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9.4 Un ‘intermezzo’ imprevisto per tutti, ma non per la Divina Volontà. La doppia natura di Gesù…
Avevamo detto che con il tema della scelta fra Bene e Male, l’adulterio e il divorzio, si era praticamente chiuso il Discorso della montagna.
Ricorderete che la seconda parte del sesto discorso di Gesù, dopo la fuga della Maddalena, era ripresa nel pomeriggio ed Egli - invitando i presenti a ricordare le sue parole e ad essere riflessivi e prudenti come colui che costruisce la propria casa sulla solida roccia - aveva poi concluso:

(…)
Ho finito. Ora Io scendo verso il lago e vi benedico nel nome di Dio uno e trino. La mia pace sia con voi».
Ma la folla urla: «Veniamo con Te. Lasciaci venire! Nessuno ha le tue parole!».
E si danno a seguire Gesù, che scende non dalla parte presa nel salire ma da quella opposta e che va in direzione diretta di Cafarnao.
La discesa è più ripida, ma è molto più svelta, e presto giungono ai piedi del monte che si adagia in una pianura verde e fiorita.
(Gesù dice: «Basta per oggi. Domani...»).
In realtà però il discorso non era finito perché Gesù-Uomo-Dio – in quanto Uomo – era anch’Egli talvolta soggetto agli imperscrutabili disegni della Provvidenza quando la natura di Verbo che era in lui non consentiva alla sua natura di uomo di conoscere il futuro.
Giunti infatti tutti ai piedi del monte, é proprio qui che avviene infatti un incontro inatteso – un intermezzo umanamente imprevedibile ma certo rientrante nei misteriosi progetti della Volontà divina – intermezzo che poi il giorno successivo fornirà a Gesù l’occasione per un ‘discorso’ in più, il settimo: quello appunto dell’importanza fondamentale del fare la Volontà di Dio.
Ecco dunque cosa vede in visione Maria Valtorta:1
30 maggio 1945.
Fra i tanti fiori che profumano il suolo e allietano la vista si drizza l'orrendo spettro di un lebbroso, piagato, fetente, corroso.
La gente urla di spavento e si rovescia di nuovo sulle prime pendici del monte. Qualcuno afferra anche selci per tirarle all'imprudente. Ma Gesù si volge a braccia aperte gridando: «Pace! State dove siete e non abbiate paura. Posate le pietre. Abbiate pietà del povero fratello. E’ lui pure figlio di Dio».
La gente ubbidisce, soggiogata dal potere del Maestro. Il quale si avanza attraverso le alte erbe in fiore sino a pochi passi dal lebbroso, che a sua volta, quando ha capito di essere protetto da Gesù, si è avvicinato.
Giunto vicino a Gesù, si prostra, e l'erba fiorita lo accoglie e sommerge come un'acqua fresca e profumata. I fiori ondeggiano e si riuniscono quasi facendo velo sulla miseria che in essi si è celata. Solo la voce che esce lamentosa di là dentro ricorda che un povero essere è presente. Essa dice: «Signore, se Tu vuoi, puoi mondarmi. Abbi pietà anche di me!»
Gesù risponde: «Alza il tuo volto e guardami. L'uomo deve sapere guardare il Cielo quando crede in esso. E tu credi, poiché chiedi».
Le erbe si scuotono e si aprono di nuovo. Appare, come capo di naufrago che emerga dal mare, il volto, denudato dei capelli e della barba, del lebbroso. Un capo di teschio non ancora del tutto spoglio dei resti della carne.
Pure Gesù osa posare la punta delle sue dita su quella fronte, là nel punto dove è netta, ossia senza piaghe, dove è solo pelle cinerea, scagliosa, fra due marciose erosioni di cui una ha distrutto il cuoio capelluto e l'altra ha aperto un buco dove era l'occhio destro, di modo che non saprei dire se fra quell'enorme buco che va dalla tempia al naso scoprendo lo zigomo e la cartilagine nasale, pieno di lordura, sia ancora il globo oculare o no.
E dice Gesù, tenendo la sua bella mano appoggiata, per la punta, lì: «Lo voglio. Sii mondato».
E come se l'uomo non fosse corroso e impiagato; ma solo ricoperto di sudiciume e su questo si riversassero acque detergenti, ecco che la lebbra sparisce. Per prime le piaghe si chiudono, poi torna chiara la pelle, l'occhio destro riappare fra la rinata palpebra, le labbra si rinchiudono sui denti giallastri. Solo i capelli e la barba rimangono assenti, ossia con rari ciuffetti di peli, là dove prima era ancora un pezzettino di epidermide sana.
La folla urla di stupore. E l'uomo capisce di essere guarito per quelle urla di giubilo.
Alza le mani, fino allora nascoste dalle erbe, e si tocca l'occhio, là dove era l'enorme buco; si tocca il capo, là dove era la grande piaga scoprente l'osso cranico, e sente la nuova pelle. Allora si alza e si guarda il petto, le anche... Tutto è sano e mondo... L'uomo si riaccascia nel prato fiorito piangendo di gioia.
«Non piangere. Alzati e ascoltami. Torna alla vita secondo il rito e non parlare ad alcuno finché non lo hai compito. Mostrati al più presto al sacerdote, fa' l'offerta prescritta da Mosè in testimonianza del miracolo avvenuto della tua guarigione».
«A Te lo dovrei testimoniare, Signore!».
«Me lo testimonierai amando la mia dottrina. Va'.»
2La folla si è accostata di nuovo e, pur a dovuta distanza, si felicita col miracolato. C'è chi sente bisogno di dargli un viatico per il viaggio e gli getta delle monete. Altri lanciano pani e cibarie e uno, vedendo che la veste del lebbroso non è che uno sbrendolo sfrangiato che lascia tutto visibile, si leva il mantello, lo annoda come fosse un fazzolettone e lo getta al lebbroso, che può così ricoprirsi in maniera decente. Un altro, poiché la carità è contagiosa quando è in comune, non resiste alla voglia di fornirgli i sandali e se li leva e li getta.
«Ma, e tu?» chiede Gesù che vede l'atto.
«Oh! io sto qui vicino. Posso camminare scalzo. Lui deve fare molta strada».
«Dio benedica te e tutti coloro che hanno beneficato il fratello. Uomo, pregherai per questi».
«Sì, sì, per essi e per Te, perché il mondo abbia fede in Te».
«Addio. Va' in pace».
L'uomo si allontana di qualche metro e poi si volge e grida: «Ma al sacerdote lo posso dire che Tu mi hai guarito?».
«Non occorre. Di' solo: "Il Signore ha avuto di me misericordia ". C'è tutta la verità e non occorre altro».
3La gente si stringe al Maestro, un cerchio che non si vuole aprire a nessun costo. Ma intanto il sole è calato e si inizia il riposo del sabato. I paesi sono lontani. Ma la gente non rimpiange paesi, non cibi, nulla. Se ne preoccupano però gli apostoli e lo dicono a Gesù. Anche i discepoli anziani sono in pensiero. Ci sono le donne e i bambini, e se la notte è tiepida, e soffice è l'erba dei prati, le stelle non sono pane, né si fanno cibarie i sassi delle prode.
Gesù è l'unico che non se la prende. La gente intanto mangia i suoi avanzi come nulla fosse, e Gesù lo fa notare ai suoi: «In verità vi dico che costoro sono da più di voi! Guardate con che spensieratezza danno fine a tutto.
Ho detto loro: "Chi non può credere che domani Dio darà cibo ai suoi figli si ritiri", ed essi sono rimasti. Dio non smentirà il suo Messia e non deluderà chi spera in Lui».
Gli apostoli si stringono nelle spalle e non si occupano d'altro.
La sera scende dopo un gran rosso di tramonto, placida e bella, e il silenzio della campagna si distende su tutte le cose, dopo l'ultimo coro degli uccelli. Qualche fruscio di vento e poi un primo volo muto di uccello notturno insieme alla prima stella e al primo gracidare di un ranocchio.
I bambini dormono già. Gli adulti parlano fra loro e ogni tanto qualcuno va dal Maestro a chiedere qualche schiarimento. 4Di modo che non fa stupore quando, attraverso ad un sentiero fra due campi di grano, si vede venire una persona imponente d'aspetto, di abiti e di età. Dietro di lui sono degli uomini. Tutti si volgono a guardarlo e se lo indicano bisbigliando. Il sussurro corre da gruppo a gruppo, si riaccende e si spegne. I gruppi più lontani si accostano attirati dalla curiosità.
L'uomo di nobile aspetto raggiunge Gesù, che seduto ai piedi di un albero ascolta degli uomini, e lo saluta profondamente. Gesù si alza subito e risponde con pari rispetto al saluto. I presenti sono tutta attenzione.
«Ero sul monte e forse Tu hai pensato che io non avessi fede perché me ne andavo per tema di un digiuno. Ma io me ne andavo per altro motivo. Volevo essere fratello fra i fratelli, il fratello maggiore. Vorrei dirti il mio pensiero in disparte. Puoi udirmi? Non ti sono nemico, per quanto io sia uno scriba».
«Andiamo un poco lungi...» e se ne vanno in mezzo ai grani.
«Volevo provvedere al cibo dei pellegrini e sono sceso per ordinare di panificare per una moltitudine. Vedi che sono nello spazio legale, poiché questi campi mi appartengono e da qui alla vetta si può fare in sabato. Sarei venuto domani coi servi. Ma ho saputo che Tu sei qui con la folla. Ti prego di permettermi di provvedere nel sabato. Altrimenti troppo mi spiacerebbe avere rinunciato alle tue parole per nulla».
«Per nulla mai, perché il Padre ti avrebbe compensato con le sue luci. Ma Io ti ringrazio e non ti deludo. Solo ti faccio osservare che la folla è molta».
«Ho fatto accendere tutti i forni, anche quelli usati per essiccare derrate, e riuscirò ad avere pane per tutti».
«Non è per questo. Dico per la quantità di pane...»
«Oh! Non mi scomoda. Lo scorso anno ebbi molto grano. Quest'anno Tu vedi che spighe. Lasciami fare. Sarà la migliore sicurezza sulla mia campagna. E poi, Maestro... Tu mi hai dato un tal pane oggi... Tu sì che sei Pane dello spirito!...».
«Sia allora come tu vuoi. Vieni che lo diremo ai pellegrini».
«No. Tu lo hai detto».
«E sei scriba?».
«Sì. Lo sono».
«Il Signore ti porti dove il tuo cuore merita».
«Comprendo ciò che non dici. Vuoi dire: alla Verità. Perché in noi è molto errore e... e molto malanimo».
«Chi sei?».
«Un figlio di Dio. Prega il Padre per me. Addio».
«La pace sia con te».
5Gesù ritorna lentamente verso i suoi mentre l'uomo se ne va coi suoi servi.
«Chi era? Che voleva? Ti ha detto qualcosa di spiacevole? Ha malati?». Le domande assalgono Gesù.
«Chi sia non so. Ossia so che è un animo buono e questo mi...».
«E’ Giovanni lo scriba» dice uno della folla.
«Ebbene, Io lo so ora perché tu lo dici. Egli voleva semplicemente essere il servo di Dio presso i suoi figli. Pregate per lui, perché domani noi tutti mangeremo per sua bontà».
«E’ un giusto veramente» dice uno.
«Sì. Non so neppure come possa essere amico di altri» commenta un altro.
«Fasciato di scrupoli e di regole come un neonato, ma non è cattivo» termina un terzo.
«Sono i suoi campi questi?» chiedono in molti non della zona.
«Sì. Credo che il lebbroso fosse uno dei suoi servi o contadini. Ma lo sopportava nelle vicinanze, e credo lo sfamasse anche».
La cronaca continua e Gesù se ne astrae chiamando vicino i suoi dodici, ai quali chiede:
«Ed ora che vi devo dire per la vostra incredulità? Non ha messo il Padre un pane per noi tutti nelle mani di uno che, per casta, mi è nemico? Oh! uomini di poca fede!... Ma andate fra i soffici fieni e dormite. Io vado a pregare il Padre perché vi apra i cuori e a ringraziarlo per la sua bontà. La pace a voi».
E se ne va alle prime pendici del monte. Là si siede e si raccoglie nella sua orazione. Alzando gli occhi vede il gregge delle stelle che gremiscono il cielo, abbassandoli vede il gregge dei dormienti stesi sui prati. Nient'altro. Ma è tale la gioia che ha nel cuore, che pare trasfigurarsi in luce…
Non mi stancherò mai di ripeterlo. C’è gente che non crede ai miracoli, che non crede che Gesù sia risorto, che non crede alla sua Ascensione al Cielo, che non crede che Dio possa aver creato l’universo e l’uomo dal nulla ma che crede invece che l’Universo sia nato da sé e dal nulla, e che la vita e l’uomo e tutto il mondo animale e vegetale siano pure nati da sé e dal nulla, anzi da una cellula primordiale che si sarebbe poi da sé evoluta e moltiplicata per poi evolvere di cellula in cellula fino ad assumere l’aspetto del mondo animale e vegetale che ci circonda.
I miracoli di Gesù narrati nei Vangeli vengono dai non credenti considerati racconti mitologici inventati dai primi discepoli per rivestirlo di un’aurea divina mentre Gesù - secondo costoro - sarebbe stato semplicemente un ‘uomo’.
Bene, lasciamo che credano a quanto preferiscono credere, pur se anche nei nostri tempi sono avvenuti e continuano ad avvenire miracoli di ricostituzione di tessuti umani e di organi in maniera ‘miracolosa’, come a Lourdes e in molti altri luoghi.
Qui assistiamo appunto al miracolo di una ricostituzione di tessuti ed epidermide, non molto diversa da quella che deve aver avuto il Corpo piagato ed atrocemente ferito di Gesù al momento della sua Resurrezione.
Non è stato parimenti diverso il miracolo della resurrezione di Lazzaro, da quattro giorni nella tomba con un corpo putrefatto, i cui tessuti ed organi non solo erano stati rigenerati, come successo al lebbroso di cui sopra, ma da morto era stato addirittura richiamato alla vita.
Il ‘giorno’ ebraico iniziava al tramonto del sole e finiva al tramonto successivo, contando 12 ore notturne (dal tramontare al sorgere del sole) e 12 ore diurne (dal sorgere al tramontare del sole.
Gesù aveva finito il suo Discorso della montagna nel pomeriggio di quel che noi cristiani chiamiamo ‘Venerdì’ per poter giungere presumibilmente a Cafarnao prima del tramonto, cioè prima dell’inizio del Sabato ebraico che cominciava appunto al tramonto del Venerdì.
Il sabato era giorno festivo e la legge ebraica imponeva che - per tutta la durata del giorno - non ci si spostasse dal luogo in cui ci si trovava all’ora di inizio del Sabato, salvo una possibilità molto limitata di movimento in un raggio circoscritto.
Il precetto, se valeva per Gesù sempre rispettoso della Legge, valeva naturalmente anche per la folla che lo seguiva. Gesù e folla avevano dunque entrambi l’esigenza di arrivare per tempo nei loro luoghi di destinazione, o quanto meno in paesi vicini dove potersi accampare e rifocillare.
L’apparizione del lebbroso manda però a monte il proposito di tutti. Si è fatto così troppo tardi e – continuando a procedere - sarebbero stati tutti sorpresi dall’ormai incombente inizio dell’ora del tramonto mentre erano ancora in cammino, in piena campagna e lontani dai centri abitati.
La folla sarebbe stata costretta a fermarsi, accamparsi, a dormire all’aperto, sostare durante tutto il sabato senza acqua e pane o altro vitto: gli avanzi di cibo sarebbero stati infatti esauriti nel luogo dove si erano fermati per pernottare, ai piedi della montagna.
Gesù, nel corso del suo precedente discorso, dopo la ‘fuga’ di Maria di Magdala, aveva manifestato l’intenzione di continuare il discorso nel pomeriggio ricordando però alla folla che era prossimo l’inizio del giorno del Signore e che chi temeva di non poter giungere in tempo alle case prima dell’inizio del Sabato incombente e procurarsi del cibo, non riuscendo a credere che Dio avrebbe comunque dato il pane ai suoi figli, poteva anche partire subito prima che il tramonto lo cogliesse in cammino.
E’ in questo contesto che si inserisce l’episodio dello Scriba Giovanni, che mescolato fra la folla, sentendo dire così, se ne era andato anzitempo come vari altri con l’intenzione però di procurare cibo per la folla che ne era rimasta priva.
Gesù - pur essendo disceso in tempo dal Monte per consentire a chi lo avesse desiderato di raggiungere i centri abitati - sapeva perfettamente che la Provvidenza di Dio in qualche modo avrebbe trovato una soluzione per il sostentamento di tutti.
La ‘Provvidenza’ non manca all’appuntamento e – complice l’episodio umanamente imprevedibile del lebbroso che apparendo davanti a Gesù ferma la marcia del Gruppo apostolico e della folla – essa dispone toccando il cuore dello Scriba Giovanni il quale mentre la folla si è ormai accampata nella sera che scende ritorna da Gesù e gli manifesta il suo desiderio di provvedere l’indomani mattina al vettovagliamento della gente.
Vorrei però attirare l’attenzione su un particolare che – a ben riflettere – è davvero curioso.
La folla si domanda chi sia il misterioso personaggio, gli apostoli interrogano Gesù il quale risponde testualmente: ‘Chi sia non so. Ossia so che è un animo buono e questo mi…’.
«E’ Giovanni lo scriba», dice uno della folla.
E Gesù di rimando:
«Ebbene, Io lo so ora perché tu lo dici…».
Ora, Gesù – che, come ‘Uomo’, nulla sapeva della apparizione del lebbroso che avrebbe di lì a poco incontrato - mostra di non conoscere nemmeno chi sia il nome di questo benefattore, mentre in molte altre occasioni Egli aveva mostrato di conoscere con precisione il futuro e le cose nascoste. La spiegazione è però molto semplice. In Gesù convivevano due nature, quella divina e quella umana.
Nella normalità delle cose quotidiane era la sua natura umana a rivelarsi, con i suoi limiti circa la conoscenza di tante cose, ma – quando le circostanze lo richiedevano per la Missione – il Verbo che era in Lui si manifestava con la sua Onniscienza come pure con la potenza dei miracoli e di certi discorsi spiritualmente elevatissimi.
In ogni caso Gesù – pur essendo Uomo-Dio - non perdeva occasione, specie nel silenzio della notte, per raccogliersi in preghiera ed unirsi al Padre perché è dall’unione con il Padre che il Gesù-Uomo traeva le forze per la continuazione della Missione nonostante tutte le difficoltà che gli venivano frapposte.
Quanto allo scriba Giovanni, lo ritroveremo ancora2, nel seguito dell’Opera valtortiana fra gli estimatori di Gesù anche se coinvolto in un tentativo, vanificato da Gesù, di proclamarlo re e restauratore della patria3 in occasione di una riunione segreta di notabili della Palestina nella casa di campagna di Cusa, Intendente di Erode e marito di Giovanna, la discepola nominata nei Vangeli canonici, salvata miracolosamente da Gesù da morte sicura.
La Provvidenza divina, cioè la Volontà di Dio, aveva comunque creato le condizioni – con l’improvvisa irruzione del lebbroso ed il tempo perduto che aveva obbligato ad una sosta in più di un giorno nella giornata di Sabato – per un ulteriore imprevisto discorso di Gesù, il settimo, forse per noi il più importante: quello sul fare – amandola - la volontà di Dio.
Ma ciò sarà argomento della nostra prossima riflessione che sarà dedicata a:
10. IL SETTIMO DISCORSO DELLA MONTAGNA NELLA SOSTA DEL SABATO:
AMARE LA VOLONTA’ DI DIO
(Prima parte di tre)


1  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. III, Cap. 175 – Centro Editoriale Valtortiano
2  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VII, Cap. 464.2 – Centro Ed. Valtortiano.
3  Gv 6, 1-15.

