lui e non Satana.
Non potrebbe il Maligno creare neppure uno stelo d'erba. Ma Dio tutto può. Questo ci conforti. Ma voi siete tutti al sole ormai. E ciò vi nuoce. Spargetevi allora su per le pendici. Vi è ombra e frescura. Prendete il vostro pasto, se volete. Io vi parlerò sullo stesso argomento. Molti motivi hanno protratto l'ora. Ma non vi rincresca di ciò. Qui siete con Dio».
La folla grida: «Sì, sì. Con Te» e si sposta sotto i boschetti sparsi sul lato orientale, di modo che la parete e le frasche fanno riparo al sole già troppo caldo.
Gesù dice intanto a Pietro di smontare la sua tettoia.
«Ma... ce ne andiamo proprio?».
«Sì».
«Perché è venuta lei?...»
«Sì. Ma non lo dire ad alcuno e specie allo Zelote. Ne rimarrebbe afflitto per Lazzaro. Non posso permettere che la parola di Dio sia fatta scherno di pagani...»
«Capisco, capisco...»
«Allora però capisci anche un'altra cosa».
«Quale, Maestro?».
«La necessità di tacere in certi casi. Mi raccomando. Tu sei tanto caro, ma sei anche talmente impulsivo da uscire in osservazioni pungenti».
«Capisco... non vuoi per Lazzaro e Simone...»
«E per altri ancora».
«Pensi che ce ne saranno oggi?».
«Oggi, domani e dopodomani e sempre. E sempre sarà necessario sorvegliare l'impulsività del mio Simone di Giona. Vai, vai a fare quanto ti ho detto».
Pietro se ne va, chiamando in suo aiuto i compagni.
L'Iscariota è rimasto pensieroso in un angolo.
Gesù lo chiama. Tre volte, perché non sente. Infine si volge. «Mi vuoi, Maestro?» chiede.
«Sì. Va' tu pure a prendere il tuo cibo e ad aiutare i compagni».
«Non ho fame. E neppure Tu».
«Neppure Io. Ma per opposti motivi. Sei turbato, Giuda?».
«No, Maestro. Stanco...»
«Ora andiamo sul lago e poi in Giudea, Giuda. E da tua madre. Te l'ho promesso...».
Giuda si rianima. «Vieni proprio con me solo?».
«Ma certo. Voglimi bene, Giuda. Io vorrei che il mio amore fosse in te al punto da preservarti da ogni male».
«Maestro... sono uomo. Non sono angelo. Ho attimi di stanchezza. È peccato aver bisogno di dormire?».
«No, se tu dormi sul mio petto. Guarda là la gente come è felice e come è lieto il paesaggio da qui. Però deve essere molto bella anche la Giudea, in primavera».
«Bellissima, Maestro. Solo là, sulle montagne, che sono più alte di qui, è più tardiva. Ma vi sono fiori bellissimi. I pometi sono uno splendore. Il mio, cura particolare della mamma, è uno dei più belli. E quando ella vi cammina, coi colombi che le corrono dietro per avere grano, credi che è una vista che placa il cuore».
«Lo credo. Se mia Madre non sarà troppo stanca mi piacerebbe portarla dalla tua. Si amerebbero perché sono due buone».
Giuda, sedotto da questa idea, torna sereno e, dimenticandosi di «non aver fame e di essere stanco», corre dai compagni ridendo allegro, e, alto come è, slaccia i nodi più alti senza fatica e si mangia il suo pane e ulive, allegro come un fanciullo.
Gesù lo guarda con compassione e si avvia verso gli apostoli.
«Ecco il pane, Maestro. E un uovo. Me lo sono fatto dare da quel ricco là, vestito di rosso. Gli ho detto: "Tu ascolti e sei beato. Lui parla ed è sfinito. Dammi uno dei tuoi ovetti. Farà meglio a Lui che a te".»
«Ma Pietro!».
«No, Signore! Sei pallido come un bambino attaccato a un petto vuoto e stai divenendo esile come un pesce dopo gli amori. Lascia fare a me. Non voglio avere rimproveri da farmi. Ora lo metto in questa cenere calda, sono le fascine che ho arrostite, e Tu te lo bevi. Non lo sai che sono... quanti sono? settimane certo, che non si mangia che pane e ulive e un poco di latticello... Uhm! Sembriamo in purga. E Tu mangi meno di tutti e parli per tutti. Ecco l'uovo. Bevilo tiepido, che fa bene».
Gesù ubbidisce e, vedendo che Pietro mangia solo pane, chiede: «E tu? Le ulive?».
«Sss! Mi servono per dopo. Le ho promesse».
«A chi?».
«A dei bambini. Però se non stanno zitti fino alla fine io mi mangio le ulive e a loro do i noccioli, ossia schiaffi».
«Ma benissimo!».
«Eh! non li darò mai. Ma se non si fa così! Ne ho presi tanti anche io, e se mi avessero dovuto dare tutti quelli che meritavo per le mie monellerìe ne avrei dovuto prendere dieci volte di più! Ma fanno bene. Sono così perché le ho prese».
Ridono tutti della sincerità dell'apostolo.
«Maestro, io ti vorrei dire che oggi è venerdì e che questa gente... non so se potrà procurarsi cibo in tempo per domani o raggiungere le case» dice Bartolomeo.
«È vero! È venerdì!» dicono in diversi.
«Non importa. Dio provvederà. Ma lo diremo loro».
Gesù si alza e va al suo nuovo posto, in mezzo alla folla sparsa fra i boschetti.
«Per prima cosa ricordo che è venerdì. Ora Io dico che chi teme di non poter giungere in tempo alle case e non può giungere a credere che Dio darà domani cibo ai suoi figli, può ritirarsi subito, di modo che il tramonto non lo colga per via».
Su tutta la folla si alzano una cinquantina di persone. Tutti gli altri restano dove sono.
Gesù sorride e comincia a parlare.
«Avete udito che fu detto in antico: "Non commettere adulterio".2
Chi fra voi mi ha già udito in altri luoghi sa che più volte Io ho parlato su questo peccato. Perché, guardate, per Me è peccato non solo per uno ma per due e tre persone. E mi spiego.
L'adultero pecca per sé, pecca per la sua complice, pecca portando a peccare la moglie o il marito tradito, il quale o la quale possono giungere a disperazione o a delitto. Questo per il peccato consumato.
Ma Io dico di più. Io dico: "Non solo il peccato consumato ma il desiderio di consumarlo è già peccato.
Cosa è l'adulterio? È il desiderare febbrilmente colui che non è nostro, o colei che non è nostra.
Si comincia a peccare col desiderio, si continua con la seduzione, si completa con la persuasione, si corona con l'atto.
Come si incomincia? Generalmente con uno sguardo impuro. E ciò si ricollega a quanto dicevo prima.
L'occhio impuro vede ciò che è nascosto ai puri e per l'occhio entra la sete nelle fauci, la fame nel corpo, la febbre nel sangue. Sete, fame, febbre carnale. Ha inizio il delirio.
Se l'altro, il guardato, è un onesto, ecco che il delirante resta solo a rivoltolarsi sui suoi carboni ardenti, oppure giunge a denigrare per vendetta.
Se è disonesto anche il guardato, ecco che risponde allo sguardo, ed ha inizio la discesa nel peccato. Perciò Io vi dico: "Chi ha guardato una donna con concupiscenza ha già commesso adulterio su lei perché il suo pensiero ha già commesso l'atto del suo desiderio".
Piuttosto che questo, se il tuo occhio destro ti è stato cagione di scandalo càvatelo e gettalo lungi da te. Meglio per te che tu sia senza un occhio che sprofondare nelle tenebre infernali per sempre.3
E se la tua mano destra ha peccato mozzala e gettala via. Meglio per te essere senza un membro piuttosto che essere tutto dell'inferno.
È vero che è detto che i deformi non possono più servire Dio nel Tempio. Ma oltre la vita i deformi per nascita, che siano santi, o i deformi per virtù, diverranno belli più degli angeli e serviranno Dio, amandolo nella gioia del Cielo.
Vi è anche stato detto: "Chiunque rimanda la propria moglie le dia libello di divorzio".4
Ma questo va riprovato. Non viene da Dio. Dio disse ad Adamo: "Questa è la compagna che ti ho fatto. Crescete e moltiplicatevi sulla terra, riempitela e fatela a voi soggetta". E Adamo, pieno di intelligenza superiore perché ancora il peccato non aveva offuscato la sua ragione uscita perfetta da Dio, esclamò: "Ecco finalmente l'osso delle mie ossa e la carne della mia carne. Questa sarà chiamata Virago, ossia altro me, perché tratta dall'uomo. Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre, e i due saranno una sola carne".
E in un accresciuto splendere di luci l'eterna Luce approvò con un sorriso il detto d'Adamo, che diventò la prima, incancellabile legge.
Ora, se per la sempre crescente durezza dell'uomo, l'uomo legislatore dovette mettere un nuovo codice; se per la sempre crescente volubilità dell'uomo dovette mettere un freno e dire: "Se però l'hai ripudiata non la puoi più riprendere", questo non cancella la prima, genuina legge, nata nel Paradiso terrestre e approvata da Dio.
Io vi dico: "Chiunque rimanda la propria moglie, eccetto il caso di provata fornicazione, l'espone all'adulterio".
Perché, infatti, che farà nel novanta per cento dei casi la donna ripudiata? Passerà ad altre nozze. Con quali conseguenze? Oh! su questo quanto ci sarebbe da dire! Non sapete che potete provocare incesti involontari con questo sistema? Quante lacrime sparse per una lussuria! Sì. Lussuria. Non ha altro nome. Siate schietti. Tutto si può superare quando lo spirito è retto. Ma tutto si presta a motivo per soddisfare il senso quando lo spirito è lussurioso.
Frigidità femminile, pesantezza di lei, incapacità relativa alle faccende, lingua bisbetica, amore al lusso, tutto si supera, anche le malattie, anche le irascibilità, se si ama santamente. Ma siccome dopo qualche tempo non si ama più come il primo giorno, ecco che allora si vede impossibile ciò che è più che possibile, e si getta una povera donna sulla via e verso la perdizione.
Fa adulterio chi la respinge.
Fa adulterio chi la sposa dopo il ripudio. Solo la morte rompe il matrimonio.
Ricordatevelo. E se avete fatto una scelta infelice, portatene le conseguenze come una croce, essendo due infelici, ma santi, e senza fare maggiori infelici nei figli, che sono gli innocenti che più soffrono di queste disgraziate situazioni.
L'amore dei figli dovrebbe farvi meditare cento volte e cento, anche nel caso di una morte di coniuge. Oh! se sapeste accontentarvi di quanto avete avuto e al quale Dio ha detto: "Basta"!
Se sapeste, voi vedovi e voi vedove, vedere nella morte non una menomazione ma una elevazione ad una perfezione di procreatori! Esser madre anche per la madre estinta. Esser padre anche per il padre estinto.