10. (1/3) IL SETTIMO DISCORSO DELLA MONTAGNA NELLA SOSTA DEL SABATO: AMARE LA VOLONTA’ DI DIO.
10.1 Gesù: «Quando il giorno aveva inizio mi fu fatto osservare che, se tutto viene da volontà divina, anche gli errori degli uomini sono voluti da quella. Questo è errore, ed errore molto diffuso. Può mai un padre volere che il figlio si renda riprovevole? Non lo può…».
Di giorno in giorno, di discorso in discorso, siamo arrivati al settimo.
Nell’Introduzione avevamo parlato delle discordanze evangeliche con particolare riferimento alle due diverse versioni del Discorso della montagna date da Luca e Matteo.
Abbiamo visto che la ragione stava dalla parte di Matteo: Gesù era salito infatti sul monte per tenere il discorso, come diceva appunto Matteo, e non lo aveva tenuto dopo esserne disceso, come aveva scritto Luca che aveva invece ‘legato’ il discorso alla discesa dal monte che, nel suo caso, appariva essere in realtà quello della ‘elezione apostolica’.
Nel primo discorso era stato affrontato il tema della missione degli apostoli e dei discepoli, e cioè i futuri vescovi e sacerdoti, invitati ed ammoniti severamente da Gesù a voler essere in futuro ‘luce del mondo’ e ‘sale della terra’.
Al riguardo avevamo anche citato quel successivo discorso di Gesù – avvenuto dopo la Resurrezione e prima dell'Ascensione – dove, sempre parlando del Sacerdozio, aveva profetizzato agli apostoli (anche lì convenuti a raccolta su un monte) che come per le colpe del Tempio di Gerusalemme la nazione di Israele sarebbe stata dispersa, così ‘sarebbe stata distrutta la Terra quando l’abominio della desolazione fosse entrato nel novello Sacerdozio cristiano, conducendo gli uomini all’apostasia per abbracciare le dottrine d’inferno’.
Nel secondo discorso era stato affrontato il tema della Grazia, persa dai primi due progenitori a causa del Peccato originale e restituitaci da Gesù grazie al Suo Sacrificio ed al Sacramento del Battesimo.
La Grazia rigenera l’uomo, non una volta sola, ma ogni qualvolta l’uomo si pente.
Avevamo capito - per bocca di Gesù1 - la differenza fra la ‘Predestinazione alla Grazia’ e la ‘Predestinazione alla Gloria’.
Alla Grazia sono predestinati tutti gli uomini indistintamente perché Gesù è morto per tutti, ma alla Gloria, cioè alla salvezza in Cielo, sono destinati solo quelli che rimangono fedeli almeno alla legge naturale del Bene, cioè ai Dieci comandamenti.
Grazia che è ‘possedere in noi la luce, la forza, la sapienza di Dio’. Ossia possedere la somiglianza intellettuale con Dio, il segno inconfondibile della nostra ‘figliolanza con Dio’ sapendo – come aveva detto Gesù - che non tutte le anime in Grazia possiedono la Grazia nella stessa misura… non perché Dio la infonda in maniera diversa, ma perché in diversa maniera noi la sappiamo conservare in noi’.
La causa di tutti gli errori che si commettono sulla terra è il peccato che separa l’uomo dalla Grazia e quindi lo rende cieco.
Avevamo poi approfondito il valore spirituale delle varie ‘beatitudini’: quelle dei ‘poveri di spirito’, dei ‘mansueti’ e così via fino all’ultima: ‘Beati gli oltraggiati e calunniati per essere stati di Dio perché a costoro spetterà il trionfo celeste’.
Era stato infine approfondito il tema dell’uso delle ricchezze, in particolare anche del come conquistare il Cielo facendo buon uso di quelle guadagnate ingiustamente.
Nel terzo discorso abbiamo preso in considerazione i consigli evangelici che perfezionano la Legge mosaica, per cui Gesù aveva detto che Lui non era venuto per cambiare la Legge neppure di uno jota ma per completarla divinamente, non come l’avevano ‘completata’ gli uomini nei secoli precedenti rendendola indecifrabile e inadempibile, sovrapponendo precetti e leggi tratte dal loro pensiero e secondo il loro utile. I suoi consigli evangelici sarebbero stati il serto che avrebbe incoronato la ‘testa’ della Legge mosaica resa in tal modo Regina.
Guardarsi dunque dai falsi profeti, come si debba amare il prossimo, come non reagire se percossi, come comportarsi se derubati, non fare agli altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi, eliminare la legge dell’occhio per occhio e dente per dente e sostituirvi quella dell’amore del prossimo per rispetto a Dio cercando per quanto possibile di essere perfetti come è perfetto il Padre che è nei Cieli. Non solo non uccidere ma nemmeno adirarsi e, ove succedesse, riconciliarsi perché bisogna perdonare chi ci ha procurato male se si vuole essere perdonati da Dio per il male che abbiamo fatto a nostra volta noi e per le offese arrecate a Dio. Tenere anche conto del fatto che antipatia, distacco e indifferenza sono già di per se stesse delle forme e gradazioni di odio perché il contrario dell’amore è l’odio.
Nel quarto discorso avevamo approfondito i temi del giuramento: non giurare mai, e soprattutto non spergiurare, vera bestemmia perché si chiama coscientemente ed impudentemente Dio a testimonio del proprio falso. E neppure giurare sulla testa della propria moglie o marito e ancor più dei propri figli: la cosa più sacra. Non parliamo poi del giurare sui propri morti
Quindi si è parlato della preghiera, la cui perfezione è data dal ‘Pater noster’, ed in genere della preghiera che serve e di quella che non serve, senza poi dimenticare la preghiera ipocrita. Infine l’argomento del digiuno che va sempre fatto in segreto, sapendo che digiuno non significa sacrificare solo il cibo ma in genere qualunque cosa che rappresenti per noi una ‘privazione’.
Nel quinto discorso abbiamo approfondito l’argomento delle ricchezze, sapendo che bisogna avere distacco verso di esse perché non ce le porteremo nell’Aldilà ma invece, ben usate, possono farci guadagnare un tesoro in Cielo. Inoltre l’uso discreto della elemosina. Bisogna ‘dare’ a chi ha bisogno senza preoccuparsi del proprio futuro economico perché Dio sa e provvede e bisogna avere fiducia nella Sua Provvidenza.
Nel sesto discorso il tema della scelta fra il Bene e il Male, scelta che dipende dal libero arbitrio dell’uomo, per cui l’uomo deve decidere fra Dio e Satana.
Il Male viene dal Disordine provocato da Lucifero con la sua ribellione in Cielo e dal Disordine causato dalla ribellione dei Due Progenitori nel Paradiso terrestre, ribellione che ha dato origine al Peccato originale. Quindi sono stati affrontati gli argomenti dell’adulterio e del divorzio con le gravi conseguenze che comportano per ognuno dei coniugi e per i figli.
Il matrimonio degli sposi che Dio ha unito deve rimanere indissolubile nella buona come nella cattiva sorte. Bisogna sopportare le incomprensioni reciproche con spirito di sacrificio, così come si sopportano certe disgrazie e certe malattie.
Durante questo discorso in cui si parlava di adulterio e divorzio abbiamo fatto conoscenza di Maria di Magdala: prima, donna ‘lussuriosa’, e poi mistica e asceta.
Il settimo discorso è l’ultimo, quello della importanza del fare sempre la volontà di Dio, ubbidendogli in ciò che Egli ci chiede.
Il Discorso della montagna era cominciato – nel calendario ebraico – il giorno dopo il sabato e si conclude sette giorni dopo, nel sabato. Un discorso importante, molto breve ma denso di significati, come in seguito vedremo, poiché il tema trattato di ubbidire a Dio amando la Sua Volontà si potrebbe dire che riassuma in sé tutti i Comandamenti e gli insegnamenti della Dottrina cristiana.
Leggiamo dunque quanto descrive la nostra mistica nella sua visione (i grassetti sono miei):2
1 giugno 1945.
Gesù nella notte si è alquanto dilungato risalendo il monte, di modo che l'aurora lo mostra ritto su uno scrimolo. Pietro, che lo vede, lo accenna ai compagni ed essi salgono verso di Lui.
«Maestro, perché non sei venuto con noi?» chiedono in diversi.
«Avevo bisogno di pregare»
«Ma hai anche tanto bisogno di riposare».
«Amici, nella notte una voce è venuta dai Cieli chiedendo preghiera per i buoni e per i malvagi, ed anche per Me stesso».
«Perché? Che ne hai bisogno Tu?».
Gesù è molto triste e guarda i suoi con occhio che pare supplichi chiedendo qualcosa, o che interroghi. Si posa su questo e su quello e in ultimo si posa su Giuda Iscariota fermandovisi.
L'apostolo lo nota e chiede: « Perché mi guardi così?».
«Non vedevo te. Il mio occhio contemplava un'altra cosa...».
«Ed è?».
«Ed è la natura del discepolo. Tutto il bene e tutto il male che un discepolo può dare, può fare per il suo maestro. Pensavo ai discepoli dei Profeti e a quelli di Giovanni.
E pensavo ai miei propri. E pregavo per Giovanni, per i discepoli e per Me...».
«Sei triste e stanco questa mattina, Maestro. Di' a chi ti ama il tuo affanno» invita Giacomo di Zebedeo.
«Sì, dillo, e se c'è cosa che si possa fare per sollevarlo noi lo faremo» dice il cugino Giuda.
Pietro parla con Bartolomeo e Filippo, ma non capisco ciò che dicono.
Gesù risponde: «Essere buoni, sforzatevi ad essere buoni e fedeli. Ecco il sollievo. Non ce ne è nessun altro, Pietro. Hai inteso? Deponi il sospetto. Vogliatemi e vogliatevi bene, non vi fate sedurre da chi mi odia, vogliate soprattutto bene alla volontà di Dio».
«Eh! ma se tutto viene da quella, anche i nostri errori verranno da quella!» esclama Tommaso con aria di filosofo.
«Lo credi? Non è così. Ma molta gente si è destata e guarda qui. Scendiamo. E santifichiamo il giorno santo con la parola di Dio».
Scendono mentre i dormenti si destano in numero sempre più numeroso. I bambini, allegri come passerotti, già cinguettano correndo e saltando fra i prati, bagnandosi ben bene di rugiada tanto che qualche scappellotto vola, con relativo pianto. Ma poi i bambini corrono verso Gesù che li carezza ritrovando il suo sorriso, quasi rispecchiasse in Sé quelle gaiezze innocenti. Una bambina gli vuole mettere alla cintura il mazzetto di fiori colto nei prati «perché la veste è più bella così» dice, e Gesù la lascia fare nonostante che gli apostoli brontolino, anzi Gesù dice: «Ma siate contenti che essi mi amino! La rugiada leva la polvere dai fiori. L'amore dei bambini leva le tristezze dal mio cuore».
Arrivano contemporaneamente, in mezzo ai pellegrini, Gesù venendo dal monte e lo scriba Giovanni venendo dalla sua casa con molti servi carichi di ceste di pane e altri con ulive, formaggelle e un agnellino, o caprettino che sia, arrostito per il Maestro.
Tutto viene deposto ai piedi dello Stesso, che ne cura la distribuzione, dando ad ognuno un pane e una fetta di formaggio con un pugno di ulive; ma ad una madre, che ha ancora al petto un grasso puttino che ride coi suoi dentini novelli, dà col pane un pezzo di agnello arrostito, e così fa con altri due o tre che gli paiono bisognosi di particolare ristoro.
«Ma è per Te, Maestro» dice lo scriba.
«Ne gusterò, non dubitare. Ma vedi... se Io so che la tua bontà è per molti mi si aumenta il sapore».
La distribuzione finisce e la gente sbocconcella il suo pane, riserbandosene il resto per le altre ore. Anche Gesù beve un poco di latte, che lo scriba gli vuole versare in un tazza preziosa da una fiaschetta che porta un servo (pare un orciolo).
«Però mi devi accontentare dandomi la gioia di udirti» dice Giovanni lo scriba, che è stato salutato da Erma con uguale rispetto e con un rispetto ancora maggiore da Stefano.
«Non te lo nego. Vieni qui contro» e Gesù si addossa al monte e inizia a parlare.
«La volontà di Dio ci ha trattenuti in questo luogo perché andare oltre, dopo il già fatto cammino, sarebbe stato ledere i precetti e dare scandalo. E ciò mai non sia finché il nuovo Patto non sarà scritto. E’ giusto santificare le feste e lodare il Signore nei luoghi della preghiera. Ma tutto il creato può essere luogo di preghiera se la creatura sa farlo tale con la sua elevazione al Padre. Fu luogo di preghiera l'arca di Noè alla deriva sui flutti, e luogo di preghiera il ventre della balena di Giona. Fu luogo di preghiera la casa del Faraone quando Giuseppe vi visse e la tenda di Oloferne per la casta Giuditta. E non era tanto sacro al Signore il luogo corrotto dove viveva schiavo il profeta Daniele, sacro per la santità del suo servo che santificava il luogo, da meritare le alte profezie del Cristo e dell'Anticristo, chiave dei tempi d'ora e dei tempi ultimi ?3
Con più ragione santo è questo luogo che coi colori, coi profumi, con la purezza dell'aria, la ricchezza dei grani, le perle delle rugiade, parla di Dio Padre e Creatore, e dice: "Credo. E voi vogliate credere perché noi testimoniamo Iddio". Sia dunque la sinagoga di questo sabato, e leggiamovi le pagine eterne sopra le corolle e le spighe, avendo a lampada sacra il sole.
Vi ho nominato Daniele. Vi ho detto: "Sia questo luogo la nostra sinagoga". Ciò richiama il gioioso "benedicite" dei tre santi fanciulli fra le fiamme della fornace: "Cieli ed acque, rugiade e brine, ghiacci e nevi, fuochi e colori, luci e tenebre, folgori e nuvole, monti e colline, tutte le cose germinate, uccelli, pesci e bestie, lodate e benedite il Signore, insieme agli uomini di umile e santo cuore".
Questo il riassunto del cantico santo che tanto insegna agli umili e santi. Possiamo pregare e possiamo meritare il Cielo in ogni luogo. Lo meritiamo quando facciamo la volontà del Padre.
Quando il giorno aveva inizio mi fu fatto osservare che, se tutto viene da volontà divina, anche gli errori degli uomini sono voluti da quella. Questo è errore, e errore molto diffuso.
Può mai un padre volere che il figlio si renda riprovevole? Non lo può. Eppure noi vediamo anche nelle famiglie che alcuni figli si rendono riprovevoli, pur avendo un padre giusto che prospetta loro il bene da farsi e il male da sfuggire. E nessun che sia retto accusa il padre di avere spronato il figlio al male.
Dio è il Padre, gli uomini i figli. Dio indica il bene e dice: "Ecco, Io ti metto in questa contingenza per tuo bene", oppure anche, quando il Maligno e gli uomini suoi servi procurano sventure agli uomini, Dio dice: "Ecco, in quest'ora penosa, tu agisci così; e così facendo, servirà questo male ad un eterno bene".
Vi consiglia. Ma non vi forza. E allora se uno, pur sapendo ciò che sarebbe la volontà di Dio, preferisce fare tutto l'opposto, si può dire che questo opposto sia volontà di Dio? Non si può.
Amate la volontà di Dio. Amatela più della vostra e seguitela contro le seduzioni e le potenze delle forze del mondo, della carne e del demonio. Anche queste cose hanno la loro volontà. Ma in verità vi dico che è ben infelice chi ad esse si piega.
Voi mi chiamate "Messia" e "Signore". Voi dite di amarmi e mi osannate. Voi mi seguite e ciò pare amore. Ma in verità vi dico che non tutti fra voi entreranno meco nel Regno dei Cieli. Anche fra i miei più antichi e prossimi discepoli4 vi saranno di quelli che non vi entreranno, perché molti faranno la loro volontà o la volontà della carne, del mondo e del demonio, ma non quella del Padre mio.
Non chi mi dice: "Signore! Signore!" entrerà nel Regno dei Cieli, ma coloro che fanno la volontà del Padre mio. Questi soli entreranno nel Regno di Dio.5
Verrà un giorno in cui Io che vi parlo, dopo essere stato Pastore, sarò Giudice.
Non vi lusinghi l'aspetto attuale.6 Ora il mio vincastro aduna tutte le anime disperse ed è dolce per invitarvi a venire ai pascoli della Verità. Allora il vincastro sarà sostituito dallo scettro del Giudice Re e ben altra sarà la mia potenza.
Non con dolcezza ma con giustizia inesorabile Io allora separerò le pecore pasciute di Verità da quelle che mescolarono Verità ad Errore o si nutrirono solo di Errore.
Una prima volta e poi una ancora Io farò questo. E guai a coloro che fra la prima e la seconda apparizione davanti al Giudice non si saranno purgati, non potranno purgarsi dai veleni. La terza categoria non si purgherà. Nessuna pena potrebbe purgarla. Ha voluto solo l'Errore e nell'Errore stia. Eppure allora fra questi vi sarà chi gemerà: "Ma come, Signore? Non abbiamo noi profetato in tuo nome, e in tuo nome cacciato i demoni, e fatto in tuo nome molti prodigi?".7
Ed Io allora molto chiaramente dirò ad essi: "Sì. Avete osato rivestirvi del mio Nome per apparire quali non siete. Il vostro satanismo lo avete voluto far passare per vita in Gesù. Ma il frutto delle vostre opere vi accusa. Dove sono i vostri salvati? Le vostre profezie dove si sono compiute?
I vostri esorcismi a che hanno concluso? I vostri prodigi che compare ebbero? Oh! ben egli è potente il Nemico mio! Ma non è da più di Me. Vi ha aiutati ma per fare maggior preda, e per opera vostra il cerchio dei travolti nell'eresia si è allargato. Sì, avete fatto prodigi. Ancor più apparentemente grandi di quelli dei veri servi di Dio, i quali non sono istrioni che sbalordiscono le folle, ma umiltà e ubbidienze che sbalordiscono gli angeli.
Essi, i miei servi veri, con le loro immolazioni non creano i fantasmi, ma li debellano dai cuori; essi, i miei servi veri, non si impongono agli uomini, ma agli animi degli uomini mostrano Iddio.
Essi non fanno che fare la volontà del Padre e portano altri a farla, così come l'onda sospinge e attira l'onda che la precede e quella che la segue, senza mettersi su un trono per dire: 'Guardate'. Essi, i miei servi veri, fanno ciò che Io dico, senza pensare che a fare, e le loro opere hanno il mio segno di pace inconfondibile, di mitezza, di ordine. Perciò posso dirvi: questi sono i miei servi; voi non vi conosco. Andatevene lungi da Me voi tutti, operatori di iniquità.
Questo dirò Io allora. E sarà tremenda parola. Badate di non meritarvela e venite per la via sicura, benché penosa, dell'ubbidienza verso la gloria del Regno dei Cieli.
Ora godetevi il vostro riposo del sabato lodando Dio con tutti voi stessi. La pace sia con tutti voi».
E Gesù benedice la folla prima che questa si sparga in cerca di ombra, parlando fra gruppo e gruppo, commentando le parole udite. Presso Gesù restano gli apostoli e lo scriba Giovanni, che non parla ma medita profondamente, studiando Gesù in ogni suo atto.
E il ciclo del Monte è finito.


1  M.V.: 'Quadernetti' - 48.34 - 23.10.48 - Centro Editoriale Valtortiano
2  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. III, Cap. 176 – Centro Editoriale Valtortiano
3  N.d.A.: Tutte le precedenti citazioni bibliche del Gesù valtortiano (Diluvio, Arca di Noé alla deriva sui flutti, Giona nel ventre della balena, ecc.), testimoniano la verità degli episodi biblici citati, non frutto di ‘racconti mitologici’, come sostiene l’Ateismo militante.
4  N.d.A.: Forse riferimento velato a Giuda Iscariote.
5  Mt 7, 21-23: 21Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. 22Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? 23Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
6  N.d.A.: L’avvertimento di Gesù a non illudersi sul giudizio di Dio basandosi sul suo ‘aspetto’ attuale si comprende meglio alla luce del fatto che il Verbo Incarnato-Gesù stava svolgendo in quel momento in terra una missione di Misericordia. Era venuto per insegnare come Maestro e per salvare, non per condannare. Ma sarebbe arrivato il momento in cui Egli si sarebbe mostrato alle anime in ben altra terribile maniera, quella della Giustizia divina, una prima volta nel momento della nostra morte fisica e una seconda volta nel momento del Giudizio universale quando – con la resurrezione dei corpi – avrebbe emesso il verdetto finale: salvi o dannati, in anima e corpo.
7  Mt 7, 22-23: Vedi testo nota precedente su Mt 7, 21-23