Esser due anime in una, raccogliere l'amore per le creature sul labbro gelato del morente e dire: "Va' in pace, senza paura per quelli che da te sono venuti. Io continuerò ad amarli, per te e per me, amarli due volte, sarò padre e madre, e l'infelicità dell'orfano non peserà su loro e neppure sentiranno la innata gelosia del figlio di coniuge risposato per colui o colei che prende il posto sacro alla madre, al padre, da Dio chiamati ad altra dimora.
Figli, il mio dire si volge alla fine, come sta per volgersi alla fine il giorno che già declina, col sole, verso occidente... Di questo ritrovo sul monte Io voglio ricordiate le parole. Scolpitevele nei cuori. Rileggetele spesso. Vi siano guida perenne. E soprattutto siate buoni con chi è debole.
Non giudicate per non essere giudicati. 5
Ricordate che potrebbe venire il momento in cui Dio vi ricordasse: “Così hai giudicato. Perciò sapevi che ciò era male. Hai dunque, con coscienza di quanto facevi, commesso peccato. Sconta ora la tua pena.
La carità è già un'assoluzione. Abbiate la carità in voi, per tutti e su tutto. Se Dio vi dà tanti aiuti per mantenervi retti, non inorgoglitevene. Ma cercate di salire per quanto è lunga la scala della perfezione e porgete la mano agli stanchi, agli ignari, a coloro che sono preda di subite delusioni.
Perché osservare con tanta attenzione il bruscolo nell'occhio del tuo fratello se prima non ti curi di levare il trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo prossimo: "Lascia che io ti levi dall'occhio questo bruscolo", mentre la trave che è nel tuo ti accieca? Non essere ipocrita, figlio. Levati prima la trave che hai nel tuo e allora potrai levare il bruscolo al fratello senza rovinarlo del tutto.6
Ugualmente all'anticarità non abbiate l'imprudenza.
Io vi ho detto: "Porgete la mano agli stanchi, agli ignari, a coloro che sono preda di improvvise delusioni". Ma se è carità istruire gli ignari, animare gli stanchi, dare nuove ali a quelli che per molte cose le hanno spezzate, è imprudenza rivelare le verità eterne agli infetti di satanismo, i quali se ne appropriano per fingersi profeti, insinuarsi fra i semplici, corrompere, traviare, sporcare sacrilegamente le cose di Dio.
Rispetto assoluto, saper parlare e saper tacere, saper riflettere e saper agire, ecco le virtù del vero discepolo per fare dei proseliti e per servire Iddio.
Avete una ragione, e se sarete giusti Dio vi darà tutte le sue luci per guidare ancora meglio la vostra ragione.
Pensate che le verità eterne sono simili a perle, e mai si è visto buttare le margarite ai porci7, che preferiscono ghiande e broda fetida alle preziose perle e le pesterebbero senza pietà sotto i piedi per poi, con la furia di chi è stato schernito, rivolgersi a sbranarvi.
Non date le cose sante ai cani.
Questo per ora e per poi.
Molto vi ho detto, figli miei.
Ascoltate le mie parole; chi le ascolta e le mette in pratica è paragonabile ad un uomo riflessivo che, volendo costruire una casa, scelse un luogo roccioso.8
Certo faticò a costruire le basi. Dovette lavorare di piccone e scalpello, incallirsi le mani e stancarsi le reni. Ma poi poté colare le sue calcine negli spacchi della roccia e mettervi i mattoni serrati come in una muraglia di fortezza, e la casa crebbe solida come un monte. Vennero le intemperie, i nubifragi, le piogge fecero traboccare i fiumi, i venti fischiarono, le onde percossero, ma la casa resistette a tutto. Così è colui che ha una ben fondata fede. Invece chi ascolta con superficialità e non si sforza di incidersi nel cuore le mie parole, perché sa che per fare ciò dovrebbe fare fatica, provare dolore, estirpare troppe cose, è simile a chi per pigrizia e stoltezza edifica la sua casa sulla rena. Non appena vengono le intemperie, la casa, presto costruita, presto cade, e lo stolto si guarda desolato le sue macerie e la rovina del suo capitale. E qui è più che una rovina, riparabile ancora con spesa e fatica.
Qui, crollato l'edificio mal costruito di uno spirito, nulla più vi resta per riedificarlo.
Nell'altra vita non si edifica. Guai a presentarsi là con delle macerie!
Ho finito. Ora Io scendo verso il lago e vi benedico nel nome di Dio uno e trino. La mia pace sia con voi».
Ma la folla urla: «Veniamo con Te. Lasciaci venire! Nessuno ha le tue parole!».
E si danno a seguire Gesù, che scende non dalla parte presa nel salire ma da quella opposta e che va in direzione diretta di Cafarnao. La discesa è più ripida, ma è molto più svelta, e presto giungono ai piedi del monte che si adagia in una pianura verde e fiorita.
(Gesù dice: «Basta per oggi. Domani...»).

1 M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. III – Cap. 174. 15/22 – Centro Ed. Valtortiano
2 Mt 5, 27-28: 27Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio. 28Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
3 Mt 5, 29-30: 29Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. 30E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
4 Mt 5, 31-32: 31Fu pure detto: «Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto del ripudio». 32Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all'adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
5 Mt 7, 1-2: 1 Non giudicate, per non essere giudicati; 2perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi.
6 Mt 7, 3-5: 3Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? 4O come dirai al tuo fratello: «Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio», mentre nel tuo occhio c'è la trave? 5Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.
7 Mt 7, 6: 6Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.
8 Mt 7,24-39: 24Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. 25Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. 26Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. 27Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».
28Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: 29egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi.
8.4. Peccato originale e adulterio hanno una cosa in comune: la febbrile concupiscenza…
Nel sesto discorso della montagna Gesù fa un riferimento al Peccato originale, forse per preparare gli ascoltatori al tema dell’adulterio.
In realtà Peccato originale e adulterio hanno una cosa in comune: la ‘febbrile concupiscenza’.
Concupiscenza dello spirito e della carne.
Il Peccato originale iniziò con la bramosìa di Eva, instillata dal Serpente, di divenire come Dio con il cogliere e mangiare il frutto dell’Albero della conoscenza del Bene e del Male.
In questo senso fu concupiscenza spirituale.
La sua divenne tuttavia concupiscenza carnale quando Lei – perso lo stato di Grazia che la teneva unita a Dio – si ritrovò con l’anima ‘morta’ e quindi ridotta al rango di ‘animale’, un essere privo di anima ‘viva’, nel quale vivono quindi solo istinti ‘animali’ governati da un ‘io’ intelligente ma fuori controllo.
Eva corruppe poi Adamo che – sia pur a sua volta tentato dalla compagna - avrebbe anche dovuto, come prima creatura e Capo-famiglia, opporsi sia al Peccato di disobbedienza e superbia che alla conseguente tentazione sensuale.
Il Peccato originale iniziò dunque con una disobbedienza, che in quanto tale è sempre una mancanza d’amore verso Dio, si perfezionò cogliendo il frutto dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male, si concluse nella sessualità senza freni che però ne fu una conseguenza.
La spiegazione sul Peccato originale e di tutte le ulteriori conseguenze per i discendenti la troveremo in altri punti del ‘L’Evangelo’ ma in particolare in una lunga ed esauriente spiegazione dello Spirito Santo ne le ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’.1
Qui, parlando di adulterio, Gesù sembra in questo suo discorso volersi rivolgere soprattutto agli uomini con un severo ammonimento: non lasciar correre troppo occhio e mente sulla donna perché, con la soggezione degli organi al pensiero, i sensi si corrompono per un pensiero corrotto, e si destano, come successe ad Eva che poi indusse Adamo ad una sessualità per di più torbida, considerata la forte spinta psicologica indotta direttamente da Satana.
Se l’occhio stimola l’immaginazione e questa è suscettibile di condurci all’adulterio è allora meglio – dice Gesù, forse metaforicamente o forse no – cavarsi piuttosto l’occhio.
Non bisogna dunque lasciarsi indurre a peccare, non dimenticando al riguardo anche l’inopportunità di essere inesorabili verso coloro che sbagliano, perché sono molte le cause – ed io aggiungo: anche in parte le attenuanti – per cui si può essere indotti a peccare.
È a questo punto del discorso che - mentre Gesù dice quel ‘Onde Io vi dico…’ - Egli viene interrotto dalla tumultuosa irruzione di Maria Maddalena, la sorella lussuriosa di Lazzaro che nel Vangeli era stata definita (ma prima della sua conversione) come posseduta da sette demoni, del quale forse quello di ‘lussuria’ doveva essere il primo.
Colpisce la descrizione di incredibile accuratezza che ne fa la Valtorta. Solo una ‘donna’ – per di più come lei dotata di un particolare spirito di osservazione peraltro esercitato nella descrizione delle sue abituali visioni - poteva descriverne volto, corpo, movenze e vestiti, in tutti quei particolari.
Avevo detto in precedenza che – come si evince da ‘L’Evangelo’- Gesù era un bell’uomo, fisicamente perfetto, virilmente ‘uomo’ ma del tutto casto in quanto privo di fomiti, cioè di impulsi incontrollati, perché immune dal Peccato originale.
Gesù era stato descritto da Lazzaro e Marta alla Maddalena come un Santo.
Per una ‘posseduta’ da ‘sette demoni’, come dicono i Vangeli, quale la lussuriosa Maddalena, l’uomo-Gesù poteva forse rappresentare una ‘tentazione’ o anche una ‘sfida’, e pare quasi di intuirlo dalle parole che le aveva rivolto il romano che la accompagnava.
D’altra parte la tentazione della ‘carne’ – con quella del denaro e del potere – è una di quelle predilette da Satana ed era anche una delle tentazioni che egli aveva inutilmente utilizzato nei confronti di Gesù alla fine dei quaranta giorni nel Deserto, all’inizio della sua missione di evangelizzazione.
Il romano le dice infatti: « Là è l’Apollo che hai voluto vedere. Seducilo dunque…’.
Apollo, in Grecia, era fra l’altro il ‘dio della bellezza’, adorato ed assimilato al Sole: era un ‘dio’ soprattutto dai numerosi amori.
Lei salta allora a terra con atteggiamento e movenze procaci, con mosse studiate per piacere.
Gesù – impassibile e freddo - la guarda fisso negli occhi e, smettendo poi di guardarla, riprende il suo discorso che era stato prima da lei interrotto.
Lo riprende con una requisitoria severa - evidentemente tutta per lei che era venuta lì appositamente per dare scandalo – nei confronti di quei ricchi e i gaudenti che, nell’ozio e nel denaro, si abbandonavano alla lussuria e all’adulterio che nella lussuria trova la sua origine.
Gesù aveva tuttavia invitato gli astanti - che ancora mormoravano fra di loro nei confronti della Maddalena - a non giudicare.