10.2 Gli errori degli uomini – in effetti - non derivano dalla volontà divina. Dio è Padre e nessun padre vorrebbe il male per un figlio. Dio consiglia ma non forza, perché vuole che l’uomo sia libero, e se errore viene fatto è perché l’uomo anziché la volontà di Dio segue la propria volontà. Quella dei sensi, del mondo e del demonio.
Anche se breve, la visione ed il precedente discorso di Gesù si presta ad alcune riflessioni.
In primo luogo colpisce ancora una volta il fatto che non di rado nei Vangeli concetti molto importanti espressi da Gesù abbiano avuto l’onore di una sola breve citazione. Ciò lo possiamo ancora una volta qui constatare paragonando i seguenti tre versetti di Matteo ai concetti similari espressi da Gesù nel suo discorso dove i tre versetti trovano spazio in un contesto ben più ampio ed intellettualmente elaborato:
Mt 7, 21-22-23:
21Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
22Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome?
23Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
I Vangeli sinottici di Matteo, Marco e Luca – del resto - hanno trascurato altri discorsi molto importanti di Gesù, fatto al quale ha poi posto in parte rimedio Giovanni con il suo Vangelo di alcuni decenni dopo.
In secondo luogo si rileva l’esigenza per Gesù della preghiera notturna, nel silenzio della natura, sotto un cielo stellato, come quello delle notti della Palestina, quando è più facile raccogliersi in Dio in solitari colloqui spirituali.
Il pregare – per Gesù Uomo-Dio - era davvero un bisogno non solo dettato da una esigenza di amore verso il Padre ma perché era dalla Preghiera che Egli – umanamente parlando - traeva Forza.
Durante la preghiera di quella notte – che in Gesù era sempre unione intima con il Padre – Questi gli aveva fatto una triplice rivelazione: due nomi ed un dolore per Gesù.
Gesù – agli apostoli che si preoccupavano sempre del fatto che la mancanza di sonno gli togliesse ulteriori forze - risponde confermando il suo bisogno di pregare e che in quella notte una Voce era venuta dai Cieli chiedendo preghiera per i buoni e per i malvagi, e anche per Se stesso.
Gesù si fa triste, il suo sguardo si posa sui propri discepoli ma si sofferma alfine pensieroso su Giuda. Questi, sentendosi osservato in quel modo, gli chiede perché Egli lo guardi così.
Gesù risponde evasivamente:
«Non vedevo te. Il mio occhio contemplava un'altra cosa...».
«Ed è?».
«Ed è la natura del discepolo. Tutto il bene e tutto il male che un discepolo può dare, può fare per il suo maestro. Pensavo ai discepoli dei Profeti e a quelli di Giovanni. E pensavo ai miei propri. E pregavo per Giovanni, per i discepoli e per Me...».
Inutile cercare di indovinare con esattezza, ma dal contesto generale di quanto dice Gesù e da quanto sappiamo che avverrà in seguito, forse non è sbagliato pensare che il Padre abbia parlato a Gesù dei discepoli traditori (i ‘due nomi’ ai quali Egli accenna: vale a dire Giuda Iscariote e un altro discepolo di Giovanni Battista) discepoli che avrebbero portato alla morte sia Gesù che Giovanni Battista della cui futura decapitazione forse Gesù viene informato dal Padre.
Un discepolo di Giovanni - come si apprenderà in seguito dall’Opera valtortiana – tradirà infatti il Precursore e lo farà arrestare segnalando ai soldati di Erode il luogo dove egli - ricercato - si era rifugiato dopo essere già stato messo in libertà in occasione di un arresto precedente.
Giovanni si era infatti poi dato alla macchia nascondendosi in un rifugio segreto nei boschi per sottrarsi ad ulteriori ricerche dei soldati di Erode Antipa, continuamente sobillato da Erodiade, la quale non perdonava a Giovanni la pubblica denuncia di Erode che era licenzioso e si era messo insieme a lei, moglie di suo fratello Filippo. 1
E’ dopo questo secondo arresto che Giovanni Battista, detenuto in carcere a Gerusalemme, verrà decapitato2 dopo il famoso sensuale ballo a corte da parte di Salomé che - istigata da sua madre Erodiade - chiese poi la testa del Profeta ad Erode che, esaltato da un ballo lascivo, si era pubblicamente dichiarato pronto ad esaudire ogni suo desiderio, qualunque cosa lei gli avesse chiesto.
Quanto all’apostolo Giuda - dopo una sua iniziale infatuazione verso un Gesù-Messia che egli credeva destinato a divenire un re ‘umano’: cioè un Liberatore politico dai nemici di Israele e dai dominatori romani e non un Liberatore dal Demonio - dall’Opera valtortiana si può seguire con estrema precisione di particolari la sua progressiva delusione e regressione morale e spirituale fino alla delazione e tradimento finali.
Questo fatto – e cioè il tradimento del suo apostolo ed amico – sarà per Gesù uno dei dolori più atroci, aggravato dal sapere poi in anticipo che a nulla sarebbero serviti i suoi sforzi per salvarlo dall’Inferno, e questo perché Giuda – coscientemente, lucidamente – non avrebbe voluto fare la volontà di Dio preferendo la propria.
Il concetto dell’importanza del fare – amandola - la Volontà di Dio, viene ribadito ripetutamente da Gesù in questo discorso, anche perché – dopo aver invitato gli apostoli ad essere buoni volendosi bene fra di loro ma volendo soprattutto bene alla volontà di Dio - l’apostolo Tommaso aveva in precedenza osservato con fare ‘filosofico’ che se tutto dipende dalla volontà di Dio, anche i nostri errori ne sono una conseguenza, sottintendendo implicitamente che l’uomo alla fin fine non è responsabile degli errori che compie – come infatti sostengono alcuni eretici – visto che Dio non ha impedito il Peccato originale dei primi Due Progenitori ed il conseguente ‘male’ compiuto dai loro discendenti.
Gesù risponde a Tommaso che non è così ma poi non completa il suo pensiero e continua a scendere verso la folla ‘per santificare il giorno del Signore’ con un suo ulteriore discorso che abbiamo visto prendere lo spunto proprio dalla osservazione che aveva fatto Tommaso.
Gli errori degli uomini – in effetti - non derivano dalla volontà divina. Dio è Padre e nessun padre vorrebbe il male per un figlio. Dio consiglia ma non forza, perché vuole che l’uomo sia libero, e se errore viene fatto è perché l’uomo anziché la volontà di Dio segue la propria volontà. Quella dei sensi, del mondo e del demonio.
Gesù ripete e ‘tambureggia’ su questo concetto della necessità di ubbidire a Dio facendo la Sua Volontà, perché questa ubbidienza, anche se spesso penosa, sarà quella che procurerà all’uomo la gloria in Cielo.
Vediamo allora di meditare questo tema che in questa specifica occasione non viene ulteriormente approfondito da Gesù contrariamente a quanto invece Egli fa o comunque viene fatto anche dallo Spirito Santo e dall’Angelo Custode Azaria in altri passi dell’Opera valtortiana, come nei ‘Quaderni’, nelle ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’, e nel ‘Libro di Azaria’.
Lo Spirito Santo – che commenta alla mistica l’Epistola di Paolo ai Romani3 - esprime ad esempio un concetto che si può ‘parafrasare’ nei termini seguenti.
Dio ha fatto buone tutte le cose. Ma perché non tutte le cose sembrano buone?
Perché è l’uomo che le rovina avendo non solo un carattere che non rispetta la legge morale naturale, ma anche un’anima spirituale che non accetta la legge divina in quanto l’uomo non vuole servire la volontà di Dio.
Tutti gli uomini, anche i non cristiani, sono predestinati alla Grazia e quindi in teoria alla Salvezza eterna, ma dipende poi dal loro libero arbitrio il fare la volontà di Dio e salvarsi.
Dio – con la predestinazione alla Grazia – ci offre l’opportunità della salvezza, ma questa, noi uomini, ce la dobbiamo poi guadagnare facendo la sua volontà che sappiamo essere quella dell’ottemperanza almeno alla Legge dei Dieci Comandamenti.
In un altro passo4 delle sue già citate ‘lezioni’ lo Spirito Santo spiega che è sempre la volontà dell’uomo quella che decide la sua sorte futura ed eterna.
Adamo decadde per suo volere, Caino fu fratricida per suo volere come del resto fu il ‘malvolere’ di Ismaele che ne causò l’espulsione dalla tribù di Abramo5 e ne fece il generatore di ‘figli della carne’, essendosi congiunto ad una ‘donna d’Egitto’, cioè una egiziana idolatra.
Con il passare dei secoli anche Israele avrebbe compiuto lo stesso errore contraendo nozze con donne straniere ed idolatre, creando in tal modo le premesse per lo scisma politico e religioso che divise per secoli il Regno di Giuda ed il Regno di Israele.
Tutto ciò non fu imputabile ad un mutamento della volontà di Dio ma alla libera volontà dell’uomo che può scegliere ciò che a lui più piace: carne o spirito, mondo o Cielo, satana o Dio.
Anche gli ebrei del tempo di Cristo – aggiunge in un’altra occasione lo Spirito Santo6 - respinsero la volontà di Dio facendone derivare errore.
Essi avevano avuto infatti una conoscenza anticipata, grazie ai profeti, non solo delle futura venuta del Messia ma - come abbiamo visto commentando in precedenza la profezia delle ‘settanta settimane’ di Daniele – anche del suo avveramento proprio negli anni in cui il Messia-Gesù si manifestò.
Gli ebrei però non lo accolsero, lo respinsero come un peccatore, perché erano divenuti duri di cuore e superbi, avevano quindi già respinto Dio e non avevano voluto abbandonarsi alla sua volontà, nonostante Gesù avesse dato prove innegabili della sua divinità, come ad esempio quelle della resurrezione di Lazzaro, della autoresurrezione di Sé stesso e della Sua Ascensione al Cielo.
In un altro passo lo Spirito Santo spiegherà infatti che ‘abbandonarsi alla Divina Volontà’ è anche accettare la Dottrina di Gesù che aveva fatto miracoli di tale grandezza e portato una Dottrina di tale sublimità da non consentire di pensare, tranne in caso di ignoranza o malafede, che la sua non fosse stata Dottrina divina e – conseguentemente – ‘volontà divina’.
Il fatto – dice ancora lo Spirito Santo7 - è che vi è chi è ricco e chi è povero, chi è malato e chi è sano, chi è felice e chi infelice, ed inoltre chi dà la colpa a Dio delle ingiustizie della società, ma la vera colpa non è di Dio ma degli uomini che non credono, non sperano, non amano più Dio e la Sua Legge. Ogni dolore deriva dall’uomo decaduto a causa del Peccato originale le cui conseguenze sui discendenti hanno portato a tutti gli altri peccati, al mancato rispetto della legge naturale e spirituale, non volendo più l’uomo – insiste lo Spirito Santo - obbedire alla volontà di Dio.
La Volontà di Dio - aggiunge lo Spirito Santo8 - si può facilmente identificare nella Legge del Decalogo.
Abbandonarsi, fare la sua Volontà significa dunque rispettare questa Legge.
Ma per abbandonarsi veramente alla volontà di Dio bisogna rispettare la ‘perfezione’ della Legge, vale a dire i due Comandamenti dati dallo stesso Gesù:
1) amare il Signore con tutto il nostro cuore, tutta la nostra anima, tutta la nostra mente,
2) amare il prossimo come noi stessi.
In definitiva9 per fare la volontà di Dio bisogna essere uomini di ‘buona volontà’, la quale consente di salvarsi.

1 N.d.A.: Si apprende sempre dall’Opera che Giovanni Battista (perseguitato da Erodiade1  - convivente di Erode Antipa, figlio di Erode il Grande e precedente moglie di Filippo fratello di Erode) dopo un suo primo arresto e detenzione in carcere e successiva liberazione con pagamento di riscatto, fu nuovamente catturato, tradotto nel carcere di Gerusalemme per essere infine giustiziato mediante decapitazione, come narrano i Vangeli. Erodiade ne aveva voluto la testa, non perdonando a Giovanni la pubblica denuncia della sua vita licenziosa con Erode Antipa.
2  N.d.R.: L’uccisione di Giovanni Battista: M.V.: ‘L’Evangelo…’ – Cap. 270.3 – C.E.V.
3  M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – 25.4.50, p. 226 – Romani c. 8° v. 28-30 – C.E.V.
4  M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – 2.6.50, p. 232 – Romani c. 9° v. 1-13 – C.E.V.
5  Gn 21, 8-21: N.d.A.: Attiro l’attenzione su questo concetto dello Spirito Santo che riguarda Ismaele. Dal brano citato della Genesi 21, 8-21 emerge che a causa degli attriti fra i due giovani figli di Abramo, Isacco figlio di Sara ed Ismaele figlio della egiziana Agar, e ciò a causa del cattivo carattere di Ismaele, Sara – moglie legale di Abramo – pretese che la serva Agar e suo figlio fossero allontanati dalle loro tende non volendo essa, peraltro, che neanche l’eredità di Abramo andasse a favore di Ismaele. Dio fece sapere ad Abramo di accontentare Sara perché Egli avrebbe comunque protetto Agar facendo di suo figlio Ismaelepur sempre ‘seme’ di Abramo’ - il capostipite di una razza fiera e forte, in quanto lo stesso Ismaele sarebbe divenuto un ‘tiratore d’arco’, vale a dire un grande guerriero. Questa è infatti una caratteristica delle popolazioni discendenti da Ismaele (gli arabi ed estensivamente gli islamici odierni), bellicose ed indomite. La loro esistenza e ruolo – fatto che potrebbe meravigliare oggi molti - rientra dunque già da allora nei misteriosi progetti di Dio per l’Umanità.
6  M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – 29.10.50, p. 267- Rm Cap. XI, v. 1-24 – C.E.V.
7  M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – 22.6.50, p. 243/244 - Rm Cap. IX, v. 19-24 – C.E.V.
8  M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – 29.5/3.6.48, p. 153 - Rm Cap. VII, v. 14-25 – C.E.V.
9  M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – 26.1.50, p. 200 - Rm Cap. VIII, v. 6-7-8 – C.E.V.

10.3 Gesù: «La Volontà di Dio è lo strumento che fa di voi, fibre inselvatichite, stoffe preziose e preziose lane».
Oggi vi sono i materassi a molle e anche a doghe, ma una volta molti materassi erano imbottiti con crine o lana.
Vi era l’uso, periodicamente, di rifare i materassi di lana scucendone la ‘fodera’ di tela, rimettendo in ordine all’interno la lana che nell’inverno si era compressa rendendo il materasso duro, ricucendone infine la tela.
Era un lavoro che facevano le donne di casa, specie nelle campagne, ogni uno o due anni, affidando talvolta il materasso a dei ‘lanaioli cardatori’ e stando bene attente che nessuno di costoro cambiasse la buona lana del materasso con altra di meno buona qualità.
L’operazione consisteva nel liberarli dalle impurità e districare le fibre tessili, utilizzando degli arnesi, chiamati cardacci, costituiti da due asticelle di legno dotate di impugnatura e irte di chiodi che – con in mezzo l’ammasso della lana - venivano sfregate l’una contro l’altra per ‘scioglierla’ e districarla rendendola 'vaporosa' e morbida.
Se la lana avesse potuto parlare avrebbe ‘urlato’ dal dolore.
A questo proposito, ricordo una spiegazione che il Gesù valtortiano aveva utilizzato per far comprendere come lavorasse su di noi la Volontà di Dio.
Gesù, nei suoi Dettati, aveva a volte il tono ed il ‘taglio’ oratorio del Dio che parla in maniera autorevole ed in un certo senso imponente quando non anche molto severa, ma molto spesso usava ammaestrare la mistica, anima vittima, con un modo di parlare quasi fraterno, da amico, direi anche molto ‘famigliare’, parlando a lei ma nello stesso tempo a noi che un giorno avremmo letto i suoi scritti.
Comunque - a proposito della nostra anima e del come su di essa agisce la Volontà di Dio - Gesù aveva detto alla nostra mistica (i grassetti sono miei):1
Dice Gesù:
«Hai mai visto come fanno coloro che vogliono avere della lana soffice per i loro sonni?
Chiamano il materassaio, il quale batte e ribatte la lana finché è tutta una spuma. Più la lana è battuta energicamente e più diviene soffice e pulita, perché la polvere e i detriti cascano al suolo e i bioccoli restano ben mondi e spumosi.
Lo stesso, peggio ancora, lo si fa se quella lana la si vuole filare o tessere. Allora entra in opera anche il pettine di ferro, che districa rudemente la lana e la rende stesa come capelli ben pettinati.
Così fa chi fila lino e canapa; e persino la seta del bozzolo, per essere usata, deve prima subire il tormento dell’acqua bollente, della spazzola ruvida e della macchina che la torce.
Anima mia, se questo è necessario fare per delle fibre naturali onde farsi vesti e giacigli, come non deve farsi lo stesso con la vostra anima per lavorarla alla vita eterna? Voi siete una fibra ben più preziosa del lino, della canapa e della lana. Da voi deve uscire la stoffa di vita eterna.
Ma, non per imperfezione divina – poiché Dio crea le cose perfette – sibbene per imperfezione vostra, le vostre anime sono selvagge, arruffate, piene di asprezze, di detriti, di polvere, non atte, insomma, ad essere usate per la Città divina dove tutto è perfetto.
Perciò la previdenza, la provvidenza, la bontà paterna del vostro Dio vi lavora. Con che? Con la sua Volontà.
La Volontà di Dio è lo strumento che fa di voi, fibre inselvatichite, stoffe preziose e preziose lane.
Vi lavora in mille modi: offrendovi delle croci, illustrandovi il bello di una mortificazione e attirandovi con il suo invito a compierla, guidandovi con le sue ispirazioni, mortificandovi col suo paterno castigo, torcendovi colla guida dei comandamenti.
Questi, con la loro necessità che per volgere di secoli non cambia forma e vigore, sono proprio quelli che fanno di voi un filato resistente e regolare, atto a formare la stoffa di vita eterna.
Le altre cose, poi, formano la stoffa di vita eterna, e più voi siete docili alla volontà del Signore e più la stoffa si fa preziosa.
Quando poi non solo la seguite con docilità, questa Volontà benedetta che opera sempre per vostro bene, ma con tutte le vostre forze chiedete a Dio di farvela conoscere perfettamente per perfettamente eseguirla, costi quel che costi e abbia la forma anche più contraria alla vostra umanità, quando agite così la stoffa si orna di ricami come un broccato.
Se poi a tutto questo aggiungete la perfezione di chiedere per voi una Volontà di dolore per essere simili a Me nell’opera di redenzione, allora nel broccato inserite gemme di incalcolabile valore e della vostra originaria firma imperfettissima fate un capolavoro di vita eterna.
Ma, o Maria, quante poche le anime che si sanno far lavorare da Dio!
Dio ha per voi sempre mano di Padre perfettissimo nell’amore e opera con Intelligenza divina.
Sa quindi fino a che punto può calcare la mano, e quale dose di forza vi deve infondere per rendervi atti a subire le operazioni divine.
Ma quando l’uomo si ricusa al buon Padre che avete nei Cieli, quando si ribella alla sua Volontà, quando annulla col peccato i doni di forza che il Padre gli dona, come può il Padre che è nei Cieli lavorare quell’anima?
Essa rimane selvaggia, si carica anzi più di grovigli e di impurità. E Io piango su lei vedendo che nulla, neppure il mio Sangue, effuso per tutti, la rigenera alla bontà.
Quando poi un’anima non solo si rifiuta al lavoro di Dio ma cova in sé astio per il Padre e per i fratelli, allora l’opera Nostra scompare totalmente e si insedia, in quel groviglio di passioni sregolate, il Padrone del peccato: Satana.
E’ allora che deve subentrare l’opera paziente e generosa delle vittime.
Queste lavorano per sé e per gli altri. Queste ottengono che Dio torni, con miracolo di grazia, a lavorare quell’anima dopo aver fugato Satana col fulgore del suo aspetto.
Quante sono le anime che le vittime mi salvano! Siete i mietitori soprannaturali che mietete messe di vita eterne consumandovi nell’ingrato lavoro pieno di spine. Ma ricorda che quelli per cui occorre sacrificare se stessi per primi sono quelli del nostro sangue.
Io non ho distrutto i legami di famiglia. Li ho santificati.
Ho detto di amare i parenti di amore soprannaturale. E quale più alto amore, di avere carità delle anime malate del nostro sangue?
Ti parrebbe normale colui che facesse gli interessi di tutti meno quelli della sua casa?
No: diresti che è un pazzo.
Lo stesso è fuori della giustizia che uno provveda per i bisogni spirituali del suo prossimo lontano e non metta in prima linea il suo sangue più stretto.
Sai come regolarti. Non curarti se riceverai ingratitudine. Quello che non ti darà lei te lo darò Io. Intensifica il sacrificio per lei

A me era sembrato di avervi spiegato più sopra a sufficienza la ‘tecnica’ del materassaio, ma dobbiamo ammettere che – per come la spiega poi Gesù, ‘Materassaio’ per eccellenza – Lui la conosce molto meglio.
Anche da questo brano emergono alcune interessanti considerazioni.
La prima che mi viene in mente è che nel valutare le difficoltà e gli ostacoli che incontriamo nella nostra vita, dovremmo sempre chiederci se si tratti di ostacoli ‘naturali’, che fanno parte oggettiva di una normale vita, oppure di ostacoli all’apparenza ‘naturali’ ma in realtà messi apposta lì da Dio per scoraggiarci dal prendere una certa decisione e indurci a seguire un altro percorso, prevedendo Egli in anticipo che quello scelto da noi porterebbe a risultati negativi per la nostra anima o per quelle altrui.
Di fronte a questi ostacoli, tenendo conto di questo dubbio, dovremmo imparare ad assumere – se necessario – non tanto un atteggiamento di remissione passiva di tipo fatalistico, quanto invece un abbandono alla Volontà di Dio, dicendogli che non capiamo ma che comunque desideriamo che sia fatta la sua Volontà.
Egli prenderà atto della nostra disponibilità e richiesta di aiuto, saprà come risolvere il nostro dubbio e farci comprendere meglio quale sia la cosa giusta da fare.
Una cosa che alcuni possono avere difficoltà a capire, anche perché non si pongono a fondo il problema, è che Dio Padre - se noi ci abbandoniamo fiduciosamente alla sua Volontà - si fa in quattro per aiutarci, dandoci forze ed aiuti di vario genere, per cui quella certa cosa che a noi era sembrata sgradita ci apparirà tutto sommato accettabile, anzi preferibile, del tutto superabile.
La seconda considerazione è quella che il nostro impegno a rispettare i dieci comandamenti è già di per se stesso una bella ‘cardatura’ atta a preparare il filato necessario a formare la ‘stoffa’ per avere però la quale servono le ‘croci’ della vita, accettate e se possibile offerte, insieme alle mortificazioni, alle ispirazioni ed ai ‘paterni’ castighi di Dio, paterni perché dati a fin di bene.
Quanto al proseguimento del lavoro per trasformare la nostra ‘stoffa spirituale’ in broccato, poi in broccato con gemme con il chiedere al Signore addirittura una ‘volontà di dolore’ per essere simili a Lui nell’Opera di Redenzione, bisogna sapere che non dipende da noi ottenere la missione di ‘anima-vittima’, come ad esempio quella della Valtorta, ma corrisponde ad una specifica chiamata del Signore.
Una persona ‘normale’ e ‘sana di mente’ non si sognerebbe mai – umanamente parlando - di voler diventare un’anima-vittima.
Quando una tal persona lo chiede e si offre – anche se pensa di essere lei a chiederlo o ad accettare una richiesta del Signore – è perché sta già rispondendo senza saperlo ad una interiore chiamata divina, chiamata che questa persona potrebbe ‘avvertire’ dentro di sé come un proprio desiderio ‘vocazionale’.
E’ grazie alle anime-vittima che si possono spiegare tante conversioni ‘miracolose’ - inaspettate ed inspiegabili - di incalliti impenitenti. Sono elargite da Dio, ma grazie alle ‘raccomandazioni’ di chi prega o soffre per costoro nell’ambito della Comunione dei Santi.
Un altro aspetto ancora che meriterebbe riflessione è quello per cui Dio – alle anime-vittima che si offrono – concede il dono di favorire la conversione e quindi la salvezza innanzitutto ai loro cari.
Dio, oltre che buono, è anche ‘psicologo’ e vuole con ciò dare – ragionando umanamente – un ulteriore incentivo e premio umano a chi per amore di Dio e del prossimo si fa vittima.
Vi pare logico che il Dio che accetta le preghiere di un’anima-vittima per gli altri non voglia gratificare la sua ‘collaboratrice’ donando grazie ai suoi parenti più stretti?
Quindi – anime-vittima o meno – non è egoismo pregare innanzitutto per i propri cari, specie se alla preghiera si vogliono unire ed offrire dei sacrifici che, se pur non sono quelli delle vittime totalmente votate, vengono sempre apprezzati dal Signore.
Quanto alla frase finale di Gesù che invita la mistica a non preoccuparsi della ingratitudine… di ‘lei’, questo ‘lei’ è riferito alla mamma della scrittrice che con la sua durezza ostacolava non poco sua figlia, ma che grazie alle preghiere di Maria Valtorta otterrà da Dio Misericordia e – morta qualche mese dopo questo Dettato - si salverà in Purgatorio salvo poi ‘salire’ progressivamente per entrare in Paradiso.
E’ infatti così che la mistica vedrà in visione sua mamma in Purgatorio.
Da tutto quanto detto fino ad ora abbiamo certo compreso che fare la Volontà di Dio significa ‘Obbedienza’, ma non obbedienza per timore o ‘coercizione’, ma obbedienza d’amore.

1  M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – Dettato del 17 luglio 1943 – C.E.V.

10.4 Gesù: «L’obbedienza. La virtù che non volete praticare… Cosa è stato, in fondo, il peccato d’origine? Una disobbedienza».
Ecco ora un altro Dettato di Gesù alla mistica che ci aiuta ulteriormente a comprendere meglio cosa sia il fare la Volontà di Dio (i grassetti sono miei):1
29 agosto 1943
Dice Gesù:
«Vediamo insieme questo punto dei “Re”. “L’obbedienza val più dei sacrifici, il dar retta più che l’offrire il grasso dei montoni; perché la ribellione è come un peccato di magia, il non volere assoggettarsi è come un peccato d’idolatria” (I Re, cap. 15°, v. 22).
L’obbedienza. La virtù che non volete praticare.
Nascete e, appena potete manifestare un sentimento, è sentimento di ribellione alla obbedienza.
Vivete essendo disubbidienti. Morite ancora disubbidienti. Il battesimo cancella il peccato d’origine, ma non annulla la tossina che vi lascia il peccato.
Cosa è stato, in fondo, il peccato d’origine? Una disobbedienza.
Adamo ed Eva vollero disubbidire al Padre Creatore, aizzati a compiere questo atto di disamore dal Disobbediente sommo, il quale è divenuto demone avendo rifiutato obbedienza d’amore al Sommo Iddio. Questo veleno cova nel vostro sangue e solo una costante volontà vostra lo rende incapace di nuocere al vostro spirito in maniera mortale.
Ma, o figli miei, quale cosa più meritoria di questa può essere da voi compiuta?
Guardate bene. È più facile ancora compiere un sacrificio, fare un’offerta, praticare un’opera di misericordia, che non essere obbedienti costantemente al volere di Dio. Esso vi si presenta minuto per minuto come acqua che fluisce e passa portando altre onde di acqua e dietro queste altre ancora. E voi siete come pesci immersi nella Volontà di Dio che vi scorre sopra. Se ne volete uscire morite, figli miei. Essa è il vostro elemento vitale. Né v’è stilla di essa che non provenga da una ragione d’amore. Credetelo.
Obbedire è fare la volontà di Dio. Quella volontà che vi ho insegnato a chiedere che si compia col Pater noster e che vi ho insegnato a praticare con la parola e con l’esempio, condotto sino alla morte.
Non obbedire e ribellarsi è compiere un peccato di magia, dice il libro.
Infatti cosa fate ribellandovi? Peccate. E il peccato che produce? Il vostro sposalizio col demonio. Non fate dunque una magia? Non vi trasformate magicamente da figli di Dio in figli di Satana?
Non obbedire e non volersi assoggettare è come un peccato di idolatria, dice sempre il libro.
Infatti che fate non assoggettandovi? Respingete Dio respingendo la sua Volontà. Lo ripudiate per Padre e Signore. Ma siccome il cuore dell’uomo non può stare senza adorare qualche cosa al posto del Dio vero che respingete, adorate il vostro io, la carne vostra, la vostra superbia, il vostro denaro; adorate Satana nelle sue più acute manifestazioni. Ecco che perciò divenite idolatri. E di che? Di ben orridi dèi che vi tengono schiavi e schiavi infelici.
Venite, venite, cari figli del mio amore, venite al paterno giogo che non fa male, che non opprime, che non avvilisce, ma che anzi vi sorregge e vi guida e vi dà sicurezza di giungere al regno beato dove non è più il dolore.
Il mondo, che vuole disubbidire, non sa che basterebbe questo atto di obbedienza a salvarlo. Rientrare nel solco di Dio, seguire la voce di Dio, obbedire, obbedire, ritrovare la casa del Padre, voluta fuggire per una chimera di falsa dignità, ritrovare la mano del Padre che benedice e risana, ritrovare il cuore del Padre che ama e perdona.
Riflettete, o figli, che per ridare a voi la grazia perduta due Purissimi, due Innocentissimi, due Buonissimi, dovettero consumare l’Obbedienza somma.
La salvezza del genere umano ebbe, nel tempo, inizio dal “fiat” di Maria davanti all’arcangelo mio, ed ebbe termine nel “Consummatum!” di Gesù sulla croce. Le due più dolorose ubbidienze e le meno obbligatorie, perché Io e mia Madre eravamo al di sopra della necessità di espiare, con l’obbedienza, il peccato.
Noi, che non peccammo, abbiamo redento il vostro peccato obbedendo. E non vorrete voi, poveri figli, imitare il vostro Maestro e ottenere misericordia con l’obbedienza che è prova d’amore e di fede?
Più bello e gradito delle stesse chiese, che mi elevate per voto, e di ogni altro voto, è questo spirituale fiore di anima, nato, sulla terra, nel cuore dell’uomo ma che fiorisce in Cielo, eterno, per vostra gloria.»
E’ tutto chiaro in questo Dettato, ma quel che forse molti non sanno - poiché qui si parla sempre di obbedire alla Volontà di Dio - è che il dovere di obbedienza si deve avere anche nei confronti della volontà degli uomini che governano le nostre nazioni.
So che è duro accettare questo concetto, considerata la situazione generale dei governanti a livello mondiale, ma in linea di principio il concetto è vero, a condizione però che i governanti non chiedano cose che vadano contro la volontà di Dio.2
Infatti Dio, non di rado, si serve anche dei Governanti per far conoscere la sua Volontà.
Quella di accettare con rassegnazione la volontà del Potere costituito - lasciando a Dio il compito di fare poi Giustizia nei modi e tempi ritenuti opportuni qualora i governanti avessero ‘mal governato’ - era una caratteristica dei primi cristiani.
I cristiani venivano perseguitati e martirizzati non perché si ribellassero al Potere statale di allora ma perché la Fede e Dottrina – e cioè la ‘ideologia’ religiosa che essi diffondevano fra i pagani - minava alla base il potere e la ‘dottrina del mondo’ dei governanti di allora che temevano che venisse così anche demolita nei soldati la capacità di far guerra in adesione alla ideologia di potenza militare e politica che era alla base della forza dell’impero romano.
Naturalmente venivano perseguitati anche per mero odio, perché chi ama Dio viene odiato da chi non lo ama.
E’ un poco quel che succede anche oggi nel mondo occidentale scristianizzato: non è tanto il cristiano in sé quello che dà fastidio ai ‘laicisti’, od atei che possano anche essere, quanto invece la promozione di valori cristiani che - divini – sono l’antitesi del loro modo di pensare, molto distante da quella che essi più o meno coscientemente sanno essere quella Volontà di Dio che – ribelli – non intendono né accettare né rispettare.


1  M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – 29.8.43 – Centro Editoriale Valtortiano
2  M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – 23.12.43 – C.E.V.

10.5 Gesù: «L’uomo si crede potere sindacare Iddio e le sue opere…, perché fa questo? Per irriflessione soltanto? No, sempre per superbia. È sempre il veleno, uno dei tre veleni di Lucifero, che agisce in lui. Nella sua superbia non valuta la differenza fra lui e Dio, e lo tratta alla pari…».
A proposito di chi – ribelle – non vuole accettare di fare la Volontà di Dio, c’è sempre la superbia alla base di questo suo sentimento.
Ecco come ce lo spiega ancora il Gesù valtortiano (i grassetti sono miei):1
25.10.1943
Dice Gesù:
«L’uomo si crede potere sindacare Iddio e le sue opere.
Perché fa questo? Per irriflessione soltanto? No, sempre per superbia. È sempre il veleno, uno dei tre veleni di Lucifero, che agisce in lui. Nella sua superbia non valuta la differenza fra lui e Dio, e lo tratta alla pari.
È vero che Dio vi chiama suoi figli, fatti a sua immagine e somiglianza, ma ditemi, o uomini, nei rapporti fra padre e figlio, che seguano anche unicamente la legge di una coscienza retta, un figlio tratta alla pari col padre suo?
No. L’amore del padre non esime il figlio dall’essere rispettoso verso il padre. E il grande amore del figlio, anche per il più buono dei padri, è sempre infuso di riverenza come quello del padre di autorità. Sarà autorità fatta di sorrisi e parole buone, ma sarà sempre autorità che consiglia e regola.
E dovrebbe essere diverso per il Padre santo? Ma se un padre della terra merita il vostro riverente, riconoscente amore perché col suo lavoro vi nutre e veste, se merita il vostro rispetto perché la sua esperienza vi guida, se merita la vostra ubbidienza perché egli è la più grande autorità che abbiate come singoli - e tale fu da Adamo in poi - Dio, il Padre che vi ha creato, che vi ha amato, che ha provveduto ai vostri bisogni, che vi ha salvato attraverso il suo Figlio nella parte che non muore, il Padre che regola tutto l’Universo - pensate: tutto l’Universo - perché sia servo all’uomo e gli dia piogge e rugiade, gli dia luce e calore, gli dia guida e cammino, gli dia cibo e vesti, gli dia voce e conforti, gli dia fuoco e bevanda attraverso il corso dei venti e gli evaporamenti delle acque che formano le nubi che irrorano la terra, attraverso il sole che l’asciuga e feconda e coi suoi torrenti di luce sterilizza dai morbi e consola la vita, attraverso gli astri che simili a eterni orologi e a bussole senza difetto vi segnano l’ora e la direzione del vostro cammino per terre e deserti, per monti e oceani, attraverso le messi, i frutti gli animali e le erbe, attraverso i canti e i linguaggi degli animali a voi servi, attraverso le piante vive o sepolte da millenni e le sorgenti che non solo dissetano ma curano i vostri mali perché in esse ha disciolto elementi salutari, non deve essere amato, rispettato, ubbidito, servito, questo Dio Padre vostro?
Servito non perché siete servi, ma perché è dolce e giusto dare, a chi fa tanto per voi, quel poco che potete dare nella vostra pochezza.
E voi, figli di Dio e fratelli del Cristo che vi parla per insegnarvi ad amare, non avete che dare al Padre nostro, santo e mirabile - poiché Egli di nulla abbisogna, Signore come è dell’Universo che a Lui ubbidisce come voi non sapete e non volete - non avete che dare amore poiché Egli vuol questo amore da voi come io, Dio come Egli e Figlio suo santissimo, gli ho dato e gli do.
Questo il dovere vostro. E come questo dovere si esplichi, ve l’ho già mostrato.
Amatelo ubbidendolo e farete il dovere vostro. E, dopo averlo amato con l’ubbidienza alle sue voci d’amore, non arrogatevi il diritto di lamento se Egli non ve ne compensa ad usura.
Quale diritto ne avete?
Ditevelo sempre: “Non abbiamo fatto che il nostro dovere”.
Ditevelo sempre: “Dio lo ha fatto prima di noi”.
Ditevelo sempre: “L’apparente mancanza di premio non è che per i sensi. Dio non lascia senza premio chi lo ama e ubbidisce”.
Sapete voi, polvere spersa al suolo, i segreti dell’Altissimo? Potete voi dire di leggere i decreti di Dio, scritti nei libri del divino amore? Voi vedete il momento presente. Ma che sapete voi del minuto che segue?
Non riflettete che ciò che vi può parere un bene nell’attimo presente è un male nel futuro, e che se Dio non ve lo concede è per evitarvi un dolore, una fatica superiore a quella che vivete?
Ma se anche fosse, se anche fosse, vi è lecito imporvi a Dio? Che avete fatto di più di quanto dovevate? Non pensate che non voi ma Dio è sempre in credito verso di voi, perché Egli vi dà infinitamente di più di quanto voi gli date?
O Giustizia che sei Bontà! O Giustizia sublime e santa che sei giusta verso Te sola e sei misericorde verso i tuoi figli! O Giustizia, fiume che non straripa per punire ma per effondere le sue onde fatte dal Sangue santo delle mie vene, fluito sino all’ultima stilla, fatto delle lacrime di Maria, fatto dell’eroismo dei martiri e dei sacrifici dei santi, fiume la cui corrente è Pietà e che preferisci tornare alla sorgente con un miracolo di potenza, perché la Misericordia è il tuo argine ed è più forte del tuo sdegno, e l’Amore è l’altra diga, ed è amore di un Dio che di Se stesso ha fatto baluardo per riparare l’uomo dal castigo e conquistarlo alla Vita!
Amatela questa Giustizia che si duole di punirvi, amatelo questo Padre il quale compie il suo dovere di padre ed è benigno a non chiedervi l’esattezza nel compiere il dover vostro.
L’ho detto e lo ripeto: Per un atto vero di amore, Dio ferma anche il moto degli astri2, revoca il decreto del Cielo. Se la fede può smuovere alberi e montagne, l’amore vince Iddio.
Ogni atto di amore vero fa balenare di centuplicati fulgori il divino vortice di fuoco e luce in cui viviamo amandoci, fa trascolorare i Cieli di gioia per la gioia del Dio Uno e Trino, e come da celeste nube fa scendere grazie e perdono anche su chi non sa amare per pietà di chi sa amare.
Amate e benedite il Signore. Come sapete chiedere e come esigete d’essere ascoltati, sappiate ringraziare.
Troppe volte ve ne dimenticate. La grazia di Dio si ritira anche perché siete terre sterili che non sanno esprimere un fiore di riconoscenza per il Padre che vi cura.
A coloro che sanno ricordarsi d’esser figli anche nella gioia io dico benedicendoli: “Andate in pace. La vostra fede amorosa vi salva ora e sempre”.»


1  M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – 25.10.43 – Centro Editoriale Valtortiano
2  N.d.A.: E’… biblico: Vedi Libro di Giosuè 10, 12-14: « 12Quando il Signore consegnò gli Amorrei in mano agli Israeliti, Giosuè parlò al Signore e disse alla presenza d'Israele:«Férmati, sole, su Gàbaon, luna, sulla valle di Àialon».13Si fermò il sole e la luna rimase immobile finché il popolo non si vendicò dei nemici. Non è forse scritto nel libro del Giusto? Stette fermo il sole nel mezzo del cielo, non corse al tramonto un giorno intero. 14Né prima né poi vi fu giorno come quello, in cui il Signore ascoltò la voce d'un uomo, perché il Signore combatteva per Israele.

10.6 Gesù: «L’ubbidienza ha più valore della Parola. L’ubbidienza è stata la virtù del Verbo».
L’ubbidienza alla Volontà di Dio, peraltro, non è richiesta solo all’uomo ma anzi è sempre stata una delle virtù del Verbo destinato ad essere uomo ed a divenire Redentore. Ne riparleremo.
L’Angelo Custode di Maria Valtorta le spiega un giorno che si ama Dio quando si fa la sua volontà, vale a dire adempiendo alla 'missione' che Egli ci ha affidato.
Ogni creatura ha una sua particolare missione ma mentre le altre creature animali e vegetali la svolgono nell'ordine e rispettano ognuna il ruolo affidato loro, rispettando così l'ordine di Dio, l'uomo è invece l'unico che tale ordine vìola.
E' questo in sintesi il concetto introduttivo di una Lezione di Azaria.1
L'uomo - in quanto 'animale' ma dotato di spirito - è addirittura anello di congiunzione fra la materialità animale e gli Angeli, ma non sa essere 'ordinato' e non rispetta la volontà di Dio circa quella che dovrebbe essere la sua missione: divenire figlio adottivo di Dio facendone la volontà e quindi amandolo.
É così che l'uomo, abusando di una maggiore intelligenza, nuoce agli altri e - credendosi un piccolo 'dio' - non onora né obbedisce a Dio, odiando i suoi simili.
É un uomo - dice Azaria - che nega a Dio il ruolo di Creatore pur non essendo capace di suo di creare nemmeno un semplice esile filo d'erba anche se, prendendo dalle cose create da Dio delle cose buone, con quegli elementi 'crea' cose non buone, fonte di dolore e di sventura, volendo in tal modo mostrarsi 'creatore' in negativo.2
Di fronte agli uomini 'senza Dio', a quelli 'buoni' non rimane allora altro che la preghiera, vivendo una vita veramente cristiana per condurre la quale non mancheranno gli aiuti di Dio e lo stesso supporto della preghiera degli Angeli custodi affinché Dio sostenga la loro volontà contro gli attacchi altrimenti insostenibili di Satana.
Sempre in tema di ubbidienza si può ancora aggiungere che essa attira su di noi la benevolenza di Dio che si sente quindi indotto ad ispirarci ed ammaestrarci.
Gesù parla ancora alla mistica di obbedienza alla volontà di Dio, come fa del resto in molte occasioni trattandosi di un aspetto fondamentale, ma vi trascrivo il Dettato che segue perché esso ci offre l’opportunità anche di rilassarci soffermandoci sulla descrizione delle modalità in cui Egli si rivela alla nostra mistica e anche perché vi è un concetto espresso da Gesù che è sorprendente.
Padre Migliorini, direttore spirituale della mistica, le aveva infatti chiesto di scrivere le modalità e le impressioni che lei aveva nel ricevere le varie rivelazioni.
La mistica – molto stanca e con la salute sempre appesa ad un filo che Gesù manteneva in forza – aveva però bisogno di riposo.
Gesù aveva dunque evitato il giorno prima di parlarle e di affaticarla per darle modo – ora – di fare quanto il Padre Migliorini le aveva chiesto.
Ciò perché, spiega Gesù, l’ubbidienza al Sacerdote, suo Direttore spirituale, aveva – proprio in quanto obbedienza – più valore della sua stessa parola, anche se tale parola era scritta sotto dettatura.
Ecco dunque quanto dice Gesù (i grassetti sono miei):3
3 novembre l943.
Dice Gesù:
«Ho taciuto ieri per lasciarti modo non di riposare, ma di ubbidire. Il Padre ti ha detto di scrivere le tue impressioni e il modo come mi senti. Le tue forze e il tuo tempo essendo limitati, se fai una cosa non puoi fare l’altra. E allora ti ho lasciata quieta per darti modo di ubbidire. Il Padre non te ne ha dato un comando, ha soltanto espresso un desiderio. Ma per i veri ubbidienti anche un desiderio diviene comando.
L’ubbidienza ha più valore della parola, anche se è parola scritta sotto mia dettatura.
Perché la parola la udite e scrivete, ma non è vostra; la ripetete, ma non è vostra.
L’ubbidienza invece è vostra.
È il caso di dire: “Lasciatela fare, perché i poveri li avete sempre e Me non sempre mi avete”.4
I poveri, a cui dare la parola, li avete sempre. L’occasione di spargere prezioso aroma di santa ubbidienza sfidando i commenti degli altri, non sempre l’avete.
E sappiate che l’ubbidienza è stata la virtù del Verbo, destinato ad esser Uomo e a divenire il Redentore.
L’amore, la potenza, la perfezione, la sapienza, sono comuni alle Tre Nostre Persone.
Ma l’ubbidienza è mia, esclusivamente mia.
Ho ubbidito nell’incarnarmi, nel farmi povero, nello stare sottomesso agli uomini nel compiere la mia missione di evangelizzatore, nel morire.
Perciò quando ubbidite, sia agli uomini nelle relative ubbidienze, sia a Dio nelle grandi ubbidienze che implicano rinunce e sacrifici di sangue e accettazioni di morte, talora morte atroce, siete simili a Me che fui ubbidiente fino alla morte, che fui l’Ubbidiente per eccellenza, l’Ubbidientissimo divino.
Seconda a Me nell’ubbidienza fu la dolce Madre che ubbidì sempre, e col suo amoroso sorriso, ai voleri dell’Altissimo.
Terzo fu il casto mio padre della terra, che della sua forza virile fece dei ricami di ubbidienza, piegò anzi la sua forza virile e il suo senno di giusto come filo di seta per inchinarli ai voleri di Dio.
Perciò chi ubbidisce, ubbidisce ai tre più ubbidienti del mondo e li avrà amici qui e oltre, nel Cielo
E ora mi sforzo a descrivere le fasi e i modi per cui viene a me e da me è scritta la parola della cara “Voce”.
Delle volte, quando è notte, nel mio dormiveglia - più veglia che sonno, perché sento contemporaneamente quanto avviene in stanza o in strada - sento la Voce dirmi più e più volte una frase, quasi per invitarmi a sedermi e scrivere.
Se ho forze fisiche sufficienti mi siedo e, lottando con la sonnolenza e i dolori, mi metto a scrivere. Allora alla frase o alle poche frasi iniziali si susseguono, come un filo che si dipana, le altre, e cessa la sofferenza provocata dal contrasto dell’anima tesa in ascolto, e che vorrebbe essere servita dal corpo, e del corpo fiaccato che ricusa di servire l’anima uscendo dal riposo per scrivere.
Delle volte, invece, è così prepotente la “Voce” - la quale, insieme al suono, mi deve comunicare delle volte una forza speciale che dura per quanto dura il bisogno di essa - che devo sedermi subito e scrivere subito, o, se è giorno, smettere qualunque cosa io faccia per scrivere.
Molte volte avverto l’avvicinarsi del momento di ammaestramento, e perciò di vicinanza col Maestro, da una specie di scossa, di penetrazione, di infusione, non so come spiegarmi per essere esatta. Insomma è qualcosa che entra in me e mi dà una gioia luminosa. Insisto sul “luminosa” perché è proprio come se da posto ombroso io passassi nel tepore e nella letizia del sole. Ma questo non avviene sempre.
Sono questi i momenti più alti, come lo sono quelli in cui alle parole si unisce la vista mentale di ciò che Egli descrive (come quando mi mostrò Maria nella sua gloria nel Paradiso). Generalmente è una vicinanza, molto vicina. Ma sempre vicinanza.
Le lezioni poi sono così.
Qualche volta, come stamane per il brano che le unisco su foglietto staccato, nulla giustifica e provoca quella data istruzione. Per esempio, questa mattina io ero lontana le mille miglia da quel pensiero. Non pregavo, ero anzi intenta ad una occupazione tutta materiale connessa a speciali bisogni miei di malata. Dico questo per dirle quanto ero lontana da pensare a cose mistiche. La “Voce” principiò a parlare senza tenere conto di nulla. Poi attese, dopo avermi dato, dirò così, la prima battuta, che avessi finito quell’occupazione. Poi mi spinse a scrivere, e mi fece capire di prendere un mezzo foglietto, che sarebbe bastato. Io avevo in mano un foglio intero, ma me lo fece posare. Come vede, infatti, è bastato.
La prima frase detta mentre non potevo scrivere, era: “L’ubbidienza ha più valore della parola. L’ubbidienza è stata la virtù del Verbo”.
Dopo, su quel tema iniziale, Gesù, quando potevo ormai scrivere, dettò, così come le ho scritte nel foglietto, le sue parole.
Altre volte invece inizia la lezione spontaneamente, facendomi aprire a caso il libro che vuole Lui e nel quale mi presenta subito la frase, sulla quale svolge poi l’ammaestramento più o meno lungo. Delle volte si serve di un libro qualsiasi, di un giornale magari, dal quale Egli trae insegnamento.
Ci sono poi i giorni in cui non parla, e allora sono così infelice che mi pare di essere un bimbo che non ha più presso la mamma e la cerca da tutte le parti e la chiama. Anche io lo chiamo e lo invito aprendo qua a là la Bibbia.
Ci sono dei giorni che sta inesorabilmente zitto ed io ho una gran voglia di piangere. Ce ne sono altri che, dopo avermi fatto passeggiare su a giù senza darmi ascolto, si arrende, e allora sento quella tale sensazione detta in principio, per cui mi accorgo che la grazia viene.
Noti che, mentre prima ero capace di fare meditazioni per conto mio - povere meditazioni se confrontate a quelle che ricevo ora - adesso io sono assolutamente incapace di fare da me.
Ho un bel concentrarmi in un punto. Non ci ricavo nulla e il Maestro generalmente non mi spiega mai il punto che vorrei spiegato in quel momento. Spiega ciò che vuole e nella maniera più lontana da come lo avrei spiegato io e da come di solito è spiegato.
Ugualmente non sono più capace di interessarmi di libri di lettura. Io, lettrice accanita, lascio ora stagnare i libri senza aprirli. Se li apro, dopo poche righe mi stanco e li chiudo.
E non mi stanco per leggere. Mi stanco perché mi sono cibo insipido o disgustoso.
E così le conversazioni abituali. Sono una vera fatica.
Vorrei stare sola e zitta, perché le chiacchiere mi disturbano molto e mi paiono più insulse che mai. Devo compiere prodigi di carità per sopportare il mio prossimo che si studia di farmi compagnia e col suo stare lì mi vieta la Compagnia a me cara, l’unica che desidero e che l’anima sopporta: quella di Gesù o di persona che, come è lei, non è ignara del mio segreto.
Ma chi sono queste persone? Lei, Marta, Paola e suo padre. Quest’ultimo capisce per uno e per 99 non capisce, e perciò... Ne restano tre. Ma Marta è sempre in moto e alla sera è così stanca che piomba nel sonno. Perciò lei e Paola. Vicino a voi, e specie a lei, riposo e godo. Ma gli altri mi sono fatica e pena.
Riguardo al libro del Ricciotti, fin dal primo momento che l’ho sfogliato non mi è piaciuto. Ben tradotto come Cantico. Ma le ragioni dell’autore... sono proprio di quelle che non posso più assimilare. Inoltre, con l’insistenza di un ritornello, la Voce mi sussurra: “Non ti occupare di quel lavoro. Non voglio.” Non dice altro. Ma, vedendo che insiste, mi decido a dirle che non leggerò più là di quanto ho letto e, le confesso, non ne provo dolore perché, le ripeto, mi sembra di masticare della paglia.
Ecco fatto. Ecco ubbidito.
Le modalità con cui lo Spirito Santo agisce su un’anima possono essere le più sorprendenti e diverse, ma queste descritte da Maria Valtorta sono abbastanza ‘normali’, come gli studiosi di mistica sanno e come sanno ancor meglio molti mistici per esperienza diretta, anche se queste modalità appaiono del tutto sorprendenti per chi non le abbia provate o non abbia studiato sui libri specialistici le manifestazioni fenomeniche delle comunicazioni mistiche.
San Giovanni della Croce ha dedicato ad esempio molte interessanti pagine a questo argomento con particolare riferimento a quelle che vengono chiamate ‘locuzioni interiori’.
La prossima riflessione è dedicata a:
11. IL SETTIMO DISCORSO DELLA MONTAGNA NELLA SOSTA DEL SABATO:
AMARE LA VOLONTA’ DI DIO
(Seconda parte di tre)

1  M.V.: 'Libro di Azaria' - Cap. 12 - 12 maggio 1946 - Centro Editoriale Valtortiano
2  N.d.A.: Un esempio ‘classico’ è quello della fissione nucleare che ha poi portato alla ‘creazione’ della bomba atomica.
3  M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – Dettato 3.11.43 – Centro Editoriale Valtortiano
4  Gv 12, 7-8
11. (2/3) IL SETTIMO DISCORSO DELLA MONTAGNA NELLA SOSTA DEL SABATO: AMARE LA VOLONTA’ DI DIO.