Egli conosceva il futuro, sapeva che Maria Maddalena si sarebbe in seguito convertita, sarebbe diventata una splendida discepola, avrebbe chiesto di espiare con la sofferenza, finendo per fare una morte da santa in un visione dove la Valtorta la vedrà2 e che - nella prossima 'riflessione' - farò ‘vedere’ anche a voi, penitente in una grotta, in Francia.
Mentre gli apostoli sono scandalizzati dallo spettacolo al quale hanno assistito, Giuda – lo avrete notato - è rimasto pensieroso. Direi anzi che era rimasto turbato. Era infatti stato colpito dalla bellezza e movenze della Maddalena, perché anche Giuda – lo si capisce bene dal complesso dell’Opera valtoriana – oltre che ladro come dicono i Vangeli era anche un lussurioso.
Gradevole poi quel ‘siparietto’ di Pietro che dopo aver fatto finta di minacciare scappellotti ai bambini-monelli troppo impetuosi, per farli star buoni aveva promesso loro le olive del proprio pasto aggiungendo però – parlando con Gesù - che se non si fossero calmati lui si sarebbe mangiato le olive e a loro avrebbe dato i ‘noccioli’, perifrasi che stava per ‘scapellotti’.
Non glieli avrebbe dati, ovviamente, anche se Pietro aveva aggiunto che in casa propria – da piccolo – gli scappellotti non gli erano mai stati negati, e anzi gli avevano fatto un gran bene! Lui – soggiunge - era diventato qual era perché i suoi genitori gliene avevano date…
Evidentemente Pietro era stato allevato all’antica. Da decenni, in Occidente, ha invece preso campo la teoria educativa – peraltro oggi largamente criticata, ma tardivamente - del famoso pediatra americano Benjamin Spock.
Egli aveva lanciato il ‘permissivismo’, con un libro venduto nel dopoguerra in tutto il mondo per un decennio in oltre cinquanta milioni di copie all’anno: una vera fortuna editoriale.
Sulla sua scia sono ‘cresciute’ due generazioni di ‘pedagoghi’ per i quali una sberla al proprio figlio - anche ben data - è argomento da … galera, senza il beneficio degli arresti domiciliari o dei lavori ‘socialmente utili’.
Spock – dopo i disastrosi effetti morali ed educativi constatati su due intere generazioni – ha fatto pubblica ammissione di colpa con ritrattazione e pentimento, ma molti genitori non ne hanno avuto conoscenza e molti altri suoi epigoni non sentono ragioni e sono ancora in marcia. E… guai ad alzare troppo, non dico le mani, ma anche la voce con un figlio che si comporta male: c’è sempre il rischio di ‘traumi’!
Dopo la frugale pausa-pranzo Gesù si alza e riprende il discorso con la folla affrontando risolutamente – forse complice l’apparizione precedente della Maddalena – il tema dell’adulterio che non consiste in un ‘pensierino’ senza particolare malizia in ordine alla avvenenza di una donna (o di un uomo), pensierino sul quale non si insiste e che viene subito dimenticato.
L’adulterio – dice Gesù – è il desiderio febbrile verso una persona, uomo o donna, che non è ‘nostra’.
Il solo fatto di guardare uomo o donna in tale maniera, con tale concupiscenza, anche senza che l’atto sia compiuto, è già adulterio – spiega Gesù - come se l’atto fosse invece stato compiuto.
Di qui l’invito – per non cadere in quella spirale discendente - a controllare il proprio ‘occhio’ e a non crogiolarsi in certi pensieri, per evitare che il pensiero così stimolato desti il senso e dal senso ridestato discenda… l’adulterio.
Da questo discorso sull’adulterio, il passo a quello sul divorzio… per Gesù è breve.
Prendendo le mosse dalla Genesi biblica e dalle parole di Adamo, Egli ricorda che il Sacramento del Matrimonio – promessa pronunciata solennemente di fronte a Dio - è indissolubile, ma prima ancora era stato Adamo a sancire - con la sua intelligenza superiore, perché non ancora menomato nello spirito dal Peccato - questa indissolubilità.
Egli – risvegliatosi dal ‘sonno’ di cui parla la Genesi e riferendosi ad Eva – aveva infatti esclamato: ‘Ecco finalmente l’osso delle mie ossa e la carne della mia carne. Questa sarà chiamata Virago, ossia altro me, perché tratta dall’uomo. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre, e i due saranno una sola carne’.3
Il primo detto di Adamo, approvato da Dio, divenne dunque una Legge incancellabile, e se nei secoli seguenti fu concessa possibilità di divorzio, lo fu per limitare con norme più avvedute i danni provocati dall’incontinenza dell’uomo, divorzio concesso dunque a certe condizioni ma che comunque non annullò la prima Legge immutabile di Adamo.
Gesù – venuto a perfezionare con la sua Dottrina la Legge – ribadisce in questo discorso questa indissolubilità, aggiungendo anzi che l’adultero pecca tre volte: pecca per sé, pecca per la moglie che ha abbandonato, pecca per la donna o uomo che ha concupito.
La medicina è solo una, anche se ‘amara’: sopportare la situazione di un amore cessato portandone le conseguenze come una croce, come una malattia, rimanendo entrambi coniugi infelici ma santi, senza rendere - con un divorzio od un adulterio - maggiormente infelici anche i figli.
Persino nel caso di vedovanza sarebbe anzi auspicabile rinunciare ad un secondo matrimonio per evitare ai figli eventuali sofferenze di gelosia ed accettando nei loro confronti di essere – a seconda dei casi – padre o madre in sostituzione del coniuge scomparso.
Comunque, meditato il discorso di Gesù, mi ero chiesto se la Maddalena fosse adultera, in quanto unitasi - lei, ‘nubile’ - a uomini sposati, oppure adultera con altri uomini celibi in quanto divorziata.
Mentre congetturavo, la risposta mi era arrivata sul computer fulminea come una freccia da un amico valtortiano che circolarizza con una certa frequenza brevi brani dell’Opera.
Egli nulla sapeva dei miei dubbi amletici di quel preciso momento ma la sua casuale e-mail contestuale era del seguente tenore:
Maria Maddalena ha divorziato!
La notizia data da Nicodemo a Gesù (che come Dio la conosceva già) di per sé non è interessante. Solo fa vedere che anche allora il 'potere' riusciva a far fare cose IMPOSSIBILI ai comuni mortali. Pensate a quei tempi quando in Israele le uniche SEPARAZIONI erano i LIBELLI dati dai mariti alle mogli che NON andavano più bene o che erano ANZIANOTTE. La Maddalena invece...
(Valtorta) – Evangelo 116.6
Non ricordavo il brano e allora dopo un rapido controllo su ‘L’Evangelo’ ho visto trattarsi della visione del famoso incontro notturno fra Nicodemo e Gesù, quando Nicodemo gli aveva chiesto come si potesse entrare nel Regno dei Cieli e Gesù aveva risposto: ‘nascendo di nuovo’, intendendo dire ‘rinascendo nello spirito’ ma venendo frainteso da Nicodemo che pensava Egli si riferisse alla teoria della Reincarnazione.4
Era il primo anno di vita pubblica di Gesù, in fase inoltrata, Gesù è già molto perseguitato dalla Casta e in una casetta di Lazzaro nell’Uliveto è in cucina a cena con i discepoli.
Si discuteva della situazione e dell’opportunità o meno di lasciare Gerusalemme per qualche altra località più tranquilla in attesa che le acque si calmassero.5
Ad un certo punto arriva Nicodemo, dottore della Legge e sinedrista, che – introdotto da Giovanni – vuole parlare in segreto con Gesù…
Vi trascrivo il brano che offre anche un interessante ‘spaccato’ della situazione di Gesù in quel momento a Gerusalemme (i grassetti sono miei):6
(…)
«Maestro, ecco Nicodemo», dice Giovanni entrando per primo. Si salutano e poi Simone prende Giovanni ed esce dalla cucina, lasciando soli i due.
«Maestro, perdona se ti ho voluto parlare in segreto. Diffido per Te e per me di molti. Non tutta viltà la mia. Anche prudenza e desiderio di giovarti più che se ti appartenessi apertamente. Tu hai molti nemici. Io sono uno dei pochi che qui ti ammirano.
Mi sono consigliato con Lazzaro. Lazzaro è potente per nascita, temuto perché in favore presso Roma, giusto agli occhi di Dio, saggio per maturazione di ingegno e cultura, tuo vero amico e mio vero amico.
Per tutto questo ho voluto parlare con lui. E sono felice che egli abbia giudicato nel mio stesso modo. Gli ho detto le ultime... discussioni del Sinedrio su Te».
«Le ultime accuse. Di' pure le verità nude come sono».
«Le ultime accuse. Sì, Maestro. Io ero in procinto di dire: "Ebbene, io pure sono dei suoi". Tanto perché in quell'assemblea ci fosse almeno uno che fosse in tuo favore. Ma Giuseppe7 che mi era venuto vicino, mi ha sussurrato: "Taci. Teniamo occulto il nostro pensiero. Ti dirò poi".
E uscito di là ha detto; sì, ha detto: "Giova di più così. Se ci sanno discepoli, ci tengono all'oscuro di quanto pensano e decidono, e possono nuocergli e nuocerci. Come semplici studiosi di Lui, non ci faranno sotterfugi".
Ho capito che aveva ragione. Sono tanto... cattivi! Anche io ho i miei interessi e i miei doveri... e così Giuseppe... Capisci, Maestro».
«Non vi dico nessuna rampogna. Prima che tu venissi, dicevo questo a Simone8. E ho deciso anche di allontanarmi da Gerusalemme».
«Ci odi perché non ti amiamo!».
«No. Non odio neppure i nemici».
«Tu lo dici. Ma così è. Hai ragione. Ma che dolore per me e Giuseppe!
E Lazzaro? Che dirà Lazzaro, che proprio oggi ha deciso di farti dire di lasciare questo luogo per andare in una delle sue proprietà di Sionne. Tu sai? Lazzaro è potente in ricchezza. Buona parte della città è sua e così molte terre di Palestina. Il padre, al suo censo ed a quello di Eucheria della tua tribù e famiglia, aveva unito quanto era ricompensa dei romani al servitore fedele, ed ai figli ha lasciato ben grande eredità. E, quel che più conta, una velata ma potente amicizia con Roma.
Senza quella, chi avrebbe salvato dall'improperio tutta la casa dopo l'infamante condotta di Maria, il suo divorzio, solo avuto perché era "lei", la sua vita di licenza in quella città che è suo feudo e in Tiberiade che è l'elegante lupanare dove Roma e Atene hanno fatto letto di prostituzione per tanti del popolo eletto?
Veramente, se Teofilo siro fosse stato un proselite più convinto, non avrebbe dato ai figli quella educazione ellenizzante che uccide tanta virtù e semina tanta voluttà e che, bevuta ed espulsa senza conseguenze da Lazzaro, e specie da Marta, ha contagiato e proliferato nella sfrenata Maria, ed ha fatto di lei il fango della famiglia e della Palestina. No, senza la potente ombra del favore di Roma, più che ai lebbrosi, sarebbe stato mandato a loro anatema. Ma posto che così è, approfittane».