11.1 Gesù: «... Ma Io ero l’Uomo. Essendo l’Uomo, dovevo possedere quella virtù la cui perdita aveva perduto l’uomo, e redimervi con quella. L’uomo s’era perduto per aver disubbidito al desiderio di Dio. Io, l’Uomo, vi ho dovuto salvare ubbidendo al desiderio di Dio… L’obbedienza è fatta anche di minuscole cose di ogni ora, compiute senza brontolii, man mano che vi si presentano».
Abbiamo già avuto occasione di osservare come il settimo discorso di Gesù sull’importanza di amare Dio ubbidendo alla Sua Volontà fosse scaturito quasi incidentalmente da circostanze imprevedibili.
L’incontro con il lebbroso, il conseguente ritardo e la sosta forzata del sabato, l’osservazione ‘filosofica’ dell’apostolo Tommaso sul fatto che – in ultima analisi – ‘se gli uomini fanno errori ciò viene dalla volontà di Dio’.
E’ dunque dall’osservazione di Tommaso che Gesù aveva preso lo spunto per dire che taluni hanno questa idea errata ma che non è affatto così.
Si tratta in effetti – aggiungo io – anche di una concezione ‘fatalistica’ della vita che è estranea alla visione cristiana. Il Fato pagano, inteso come una situazione predeterminata ed ineluttabile della nostra vita, non esiste. Non è Dio che preordina il nostro futuro, bello o brutto che sia.
Se il nostro futuro fosse ‘preordinato’ per ciascun singolo uomo, sarebbe frutto di una operazione che presuppone necessariamente ‘a monte’ una Mente razionale ‘Preordinatrice’ che – per essere capace di fare ciò, trasformandoci peraltro in automi – dovrebbe essere quella di Colui che noi chiamiamo ‘Dio’.
Il vero Dio, proprio perché è buono e ‘rispettoso’ della nostra dignità, rispetta invece la nostra libertà, perché questa è indispensabile al nostro equilibrio psichico e alla nostra felicità umana ed è quella che è fonte di merito o di … demerito, e quindi di premio o giusto castigo.
L’uomo ha il libero arbitrio e può dunque decidere del suo futuro. Potremmo anzi dire che il futuro se lo fabbrica da sé, insieme ovviamente alle circostanze casuali della vita che interagiscono con le sue azioni.
Approfondendo il settimo discorso di Gesù e poi anche altri aspetti sullo stesso argomento trattati più ampiamente nel resto dell’Opera valtortiana, ci siamo poi resi conto di quanto sia in effetti importante il fare – amandola – questa Volontà, tanto che avevo osservato come l’abbandono completo alla Divina Volontà, potrebbe quasi riassumere in sé la sostanza, o meglio il ‘nocciolo’, del Cristianesimo.
Ritengo dunque opportuno continuare in questo nostro approfondimento tematico, certo che – grazie all’Opera della mistica – apriremo un forziere di gemme preziose di Sapienza.
Nella precedente prima parte di questa nostra riflessione sul settimo discorso era già stato argomentato come gli errori degli uomini non vengano affatto dalla volontà di Dio perché Egli è Padre e nessun padre vorrebbe il male per un figlio.
Dio ‘consiglia’ ma non forza, perché vuole che l’uomo sia libero, e se un errore viene compiuto ciò dipende dal fatto che l’uomo anziché la volontà di Dio segue la propria, vale a dire quella del proprio ‘io’, dei propri sensi, del ‘mondo’, del demonio.
Grazie poi ad un Dettato di Gesù, ci eravamo inoltre fatti una autentica ‘cultura’ sulla tecnica che il materassaio usa per la cardatura delle lane, per la formazione dei filati tessili e quindi delle stoffe preziose.
Il ‘Materassaio’, allegoricamente parlando, rappresenta la Volontà di Dio e gli strumenti per la ‘cardatura’, dolorosi ma necessari, sono costituiti dalla Legge dei Dieci Comandamenti, che vanno rispettati dall’uomo se questi vuole la sua salvezza spirituale.
Resa dunque soffice e lavorabile la ‘lana’ del nostro spirito, ecco poi che – grazie anche ai consigli evangelici del Discorso della montagna che abbiamo fino ad ora approfondito nelle precedenti riflessioni – la ‘lana’ ben lavorata si trasforma in un ‘filato’ resistente e regolare atto a formare la buona ‘stoffa’ della vita eterna per poter divenire anche un prezioso ‘broccato’, come ad esempio nel caso delle persone che si offrono quali piccole vittime di ‘corredenzione’, in un certo qual modo ‘imitatrici’ di Gesù che si è sacrificato sulla Croce per la Redenzione dell’Umanità.
Abbiamo anche appreso che l’ubbidienza alla volontà di Dio è una virtù che l’uomo accetta difficilmente di voler praticare, e che il Peccato originale ha avuto origine proprio da una disubbidienza alla precedente volontà espressa da Dio di non cogliere – perché pericoloso – il frutto dell’Albero della conoscenza del Bene e del Male.
In effetti Adamo ed Eva, creati in Grazia ed istruiti da Dio, conoscevano già un Bene proporzionato al loro stato di esseri umani mentre – proprio in quanto tali, e cioè in quanto ‘limitati’- non avrebbero potuto governare il Male, se lo avessero conosciuto.
Abbiamo infine appreso – sempre nella precedente prima parte della riflessione – che la nostra ubbidienza attira su di noi la benevolenza di Dio che si sente così indotto ad ispirarci ed ammaestrarci, ed inoltre che l’ubbidienza è stata la virtù per eccellenza del Verbo che accettò di divenire Uomo, e Uomo-Redentore fino alla Croce, nella persona di Gesù.
Fatta questa rapida anche se sintetica ‘carrellata’ per non perdere il ‘filo’ almeno di alcuni degli insegnamenti appresi, possiamo ora continuare la nostra meditazione valtortiana sulla importanza della obbedienza alla Divina volontà.
Nel brano, qui di seguito trascritto, è sempre Gesù che – parlando alla mistica – le dice (i grassetti sono miei): 1

16 - 3 - 1944. Ebrei, cap. 5, v. 7, 8, 12, 14; cap. 6, v. 1, 4, 6, 8.
Dice Gesù:
«Voglio farti considerare, e con te a molti, una virtù dalla quale vi è venuto un gran bene. Il più grande bene, mentre dal suo contrario vi è venuto tanto male: il più grande male. Te ne ho già parlato, ma la tua sofferenza non ti ha fatto ricordare le parole. Te le ripeto perché mi preme che le abbiate.
Avendovi amato infinitamente, io volli essere il vostro Redentore. Ma non lo fui unicamente per la Sapienza, non per la Potenza, neppure per la Carità. Queste sono tre caratteristiche, tre doti divine, che agirono tutte e tre nella Redenzione del genere umano, perché vi istruirono, vi scossero coi miracoli, vi redensero col Sacrificio.
Ma Io ero l’Uomo. Essendo l’Uomo, dovevo possedere quella virtù la cui perdita aveva perduto l’uomo, e redimervi con quella.
L’uomo s’era perduto per aver disubbidito al desiderio di Dio.
Io, l’Uomo, vi ho dovuto salvare ubbidendo al desiderio di Dio.
Dice Paolo2 che io “avendo con forti grida e con lacrime offerto preghiere e suppliche, nei giorni della mia vita mortale, per salvare l’uomo da morte spirituale, fui esaudito per la mia riverenza”. E aggiunge che, giunto alla perfezione per aver imparato (ossia compiuto per obbedienza) divenni causa di eterna salute per tutti quelli che mi sono obbedienti.
Paolo, con parola che lo Spirito fa vera, dice dunque che Io, Figlio di Dio fatto Uomo, raggiunsi la perfezione con l’obbedienza e potei esser Redentore per questa.
Io, Figlio di Dio. Io raggiunsi la perfezione con l’obbedienza. Io redensi con l’obbedienza.
Se meditate profondamente questa verità, dovete provare quello che prova uno che prono su un’alta insenatura marina, guarda fissamente la profondità e la immensità del mare, e gli pare sprofondare in questo liquido abisso di cui non conosce profondità e confine.
L’obbedienza!
Mare sconfinato e abissale nel quale io mi sono tuffato prima di voi per riportare alla Luce coloro che erano naufragati nella colpa. Mare in cui devono tuffarsi i veri figli di Dio per essere redentori di se stessi e dei fratelli. Mare che non ha solo le grandi profondità e le grandi onde, ma anche le spiagge basse e le lievi ondette che sembrano scherzare con la rena del lido, così care ai bambini che giuocano con esse.
L’obbedienza non è fatta unicamente di grandi ore in cui obbedire è morire come io ho fatto, in cui obbedire è strapparsi da una Madre come io ho fatto, in cui obbedire è rinunciare alla propria dimora come io ho fatto lasciando il Cielo per voi.
L’obbedienza è fatta anche di minuscole cose di ogni ora, compiute senza brontolii, man mano che vi si presentano.
Cosa è il vento? Turbine sempre che curva le cime degli alberi secolari e li piega, li spezza, li abbatte al suolo? No. È vento anche quando, più leggero di carezza materna, pettina le erbe dei prati e i grani che incespano e li fa ondulare appena come rabbrividissero lievemente nella cima dei verdi steli per la gioia d’esser sfiorati dal vento leggero.
Le piccole cose sono il vento leggero dell’obbedienza. Ma quanto bene vi fanno!
Ora è primavera. Se il sangue3 non la bruttasse, come sarebbe dolce questa stagione! Le piante, che sanno amare e obbedire al Creatore, stanno mettendo la veste nuova fatta di smeraldo e come spose si fasciano di fiori. I prati sembrano un ricamo, un velluto trapunto di fiori, i boschi una felpa profumata sotto una volta di creste verdi e canore. Ma se non ci fossero i tenui venti d’aprile, e anche le pazze ventate di marzo, quanti fiori rimarrebbero senza fecondazione e quanti prati senza acqua! Fiori ed erbe sarebbero perciò nati per morire senza scopo. Il vento spinge le nubi e li irrora così, il vento fa baciare i fiori, porta ai lontani il bacio dei lontani e con la sua gaia corsa da ramo a ramo, da albero ad albero, da frutteto a frutteto, feconda e fa che quei fiori divengano frutto.
Anche l’obbedienza spicciola a tutte le piccole cose che Dio vi presenta attraverso gli avvenimenti del giorno, fa quello che fa il vento con le piante e l’erbe dei prati e degli orti. Di voi, fiori, fa frutti. Frutti di vita eterna.
Beatissimi quelli che, presi dal turbine dell’Amore, e del loro amore, consumano il sacrificio totale di sé, i piccoli redentori che mi perpetuano, i quali compiono l’obbedienza somma bevendo il mio stesso calice di dolore. Ma beati anche quelli che, non avendo ardire di dire al turbine dell’Amore: “T’amo, eccomi, prendimi”, sanno piegarsi al vento lieve dell’Amore che sa graduare le forze dell’uomo suo figlio e dare ad ognuno quel tanto di pressione che sia possibile a sopportare.
Vi pare, o figli, e mai come ora vi pare, che la prova sia tante volte superiore alla forza vostra. Ma è perché voi vi irrigidite. È perché siete superbi e diffidenti. Volete fare da voi e non vi abbandonate a Me.
Non sono un carnefice. Sono Colui che vi ama. Sono un Padre buono. E se non posso annullare la Giustizia, aumento in compenso la Misericordia. Tanto più l’aumento quanto più cresce la Giustizia per la marea di delitti, di bestemmie, di disubbidienze alla Legge che copre la Terra.
Naufragate in essa. Innocenti, quasi innocenti, colpevoli, grandi colpevoli, naufragate in essa.
Ma se per gli ultimi il fondo del naufragio sarà nel fondo di Satana (fin dalla vita col dilaniamento di una coscienza che li morde e non dà pace nonostante fingano di averla) per le altre due categorie il fondo sarà nella mia Misericordia, è in essa per i quasi innocenti, ed è nel mio Cuore per gli innocenti.
Ma Misericordia e Cuore sono già Cielo e per questi, dopo i conforti sulla Terra che non nego loro - e tu to sai - è pronto il Cielo.
(…)

Gesù ha paragonato l‘obbedienza al vento. Ci può essere un vento forte ma anche una brezza leggera.
Il vento ‘forte’ dell’obbedienza è quello che ci chiede cose altrettanto ‘forti’, ma – direi per la maggioranza dei casi – l’obbedienza è come una ‘brezza leggera’ che incontriamo nelle piccole cose della nostra normale giornata.
Bisogna dire – sempre basandoci sugli insegnamenti del Gesù valtortiano sparsi qui e là nell’Opera – che Dio, quanto all’ubbidienza alla sua Volontà, ci mette anche alla prova, ma questo fatto non ci deve spaventare perché Dio è buono e le sue non sono mai ‘prove’ superiori alle nostre forze.
Tanto per fare un esempio è come se Egli fosse un preparatore atletico che allena al salto: alza ogni volta l’asticella dell’ostacolo che l’atleta deve imparare a superare per divenire un campione, ma lo fa progressivamente in modo che quest’ultimo, allenato poco alla volta, abbia la possibilità di imparare a saltare sempre meglio senza inciampare e rovinare a terra.
Anche Satana mette alla prova con le sue tentazioni, ma alza l’asticella oltre il lecito e lo fa per indurre ad una caduta rovinosa, meglio se ‘fatale’.
Quel ‘non ci indurre in tentazione’ della preghiera del Padre nostro, frase e traduzione molto discussa dai teologi, non va dunque intesa nel senso che Dio ci ‘tenta’ al peccato, perché se così fosse non sarebbe un ‘Dio buono’, ma nel senso di chiedere a Dio di ‘aiutarci nelle tentazioni’ che il Maligno – facendo conto sulla nostra debolezza - ci presenta per farci cadere.4
Oppure – altro concetto valtortiano (poiché quella di Dio è pienezza della Parola che può avere contemporaneamente molteplici significati) quel ‘non ci indurre in tentazione’ può essere una accorata supplica dell’uomo, che si sente debole, a non sottoporci – Lui, Dio - a prove superiori alle nostre forze, cosa che Dio si guarda comunque bene dal fare, magari abbassandoci anzi ancora di più “l’asticella” per venire incontro ai nostri timori e non scoraggiarci.
Anzi, come nel caso del sacrificio di Isacco chiesto da Dio ad Abramo appunto per ‘provarlo’, Dio si accontenta spesso della nostra sola buona volontà di obbedienza e sospende la prova dandocene poi merito come se l’avessimo superata.
La prova superata è infatti fonte di accrescimento spirituale e di maggiore gloria in Cielo, perché Dio premia appunto la nostra buona volontà di obbedienza.

1  M.V.: ‘I Quaderni del 1944’ – Dettato 16 marzo 1944 – Centro Editoriale Valtortiano
2  Nota Editore: ‘Dice Paolo’ in Ebrei 5, 7-9, accanto alla data la scrittrice aggiunge il rinvio a Ebrei
5, 7.8.12.14; 6, 1.4.6.8.
3  Nota dell’Editore: Il sangue, quello sparso a causa della seconda guerra mondiale, allora in corso.
4  N.d.A.: A chi anzi interessasse una interpretazione autentica del significato di quel ‘non ci indurre in tentazione’ – vi cito quanto Gesù ebbe a chiarire agli apostoli quando in occasione della seconda Pasqua della sua vita pubblica insegnò loro la preghiera del Padre Nostro, soffermandosi su ogni frase dello stesso.
Al riguardo – dopo aver chiarito il senso esatto del ‘Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori’, Gesù (riferendosi ad una precedente domanda di Giuda Iscariote il cui nome però non menziona) - continuò…: «“Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal Maligno”. L'uomo che non ha sentito il bisogno di spartire con noi la cena di Pasqua mi ha chiesto, or è men di un anno: “Come? Tu hai chiesto di non essere tentato e di essere aiutato, nella tentazione, contro la stessa?”. Eravamo noi due soli... e ho riposto. Eravamo poi in quattro, in una solitaria plaga, ed ho risposto ancora. Ma non è ancora servito, perché in uno spirito tetragono occorre fare breccia demolendo la mala fortezza della sua caparbietà. E perciò lo dirò ancora una, dieci, cento volte, fino a che tutto sarà compiuto. Ma voi, non corazzati di infelici dottrine e di ancora più infelici passioni, vogliate pregare così. Pregate con umiltà perché Dio impedisca le tentazioni. Oh! l'umiltà! Conoscersi per quello che si è! Senza avvilirsi, ma conoscersi. Dire: "Potrei cedere anche se non mi sembra poterlo fare, perché io sono un giudice imperfetto di me stesso. Perciò, Padre mio, dammi, possibilmente, libertà dalle tentazioni col tenermi tanto vicino a Te da non permettere al Maligno di nuocermi". Perché, ricordatelo, non è Dio che tenta al Male, ma è il Male che tenta. Pregate il Padre perché sorregga la vostra debolezza al punto che essa non possa essere indotta in tentazione dal Maligno…’.