«No. Mi ritiro. Chi mi vuole verrà a Me».
(…)
Il Discorso della montagna sarebbe a questo punto virtualmente terminato, e Gesù si accomiata dagli astanti facendo le ultime raccomandazioni, invitando a riflettere su quanto Egli ha loro insegnato e comunque a non giudicare mai, ma - prima di criticare gli altri - guardare al trave che abbiamo nel nostro occhio, essere prudenti, che è sempre segno di carità, saper parlare, saper tacere e soprattutto – nel parlare delle verità eterne – non dare le ‘perle’ a coloro che non le saprebbero apprezzare e anzi le respingerebbero superbamente recando consapevole offesa al Signore.
Essere insomma prudenti come colui che – pur faticosamente – ha costruito la propria casa spirituale ponendo le sue fondamenta nella roccia scavata duramente a colpi di piccone.
Tale casa resisterà a tutte le intemperie spirituali e l’uomo avveduto si sarà guadagnato il Regno dei Cieli.
Il tema del Bene e del Male, che rappresenta l’aspetto centrale del sesto discorso, meriterebbe alcune altre considerazioni, ma non volendo ulteriormente abusare dell’attenzione del lettore le riserveremo prossimamente ad una seconda parte della presente trattazione.
La prossima riflessione sarà dedicata a:
9. IL SESTO DISCORSO DELLA MONTAGNA: LA SCELTA TRA BENE E MALE, L’ADULTERIO, IL DIVORZIO. L’ARRIVO IMPORTUNO DI MARIA DI MAGDALA.
(Seconda parte di due)

1  N.d.A.: Maria Valtorta: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – 21/28.5.1948 – C.E.V.
2  M.V.: 'I Quaderni del 1944' - 30.3.1944 - Centro Editoriale valtortiano
3  Gn 2, 23-24
4  Gv 3, 1-21
5  N.d.A: La località sarà poi quella dell’Acqua speciosa, proprietà di Lazzaro, dove in un cascinale rustico Gesù si tratterrà per un certo tempo pronunciando una serie di stupende catechesi sui Dieci Comandamenti.
6  M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. II, Cap. 116 – Centro Editoriale Valtortiano
7  N.d.A. Giuseppe, cioè Giuseppe d’Arimatea, detto l’Anziano, dottore della Legge e sinedrista: metterà poi il suo sepolcro vuoto a disposizione del Corpo di Gesù dopo la Deposizione.
8  N.d.A.:Simone: l’apostolo Simone lo Zelote

9. (2/2) IL SESTO DISCORSO DELLA MONTAGNA: LA SCELTA TRA BENE E MALE, L’ADULTERIO, IL DIVORZIO. L’ARRIVO IMPORTUNO DI MARIA DI MAGDALA.
9.1 Il Male. Lo Spirito Santo: «Tutto questo millenario dolore viene da un disordine creato da un ribelle in Cielo e da un’acquiescenza al disordine proposto da esso, ormai maledetto serpente, nell’Eden, ai due primi abitatori della Terra».
Avevamo concluso la precedente ‘riflessione’ osservando che Il tema del Bene e del Male rappresenta l’aspetto centrale del sesto discorso, ed avrebbe quindi meritato da parte nostra alcune ulteriori considerazioni che avremmo tuttavia fatto in una successiva trattazione: questa, per non appesantire la precedente che quanto a lunghezza era già stata abbastanza impegnativa.
Se tutto – nella vita dell’Umanità in terra, ma anche nell’Aldilà - si basa sul Bene e sul Male ci si potrebbe chiedere – sapendo che il Bene viene da Dio - come sia invece sorto il Male e soprattutto interrogarci sul perché Dio non lo ‘distrugga’.
Dio non ha creato il Male. La Genesi - nel descrivere i sei giorni della Creazione - dice alla fine di ogni ‘giorno’ che tutte le cose create da Dio erano buone. Tutte.1
A questo punto la risposta alla nostra domanda ce la dà Azaria, Angelo custode della mistica, che in sintesi le spiega2 che il Male nacque dal comportamento di Lucifero che ‘non santo al punto di essere tutto amore’ non volle accettare di dover adorare in un giorno futuro un Dio3 – cioè il Verbo – che si fosse incarnato in un ‘uomo’ per poi ascendere al Cielo in anima e Corpo di carne, cioè fatto di vile… ‘materia’, vale a dire un corpo che - per Lucifero che era uno ‘spirito puro’ di rango elevato - era in sostanza quello di un ‘animale’.
Lucifero, il più bello degli angeli, spirito perfetto, inferiore a Dio soltanto, aveva lasciato nascere nel suo essere luminoso un vapore di superbia che poi non aveva disperso, ma aveva lasciato ‘condensare’, covandolo.
Informato in anticipo, egli non condivise il Progetto di Dio: “Lucifero volle giudicare Iddio in un suo pensiero e lo definì errato e volle sostituirsi a Dio, credendosi più giusto di Lui.”.
Si ribellò alla Divina Volontà, venne sconfitto dall’Arcangelo San Michele e fu condannato all’Inferno.
Da allora – cominciando dai due primi uomini creati e continuando con i discendenti successivi – l’angelo decaduto, per invidia e vendetta, cerca fin dall’inizio di boicottare e anzi distruggere il Progetto divino sui ‘figli di Dio’ destinati a quel Cielo dal quale egli era stato irrimediabilmente escluso per sempre.
Non solo però l’Angelo Azaria ma anche lo Spirito Santo ebbe a fornire alla mistica, e quindi ora anche a noi, altre importanti precisazioni sull’origine del Male ribadendo l’importanza dell’Ordine e le conseguenze del Disordine.
Egli risponde quindi alla nostra domanda su come fu possibile – per via del Male provocato dalla libera volontà di Lucifero – che si creasse altro Disordine attraverso il Peccato originale.
Lo Spirito Santo ribadisce anche quel precedente insegnamento di Gesù il quale aveva spiegato che l’uomo ha la scelta fra due sentieri: da una parte quello del Bene che porta a Dio e dall’altra quello di Satana che porta al Male.
Ma ecco a voi la spiegazione integrale dello Spirito Santo (i grassetti sono miei):4
19 gennaio 1950
«La perfezione è amore. L’amore è armonia. L’armonia è ordine.
Non c’è armonia là dove viene ad essere turbato l’ordine. Non c’è amore là dove viene ad essere turbata l’armonia. Non c’è perfezione là dove viene a mancare l’amore.
Così avviene in tutte le cose e le opere. In quelle umane, e soprattutto in quelle sovrumane.
Non potrebbe aversi una musica, veramente armonica, se il musicista o i suonatori venissero a mancare all’esatta applicazione delle leggi musicali di tempo e di tono. In luogo di una musica armoniosa, di una armonia, risulterebbe un discorde rumore che porrebbe in fuga gli ascoltatori.
Non potrebbe aversi armonia morale se - fra i componenti di una famiglia, di una società, di una nazione, di un complesso di nazioni - venisse a mancare l’amore.
Il disamore, ossia il disordine nelle reciproche relazioni, porterebbe alla scissione e rovina della famiglia, alla fine di una società, alla rovina della nazione, alla guerra fra le nazioni.
Non può aversi perfezione di costumi, di leggi, di vita, se viene a mancare l’amore, ossia ancora l’armonia e l’ordine che è base di quanto è buono.
Per questo la Perfezione infinita ed eterna ‑ che è Amore, che è Ordine, che è Armonia superperfetta al punto da essere Una e Trina senza che ciò porti ad annullamento o confusione di una Persona o delle Persone, che restano ben distinte pur essendo così armonicamente fuse dall’Amore sino ad essere una perfetta Unità, e che tale perfezione ripete in diversa forma ma con uguale ordine nel Verbo fatto Carne, nel quale Divinità e Umanità si unirono senza confondersi o sopraffarsi, ognuna delle due qualità restando ciò che era, senza separazione del Figlio dal Padre, senza abusivo privilegio della Umanità del Cristo per essere Egli Dio ‑ per questo, dicevo, la Perfezione infinita ed eterna creò armonicamente tutte le cose e creature create, e tutto il Creato può dirsi una sublime armonia che dura da quando è, per quanto riguarda le sempiterne leggi che regolano il corso degli astri e pianeti, l’avvicendarsi delle stagioni, il continuo ricrearsi delle specie animali e vegetali, perché alla creatura‑uomo non venga a mancare quanto è necessario alla sua vita terrena.
Compiuta senza fatica, perché compiuta ordinatamente, la creazione sarebbe continuata senza sforzo da parte delle creature, se il disordine non fosse venuto a turbare l’armonia dei Cieli con la ribellione di Lucifero e l’armonia dell’Eden con la ribellione dell’Uomo‑Adamo.
“Eden” era chiamato il luogo dove l’Uomo era stato creato e posto perché con la compagna lo popolasse. Così come “Cielo” era chiamato il luogo dove gli angeli, spiriti puri,5 erano stati posti dopo esser stati creati da Dio, per adorarlo e servirlo nei secoli dei secoli.
Eden vuol dire “giardino”, ossia luogo di delizie.
Cielo vuol dire “Regno di Dio”, ossia luogo di santità e gaudio.
Se l’ordine non fosse mai stato volontariamente violato dalle creature che da Dio avevano ricevuto l’essere e luoghi di gaudio e delizie, l’Eden sarebbe rimasto Eden per tutti i discendenti dell’Uomo‑Adamo e l’Inferno non sarebbe stato.
Ma l’angelo per primo, conoscendo per sublime dono i misteri futuri e le future opere del Signore, misteri ed opere che Lucifero, benché sublime fra gli angeli, mai avrebbe potuto compiere, in luogo di contemplare adorando l’infinita Potenza e Carità del suo Creatore ‑ e ciò sarebbe stato “vivere nell’ordine, vivere nell’armonia dei moti intellettivi buoni” ‑ si aderse contro il suo Signore, in una folle ribellione che uccise in lui e nei suoi seguaci la carità, e quindi l’armonia e l’ordine, e creò.
Sì, esso pure creò. Ma che? Creò il disordine, il peccato, l’inferno. Ciò che poteva creare uno che si era avulso da Dio.
Il disordine nei moti ed istinti umani, che Dio aveva dato buoni, ordinati ed armonici fra loro, in ordine ed armonia al fine ultimo per cui Dio aveva creato l’uomo, venne creato da Lucifero, il ribelle, che per essere stato “splendente al mattino” della celeste creazione degli angeli, si credette “simile all’Altissimo” sopra i cui cieli tentò “innalzare il suo trono”6.
Il peccato contro l’amore, ossia la superbia della mente e del cuore per cui l’Uomo‑Adamo innocente divenne colpevole, il tremendo peccato dell’io che vuole “divenire come Dio”7 (Genesi II), è stato creato da Lucifero, che poi ad esso peccato sedusse l’Uomo per farlo simile a lui in ribellione al Signore.
L’Inferno, il luogo di eterna e inconcepibile tortura in cui precipitano quelli che ostinatamente vivono in odio al Signore ed alla sua Legge, è stato creato a causa di lui, dell’Arcangelo ribelle folgorato coi suoi seguaci dall’ira divina e vinto dagli angeli fedeli, vinto, perché ormai spogliato della potenza del suo stato di grazia, folgorato e “precipitato nel profondo dell’Abisso” (Isaia) nel quale il suo orrendo fuoco d’odio, la sua ormai orrenda luce e fiamma, così diversa dalla luce e fiamma di grazia e d’amore di cui Dio lo aveva dotato nel crearlo, accesero i fuochi eterni ed atrocissimi.
Il Cielo rimase Cielo, anche dopo la ribellione e la caduta dei ribelli. Perché nel Regno di Dio tutto è fissato da regole eterne e ‑ cacciati i superbi, i ribelli, gli autoidolatri, la cui dimora è lo stagno ardente infernale ‑ santità, gaudio, amore, armonia, ordine perfetti, continuano eterni.
Ma il disordine ormai era, e con esso il peccato, il dolore e la morte poterono insinuarsi sinuosamente fra le delizie dell’Eden, turbarne l’ordine, l’armonia, l’amore, spargervi il tossico, corrompere intelletto, volontà, sentimenti e istinti, suscitare appetiti colpevoli, distruggere innocenza e grazia, addolorare il Creatore, fare delle creature, dianzi soprannaturalmente e naturalmente felici, due infelici, condannato uno a trarre faticosamente il suo pane dalla terra ormai maledetta e producente triboli e spine, condannata l’altra a partorire con dolore, a vivere nel dolore e nella soggezione dell’uomo, condannati entrambi a conoscere il dolore del figlio ucciso dal figlio e la vergogna d’esser genitori di un fratricida, ed infine a conoscere il dolore del morire.
Tutto questo millenario dolore viene da un disordine creato da un ribelle in Cielo e da un’acquiescenza al disordine proposto da esso, ormai maledetto serpente, nell’Eden, ai due primi abitatori della Terra.
Né mai più la prima perfezione, il primo amore, la prima armonia, l’ordine primo, poterono risorgere dopo che volontariamente un angelo e due innocenti preferirono il Male al Bene supremo.
Neppure il Sacrificio di un Dio, fattosi Uomo per redimere, valse a ristabilire lo stato primevo di ordine, armonia, amore, perfezione.
La Grazia restaura, ma la ferita resta. La Grazia soccorre, ma i fomiti restano.
Mentre prima sarebbe stato dolce e senza sforzo il pervenire al Regno di Dio, ora occorre “usare violenza”8 per conseguire il Regno dei Cieli.
Violenza santa contro violenza maligna. Perché dal momento del Peccato il Bene ed il Male sono, e si combattono fuori ed entro l’uomo.
Dio chiama. Satana chiama. Dio ispira. Satana ispira. Dio offre i suoi doni. Satana i suoi.
E tra Dio e Satana sta l’uomo.
L’uomo nel quale sono due nature già in lotta fra loro. Quella carnale in cui sono i fomiti della Colpa. Quella spirituale in cui sono le voci della Grazia.
E se Dio si volge alla parte che da Lui ha somiglianza, perché è il Padre che ama la sua creatura e ad essa si vuole riunire dopo la prova terrena di essa, Satana, l’Avversario, l’Odiatore di Dio e dell’Uomo creatura di Dio, all’una e all’altra parte si volge, ed aizza la carnale mentre tenta sedurre la spirituale, per vincere e fare preda, da quel “leone ruggente che vuol divorare”, di cui parla l’apostolo Pietro9


1  Gn 1, 1-31.
2  M.V.: ‘I Quaderni del 1945/1950’ – Dettato del 20 gennaio 1946 – Centro Editoriale Valtortiano.
3  N.d.A.:Vedi i primi Padri della Chiesa, poi Sant’Agostino e San Tommaso d’Aquino.
4  M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ - Dettato 19.1.1950 – Ai Romani C. 8, v. 6-7-8 – C.E.V.
5  N.D.A.: Spiriti puri: Dio è ‘Purissimo Spirito’, gli Angeli creati da Dio sono ‘puri spiriti’, l’uomo è ‘spirito in carne umana’.
6  N.d.A.: Vedi meglio Is 14, 9-20: Trattasi di un brano profetico di controversa interpretazione usualmente riferita alla morte del Re di Babilonia dell’epoca storica del Profeta ma che qui lo Spirito Santo valtortiano applica invece a Lucifero e alla sua ribellione in Cielo che ne provocò la caduta nell’Abisso, cioè nell’Inferno.
7  Gn 2.
8  Matteo 11, 12; Luca 16, 16.
9  1, Pietro 5,8.
9.2. GESÙ: «Il Battesimo annulla la macchia ma non il fomite. La Grazia infonde forza a vincere il fomite, ma non lo annulla…, esso tiene basso il vostro orgoglio. Se vi sentiste puri e perfetti, dei Luciferi diverreste, credendovi uguali a Dio..., esso rende meno gravi le vostre colpe ai suoi Occhi. Perché se non aveste in voi il fomite che agita e morde senso e ragione con l’astuzia dell’antico Serpente suo generatore, non sareste giudicati ‘con misericordia’…».
A ben leggere, ogni commento da parte nostra alla precedente spiegazione dello Spirito Santo sarebbe superfluo ma Gesù – a proposito di Bene e Male e dei fomiti lasciati dal Peccato originale che ci inducono a peccare - in un altro Dettato alla mistica spiegava ancora (i grassetti sono miei):1
Dice Gesù:
«Nell'uomo sono due ricordi antagonisti fra loro. Il ricordo dell'Infinito Bene. Il ricordo dell'ereditario veleno concupiscente.
Il primo lasciato da Dio a conforto dell'uomo decaduto dalla primitiva e perfetta Grazia e Innocenza: la verginità dello spirito, che non fu più dote che di Maria fra tutti i nati d'uomo.
Il secondo lasciato da Satana coll'insidia dell'Eden alla verginità innocente di Adamo, nel cuore di Adamo e dei suoi discendenti.
Il Battesimo annulla la macchia ma non il fomite.
La Grazia infonde forza a vincere il fomite, ma non lo annulla.
Esso resta come una spina segreta ad aizzare la cicatrice indelebile della colpa. Non la piaga: la cicatrice. Ma se non vigilate, la cicatrice aizzata e non curata con i mezzi soprannaturali ritorna piaga.
In ogni uomo sono quindi due forze opposte che combattono in lui dalla nascita alla morte e che costituiscono la sua prova, la sua vittoria o la sua sconfitta rispetto al suo destino soprannaturale.
Mi chiedi perché Dio lascia il fomite anche dopo la restituzione del dono infinito della Grazia?
Per giustizia.
Tutto in Dio è giustizia. Ogni sua operazione è giustizia e amorosa giustizia.
Non ha forse lasciato il ricordo di Lui nell'anima da Lui creata?
Quel ricordo che è misteriosa fonte di luce che guida alla Luce, sentita, sebbene in maniera diversa, da ogni spirito di vivente, come lo dimostrano la legge morale dei migliori e i bagliori più o meno vividi di luce soprannaturale delle diverse religioni rivelate, le quali, sebbene con nozioni frammentarie, già insegnano l'esistenza dell'Ente Supremo e il dovere di vivere da giusti per possederlo oltre vita.
Così ugualmente oltre questa infinita bontà lascia l'altro ricordo, rappresentato dall'aculeo del fomite.
Esso tiene basso il vostro orgoglio. Se vi sentiste puri e perfetti, dei Luciferi diverreste, credendovi uguali a Dio.
Esso tiene vigile la vostra buona volontà. Fa eroico il vostro amore a Dio. E, pietà del Padre, rende meno gravi le vostre colpe ai suoi Occhi. Perché se non aveste in voi il fomite che agita e morde senso e ragione con l'astuzia dell'antico Serpente suo generatore, non sareste giudicati "con misericordia".
Ma molto vi è perdonato perché molto in voi è suscitato non dal vostro puro volere, ma dalle imponderabili forze del fomite che non sempre riuscite a reprimere.
Ma non ti affliggere. Anche esso serve a dare corona di gloria. Perché la tentazione è tentazione, non è peccato. Perché tentazione vinta è vittoria. Perché sopportazione dell'aculeo segreto, senza consenso della volontà alle sue seduzioni, è pazienza eroica.
Ma lo Spirito Santo ti riparlerà di questo nelle epistole paoline.
Sta' in pace. E sopporta. E offri per salvare quelli che non sanno sopportare, senza cedere, gli allettamenti ereditari».
Riassumendo, e valtortianamente parlando, Dio – rispettando il nostro libero arbitrio e non conculcando la nostra volontà - non ha impedito il Peccato originale e ha permesso la nostra caduta, lasciandoci i ‘fomiti’ per farci sentire imperfetti, tener quindi basso il nostro orgoglio e cercare di impedirci in tal modo la dannazione.
Così come Dio sapeva ab-æterno che Lucifero – pur perfetto nella sua sostanza angelica – avrebbe finito per sbagliare, ma ciò non impedì a Dio di crearlo, così Dio sapeva che se l’uomo fosse rimasto indenne dalla Colpa d’origine sarebbe con il tempo diventato sempre più perfetto – cioè un superuomoma ad un certo punto di questa sua ascesa – arrivato ad essere quasi un ‘semidio’ – avrebbe finito per sentirsi Dio del tutto, e avrebbe sbagliato, come Lucifero.
Fu dunque l’amore per gli uomini, fu anche l’amore per Maria - che Egli aveva pensata spiritualmente bellissima ab æterno – ciò che lo indusse a permettere il Peccato originale, perché solo l’umiltà nata dal fango della nostra miseria di peccato ci avrebbe consentito di diventare alla fine ‘popolo di Dio’.
Mi spiego meglio.
L’uomo è una unità psico-somatica.
Noi tendiamo ad identificare l’uomo nel ‘corpo’ ma in realtà l’uomo è innanzitutto una ‘soggetto psichico’ che – provvisto di un corpo e grazie ai cinque sensi – si relaziona con il mondo esterno.
Il Peccato originale fu commesso dall’uomo in quanto soggetto psichico, cioè spirituale, e la Psiche, composta da quelli che noi chiamiamo Conscio e Inconscio, è dunque una realtà ‘spirituale’, quella che chiamiamo ‘Anima’.
Il peccato originale non fu solo un peccato ‘carnale’, come comunemente si ritiene, ma prima ancora un atto di disubbidienza. Quindi – e qui sta la ‘sostanza’ del Peccato – fu un atto di superbia e di prevaricazione nei confronti di Dio.