11.2 Dio Padre: «L’ubbidienza pronta, l’aderenza gioconda al disegno di Dio sono il segno della formazione spirituale di un cuore…». La legge della Prova.
L’ubbidienza – questo è un altro insegnamento di Gesù - è una virtù che va a braccetto con la pazienza.
Se l’ubbidiente è paziente, l’impaziente è invece un disubbidiente, un inquieto nel cui cuore non può stare Dio in quanto l’impaziente, mancando di carità, può facilmente trascendere imputando a Dio o agli altri quanto egli crede non venga fatto secondo le proprie aspettative.
Nel dire quel ‘Sia fatta la tua Volontà’ della preghiera del Padre nostro, non dobbiamo mai dimenticare che nel fare le nostre richieste a Dio dobbiamo comunque accettare la sua volontà, perché Egli è libero di concedere o non concedere - a suo insindacabile giusto giudizio - ciò che chiediamo, senza noi pretendere che per aver magari ‘rispettato’ qualche volta la sua Volontà, Egli sia obbligato ad accettare come ‘contropartita’ la nostra volontà. Dobbiamo dunque sempre accettare la volontà di Dio.
Il voler fare da parte nostra la volontà di Dio ha peraltro tale potenza che Dio poi non riesce a negarci nulla e sembra quasi che – di fronte all’ubbidienza nostra – Egli voglia superarci in prontezza esaudendo le nostre richieste, ovviamente solo in ciò che è bene.
Fare sempre la Volontà di Dio è ‘duro’, ma bisogna tenere conto del fatto che Dio-Padre è indulgente e ci viene incontro perché tiene conto delle nostre debolezze.
A proposito della ubbidienza pronta e della aderenza ‘gioconda’ al disegno di Dio, un giorno Maria Valtorta riceve un ‘paterno’ Dettato da Gesù, salvo poi accorgersi alla fine che a parlarle paternamente era stato invece Dio Padre, nei termini seguenti (i grassetti sono miei):1                                                  
12 aprile 1945
Dice Gesù:
«Scrivi questo solo. I disegni di Dio hanno una continuità ed una necessità misteriosa, santa, che solo nell’altra vita vi appariranno chiare. Sembrano talora di una incoerenza strana. Vi sembrano, perché voi guardate tutto con occhi umani.
Ma invece ogni loro succedersi è un concatenarsi armonico e giusto da cui viene la sorte umana e soprumana.
Viene la sorte perché, a seconda del corrispondere dell’anima al disegno che Dio le propone, corrisponde una sorta di beatitudine o di dannazione o anche semplicemente di purgazione dolorosa nell’altra vita, e in questa aiuti o abbandoni divini.
L’ubbidienza pronta, l’aderenza gioconda al disegno di Dio sono il segno della formazione spirituale di un cuore.
Gesù Cristo fu il perfetto in questa formazione.
Lo era come Dio. Lo fu come uomo. E se come Dio non poteva essere insidiato dal Tentatore che inocula superbia e disubbidienza per levare al bene di Dio uno spirito, come Uomo, quando fu sulla terra, fu ben potuto essere consigliato alla disubbidienza dal Tentatore.
Considera, figlia, a quale ubbidienza Egli doveva sottoporre Se stesso.
Già si era imposto il giogo avvilente, per Lui che era Dio, di una umanità. E con essa aveva dovuto sopportare tutto quanto è umanità. Ma al termine di essa umanità Egli vedeva la Croce, la morte obbrobriosa e tormentosa del crocifisso. Non lo ignorava il suo futuro. E non si sottrasse al suo futuro.
Quante volte gli uomini, pur sapendo che da quella data cosa a loro proposta da Dio viene un bene per loro e per i loro simili, non si sottraggono dicendo: “Perché devo lasciare questa cosa che mi dà utile per assumere quella che è penosa? E per chi?”.
Ma per amore, figli! Amore di Me. Non può il Padre chiedervi nulla che non sia di vostro sicuro e non labile bene.
Se procedeste con fede non dubitereste del Padre. Direste: “Se mi propone questo è certo per mio bene. Lo faccio”.
Se procedeste con amore, direste: “Egli mi ama. Lo amo”.
E se poi la cosa proposta fosse di bene al prossimo, anche essendo un sacrificio per voi, se santi foste subito la accettereste come l’accettò il Figlio mio per bene vostro. Io, poi, vi darei fulgido premio.
Perciò, quando guardi l’apparente contrasto della tua vita, anzi i molti contrasti della tua vita, e quanto hai, di’ sempre: “Quello, evento apparentemente in dissonanza col seguente e col mio attuale presente, ha preparato questo. Ed ho questo perché ho accettato quello”.
Considera come, da quando hai fatto della parola della preghiera del Figlio: “Sia fatta la tua volontà” la norma non sterile della tua vita, tu abbia non più sostato ma camminato, poi corso, poi volato verso l’alto. Si è accentuato il volere, il conoscere, il migliorare, più si è aumentata in te l’ubbidienza gioconda e pronta al disegno mio.
Altro non dico. Sta’ con la nostra benedizione.»
Credevo fosse Gesù, invece è l’Eterno Padre che mi dice stamane queste dolci parole, e con tanta pietà per il mio stato fisico.
Riflettendo…, a chi non è capitato di incontrare ostacoli nella vita e vedere che certe cose prendevano una piega diversa da quanto si sarebbe voluto, ‘rimproverandone’ poi più o meno inconsciamente il Signore?
Poi però – guardando successivamente al nostro passato come si guarda dall’alto di un monte il cammino percorso dal fondovalle alla cima – riusciamo a renderci conto che quelle cose che a prima vista ci sembravano ‘sbagliate’ rispetto ai nostri desideri, con il susseguirsi degli eventi si sono invece rivelate per noi un bene.
Avere accettato la volontà di Dio là dove ragionando umanamente non avremmo voluto accettarla, ha permesso che in seguito si potesse trasformare in bene ciò che mai avremmo potuto pensare.
L’ubbidienza alla volontà di Dio – questo lo abbiamo ormai ben compreso – è dunque la più importante delle virtù, e non per niente sappiamo che è proprio dalla Disubbidienza di Lucifero che è nato il Male.
Ho già fatto un breve accenno nelle riflessioni sulla scelta del Bene e del Male nel sesto Discorso della montagna.
Ora mi spiego meglio, sempre valtortianamente parlando, magari riassumendo qualche concetto che ho in precedenza già sviluppato.
La Legge della Prova è una Legge divina che tutti, per meritare la piena visione beatifica di Dio in Cielo, devono superare.
Il Guaio per eccellenza, che dette origine al Male, nacque proprio da un atto di disubbidienza alla Volontà di Dio da parte di Lucifero, Angelo perfettissimo ma libero nella sua volontà.
Ai primordi della Creazione spirituale, tutti gli angeli erano nella Grazia ma dovevano anche meritarsela per cui Dio li sottopose a prova, una prova di obbedienza, la quale è sempre prova d'amore.
La prova posta davanti a Lucifero fu quella di accettare di adorare un giorno il Verbo divino umanato che si sarebbe incarnato per redimere e salvare l’Umanità che Dio avrebbe in seguito creato.
L’angelo ribelle, elevatissimo spirito che aveva però lasciato condensare in sé un ‘fumus’ iniziale di orgoglio e superbia senza combatterlo, non ritenne che per lui - sublime spirito, il più bello degli angeli, il più potente che si sentiva quasi Dio – fosse confacente e dignitoso accettare di abbassarsi ad adorare un giorno un Dio che si fosse incarnato in vile ‘materia’, anzi in un animale, appunto l’uomo.
Un Dio-Verbo-Uomo che sarebbe un giorno salito al Cielo proprio con la carne materiale di un Uomo!
Altri angeli condivisero il suo ‘Non serviam!’ e lo seguirono nella ribellione, ma - privati della potenza della Grazia - rimasero sconfitti dalle legioni degli angeli fedeli a Dio, guidati dall’Arcangelo Michele. E per Lucifero fu l’Inferno e così fu per tutti gli altri angeli ribelli.
Il seguito drammatico di tale atto di iniziale di disubbidienza e ribellione alla volontà di Dio ebbe a ripetersi – in odio a Dio - una volta che Dio ebbe creato l’uomo.
Anche Adamo ed Eva erano infatti destinati ad una prova da superare per dimostrare a Dio di ‘meritare’ – con la loro ubbidienza - una vita felice ed immortale nel Paradiso terrestre e successivamente la Gloria eterna nel Paradiso celeste.
Anche essi disobbedirono tuttavia alla Volontà di Dio, cioè al semplice e, notare, unico comando di Dio – per essi che avevano già tutto ed erano i re della Terra con il dominio su tutte le cose ed animali ai quali ‘davano il nome’ – di non cogliere i frutti dell’Albero della conoscenza del Bene e del Male.
Ci si potrebbe domandare come mai essi - che avevano compiuto lo stesso peccato di disubbidienza, orgoglio, superbia e ribellione di Lucifero – non vennero condannati all’Inferno.
La spiegazione che si ricava dalle rivelazioni valtortiane è semplice ed anche ‘giusta’.
I due progenitori erano solo esseri ‘umani’. Essi non erano cioè ‘puri spiriti’ come gli Angeli, ma semplicemente ‘spiriti’ in carne umana. Essi non possedevano la smisurata intelligenza degli Angeli e furono quindi circuiti ed ingannati dal potentissimo Lucifero divenuto nel frattempo ‘Satana’.
In altre parole essi ebbero delle attenuanti che meritarono loro la Misericordia di Dio.
Infatti - contrariamente a Lucifero che disubbidì volontariamente e senza istigazione alcuna e per pura superbia - essi furono tentati. Se l’uomo non fosse stato tentato da un essere a lui superiore e avesse fatto tutto da solo, è possibile immaginare che non ci sarebbe stata Redenzione neanche per lui.
Alla Legge della Prova, comunque, vennero sottoposti nella loro umanità persino Gesù e Maria Santissima, come del resto ne siamo sottoposti noi stessi nella nostra vita terrena.
A proposito della Prova di ubbidienza alla Volontà di Dio - posta davanti ai due Progenitori – ecco cosa spiega lo Spirito Santo che parla alla mistica con riferimento al Peccato originale (i grassetti sono miei):2
(…)
La prova.
Quando l’uomo si destò dal suo primo sonno e trovò al suo fianco la compagna, sentì che la sua felicità era stata resa da Dio completa.3
Era già tanto grande anche prima. Tutto in Adamo ed intorno ad Adamo era stato fatto perché egli godesse una felicità completa, sana e santa, e la delizia, ossia l’Eden, non era soltanto intorno ma anche dentro all’Adamo.
Lo circondava il giardino pieno di bellezze vegetali, animali ed equoree, ma entro di lui un giardino di bellezze spirituali fioriva con virtù d’ogni genere, pronte a maturarsi in frutti di santità perfetta; e vi era l’albero della scienza adatto al suo stato, e quello della vita soprannaturale: la Grazia; né vi mancavano le acque preziose della divina fonte che si divideva in quattro rami e irrorava di sempre nuova onda le virtù dell’uomo, onde crescessero giganti, a farlo sempre più specchio fedele di Dio.
Come creatura naturale godeva di ciò che vedeva: la bellezza di un mondo vergine, testé uscito dal volere di Dio; godeva di ciò che poteva: la sua signoria sulle creature inferiori. Tutto era stato messo da Dio al servizio dell’uomo: dal sole all’insetto, perché tutto gli fosse delizia.
Come creatura soprannaturale godeva ‑ un’estasi ragionante e soavissima ‑ della comprensione della Essenza di Dio: l’Amore; dei rapporti d’amore fra l’Immenso che si donava e la creatura che lo amava adorando.
La Genesi adombra questa facoltà dell’uomo e questo comunicarsi a lui di Dio, nella frase: “avendo udito la voce di Dio che passeggiava nell’Eden nel fresco della sera”4.
Per quanto il Padre avesse dato ai figli adottivi una scienza proporzionata al loro stato, pure ancora li ammaestrava. Perché infinito è l’amore di Dio, e dopo aver dato anela a nuovamente dare, e tanto più dà quanto più la creatura gli è figlia.
Dio si dà sempre a chi a Lui si dà generosamente.
Quando, dunque, l’uomo si svegliò e vide la donna sua simile5, sentì che la sua felicità di creatura era completa avendo il tutto umano e avendo il Tutto soprumano, essendosi l’Amore dato all’amor dell’uomo.
Unica limitazione messa da Dio all’immenso possedere dello uomo era il divieto di cogliere i frutti dell’Albero della Scienza del bene e del male. Raccolto inutile, ingiustificato, sarebbe stato questo, avendo l’uomo già quella scienza che gli era necessaria, e una misura superiore a quella stabilita da Dio non poteva che causare danno.
Considerate: Dio non proibisce di cogliere i frutti dell’albero della Vita, perché di essi l’uomo aveva natural bisogno per vivere una esistenza sana e longeva, sino a che un più vivo desiderio divino di svelarsi totalmente al figlio d’adozione non facesse pronunciare a Dio il: “Figlio, ascendi alla mia dimora e inabìssati nel tuo Dio”, la chiamata, senza sofferenza di morte, al celeste Paradiso.
L’Albero della Vita che si incontra al principio del Libro della Grande Rivelazione (Genesi c. II v. 9 e c. III v. 22), e che si ritrova nuovamente alla fine del Libro della Grande Rivelazione: la Bibbia (Apocalisse di Giovanni c. XXII v. 2 e v. 14), è figura del Verbo Incarnato ‑ il cui frutto, la Redenzione, pendé dal legno della croce ‑ di quel Gesù Cristo che è Pane di Vita, Fonte d’Acqua Viva, Grazia, e che vi ha reso la Vita con la sua Morte, e sempre potete mangiare e bere di Lui, per vivere la vita dei giusti e giungere alla Vita eterna.
Dio non proibisce ad Adamo di cogliere i frutti dell’Albero della Vita, ma vieta di cogliere quelli, inutili, dell’Albero della Scienza.
Perché un eccesso di sapere avrebbe svegliato la superbia nell’uomo, che si sarebbe creduto uguale a Dio per la nuova scienza acquisita e stoltamente creduto capace di poterla possedere senza pericolo, con il conseguente sorgere di un abusivo diritto di auto‑giudizio delle azioni proprie, e dell’agire, di conseguenza, calpestando ogni dovere di filiale ubbidienza verso il suo Creatore ‑ dato che ormai gli era simile in scienza – del suo Creatore che gli aveva amorosamente indicato il lecito e l’illecito, direttamente o per grazia e scienza infuse.
La misura data da Dio è sempre giusta.
Chi vuole più di quanto Dio gli ha dato, è concupiscente, imprudente, irriverente.
Offende l’amore.
Chi prende abusivamente è un ladro e un violento.
Offende l’amore.
Chi vuol agire indipendentemente da ogni ossequio alla Legge soprannaturale e naturale è un ribelle.
Offende l’amore.
Davanti al comando divino i Progenitori dovevano ubbidire, senza porsi dei perché che sono sempre il naufragio dell’amore, della fede, della speranza. Quando Dio ordina, o agisce, si deve ubbidire e fare la sua volontà, senza chiedere perché ordina o agisce in quel dato modo. Ogni sua azione è buona, anche se non sembra tale alla creatura limitata nel suo sapere.
Perché non dovevano andare a quell’albero, cogliere quei frutti, mangiare di quei frutti?
Inutile saperlo. Ubbidire è utile, e non altro. E accontentarsi del molto avuto.
L’ubbidienza è amore e rispetto, ed è misura di amore e rispetto. Tanto più si ama e si venera una persona e tanto più la si ubbidisce.
Ora qui, essendo Colui che ordinava Dio ‑ l’infinitamente Grande, il Buono, il Benefattore munifico dell’uomo ‑ l’uomo, e per rispetto e per riconoscenza, doveva dare a Dio non “molto” amore, ma “tutto” l’amore adorante di cui era capace, e perciò tutta l’ubbidienza, senza analizzare le ragioni del divino divieto.
Le discussioni presuppongono un autogiudizio e una critica all’ordine od azione altrui.
Giudicare è difficile cosa e raramente il giudizio è giusto; ma non lo è mai quando giudica inutile, errato, o ingiusto, un ordine divino.
L’uomo doveva ubbidire. La prova di questa sua capacità, che è misura d’amore e rispetto, era nel modo con cui avrebbe o non avrebbe saputo ubbidire.
(…)
Ritengo interessante – al di là delle complete spiegazioni fornite dallo Spirito Santo – attirare l’attenzione sul fatto che quando la Genesi biblica dice che nel Paradiso terrestre vi era l’albero della vita, quest’ultimopur essendo ‘figura’ di Gesù Cristo, Albero di Vita eterna – era in realtà un normalissimo albero che tuttavia produceva frutti con proprietà salutari del tutto eccezionali atte ad assicurare vita longeva e sana.
La cosa non deve meravigliare per chi ammetta il miracolo della Creazione divina.
La scienza ha del resto scoperto che sono innumerevoli, in natura, frutti ed erbe che hanno proprietà nutritive e medicamentose insospettabili.
E’ quindi del tutto comprensibile che dopo la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre Dio abbia loro impedito l’accesso ad un albero i cui frutti avevano siffatte proprietà, in quanto i due Progenitori erano stati condannati – come conseguenza della loro Colpa – a sperimentare non solo fatiche per procurarsi di che vivere ma anche malattie e morte.
L’albero della vita di cui parla Genesi (Gn 3, 20-24) non è dunque un albero ‘metaforico’ né tantomeno un albero mitico, come asseriscono gli atei - che non ammettendo la creazione da parte di Dio - sostengono che tutta la Genesi non è altro che un racconto leggendario che riflette credenze cosmogoniche e creative caratteristiche di una Umanità delle origini ‘semplice e credulona’ in quanto… preistorica.