La Psiche-Anima, cioè il soggetto psichico, corrotta da questo ‘Peccato’ come fosse stata intaccata da un ‘virus’ spirituale, perse i doni divini soprannaturali.
Il ‘virus’ intaccò nel profondo la dimensione psicologica e spirituale dell’uomo, dando origine agli aspetti negativi della nostra attuale personalità, e colpì – a causa della profonda unità psicosomatica - anche il corpo che da quel momento divenne nei secoli gradualmente soggetto alla decadenza, alla malattia, alla morte.
Per qualche processo psico-metabolico misterioso – come se anche la Psiche umana avesse una sorta di ‘Dna’ che con la riproduzione naturale della specie si trasmette analogamente ai caratteri fisiologici del Dna del corpo - quel ‘peccato’ contagiò nel ‘complesso psico-fisico’ tutta la successiva discendenza.
Il Battesimo – per qualche processo divino tanto misterioso come lo è quello dell’Eucarestia dove Gesù si rende presente - libera dal Peccato originale, o meglio risana la ferita, ma non ne toglie la ‘cicatrice’: cioè i ‘fomiti’ che ne sono la conseguenza, per cui l’uomo anche se battezzato non riacquista più la Forza e l’Integrità che aveva l’uomo originario che noi chiamiamo Adamo.
Ricordo ancora – a proposito della caduta provocata dal Male - un passo dell’Opera nel quale Gesù parlava di quella che sarebbe stata la vera 'evoluzione' della razza umana se questa non avesse appunto compiuto il Peccato d’origine che l’aveva fatta precipitare nella barbarie spirituale, intellettuale e nella fragilità fisica.
Il concetto era grosso modo questo: così come - nelle razze animali - l’incrocio fra esemplari con caratteristiche razziali eccellenti porta nei discendenti delle caratteristiche genetiche che sommano il meglio dei due genitori, e così via, dando luogo ad un progressivo perfezionamento delle caratteristiche razziali, così pure nell’animale-uomo - ove egli fosse rimasto indenne dal Peccato originale, uomo integro nel corpo, nella mente e nello spirito, con la pienezza della Grazia santificante - la riproduzione avrebbe dato vita a uomini sempre più perfetti, a veri superuomini, una sorta di semidei. Essi avrebbero potuto entrare in Paradiso, passando in qualche modo dalla terra al cielo col loro corpo, come successe ad esempio nell’assunzione al Cielo di Maria in una specie di estasi, di ‘dormizione’, di trapasso da questa realtà terrena all’altra soprannaturale senza dolore di ‘vera’ morte nel senso umano della parola.
Tanto tremenda è stata invece la conseguenza della Colpa d’origine che ora la razza umana – invece che ad una ‘evoluzione ascendente’ da uomini spirituali a superuomini spirituali (questa sì che sarebbe stata una vera evoluzione) - si spinge inesorabilmente verso una ‘evoluzione’ spiritualmente discendente dove nel futuro dell’Umanità, se vi saranno da un lato esseri umani spiritualmente sempre più perfetti nel Bene, ma saranno una parte minoritaria, dall’altro se ne vedranno molti spiritualmente sempre più perfetti nel Male, una razza cioè non di superuomini, quali gli evoluzionisti sono convinti che diventeranno, ma di ‘superdemoni’.
Il Peccato originale – e ribadisco questo concetto per fissarcelo bene nella mente - fu dunque ‘provvidenziale’ perché se i primi due uomini non avessero sbagliato e non fossero piombati nel fango, conoscendone tutte le miserie, i successivi – nel loro libero arbitrio (che non è condanna ma dono perché altrimenti saremmo non ‘figli’ di Dio ma automi) migliorandosi continuamente nella moltiplicazione, e quindi di generazione in generazione, sarebbero diventati sempre più perfetti e avrebbero finito, nel loro libero arbitrio, di ritenersi del tutto perfetti, cioè come Dio, anzi loro Déi, come Lucifero. E si sarebbero ribellati: non disobbedienza ribelle, ma vera ribellione. E avrebbero meritato la condanna: eterna, immediata, come Lucifero.
Se Dio aveva però permesso al veleno del Peccato originale di diffondersi nella discendenza dell’uomo, per questo veleno Dio aveva già fin dall’eternità predisposto l’Antidoto: il suo Verbo, che si sarebbe incarnato nel seno purissimo di Maria SS.
Ricordo un brano del Gesù valtortiano, tratto da un capitolo de ‘L’Evangelo', dove Egli parla della nascita di Maria SS. (i grassetti sono miei):2

(…)
Dice Gesù:
… All'uomo e alla donna, depravati da Satana, Dio volle opporre l'Uomo nato da Donna soprasublimata da Dio, al punto di generare senza aver conosciuto uomo: Fiore che genera Fiore senza bisogno di seme, ma per unico bacio del Sole sul calice inviolato del Giglio-Maria.
La rivincita di Dio! Fischia, o Satana, il tuo livore mentre Ella nasce. Questa Pargola ti ha vinto! Prima che tu fossi il Ribelle, il Tortuoso, il Corruttore, eri già il Vinto, e Lei è la tua Vincitrice.
Mille eserciti schierati nulla possono contro la tua potenza, cadono le armi degli uomini contro le tue scaglie, o Perenne, e non vi è vento che valga a disperdere il lezzo del tuo fiato.
Eppure questo calcagno d'infante, che è tanto roseo da parere l'interno di una camelia rosata, che è tanto liscio e morbido che la seta è aspra al paragone, che è tanto piccino che potrebbe entrare nel calice di un tulipano e farsi di quel raso vegetale una scarpina, ecco che ti preme senza paura, ecco che ti confina nel tuo antro.
Eppure ecco che il suo vagito ti fa volgere in fuga, tu che non hai paura degli eserciti, e il suo alito purifica il mondo dal tuo fetore.
Sei vinto. Il suo nome, il suo sguardo, la sua purezza sono lancia, folgore e pietrone che ti trafiggono, che ti abbattono, che ti imprigionano nella tua tana d'Inferno, o Maledetto, che hai tolto a Dio la gioia d'esser Padre di tutti gli uomini creati!
Inutilmente ormai li hai corrotti, questi che erano stati creati innocenti, portandoli a conoscere e a concepire attraverso a sinuosità di lussuria, privando Dio, nella creatura sua diletta, di essere l'elargitore dei figli secondo regole che, se fossero state rispettate, avrebbero mantenuto sulla terra un equilibrio fra i sessi e le razze, atto ad evitare guerre fra popoli e sventure fra famiglie.
Ubbidendo, avrebbero pur conosciuto l'amore. Anzi, solo ubbidendo avrebbero conosciuto l'amore e l'avrebbero avuto. Un possesso pieno e tranquillo di questa emanazione di Dio, che dal soprannaturale scende all'inferiore, perché anche la carne ne giubili santamente, essa che è congiunta allo spirito e creata dallo Stesso che le creò lo spirito.
Ora il vostro amore, o uomini, i vostri amori, che sono?
O libidine vestita da amore. O paura insanabile di perdere l'amore del coniuge per libidine sua e di altri.
Non siete mai più sicuri del possesso del cuore dello sposo o della sposa, da quando libidine è nel mondo. E tremate e piangete e divenite folli di gelosia, assassini talora per vendicare un tradimento, disperati talaltra, abulici in certi casi, dementi in altri.
Ecco che hai fatto, Satana, ai figli di Dio.
Questi, che hai corrotti, avrebbero conosciuto la gioia di aver figli senza avere il dolore, la gioia d'esser nati senza paura del morire.
Ma ora sei vinto in una Donna e per la Donna.
D'ora innanzi chi l'amerà tornerà ad esser di Dio, superando le tue tentazioni per poter guardare la sua immacolata purezza.
D'ora innanzi, non potendo concepire senza dolore, le madri avranno Lei per conforto.
D'ora innanzi l'avranno le spose a guida e i morenti a madre, per cui dolce sarà il morire su quel seno che è scudo contro te, Maledetto, e contro il giudizio di Dio.

1  M.V.: ‘Quadernetti’ – 13.3.48 – 48.8 – Centro Editoriale Valtortiano.
2  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – 26.8.1944 - Vol. I, Cap. 5
9.3 Dall’umiliazione subita da Maria Maddalena nel corso del sesto Discorso della montagna inizierà una ‘macerazione’ che poi la porterà gradatamente alla conversione.
Nelle ultime pagine della ‘riflessione’ precedente – dopo aver conosciuto in quella sua irruzione sul monte la Maria di Magdala lussuriosa e peccatrice - vi avevo anticipato che lei si sarebbe in seguito convertita, sarebbe diventata una splendida discepola e avrebbe chiesto di espiare i suoi peccati – pur ormai perdonati da Gesù - con la sofferenza.
E’ da quella salutare lezione ed umiliazione sulla ‘montagna’ che inizia infatti un processo di autocritica spirituale che porterà qualche mese dopo alla conversione della Maddalena la cui dissolutezza era stata fonte di grandissimo dolore e vergogna per Lazzaro e Marta e di scandalo in tutta Gerusalemme.
Il seguito della sua storia – dopo l’episodio della montagna - è ben raccontato nell’Evangelo Valtortiano.
Ella, sulla via di un inizio di pentimento, cercherà di andare di nascosto ad ascoltare gli ammaestramenti di Gesù.
Sarà in una di queste occasioni che Gesù, sapendola alle sue spalle (non vista dalla gente) al di qua dell’argine che borda la via, improvviserà e racconterà proprio per lei la ‘parabola’ del Buon Pastore alla ricerca della ‘pecorella smarrita’1.
Parabola davvero commovente, di tenero amore di Gesù per tutti i peccatori dispersi, e anche in quel caso come nel precedente discorso della montagna, lei comprenderà che la ‘pecorella smarrita’ - che Egli, il Buon Pastore della Parabola, cercava - era proprio un riferimento a lei, a lei che lo stava ascoltando credendo di non essere stata vista.
Maria rimarrà sconvolta dalla dolcezza della Parabola e piangerà sotto il suo scuro velo, piano e continuamente e quello sarà l’inizio del suo crollo, o meglio della sua ascesa.
Stiamo meditando sul Bene e sul Male e - anche se Maria di Magdala fu grande nel Male - poi lo sarebbe stata ancora di più nel Bene.
La parabola del Buon Pastore che cerca la sua ‘pecorella smarrita’ è riportata stringatamente nel Vangelo di Matteo ma a costo di andare un poco fuori tema ve ne presento qui sotto la versione originale del Gesù valtortiano, consapevole del fatto che se è servita a convertire la Maddalena, potrebbe anche servire a convertire noi.
233. La parabola della pecorella smarrita, ascoltata anche da Maria di Magdala.2
[12 agosto 1944.]
Gesù parla alle folle. Montato sul margine arborato di un torrentello, parla a molta gente sparsa su un campo che ha il grano segato e mostra l'aspetto desolante delle stoppie arse.
É sera. Il crespuscolo scende, ma già sale la luna. Una bella e chiara sera di prima estate. Dei greggi tornano all'ovile e il din-don dei campanacci si mescola ad un grande cantare di grilli o cicale, un grande gri, gri, gri...
Gesù prende lo spunto dalle mandre che passano.
Dice: «Il Padre vostro è come un pastore sollecito. Che fa il pastore buono? Cerca pascoli buoni per le sue pecorelle, quelli dove non sono cicute e tossici, ma dolci trifogli, aromatiche mentucce e amari ma salutiferi radicchi. Cerca là dove insieme al cibo sia fresco e puro ruscello e ombria di piante e non regnino aspidi fra il verde delle zolle.
Non si cura di preferire i pascoli più grassi perché sa che in essi è facile trovare insidia di colubri e d'erbe nocive, ma dà le sue preferenze ai pascoli montani, dove le rugiade fan monda e fresca l'erbetta, ma il sole la pulisce dai rettili, là dove l'aria è mossa e buona e non pesante e malsana come quella di pianura.
Il buon pastore osserva una per una le sue pecore. Le cura se sono malate, le medica se ferite. A quella che si ammalerebbe per troppa ingordigia di cibo dà la voce, all'altra che prenderebbe un male per rimanere troppo all'umido o troppo al sole dice di venire in altro luogo. E se una svogliata non mangia, egli le cerca gli steli aciduli e aromatici atti a risvegliarle l'appetito e glieli porge di sua mano parlandole come a persona amica.
Così fa il Padre buono che è nei Cieli coi suoi figli erranti sulla Terra.
Il suo amore è la verga che li raduna, la sua voce é la guida, i suoi pascoli la sua Legge, il suo ovile il Cielo.
Ma ecco che una pecorella lo lascia. Quanto Egli l'amava! Era giovane, pura, candida, come nuvola in cielo d'aprile. Il pastore la guardava con tanto amore, pensando a quanto bene poteva ad essa fare e quanto amore riceverne. Ed essa lo abbandona.
É passato, lungo la via che costeggia il pascolo, un tentatore. Non ha la casacca austera, ma veste una veste di mille colori. Non ha cintura di pelle con l'ascia e il coltello pendenti, ma una cintura d'oro da cui pendono sonagli argentini, melodiosi come voce di usignolo, e fiale di essenze che inebbriano...
Non ha bordone come il pastore buono col quale radunare e difendere le pecore, e se non basta il bordone egli è pronto a difenderle con l'ascia e coltello e anche con la vita. Ma questo tentatore che passa ha fra le mani un turibolo brillante di gemme, da cui sale un fumo che è lezzo e profumo insieme, ma che sbalordisce così come lo sfaccettìo dei gioielli - oh! quanto falsi! - abbacina.
Egli va cantando e lascia cadere manate di un sale che brilla sulla strada oscura...
Novantanove pecore guardano e stanno. La centesima, la più giovane e cara, fa un balzo e scompare dietro al tentatore. Il pastore la chiama. Ma lei non torna. Va più veloce del vento per raggiungere colui che è passato e, per sorreggersi nella corsa, gusta di quel sale che le scende dentro e la brucia di un delirio strano per cui anela ad acque fonde e verdi in un cupo di selve. E nelle selve, dietro il tentatore, si sprofonda e penetra e sale e scende e cade... una, due, tre volte. E una, due, tre volte sente intorno al suo collo l'abbraccio viscido dei rettili, e volendo bere beve acque inquinate, e volendo nutrirsi morde erbe lucide di bave schifose.
Che fa intanto il pastore buono? Chiude al sicuro le novantanove fedeli e poi si pone in cammino, e non resta di andare sinché non trova tracce della perduta. Poiché ella non torna a lui, che pure affida ai venti le sue parole di richiamo, egli va a lei. E la vede da lungi, ebbra fra le spire dei rettili, tanto ebbra che non sente nostalgia del volto che l'ama; e lo deride.
E la rivede, colpevole di esser penetrata, ladra, nell'altrui dimora, tanto colpevole che non osa più guardarlo...
Eppure il pastore non si stanca... e va. La cerca, la cerca, la segue, l'incalza. Piangendo sulle tracce della perduta - lembi di vello: lembi d'anima; tracce di sangue: delitti diversi; lordure: prove della sua lussuria - egli va e la raggiunge.
Ah! ti ho trovata, diletta. Ti ho raggiunta! Quanto cammino ho fatto per te. Per riportarti all'ovile.
Non chinare la fronte avvilita. Il tuo peccato è sepolto nel mio cuore. Nessuno, fuorché Io che ti amo, lo conoscerà.
Io ti difenderò dalle critiche altrui, ti coprirò con la mia persona per farti scudo contro le pietre degli accusatori. Vieni. Sei ferita? Oh! mostrami le tue ferite. Le conosco. Ma voglio che tu me le mostri con la confidenza che avevi quando eri pura e guardavi a me, tuo pastore e dio, con occhio innocente. Eccole. Hanno tutte un nome. Come sono profonde!
Chi te le ha fatte tanto profonde queste nel fondo del cuore? Il Tentatore, lo so. É lui che non ha bordone né ascia, ma che colpisce più a fondo col suo morso avvelenato, e dietro a lui colpiscono i gioielli falsi del suo turibolo: coloro che ti hanno sedotta col loro brillare... e che erano zolfi d'inferno tratti alla luce per arderti il cuore. Guarda quante ferite! Quanto vello lacerato, quanto sangue, quanti rovi. O povera piccola anima illusa!
Ma dimmi: se Io ti perdono, tu mi ami ancora?
Ma dimmi: se Io ti tendo le braccia, tu vi accorri?
Ma dimmi: hai sete dell'amore buono?
E allora vieni e rinasci. Torna nei pascoli santi. Piangi. Il tuo col mio pianto lavano le tracce del tuo peccato, ed Io per nutrirti, poiché sei consumata dal male che ti ha arsa, mi apro il petto, le vene mi apro, e ti dico: "Pasciti, ma vivi!".
Vieni, che ti prendo sulle braccia. Andremo più solleciti ai pascoli santi e sicuri. Tutto dimenticherai di quest'ora disperata. E le novantanove sorelle, le buone, giubileranno per il tuo ritorno perché, Io te lo dico, mia pecorella smarrita che ho cercato venendo da tanto lontano, che ho raggiunto, che ho salvato, si fa più festa fra i buoni per uno smarrito che torna, che non per novantanove giusti che mai si sono allontanati dall'ovile».
Gesù non si è mai voltato a guardare sulla via che ha alle spalle e sulla quale è sopraggiunta, fra le penombre della sera, Maria di Magdala, ancora elegantissima, ma vestita almeno, e ricoperta da un velo oscuro che ne confonde i tratti e le forme. Ma quando Gesù parla dal punto: «Io ti ho trovata, diletta», Maria porta le mani sotto al velo e piange, piano e continuamente. La gente non la vede perché ella è al di qua dell'argine che borda la via. La vede solo la luna ormai alta e lo spirito di Gesù... il quale mi dice: «Il commento è nella visione. Ma te ne parlerò ancora. Ora riposa perché è ora. Ti benedico, Maria fedele».
La Maddalena si convertirà, diventerà un gigante della spiritualità, sublimerà la sua ardente originaria passione umana in una capacità di amare in chiave spirituale.
Ella diventerà la più ardente discepola di Gesù, sarà anzi nei Vangeli la prima persona – a parte Maria SS. alla quale Gesù apparve per prima in segreto – che, già grande peccatrice poi ravveduta, avrà proprio per questo, anche quale rappresentante di tutti i peccatori per i quali il Verbo si è incarnato e Gesù si è sacrificato, l’onore ed il dono di vedere Gesù appena risorto e prima di tutti gli apostoli, un Gesù che lei chiamerà ‘Rabboni’, cioè ‘Maestro’, come scrive Giovanni nel suo Vangelo.3
Come in precedenza avevo già accennato, lei arriverà a chiedere a Gesù, dopo la resurrezione di Lazzaro, il dono del martirio di sofferenza d’amore per espiare le sue colpe per le quali – benché perdonata – ella non saprà più darsi pace.
Avendo compreso il valore della sofferenza corredentiva, lei vorrà dunque espiare soffrendo, dedicandosi ad una vita di preghiera e di stenti in Francia, dove fonti di antica Tradizione raccontano che Lazzaro con le due sorelle e altri suoi dipendenti di Betania fossero emigrati per evangelizzare quelle popolazioni, obbedendo in ciò al comando per eccellenza di Gesù impartito varie volte e ancora poco prima della Ascensione: ‘Andate ed evangelizzate tutte le genti… fino alle estremità della terra’.
Maria Maddalena si dedicò dunque a vita ascetica, e così infatti la Valtorta – che già l’aveva descritta nel Discorso della Montagna nella sua sfolgorante bellezza profana che anche voi avete ammirato – la vede ora nella seguente visione ( i grassetti sono miei): 4

30 ‑ 3 ‑ 44.
Vedo una spelonca rocciosa in cui è un giaciglio di foglie ammassate su un rustico telaio di rami intrecciati e legati da giunchi. Deve essere comodo come uno strumento di tortura.
La grotta ha inoltre un pietrone che fa da tavola e uno più piccolo che fa da sedile.
Contro il lato più fondo ve ne è un altro: uno scheggione sporgente dalla roccia che, non so se naturalmente o con paziente e faticosa opera umana, è stato tratto a pulimento e presenta una superficie abbastanza liscia.
Su questo, che pare un rustico altare, è posata una croce fatta di due rami tenuti insieme da vimini.
L’abitante della grotta ha inoltre piantato in una fessura terrosa del suolo una pianta di edera e ne ha condotto i rami a incorniciare la croce e ad abbracciarla, mentre in due rustici vasi, che paiono modellati nella creta da mano inesperta, stanno dei fiori selvatici colti nelle vicinanze, e proprio ai piedi della croce, in una conchiglia gigante, è una pianticella di ciclamino selvatico con le piccole foglie ben nette e due bocci che sono prossimi a fiorire.
Ai piedi di questo altare vi è un fascio di rami spinosi e un flagello di corde annodate. Nella grotta vi è inoltre un rustico orciolo con dell’acqua. Null’altro.
Dall’apertura stretta e bassa si vede uno sfondo di monti, e per una luminosità mobile che si intravvede lontano si direbbe che da questo punto sia visibile il mare. Ma non lo posso assicurare. Dei rami penduli d’edere e caprifogli e di rosai selvatici, tutta la solita pompa dei luoghi alpestri, pendono sull’apertura e fanno come un velo mobile che separa l’interno dall’esterno.
Una donna scarna, vestita di una rustica veste scura sulla quale è posata una pelle di capra come mantello, entra nella grotta smuovendo i rami penduli. Pare esausta.