1  M.V.: ‘I Quaderni del 1945-1950’ – 12.4.45 – pag. 315 - Centro Editoriale Valtortiano
N.d.A.: Una curiosità: nel caso specifico la mistica sentendo nel suo spirito le prime parole ha iniziato a trascriverle dicendo ‘Dice Gesù’, salvo poi accorgersi ad un certo punto dal contenuto che a parlare era il Padre. Anche in altre occasioni si era verificato il caso che Gesù iniziasse a parlare e che poi il discorso venisse continuato senza soluzione di continuità dal Padre o dallo Spirito Santo, il che si comprendeva - come in questo caso - dal senso del Dettato. Non bisogna infatti dimenticare che Padre, Figlio e Spirito Santo sono tre diverse Persone che costituiscono una ‘Unità’ per cui dove è Uno sono presenti anche gli Altri.
2  M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – 21/28.5.1948 – Ai Romani c. VII v. 14-25 – C.E.V.
3  Gn 2, 18-25. Gesù conferma qui il racconto della Genesi, realtà storica e non racconto mitologico.
4  Genesi 3, 8
5  N.d.A.: Gesù riconferma qui il racconto della Genesi, Gn 2, 18-25
11.3 Azaria: «Il Verbo ha sempre ubbidito. Il Padre gli disse: "Tu sarai Uomo perché Tu solo puoi istruire l'Umanità". Il Verbo disse: "Sarò Uomo. La tua Volontà sia fatta"1. Il Padre disse: "Tu morrai perché solo il tuo Sacrificio potrà redimere l'Umanità". Il Verbo disse: "Io morrò. La tua Volontà sia fatta"2. Il Padre disse: "E morrai sulla Croce perché per redimere il mondo non mi è sufficiente il sacrificio della tua vita fra ì dolori della morte per malattia". Il Verbo disse: "E morirò sulla Croce. La tua Volontà sia fatta…».
Molto sovente è lo stesso uomo che si procura da sé il dolore ribellandosi alle leggi d’ordine poste da Dio.
Azaria – l’Angelo custode di Maria Valtorta - esordisce infatti così in una sua lezione3 facendo osservare che l’uomo, colpito dal dolore, spesso ne fa accusa a Dio ma non riflette sul fatto che molte volte il dolore è provocato dall’uomo stesso che si ribella alla volontà di Dio e che nella sua superbia si crede ‘dio’ andando contro le leggi buone che Dio per suo utile e salvaguardia ha fissato, e creandosi anzi leggi proprie che tuttavia arrecano disordine.
Dal disordine proviene dunque il dolore per cui l‘uomo, anziché essere castigato da Dio come meriterebbe, finisce per castigarsi da se stesso non di rado in una misura e con una ferocia a cui Dio – che è giusto - non giungerebbe mai anche nei castighi più severi.
Il responsabile vero di tutto ciò è però Satana che suggestiona e sobilla gli uomini spingendoli a fare quel male che essi – da soli – non sarebbero capaci di fare.
Satana protegge - in vita - questi suoi servi, che tuttavia – in morte – riceveranno da Dio una punizione tremenda: e questa è anche la soddisfazione di Satana, sapendo che saranno condannati alle sue stesse pene.
Poco sopra vi ho sintetizzato con parole mie un passo di una ‘lezione’ di Azaria, che in verità tratta anche altri profondi aspetti, ma non mi posso discostare dall’argomento oggetto di questa nostra riflessione, concernente il ‘fare la volontà di Dio’, ubbidendogli sempre.
Peraltro – quanto al fare io delle sintesi o parafrasi sia dei concetti espressi da Gesù che dallo Spirito Santo o, in questo caso, dello stesso Azaria - mi devo scusare per la povertà del mio linguaggio, lontano dal loro modo di parlare e fraseggiare molto ‘elevato’.
Ci si può chiedere come mai Gesù, lo Spirito Santo e lo stesso Azaria usino con noi un linguaggio così ricco di espressioni, immagini e anche poesia, per non parlare della Sapienza.
Una spiegazione plausibile è che Essi desiderano farci capire e ‘toccare con mano’ che quelle espressioni, quei loro concetti, quella poesia, quella Sapienza non possono venire che da Dio.
Dio potrebbe in realtà utilizzare anche concetti più elevati e sublimi, ma è obbligato a tener conto delle nostre limitate capacità intellettive e spirituali per cui ci dà quel tanto di Sapienza che noi riusciamo a comprendere.
Per la stessa ragione – e cioè far comprendere la sua divinità - Gesù compiva miracoli e parlava ‘con sapienza’ - come dicevano gli ebrei del suo tempo nei Vangeli canonici – cosicché ognuno potesse convincersi che quanto Lui diceva e faceva veniva senza ombra di dubbio proprio da Dio.
E’ stata questa la grande colpa della Casta sacerdotale e politica ebraica di allora: aver volontariamente rifiutato di riconoscere la sua natura divina, pur dimostrata da una sapienza chiaramente soprannaturale e da così tante prove e miracoli dal valore inoppugnabile: è il classico peccato contro lo Spirito Santo.
Per ritornare però al nostro argomento principale, e cioè a quanto sia importante fare sempre la Divina Volontà, ciò lo si poteva già capire anche dalle nostre riflessioni sul quarto discorso della Montagna concernenti il giuramento, la preghiera ed il digiuno, dove – parlando della preghiera - avevamo analizzato la preghiera perfetta, quella insegnata da Gesù agli apostoli: la Preghiera del ‘Padre nostro’.
Vi era infatti riportata una spiegazione di Gesù che illustrava agli apostoli il senso delle varie invocazioni di quella Preghiera.
Egli - arrivato a spiegare l’invocazione “Sia fatta la tua Volontà come in Cielo così in terra” - così continuava a questo riguardo (i grassetti sono miei): 4
(…)
Il Regno del Cielo sarà di chi ha fatto la Volontà del Padre, non di chi avrà accumulato parole su parole, e poi si è ribellato al volere del Padre, mentendo alle parole anzidette.
Anche qui vi unite a tutto il Paradiso che fa la Volontà del Padre. E se tale Volontà la fanno gli abitanti del Regno, non la farete voi per divenire, a vostra volta, abitanti di lassù?
Oh! gioia che vi è stata preparata dall’amore uno e trino di Dio! Come potete voi non adoperarvi con perseverante volontà a conquistarla?
Chi fa la Volontà del Padre vive in Dio.
Vivendo in Dio non può errare, non può peccare, non può perdere la sua dimora in Cielo, poiché il Padre non vi fa fare altro che ciò che è Bene, e che, essendo Bene, salva dal peccare, e conduce al Cielo.
Chi fa sua la Volontà del Padre, annullando la propria, conosce e gusta dalla Terra la Pace che è dote dei beati.
Chi fa la Volontà del Padre, uccidendo la propria volontà perversa e pervertita, non è più un uomo: è già uno spirito mosso dall’amore e vivente nell’amore.
Dovete, con buona vo1ontà, svellere dal cuore vostro la volontà vostra e mettere al suo posto la Volontà del Padre.
(…)
Del resto lo ‘svellere dal cuore la propria volontà per accettare quella di Dio’, come ha detto poco sopra Gesù, a Lui è costato nel Getsemani sudore di sangue, come infatti conferma l’evangelista Luca5 nel descrivere la Sua Passione (i grassetti sono miei):
39Uscì e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. 40Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione».
41Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: 42«Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà».
43Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo.
44Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra.
45Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza.
46E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione».
Il Gesù valtortiano, in una sua rivelazione riportata in una nostra precedente riflessione, aveva detto6: ‘… ma l’ubbidienza è mia, esclusivamente mia. Ho ubbidito nell’incarnarmi, nel farmi povero, nello stare sottomesso agli uomini nel compiere la mia missione di evangelizzatore, nel morire…’.
Ecco allora – con riguardo all’ubbidienza totale di Gesù alla Volontà di Dio Padre - quanto l’Angelo Custode Azaria ha voluto spiegare in una sua Lezione alla mistica (i grassetti sono miei, le note a piè di pagina sono per la maggior parte editoriali): 7
47.
5 gennaio 1947
Ss. Nome di Gesù e Vigilia dell'Epifania
Dice Azaria:
«Le S. Messe di oggi: Domenica celebrativa del S. Nome di Gesù e Vigilia dell'Epifania, sono il poema dell'ubbidienza, di questa grande virtù che, dopo le tre virtù teologali8, andrebbe amata e seguita alla perfezione, e che all'opposto passa quasi inosservata, o osservata male e amata meno ancora.
Eppure essa è uno dei cardini dell'Increato e del Creato, ed è indispensabile cardine per sorreggere l'edifizio della santità.
Contempliamola insieme, anima mia, e vedrai che essa è, dovunque è, cosa buona.
Ubbidienza nell'Increato:
Il Verbo ubbidisce al desiderio del Padre. Sempre.
Non si rifiuta mai di essere Colui per la cui Parola i voleri del Padre si fanno.
Del Verbo Divino si sanno le perfette ubbidienze. Brillano, a voi mortali, dalle prime parole della Genesi: "Dio disse: 'Sia fatta la luce"9.
Ecco che subito il Verbo espresse il comando che il Padre aveva pensato, e la luce fu.
Fu la luce, e il Verbo prese presso gli uomini Carne dichiarandosi più volte "Luce", e Luce è detto dalla bocca ispirata di Giovanni Apostolo: "In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Questi era in principio presso Dio. Tutte le cose sono state fatte per mezzo di Lui, e senza di Lui nessuna delle cose create è stata fatta. In Lui era la Vita e la Vita era la Luce degli uomini. E la Luce splendé nelle tenebre, ma le tenebre non la compresero. Ci fu un uomo mandato da Dio. Il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone, per attestare la Luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la Luce, ma venne per rendere testimonianza alla Luce. Era la vera Luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo"10.
Questa pagina serafica del serafico che aveva conosciuto Dio, e non soltanto Dio-Uomo, Salvatore e Maestro, ma Dio, l'Inconoscibile11, e ne aveva compreso la Natura, è veramente un canto, il canto della verità sulla Natura del Verbo e mette ali all'anima di chi lo sa ascoltare, ali per salire a contemplare il Verbo che si fece Uomo per dare la Vita e la Luce agli uomini. Il Verbo ha voluto a sua caratteristica il nome di "Luce"12. Ha quasi battezzato Sé stesso di questo nome che è stato detto da Lui nel primo suo atto di ubbidienza al Padre: "La Luce sia!".
Il Verbo ha sempre ubbidito.
Il Padre gli disse: "Tu sarai Uomo perché Tu solo puoi istruire l'Umanità".
Il Verbo disse: "Sarò Uomo. La tua Volontà sia fatta"13.
Il Padre disse: "Tu morrai perché solo il tuo Sacrificio potrà redimere l'Umanità".
Il Verbo disse: "Io morrò. La tua Volontà sia fatta"14.
Il Padre disse: "E morrai sulla Croce perché per redimere il mondo non mi è sufficiente il sacrificio della tua vita fra ì dolori della morte per malattia".
Il Verbo disse: "E morirò sulla Croce. La tua Volontà sia fatta"15.
Passarono i secoli, e il Verbo, venuta la sua ora, si incarnò nel Seno della Vergine e nacque come tutti i nati d'uomo16; piccino, debole, incapace di parlare e di camminare; e crebbe lentamente come tutti i figli degli uomini, ubbidendo anche in questo al Padre che lo voleva soggetto alle leggi comuni17 per preservarlo dalle insidie di Satana e degli uomini, guatanti feroci in attesa del temuto Messia, e per prevenire le future obbiezioni dei negatori e degli eretici sulla vera Umanità del Figlio di Dio18.
Crebbe in sapienza e grazia, ubbidendo19.
Si fece uomo e operaio, ubbidendo. A Dio Padre, e ai parenti20.
Giunto al 30° anno divenne il Maestro per istruire l'Umanità, ubbidendo.
Passati tre anni e tre mesi, e giunta l'ora del morire, e di morte di Croce, ubbidì ripetendo: "La tua Volontà sia fatta"21.
E ubbidire sinché l'ubbidienza è soltanto di pensiero è facile ancora. Dire: "Tu farai..." E rispondere: "Io farò", avendo davanti anni fra l'ordine e l'esecuzione del medesimo - nel caso di Cristo: secoli - è ancora facile. Ma ripetere: "Sia fatta la tua Volontà" quando la Vittima ha già davanti tutti gli strumenti della Passione ed è l'ora di abbracciarli per compiere la volontà di Dio, è molto più difficile22.
Tutto ripugna alla creatura umana: il dolore, le offese, la morte. Nel caso di Cristo, anche il peso dei peccati degli uomini che si accalcavano su Lui, Redentore prossimo alla Redenzione. Ma Gesù ubbidì dicendo: "Sia fatta la tua Volontà" e morì sulla Croce dopo aver tutto sofferto e consumato23.
Questa l'ubbidienza nell'Increato.
Nel Creato24.
Gli elementi, che erano confusi nel caos, ubbidirono ordinandosi.
Ricordati qui le parole della Genesi, per non dire che il portavoce sente malamente25: " Dio creò il cielo e la terra, e la terra era informe e vuota, e le tenebre coprivano la faccia dell'abisso, e lo Spirito di Dio si librava sulle acque e Dio disse: "Sia fatta la Luce"26.
Aria, acqua, fuoco, luce, erano dunque fatti, ma non erano separati e ordinati.
Dio comandò loro di separarsi e di ordinarsi, secondo la legge che Egli dava loro, ed essi ubbidirono, e ubbidiscono da migliaia di anni, facendo il giorno e la notte, i mari e le terre, e lavorando, il fuoco, nelle vene del globo, a preparare i minerali dei quali l'uomo necessita.27
Ubbidienza nel Creato: Dio, dopo aver fatto il cielo, ossia gli strati dell'atmosfera, li sparse d'astri comandando loro di seguire una certa via immutabile, e gli astri ubbidirono.
Dio, dopo aver fatto la Terra, ossia dopo aver reso compatta e ordinata la materia, prima sparsa e confusa di polvere e di acque, creò le piante e gli animali della Terra e delle acque, e comandò loro di fruttificare e moltiplicare, ed animali e piante ubbidirono.
Poi venne l'uomo28, la creatura-re del creato, e Dio diede all'uomo comando di ubbidienza.
E l'ubbidienza dell'uomo avrebbe mantenuto la Terra allo stato di un Paradiso terrestre nel quale morte, fame, guerre, sventure, malattie, fatiche, sarebbero state ignorate; un giocondo soggiorno di pace e amore nell'amicizia di Dio sarebbe stata la vita dell'uomo sino al suo passaggio alla Dimora celeste, nel modo che lo fu per Maria Ss., che non morì, ma si addormì nel Signore e si svegliò sul suo Seno, bella e glorificata col suo spirito perfetto e con le sue carni senza colpa29.
E Satana non volle questa gioia dell'uomo, questa gioia di poco inferiore a quella degli angeli30 e con, a compenso della differenza fra gli angeli e gli uomini, la gioia dei figli avuti senza concupiscenza, che è sempre dolore, e senza dolore, frutto della concupiscenza31.
E l'uomo secondò il desiderio di Lucifero e disubbidì, portando a sé e ai suoi discendenti tutte le conseguenze della disubbidienza che non è mai buona e che crea sempre delle rovine32.
Da allora, da quando lo spirito dell'uomo si è inquinato con la disubbidienza, caratteristica di Satana, soltanto gli amanti di Dio sanno ubbidire33 e, su questo cardine che è lo spirito di ubbidienza, santificarsi.
L'ubbidienza, che sembra inferiore alle tre teologali virtù34, soltanto perché non è nominata neppure nelle quattro virtù cardinali35, è in realtà presente in tutte, inscindibile da tutte le virtù. Essa è come il sostegno su cui esse si appoggiano per crescere in voi.
Medita.
Come potete avere la Fede?
Ubbidendo a Dio che vi dice e propone di credere nelle sue verità e misteri, e ubbidendo a ciò che vi dice la S. Chiesa: Voce delle voci di Dio36.
Come potete avere la Speranza?
Anche qui ubbidendo a Dio il quale vi infonde questa virtù dicendovi che dovete sperare in Lui che vi darà gli aiuti e le misericordie sue per giungere alla Vita eterna e al suo possesso.
Come potete avere la Carità?
Ubbidendo al precetto dell'amore verso Dio e verso il prossimo.
Come potete avere la Prudenza?
Stando ubbidienti ai precetti di Dio e ai suoi consigli37 che hanno lo scopo di indirizzare ogni azione dell'uomo al suo giusto fine.
E come la Giustizia?
Ubbidendo alla Legge della morale soprannaturale la quale vi insegna a non fare agli altri, ciò che non si vorrebbe fatto a sé stessi38.
E come la Fortezza?
Ubbidendo eroicamente a Dio che sapete più grande di tutte le cose create, e per il Quale dovete essere disposti a tutto patire per conservarvi fedeli a Lui e possederlo per l'eternità; ubbidendo eroicamente con la sua promessa nel cuore: "Io sarò con voi nelle ore delle prove"39. Perché questo è ciò che promettono tutte le parole della Verità che bisogna saper capire nel loro spirito. Fare, e non temere. Dio è40 con gli ubbidienti al suo volere. I persecutori restano quaggiù. Oltre vita non vi raggiungono, o ubbidienti di Dio. E un giorno verrà in cui vi rivedranno e stupiranno vedendovi fra i benedetti.
E come potete avere la Temperanza?
Ancora per l'ubbidienza ai divieti santi di Dio e ai limiti messi a vostra salvezza per usare senza pericolo delle cose temporali.
Voi vedete che l'Ubbidienza, virtù taciuta, è in tutte le virtù. In tutte.
Ed ora che abbiamo fatto l'elogio dell'ubbidienza, meditiamo la S. Messa del Ss. Nome di Gesù.
Gesù ubbidì anche nell'assumere il Nome che il Padre voleva portato da Lui.
Non obbiettino gli uomini: "Certo che prese quel Nome, posto che era il Salvatore!"41.
Diranno forse anche: "Salvatore lo avevano già chiamato i profeti"42.
Gli uomini vogliono sempre sminuire le eroicità delle virtù dei santi, e perciò anche la perfetta eroicità del Santo dei Santi: Gesù, Figlio di Dio e di Maria.
Molti nomi erano nella lingua di Israele che avrebbero potuto servire a significare chi era il figlio di Maria. Poteva chiamarsi Eliseo, Joab, Gionata, Malachia, Mattia e Matatia, Zaccheo e Zebedeo, Natanaele e Uria, e Gioachino anche, perché il Signore Iddio innalzò il suo Verbo e sulla Croce e sul mondo e su tutte le creature43. E vi erano i nomi usati dai Profeti, sotto l'impulso dello Spirito Santo, per indicare il Verbo Incarnato44.
Perciò non è da dirsi che unicamente quel Nome Egli doveva assumere. Ma lo assunse perché così lo voleva il Padre suo. E Maria e Giuseppe, altri eroici ubbidienti, lo imposero al Bambino perché così "l'angelo lo aveva chiamato prima che Egli fosse concepito nel seno materno".
Cosa voglia dire "Gesù" già te l'ho spiegato, e con più ampia spiegazione di quella data comunemente dai dotti45. Ma alla potenza e giustizia di questo Nome tu ora puoi unire anche la cognizione di quale virtù cela. La santa ubbidienza presa a sua fedele compagna nelle grandi e piccole cose, e anche nel prendere il Nome da portare in eterno come Dio-Uomo.
Quel Nome davanti al quale si deve piegare ogni ginocchio in Terra, in Cielo, e nell'Inferno, ed ogni lingua deve confessare che il divino Signor Gesù Cristo è nella gloria del Padre.
Quel Nome che è ammirabile più di ogni altro portato da creatura46.
Quel Nome che opera miracoli e libera dai demoni col solo nominarlo, perché è il Potente nome dell'Onnipotente47. E che e quanto onnipotente sia, e che miracoli operi ad averlo fra voi, tu più volte ne hai esperimentato la verità e misura48.
Dire "Gesù" è già dire preghiera e supplica che il Padre dei Cieli non respinge mai.
Dire "Gesù" è vincere le forze avverse, quali che siano. Satana e i suoi neri ministri non possono tenere la preda se essa, o chi per essa, grida: "Gesù".
Lodiamolo, io e te, questo Nome, e lodiamo Gesù di dirlo e di volerlo re nelle case per ristabilire pace e gioia, ordine e amore là dove Lucifero ha sconvolto. Lo dice il Principe degli Apostoli, fatto ormai vero apostolo e maestro dal battesimo pentecostale: "Sia noto a voi tutti e a tutto il popolo d'Israele come in nome di Gesù Cristo Nazareno,... in virtù di questo Nome costui è sano davanti a voi... Non c'è altra salvezza. E non c'è altro Nome sotto il Cielo... in virtù del quale possiamo salvarci".
Il Nome dell'Ubbidiente sino alla morte, e morte di Croce49, è il nome vittorioso su tutto e sempre.
Anche oggi tu hai visto come in virtù dell'amore e del Nome di Gesù, colui che sai è sano davanti a chi prima lo sapeva malato. É liberato. Il Nome di Cristo tenga lontano da lui i ritorni del Male che odia coloro che vogliono vivere nella Legge di Dio50.
Che odia. Come ha odiato Maria e Giuseppe, aizzando tutto quanto poteva nuocere loro e dare loro dolore perché essi erano ubbidienti al Signore.
Che odia. Come ha odiato i tre Savi51, tanto da tentare che il loro ossequio si mutasse in danno al Fanciullo Divino e a loro stessi, ricercati da Erode, deluso e irritato del loro sfuggirgli.
Anche essi erano degli ubbidienti.
Hanno ubbidito alle voci dell'alto. Sempre. Sia quando queste voci dicevano loro: "Partite per adorare il nato Re dei Giudei", sia quando esse dicevano: "Non ripassate da Erode".
Hanno ubbidito e hanno meritato di piegare il ginocchio, primizie dei popoli tutti52, davanti al Cristo, davanti al Figlio di Dio e di Maria: Gesù.
Tutta ubbidienza è la vita di Cristo, e dei parenti e amici di Cristo.
L'ubbidienza pavimenta la via del Signore, e su essa Egli è passato, con sua Madre e con Giuseppe, dai primi attimi della sua vita terrena. Anzi, Pargolo incapace, su essa lo hanno portato coloro che per volere di Dio rappresentavano per Lui e presso di Lui Iddio: il Padre putativo e la Madre Vergine.
E se la Madre sapeva, per la Grazia onde era piena53, che non c'era da insegnare al Fanciullo le vie della Giustizia, Giuseppe, che non sapeva tutti i misteri che Maria serbava nel suo cuore54 ricorda qui la spiegazione avuta nel libro dell'Infanzia di Gesù Signor Nostro - da giusto qual era volle insegnare al Fanciullo sin dai primi bagliori dell'intelligenza che ubbidire si deve agli ordini di Dio, anche se questi ordini vogliono dire esilio, maggior povertà, dolore55.
E Maria, Sposa umile e prudente, secondò lo sposo, facendosi simile a lui presso il Fanciullo che, a sviare Satana, andava trattato come ogni altro piccolo figlio di uomo.
Che profondità di virtù in queste parole dette dopo le altre inerenti all'ubbidienza del nome da imporsi al Fanciullo! "E Giuseppe, alzatosi nella notte, prese il Bambino e la Madre e si ritirò in Egitto dove stette..." 56e nelle altre: "Ed egli, alzatosi, prese il Bambino e la Madre e tornò in terra di Israele... e avvertito in sogno si ritirò in Galilea..."57.
Ubbidienza pronta e assoluta, tanto da non rispondere parola per discutere, tanto da neppur attendere il mattino per metterla in pratica. E ciò non solo la prima volta, quando il ritardo di un'ora poteva dire anche "morte" per il Bambino, ma anche la seconda volta, quando meno urgente era la partenza, quando, anzi, lasciare la città ospitale voleva dire perdere nuovamente i clienti, e perciò gli utili e quel minimo che col lavoro si era nuovamente rifatto. Giuseppe non sapeva cosa avrebbe trovato tornando in patria. Ma parte, perché Dio lo vuole, e va dove Dio lo vuole.
Aveva dubitato una sola volta Giuseppe, e di una creatura58. Mai di Dio.
Ora, progredito nella virtù per la vicinanza di Maria59, non dubiterebbe, non dubita, anzi, più neppure delle creature. Accetta tutto. E dice a sé stesso: "Mi fido dell'Altissimo. Egli conosce i cuori degli uomini e salverà me dalle insidie dei mentitori e degli empi".
Riguardo alle voci del Cielo non ha mai dubitato e non dubita60. E va.
Imitate l'ubbidienza degli eletti e dei Prediletti che appare luminosa dalle due sante Messe di oggi e dalla ricorrenza di domani.
Chi sa ubbidire regnerà61. Perché se la carità è Dio, l'ubbidienza è segno di figliolanza da Dio62.
Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo».

Bene, avete ora conosciuto meglio Azaria63, l’Angelo custode di Maria Valtorta che l’ha assistita in tutta la sua missione integrando gli insegnamenti che la mistica già riceveva da Gesù, dallo Spirito Santo, dalla stessa Maria SS., nonché da santi come San Paolo, San Giovanni ed altri ancora.
Di Azaria – alla conclusione di un mio studio durato molti mesi sulle sue ‘lezioni’64 - mi aveva colpito una sua frase conclusiva: ‘Non è sufficiente avere il Battesimo e gli altri divini aiuti per essere salvi e gloriosi, ma ci vuole la buona volontà. Perché il possesso del Regno eterno non è dono gratuito ma è conquista individuale mediante lotta continua. Dio aiuta… ma è l’uomo che deve volere il Cielo. Il libero arbitrio non è lasciato per la rovina dell’uomo; se lo fosse, solo per questo Dio avrebbe fatto un dono non buono all’uomo, e Dio non fa cose non buone. Ma è stato lasciato anche e soprattutto per volere la salvezza, ossia il Cielo, ossia Dio.’
La prossima riflessione sarà dedicata a:
12. IL SETTIMO DISCORSO DELLA MONTAGNA NELLA SOSTA DEL SABATO:
AMARE LA VOLONTA’ DI DIO
(Terza parte di tre)