La sua età è indefinibile. Se si dovesse giudicare il volto appassito, le si darebbero molti anni: oltre sessanta.
Se si dovesse giudicare la chioma ancor bella, folta, dorata, non più di un quaranta.
Essa le pende in due trecce lungo le spalle curve e magre, ed è l’unica cosa che splenda in quello squallore.
La donna sarà stata certo bella perché la fronte è ancor alta e liscia, il naso ben fatto e l’ovale, per quanto smagrito dall’estenuazione, regolare.
Ma gli occhi non hanno più fulgore. Sono fortemente affondati nell’orbita e segnati da due bistri bluastri. Due occhi che denunciano il molto pianto versato.
Due rughe, quasi due cicatrici, si sono intagliate dall’angolo dell’occhio lungo il naso e vanno a perdersi in quell’altra caratteristica ruga di chi molto ha sofferto, che dalle narici scende come un accento circonflesso agli angoli della bocca.
Le tempie sono come scavate e le vene azzurre si disegnano nel grande pallore. La bocca pende con curva stanca ed è di un roseo pallidissimo.
Un tempo deve essere stata una splendida bocca, ora è sfiorita. La curva delle labbra è simile a quella di due ali che pendano spezzate. Una bocca dolorosa.
La donna si trascina sino al masso che fa da tavolo e vi posa sopra dei mirtilli e delle fragole selvatiche. Poi va all’altare e si inginocchia. Ma è così spossata che nel farlo quasi cade e deve sorreggersi con una mano al masso.
Prega guardando la croce e delle lacrime scendono per il solco sino alla bocca che le beve. Poi lascia cadere la sua pelle di capra e resta con la sola rozza tunica e prende i flagelli e le spine. Stringe i rami spinosi intorno al suo capo e ai suoi lombi e si flagella con le corde. Ma è troppo debole per farlo. Lascia cadere il flagello e, appoggiandosi all’altare con ambe le mani e la fronte, dice: “Non posso più, Rabboni! Più soffrire, in ricordo del tuo dolore!”.
La voce me la fa riconoscere. È Maria di Magdala.
Sono nella sua grotta di penitente.
Maria piange. Chiama Gesù con amore. Non può più soffrire. Ma amare può ancora.
La sua carne macerata dalla penitenza non resiste più alla fatica del flagellarsi, ma il cuore ha ancora palpiti di passione e si consuma nelle sue ultime forze amando. Ed ella ama, restando con la fronte incoronata di spine e la vita serrata nelle spine, ama parlando al suo Maestro in una continua professione d’amore e in un rinnovato atto di dolore.
È scivolata con la fronte a terra. La stessa posa5 che aveva sul Calvario di fronte a Gesù deposto sul grembo di Maria, la stessa che aveva nella casa di Gerusalemme quando la Veronica spiegava il suo velo, la stessa che aveva nell’orto di Giuseppe d’Arimatea quando Gesù la chiamò ed ella lo riconobbe e lo adorò.
Ma ora piange perché Gesù non c’è.
“La vita mi fugge, Maestro mio. E dovrò morire senza rivederti? Quando potrò bearmi del tuo viso? I miei peccati stanno di fronte a me e mi accusano. Tu mi hai perdonata, e credo che l’inferno non mi avrà. Ma quanta sosta nell’espiazione prima di vivere di Te!
Oh! Maestro buono! Per l’amore che mi hai dato conforta l’anima mia! L’ora della morte è venuta. Per il tuo morire desolato sulla croce conforta la tua creatura! Tu mi hai generata.
Tu. Non la madre mia. Tu mi hai risuscitata più che non risuscitasti Lazzaro, fratello mio. Poiché egli era già buono e la morte non poteva che esser attesa nel tuo Limbo. Io ero morta nell’anima e morire voleva dire morire in eterno. Gesù, nelle tue mani raccomando lo spirito mio! È tuo perché Tu l’hai redento. Accetto per ultima espiazione di conoscere l’asprezza del tuo morire abbandonato. Ma dammi un segno che la mia vita ha servito ad espiare il mio peccare”.
“Maria!” Gesù è apparso.
Pare scendere dalla rustica croce. Ma non è piagato e morente.
È bello come la mattina della Risurrezione.
Scende dall’altare e va verso la prostrata.
Si curva su lei. La chiama ancora, e poiché ella pare credere che quella Voce suoni per i suoi sensi spirituali e, volto a terra come è, non vede la luce che Cristo irradia, Egli la tocca posandole una mano sul capo e prendendola per il gomito come a Betania per rialzarla.6
Quando ella si sente toccata e riconosce dalla lunghezza quella mano, ha un gran grido.
E alza un volto trasfigurato di gioia. E lo abbassa per baciare i piedi del suo Signore.
“Alzati, Maria. Sono Io. La vita fugge. È vero. Ma Io vengo a dirti che il Cristo ti aspetta.
Non vi è attesa per Maria. Tutto è perdonato a lei. Dal primo momento fu perdonato.
Ma ora è più che perdonato. Il tuo posto è già pronto nel mio Regno. Sono venuto, Maria, per dirtelo. Non ho dato ordine all’angelo di farlo perché Io rendo il centuplo di quanto ricevo ed Io ricordo quanto ho da te ricevuto. Maria, riviviamo insieme un’ora passata.
Ricorda Betania7. Era la sera dopo il sabato. Mancavano sei giorni al mio morire. La tua casa, la ricordi? Era tutta bella nella cintura fiorita del suo frutteto. L’acqua cantava nella vasca e le prime rose odoravano intorno alle sue mura. Lazzaro mi aveva invitato alla sua cena e tu avevi spogliato il giardino dei fiori più belli per ornare la tavola dove il tuo Maestro avrebbe preso il suo cibo. Marta non aveva osato rimproverarti perché si ricordava le mie parole8 e ti guardava con una dolce invidia perché tu splendevi di amore andando e venendo nei preparativi. E poi Io ero giunto. E più rapida di una gazzella tu eri corsa, precedendo i servi, ad aprire il cancello col tuo grido abituale. Pareva sempre il grido di una prigioniera liberata. Infatti Io ero la tua liberazione e tu eri una prigioniera liberata. Gli apostoli erano con Me. Tutti. Anche quello che ormai era come un membro incancrenito del corpo apostolico. Ma vi eri tu a prendere il suo posto. E non sapevi che guardando il tuo capo curvato nel bacio ai miei piedi e il tuo occhio sincero e pieno d’amore, guardando soprattutto lo spirito tuo, Io dimenticavo il disgusto di avere al fianco il traditore.
Ho voluto te sul Calvario per questo. Te nell’orto di Giuseppe per questo. Perché vederti era esser sicuro che la mia morte non era senza scopo. E mostrarmi a te era ringraziamento per il tuo fedele amore. Maria, tu benedetta che non hai mai tradito, che mi hai confermato nella speranza mia di Redentore, tu in cui vidi tutti i salvati dal mio morire! Mentre tutti mangiavano, tu adoravi. Mi avevi dato l’acqua profumata per i miei piedi stanchi e baci casti e ardenti per le mie mani e, non contenta ancora, hai voluto infrangere l’ultimo tuo prezioso vaso e ungermi il capo ravviandomi i capelli come una mamma, e ungermi le mani e i piedi perché tutto del tuo Maestro odorasse come membra di Re consacrato... E Giuda, che ti odiava perché eri onesta ora e respingevi con la tua onestà le cupidigie dei maschi, ti aveva rimproverata... Ma Io ti avevo difesa perché tu avevi compiuto tutto per amore, un amore così grande che il suo ricordo venne meco nell’agonia dalla sera del giovedì all’ora di nona...
Ora, per questo atto di amore che tu mi hai dato alla soglia della mia morte, Io vengo, alla soglia della tua morte, a renderti amore. Il tuo Maestro ti ama, Maria. Egli è qui per dirti questo. Non avere timore, non ansia di altra morte. Il tuo morire non è diverso da quello di chi versa il suo sangue per Me. Che dà il martire? La sua vita per l’amore del suo Dio. Che dà il penitente? La sua vita per l’amore del suo Dio. Che dà l’amante? La sua vita per l’amore del suo Dio. Vedi che non vi è differenza. Martirio, penitenza, amore consumano lo stesso sacrificio e per lo stesso fine. In te, dunque, penitente e amante, è il martirio come in chi perisce nelle arene.
Maria, Io ti precedo nella gloria. Baciami la mano e posa in pace. Riposa. È tempo per te di riposare. Dammi le tue spine. Ora è tempo di rose. Riposa e aspetta. Ti benedico, benedetta”.
Gesù ha obbligato Maria a coricarsi sul suo giaciglio. E la santa, col viso lavato di un pianto d’estasi, si è stesa come il suo Dio ha voluto ed ora pare dormire con le braccia conserte al seno, con le lacrime che continuano a scendere, ma la bocca che ride.
Si rialza a sedere quando un fulgore vivissimo si fa nella grotta per la venuta di un angelo portante un calice che posa sull’altare e che adora. Anche Maria, inginocchiata presso il lettuccio, adora. Non può più muoversi. Le forze calano. Ma è beata. L’angelo prende il calice e la comunica. Poi risale al Cielo.
Maria, come un fiore arso da troppo sole, si piega, si piega con le braccia ancora conserte sul seno e cade col viso fra le foglie del giaciglio.
È morta. L’estasi eucaristica ha reciso l’ultimo filo vitale.

1  Mt 18, 11-14: ‘11Il Figlio dell’Uomo è venuto, infatti, a salvare quello che era perduto. 12 Che vi pare? Se un uomo ha cento pecore ed una di esse si smarrisce, non lascia egli forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella smarrita? 13 E se riesce a ritrovarla, io vi dico in verità, prova più gioia di questa che delle novantanove che non si sono smarrite.14 Così il Padre vostro, che è nei Cieli, non vuole che si perda neppure uno solo di questi piccoli’
2  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – 12.8.1944 - Vol. IV, Cap. 233 – Centro Editoriale Valtortiano
3  Gv 20, 4-18.
4  M.V.: ‘I Quaderni del 1944’ – 30.3.1944 – Centro Editoriale Valtortiano
5  Nota Editore: La stessa posa… e lo adorò, rispettivamente nelle visioni del 18, 19 e 21 febbraio 1944. Il monologo che segue si spiega considerando che gli scritti valtortiani - (come abbiamo già annotato il 12 gennaio (N.d.A.: il riferimento dell’Editore è al Dettato 12.1.44 dei Quaderni del 1944) - identificano Maria di Magdala, sorella di Marta e di Lazzaro, con la peccatrice innominata di Luca 7, 36-50.
6  Nota Editore: Nella visione del 23 marzo 1944, Quaderni 1944 – Centro Ed. Valtortiano
7  Mt, 26,6-13 / Marco 14, 3-9 / Giovanna 12, 1-11
8  Lc 10, 38-42
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