1  vedi: Ebrei 10, 5-7.
2  vedi: Filippesi 2, 5-11.
3  M.V.: ‘Libro di Azaria’ – Cap. 38 – 3 novembre 1946 – Centro Editoriale Valtortiano
4  M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – 7.7.43 – Centro Editoriale Valtortiano
5  Lc 22, 39-46
6  N.d.A.: M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – Dettato 3.11.43 – Centro Editoriale Valtortiano
7  M.V.: ‘Libro di Azaria’ – Cap. 47 – 5 gennaio 1947 – Centro Editoriale Valtortiano
8  Cioè fede, speranza, carità; vedi: Ia Corinti 13.
9  vedi: Genesi 1, 1-5. Raduniamo qui, per illuminare il contesto, ciò che si riferisce al Figlio di Dio fatto Uomo, chiamato Luce: Matteo 4, 12-17; Giovanni 1, 1-9; 3, 19-21; 8, 12; 9, 1-5; 12, 35-46; Ia Timoteo 6, 11-16; Ia Giovanni 1, 5 - 2, 11; Apocalisse 21, 22 - 22, 5.
10  vedi: Giovanni 1, 1-9.
11  Dio è l'Inconoscibile; vedi: Esodo 33, 18-23; Giovanni 1, 18; 6, 44-46; Ia Giovanni 4, 12. Tuttavia egli parla, si è manifestato, si manifesta nei suoi servi, ad essi, per mezzo di essi; vedi, per esempio, a riguardo di Mosè: Esodo 34, 29-35, Deuteronomio 34, 10-12; Ecclesiastico 44, 27 - 45, 6 (LXX: 45, 1-5); specialmente nel suo Cristo, a Lui, per mezzo di Lui, vedi: Matteo 11, 25-27; Giovanni 1, 18; 14, 8-10; Atti 17, 22-31; Colossesi 1, 13-20; Ebrei 1, 14; ecc.; e sino alla fine del mondo, nella sua Chiesa, ad essa, e per mezzo di essa: soprattutto in quanto essa è sacramento, cioè segno e strumento di salvezza, e si esprime attraverso il suo consenso universale, manifestato in tanti modi e specialmente mediante il Papa definiente da solo o con il Concilio Ecumenico, vedi n. 22 (p. 371).
12  vedi: Giovanni 1, 9; 8, 12; 12, 46.
13  vedi: Ebrei 10, 5-7.
14  vedi: Filippesi 2, 5-11.
15  vedi: Filippesi 2, 5-11; Ebrei 10, 5-10, ecc.
16  Come è chiaro dal contesto, la formula «nacque come tutti i nati di uomo», non si riferisce al modo del parto, ma alla condizione del partorito: cioè non afferma che Maria, partorendo Gesù, abbia perduto la sua verginale integrità, ma afferma che il Bambino Gesù, una volta nato, si è comportato «come tutti i figli degli uomini». Vedi: Romani 8, 14; Galati 4, 1-7; Ebrei 4, 14-16.
17  vedi n. 9; e inoltre: Luca 2, 1-7, 22-24, 39-40, 51-52.
18  Allusione alle eresie, protrattesi per secoli, degli gnostici, dei manichei, dei cátari, di varie specie, ma tutti concordi nel negare la realtà della carne di Cristo e nel riconoscergli un corpo soltanto fantastico, apparente. Ritenevano, infatti, che la materia, e perciò anche la carne umana, non provenisse da Dio o comunque da un principio buono, ma provenisse da Satana o comunque da un principio cattivo.
19  come la n. 10.
20  vedi: Luca 2, 51-52.
21  vedi: Matteo 26, 36-46; Marco 14, 32-42; Luca 22, 39-46; Ebrei 5, 7-10.
22  Rileggere i brani evangelici indicati nella precedente nota, e riflettere che Gesù, nell'orto degli ulivi, prossimo ormai a morire, grondò sangue: Luca 22, 44.
23  vedi: Matteo 27, 45-50; Marco 15, 33-39; Luca 23, 44-46; Giovanni 19, 28-30.
24  Nessuno si meravigli se questo scritto valtortiano segue con molta fedeltà, e prende molto alla lettera, il testo biblico della Genesi. Non differentemente, secondo i Santi Evangeli, si comportò Gesù, Divino Maestro; vedi: Matteo 12, 38-42; 16, 1-4; 19, 1-9; Marco 10, 1-12; Luca 11, 29-32, ecc.; vedi inoltre: Poema I, p. 175, n. 4; pp. 290-291, nn. 17-21; Il, p. 119, n. 11; p. 164, n. 3; p..238, n. 3; p. 432, n. 4; p. 502, n. 5; 111, p. 24, n. 3; p. 115, n. 3; IV, p. 625, n. 10; p. 659, n. 1; p. 778, n. 3; p. 1113, n. 1; VIII, p. 90, n. 23; p. 192, n. 22; p. 195, n. 32; p. 196, n. 33; IX, p. 192, n. 7; X, p. 313, n. 4.
25  vedi: 7 aprile 1946, n. 31 (p. 52).
26  vedi: Genesi 1, 1-5.
27  N.d.A.: Il calcolo matematico-probabilistico dice che è praticamente nulla la probabilità che l’universo si sia formato ‘da solo’ e ‘per caso’. L’Angelo Azaria nel dire qui che Dio ‘comandò agli elementi separati e confusi delle origini di separarsi e ordinarsi secondo le Leggi che Egli dava loro’, esprime in maniera semplice e poetico-letteraria il concetto di un Universo governato da Leggi immutabili, scientifiche ed intelligentissime. A questo riguardo ricordo che Grichka Bogdanov - in ‘Dio e la scienza’, (J. Guitton- G. Bogdanov - I. Bogdanov, Bompiani Editore) aveva fatto una riflessione che mi aveva molto colpito perché, su di un piano di calcolo matematico-probabilistico, aveva confutato la tesi sulla quale hanno bazzicato per anni molti 'atei' materialisti i quali, non volendo spiegare la creazione dell'universo con un atto 'creativo', che significa appunto ammettere Dio, l'hanno attribuita - senza peraltro sostenerla con alcuna prova se non con la sicurezza della loro asserzione - ad un fatto 'casuale'.
'...Qui - osservava appunto Grichka Bogdanov - tocchiamo un mistero profondo. Non dimentichiamo che l'intera realtà si fonda su un numero molto piccolo di costanti cosmologiche: sono meno di quindici, la costante gravitazionale, la velocità della luce, lo zero assoluto, la costante di Planck, ecc. Noi conosciamo il valore di ognuna di queste costanti con precisione notevole. Ora se una sola di queste costanti fosse modificata anche di poco, allora l'universo - almeno quale noi lo conosciamo - non avrebbe potuto apparire. Un esempio significativo è costituito dalla densità iniziale dell'universo: se questa densità si fosse allontanata anche di pochissimo dal valore critico che ha assunto a partire da 10 -35 secondi dopo il Big-Bang, l'universo non si sarebbe potuto formare'. 'Un altro esempio - continuava poi Grichka - di questa fantastica regolazione: se aumentassimo dell'uno per cento appena l'intensità della forza nucleare che controlla la coesione del nucleo atomico, elimineremmo la possibilità che i nuclei di idrogeno hanno di restare liberi: questi si combinerebbero con altri protoni e neutroni per formare dei nuclei pesanti. A partire da tale momento, visto che l'idrogeno non esisterebbe più, non potrebbe nemmeno combinarsi con gli atomi di ossigeno per formare l'acqua che è indispensabile alla nascita della vita. Se al contrario diminuiamo leggermente la forza nucleare, allora è la fusione dei nuclei di idrogeno a diventare impossibile. E senza fusione nucleare non ci sono più soli, fonti di energia, vita'.
Igor Bogdanov aggiungeva da parte sua che lo stesso ragionamento vale anche modificando i parametri della forza elettromagnetica che squilibrerebbero i rapporti fra gli elettroni ed il loro nucleo come pure le reazioni chimiche che risultano dal trasferimento degli elettroni verso altri nuclei, impedendo la formazione di una grande quantità di elementi per cui, in un universo siffatto, le molecole stesse del 'Dna' non avrebbero alcuna possibilità di comparire. Infine la forza di gravità: 'se questa fosse stata appena un po’ più debole al momento della formazione dell'universo, le nubi primitive di idrogeno non avrebbero mai potuto condensarsi per raggiungere la soglia critica della fusione nucleare: le stelle non si sarebbero mai accese...
Igor concludeva: 'In realtà, quali che siano i parametri considerati la conclusione è sempre la stessa: se si modifica anche di poco il loro valore, si preclude ogni possibilità allo sbocciare della vita. Le costanti fondamentali della natura e le condizioni iniziali che hanno permesso l'apparizione della vita sembrano quindi regolate con una straordinaria precisione. Ancora un'ultima cifra: se il tasso di espansione dell'universo all'inizio avesse subito uno scarto dell'ordine di 10-40 la materia iniziale si sarebbe sparpagliata nel vuoto. L'universo non avrebbe potuto dare origine alle galassie, alle stelle, alla vita. Per dare un'idea della precisione incredibile con la quale sembra che l'universo sia stato regolato, basta immaginare la prodezza che dovrebbe compiere un giocatore di golf per riuscire, tirando dalla Terra, a far entrare la palla in una buca situata da qualche parte sul pianeta Marte...'
'E allora - continuava Jean Guitton - queste cifre non possono che rafforzare la mia convinzione: né le galassie e i loro miliardi di stelle, né i pianeti e le loro forme di vita che contengono, sono un accidente o una semplice 'fluttuazione del caso'. Noi non siamo comparsi 'così', un bel giorno piuttosto che un altro, perché una coppia di dadi cosmici sono rotolati sul lato giusto. Lasciamo queste considerazioni a coloro che non vogliono aver nulla a che fare con la verità dei numeri...'
‘E' un fatto - concludeva Igor - che il calcolo delle probabilità depone a favore di un universo ordinato, minuziosamente regolato, la cui esistenza non può essere generata dal caso... la probabilità matematica che l'universo sia stato generato dal caso è praticamente nulla'.
28  N.d.A.: vedi: Genesi 1, 26 - 2, 25.
29  Secondo questo scritto valtortiano, Maria SS.ma non morì, poiché temporaneamente l'anima di Lei si separò dal corpo, non però per morte, ma per altissima estasi (vedi: IIa Corinti 12, 14), e quindi si riunì al corpo: e così la Vergine Madre e socia del Redentore fu simile a Lui nella piena e sollecita glorificazione di tutta la sua persona, cioè in anima e corpo, e senza attendere la fine del tempo. Vedi: Poema X, p. 338, n. 71; p. 347, n. 1.
30  Allusione a: Salmo 8
31  Per capir bene queste affermazioni è opportuno notare quanto segue:
a) La parola «concupiscenza» è anche biblica, e denota un movimento, una attrattiva, una tendenza, una spinta della persona, considerata anche o soprattutto nel suo elemento sensibile, verso un bene dilettevole: per esempio, Dio, la sapienza la virtù, l'arte, il cibo, il senso, altri beni.
b) Se questa concupiscenza è guidata, regolata, dalla retta ragione, e molto più dalla carità diffusa nel cuore dallo Spirito Santo (Romani 5, 3-5; 8, 5-10), allora è buona, e magari santa e meritoria del premio eterno; vedi, per esempio: Salmo 83 (ebraico 84), 2-3; Sapienza 6, 18-22 (LXX: 17-21); Ia Pietro 2, 1-3.
c) Se, invece, la concupiscenza non è guidata, regolata dalla retta ragione, e molto più dalla carità diffusa nel cuore dallo Spirito Santo, allora non è meritoria del premio eterno, non è santa, non è buona, ma è cattiva, peccaminosa, demeritoria; vedi, per esempio: Esodo 20, 17; Deuteronomio 7, 25; Sapienza 15, 4-6; Ecclesiastico 23, 4-6; Daniele 13; Matteo 5, 27-30; Ia Corinti 10, 1-13; Colossesi 3, 5-9; Giacomo 1, 13-15; Ia Giovanni 2, 15-17.
d) In italiano, che è la lingua di questo scritto valtortiano, per « concupiscenza » s'intende non quella buona ma quella cattiva, cioè non quella regolata ma quella sregolata: e così l'intende anche, scrivendo in latino, S. Tommaso quando annovera la « concupiscenza » tra le quattro ferite inferte dal peccato alla natura umana; vedi: Summa theologica, Prima secundae, quaestio 85, articulus 3: « Utrum convenienter ponantur vulnera naturae ex peccato consequentia, infirmitas, ignorantia, malitia et concupiscentia ».
e) Alla luce di tutto ciò, si capisce il senso e l'esattezza di quanto si legge in questo scritto valtortiano: « E satana non volle questa gioia dell'uomo, ... la gioia dei figli avuti senza concupiscenza che è sempre dolore, e senza dolore frutto della concupiscenza ». Satana, infatti, indusse l'uomo e la donna al peccato; e dal peccato procedette la concupiscenza (cattiva): l'uomo e la donna, prima dei peccato (= in stato di innocenza originale) avrebbero concepito e generato i figli nello stesso modo in cui li concepiscono e generano anche oggi, ma senza concupiscenza (= libidine) e senza dolore.
Questa è dottrina di S. Tommaso d'Aquino, Summa theologica, Pars prima, quaestio 98, articulus 2: « Utrum in statu innocentiae fuisset generatio per coitum »; e S. Tommaso si basa sull'altro grande Dottore della Chiesa S. Agostino, di cui riporta vari brani appartenenti al De Civitate Dei, liber XIV, cap. 26. L'articolo di S. Tommaso è un modello di dignità, solidità, e chiarezza.
32  vedi: Genesi 3; Sapienza 2, 23-24; Romani 5, 12-21.
33  vedi, per esempio: Genesi 22 (Abramo); Matteo 2 (Giuseppe, Magi): Luca 1, 26-38 (Maria SS.ma); Atti 5, 17-33 (Apostoli); Romani 5, 12-21; Filippesi 2, 5-11; Ebrei 10, 1-10 (Gesù); e, in genere, tutte le biografie autentiche dei Santi.
34  Cioè della fede, speranza, carità; vedi: Ia Corinti 13.
35  Cioè: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza.
36  Che la S. Chiesa sia «Voce delle voci di Dio», è espressione chiarissima ed esattissima, sia che per Chiesa s'intenda:
a) l'universalità dei pastori e dei fedeli, di un tempo o di tutti i tempi; vedi: CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica su la Chiesa, Lumen gentium, n. 12;
b) il Papa, bocca della Chiesa universale; vedi: PIUS XI, Litterae encyclicae Casti Connubii, 1931, in DENZINGER-SCHÖNMETZER, Enchiridion symbolorum..., n. 3717: «... Ecclesia catholica, cui ipse Deus morum integritatem honestatemque docendam et defendendam commisit, ... altam per os nostrum extollit vocem atque denuo promulgat...»;
c) il Papa con il Concilio ecumenico, espressione della fede e dottrina della Chiesa universale; vedi: PIUS IX, Constitutio dogmatica I de Ecclesia Christi, Pastor aeternus, in DENZINGER-SCHÖNMETZER, op. cit., n. 3069: « Romani ... Pontifices, prout temporum et rerum condicio suadebat, nunc convocatis oecumenicis Conciliis aut explorata Ecclesiae per orbem dispersae sententia, nunc per Synodos particulares, nunc aliis, quae divina suppeditabat providentia, adhibitis auxiliis, ea tenenda definiverunt, quae Sacris Scripturis et Apostolicis Traditionibus consentanea, Deo adiutore, cognoverant».
Riportiamo qui, a conclusione, un brano dell'ispirato discorso pronunciato dal grande Pio XII, subito dopo la definizione dogmatica dell'Assunzione di Maria SS.ma, in anima e corpo, alla gloria celeste: forse nessun altro testo dimostra così bene come la Chiesa sia «Voce delle voci di Dio». Riprendiamo il testo da A. TONDINI, Le Encicliche Mariane, 2a ed. Roma, Belardetti, 1954, pp. 640-641; conforme a quello di Acta Apostolicae Sedis, vol. 42 (1950), pp. 780:
«... Da lungo tempo invocato, questo giorno è finalmente Nostro; è fìnalmente vostro. Voce dei secoli - anzi, diremmo, voce della eternità - è la Nostra, che, con l'assistenza dello Spirito Santo, ha solennemente definito l'insigne privilegio della Madre celeste. E grido dei secoli è il vostro, che oggi prorompe nella vastità di questo venerando luogo, già sacro alle glorie cristiane, approdo spirituale di tutte le genti, ed ora fatto altare e tempio per la vostra traboccante pietà. Come scosse dai palpiti dei vostri cuori e dalla commozione delle vostre labbra, vibrano le pietre stesse di questa patriarcale Basilica, e insieme con esse pare che esultino con arcani fremiti gl'innumerevoli e vetusti templi, innalzati per ogni dove in onore dell'Assunta, monumenti di un'unica fede e piedistalli terrestri del trono celeste di gloria della Regina dell'universo. In questo giorno di letizia, da questo squarcio di cielo, insieme con l'onda dell'angelica esultanza, che si accorda con quella di tutta la Chiesa militante, non può non discendere sulle anime un torrente di grazie e d'insegnamenti, suscitatori fecondi di rinnovata santità...».
Da questo brano, manifestamente scritto sotto ispirazione, appare davvero come la Chiesa sia «Voce delle Voci di Dio»: Voce dell'eternità (= Voce di Dio), onda dell'angelica esultanza, che si accorda con quella di tutta la Chiesa militante, voce o grido dei secoli, di questa Basilica, di tutti i templi dedicati all'Assunta ...: la voce della Chiesa è voce di Dio e di tutto il Suo popolo.
37  Sui consigli evangelici, vedi: CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica su la Chiesa, Lumen gentium, cap. VI, 1 Religiosi, nn. 43-47; Decreto sul rinnovamento della vita religiosa, Perfectae caritatis, con le fonti bibliche ecc. ivi indicate.
38  vedi: Matteo 7, 12; Luca 6, 31; (e anche: Matteo 5, 38-48; Luca 6, 27-35); Romani 13, 8-10.
39  Probabile allusione a quanto si dice nei seguenti contesti: Matteo 28, 16-20; Luca 22, 28-30; (Giovanni 14, 15-18).
40  vedi: Sapienza 1, 16 - 5, 23; in particolare: 5, 1-5; Matteo 25, 31-46.
41  vedi: Matteo 1, 18-25; Atti 4, 5-12; il nome di Gesù significa « Jahvé salva o, che è lo stesso, « Dio salva ».
42  vedi: Poema VI, p. 718, n. 1; VII, p. 1672, n. 4; p. 1861, n. 9; VIII, p. 278, n. 3; IX, p. 225, n. 93; p. 228, n. 104; p. 308, n. 15; p. 368, n. 54.
43  vedi: Giovanni 3, 14-18; 12, 28-32; Filippesi 2, 5-11.
44  Probabile allusione a: Isaia 9, 6-7 (originale: 5-6); (Zaccaria 9, 9-10).
45  vedi nn. 33 e 34
46  vedi: Filippesi 2, 5-11.
47  vedi: Marco 16, 14-20; Atti 3, 1 - 4, 22.
48  Nel nome di Gesù, secondo la promessa di Lui ai veri credenti (vedi: Marco 16, 14-18), Maria Valtorta si oppose più volte al nemico di Dio e suo, ed ottenne segnalati favori; vedi: Autobiografia, passim.
49  vedi: Filippesi 2, 5-11.
50  Questa allusione forse diverrà più chiara con la pubblicazione del copioso Epistolario.
51  Si riferisce ai Magi; vedi: Matteo 2, 1-18.
52  Anche S. Agostino chiama i Magi nello stesso modo, dicendo: «... Magi ... erant primitiae Gentium, nos populus Gentium»; vedi: MIGNE, Patrologia Latina, tom. 38, col. 1028; dove vien presentato come Sermo CC, In Epiphania Domini, II; alias de Tempore 30. Il Corpus Christianorum non ha ancora (1970) edito criticamente i Sermoni sul Nuovo Testamento, scritti dallo stesso Agostino.
53  vedi: Luca 1, 26-38.
54  vedi: Matteo 1, 18-25; Luca 2, 15-20, 51-52.
55  vedi: Matteo 2, 13-23; Luca 2, 33-35.
56  vedi: Matteo 2, 13-18.
57  vedi: Matteo 2, 19-23.
58  vedi: Matteo 1, 18-25.
59  Identico concetto in: LEO XIII, Litterae encyclicae Quamquam pluries, 1889, in. A. TONDINI, Le Encicliche Mariane, 2a ed. Roma, Belardetti, 1954, pp. 114-116: «... quia intercessit Iosepho cum Virgine beatissima maritale vinculum, ad illam praestantissimam dignitatem, qua naturis creatis omnibus longissime Deipara antecellit, non est dubium quin accesserit ipse, ut nemo magis ». E dal contesto appare che tale «dignitas» è collegata con la «gratia, sanctitas». Perciò, essendo padre putativo di Gesù e sposo della Vergine Madre di Dio, Giuseppe progredì in grazia, santità e dignità, fino a diventare inferiore soltanto a Maria (vedi: Ia Corinti 7, 14, quanto al concetto che la donna santa santifica, con il suo contatto, il marito).
60  Bastava, infatti, che un Angelo parlasse, sia pure in sogno, a Giuseppe, perché lui prontamente ubbidisse; vedi: Matteo 1, 18-2,23.
61  Può darsi che questa asserzione alluda a Proverbi 21, 28 secondo il suono delle parole della Volgata (cioè della versione latina della Bibbia, curata da S. Girolamo). Ma, sicuramente, si può rimandare a: Romani 5, 12-21; Filippesi 2, 5-11; Ebrei 5, 5-10, testi dai quali appare che Gesù, perché obbediente, è stato glorificato ed è divenuto, per tutti coloro che gli obbediscono, principio di eterna salvezza, e perciò di conglorificazione: glorificazione e conglorificazione che, appunto, significa regnare e corregnare; vedi: IIa Timoteo 2, 8-13.
62  vedi, per la carità che è Dio: la Giovanni 4, 7-16; per l'ubbidienza segno di figliolanza di Dio, vedi, quanto ad alcuni elementi: Galati 4, 1-11; Efesini 6, 19; Colossesi 3, 18 - 4, 1: Ia Pietro 3, 1-7.
63  N.d.A.: Su Azaria, vedere le splendide ‘lezioni’ – cinquantuno per la regola – che Egli impartisce alla mistica contenute editorialmente nel ‘Libro di Azaria’ del Centro Editoriale Valtoriano
64  N.d.A.: M.V.: ‘Il libro di Azaria’ – Centro Editoriale Valtortiano

12. (3/3) IL SETTIMO DISCORSO DELLA MONTAGNA NELLA SOSTA DEL SABATO: AMARE LA VOLONTA’ DI DIO
12.1 Azaria: «Chi obbedisce al volere di Dio fa il bene per quanto le sue capacità comportano, e Dio è contento di quel tanto. Quel Dio che con una parola ha creati i cieli… non potrà forse, delle informi e imperfette vostre azioni, fatte con buon volere, compiere opere perfette? Dio completa e rende perfetto l’eroico buon volere dei figli…, Egli prende ciò che i suoi piccoli fanno e lo rende simile a cosa fatta da un dio, completandolo con la sua bontà».
Nella precedente seconda parte della nostra riflessione sul settimo discorso della montagna, abbiamo chiarito – in aggiunta a quanto già appreso nella prima parte – altri numerosi aspetti sull’importanza di amare la Volontà di Dio.
Citiamone solo alcuni, sempre per riprendere il ‘filo’ delle nostre riflessioni.
L’ubbidienza alla volontà di Dio può essere fatta non solo su grandi cose (basti al riguardo pensare ad esempio alla ubbidienza di Abramo che era disposto a sacrificare la vita del suo unico figlio Isacco), ma anche nelle piccole cose che ci vengono continuamente ‘presentate’ nella normalità della vita quotidiana, purché accettate senza ‘brontolare’.
Peraltro l’ubbidienza pronta, direi quasi ‘gioconda’, al Disegno di Dio è segno di formazione spirituale del nostro ‘cuore’.
Dio vede tutto in anticipo e – accettando noi la sua volontà – ci potremo in seguito rendere conto che quella tal cosa del passato alla quale non avremmo in cuor nostro voluto obbedire, ma che Dio ci aveva fatto in qualche modo capire essere una Sua Volontà magari ‘forzandoci’ a seguirla per il nostro bene, si è in seguito rivelata… provvidenziale.
L’obbedienza alla volontà di Dio può essere anche una Prova che Dio ci pone davanti per ‘saggiare’ – come fa l’orafo con l’oro – la nostra reale volontà.
Fu una Prova anche quella posta di fronte a Lucifero, una prova di obbedienza e quindi di amore: accettare cioè (come hanno anche detto gli antichi ed ispirati Padri della Chiesa) il Progetto creativo di Dio sull’uomo ed adorare un giorno il Verbo ritornato in Cielo incarnato in un essere umano.
Fu una Prova anche quella posta dinanzi ai due Progenitori che tuttavia disobbedirono volendo cogliere il frutto dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male per poter essere uguali a Dio in potenza: peccato di superbia e prevaricazione!
Le conseguenze di queste due prove fallite furono grandi.
Gli angeli ribelli precipitarono all’Inferno, quelli fedeli a Dio che accettarono la sua Volontà furono confermati nella Grazia e si salvarono per l’eternità.
I due Progenitori - già originariamente dotati di salute e intelligenza perfetta, ammaestrati inoltre dalla Divina Sapienza perché potessero essere re della Terra e con il proprio spirito in grazia ‘colloquiare con Dio nei momenti di pace spirituale’, destinati a essere in seguito assunti nel Paradiso celeste in anima e corpo, come Maria SS. - persero questa opportunità per sé e per i loro discendenti.
Furono condannati a subire le conseguenze del Peccato vivendo in terra, soggetti a lavoro, malattie, dolori e morte.
Abbiamo infine appreso dall’Angelo Custode Azaria, in quella sua precedente bellissima lezione, che l’Ubbidienza - somma Virtù che pur non fa parte delle sette virtù teologali ma che è presente in tutte - è uno dei cardini dell’Increato e del Creato.
Il Verbo incarnato – Increato - ubbidì infatti in tutto e per tutto alla Volontà di Dio Padre in merito alla sua futura incarnazione in un uomo ed alla sua susseguente crocifissione.
Il Creato (la Terra con la sua natura minerale, vegetale e animale, i pianeti, gli astri, etc.) ubbidisce da sempre alle leggi di comportamento e conduzione fissate da Dio per il bene dell’uomo.
Concludendo, già ora credo che potremmo dire che – grazie agli insegnamenti dell’Opera valtortiana e alla meditazione su cosa significhi fare la Volontà di Dio – ne potremmo sapere ormai sull’argomento quasi come… San Tomaso d’Aquino.
Vi sarete comunque certamente accorti che nel mio metodo illustrativo delle tematiche principali del Discorso della montagna, sono solito ‘completare’ gli argomenti specifici trattati da Gesù con altri brani: o Suoi, o dello Spirito Santo o dell’Angelo Custode Azaria, brani nei quali si tocca lo stesso argomento considerato però da altre ‘angolazioni’.
Inoltre, pur rimanendo nell'ambito del ‘tema’ oggetto del Discorso della montagna, cerco di arricchire e rendere possibilmente più interessante e varia la trattazione chiarendo via-via anche altri aspetti non strettamente connessi all’argomento specifico del Discorso ma che meritano a mio avviso la vostra attenzione ai fini di una miglior comprensione del Progetto creativo di Dio.
Ad esempio – nel precedente discorso di Azaria1 in merito all’ubbidienza alla Divina Volontà dell’Increato e del Creato – vi sono alcuni suoi ‘passaggi’ sui quali vorrei ancora richiamare la vostra attenzione.
In primo luogo sono interessanti i suoi chiarimenti sull’ubbidienza alla Divina Volontà del Creato.
La lezione di Azaria, a ben meditarla ed analizzarla in profondità, non faceva altro che confermare il racconto della Genesi biblica che sul Creato dice (Gn 1, 1-31):
1In principio Dio creò il cielo e la terra. 2La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
3Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. 4Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. 5Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno primo.
6Dio disse: «Sia un firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque». 7Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento. E così avvenne. 8Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno.
9Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un unico luogo e appaia l'asciutto». E così avvenne. 10Dio chiamò l'asciutto terra, mentre chiamò la massa delle acque mare. Dio vide che era cosa buona. 11Dio disse: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che fanno sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la propria specie». E così avvenne. 12E la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie, e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona. 13E fu sera e fu mattina: terzo giorno.
14Dio disse: «Ci siano fonti di luce nel firmamento del cielo, per separare il giorno dalla notte; siano segni per le feste, per i giorni e per gli anni 15e siano fonti di luce nel firmamento del cielo per illuminare la terra». E così avvenne. 16E Dio fece le due fonti di luce grandi: la fonte di luce maggiore per governare il giorno e la fonte di luce minore per governare la notte, e le stelle. 17Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra 18e per governare il giorno e la notte e per separare la luce dalle tenebre. Dio vide che era cosa buona. 19E fu sera e fu mattina: quarto giorno.
20Dio disse: «Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo». 21Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati, secondo la loro specie. Dio vide che era cosa buona. 22Dio li benedisse: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra». 23E fu sera e fu mattina: quinto giorno.
24Dio disse: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e animali selvatici, secondo la loro specie». E così avvenne. 25Dio fece gli animali selvatici, secondo la loro specie, il bestiame, secondo la propria specie, e tutti i rettili del suolo, secondo la loro specie. Dio vide che era cosa buona.
26Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».
27E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò.
28Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra».
29Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo. 30A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde». E così avvenne. 31Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno.
In questa situazione noi vediamo che il Creato ‘ubbidisce’, cioè esegue fedelmente quelli che sono i comandi di Dio.
‘L’ubbidienza – evidentemente - non significa in questo caso un adeguamento cosciente alla Volontà di Dio, perché la materia non ha coscienza né volontà, ma il concetto di ubbidienza rende l’idea che la materia creata realizzi in sé quello che è il comando espresso dalla volontà di Dio nell’imprimerle una serie di leggi fisiche e matematiche che le danno ordine, sono immutabili nel tempo e la predispongono allo scopo finale che Dio si è prefisso.
Ora appare dal testo della Genesi che quantunque le fasi specifiche della creazione siano suddivise in sei ‘giorni’ (ma io direi in sei fasi, posto che il termine tradotto in ‘giorni’ nell’antica lingua ebraica aveva anche il significato generico di ‘periodi di tempo’) la Terra risulta essere stata creata per prima, cioè prima ancora di subire la sua trasformazione in sei fasi per renderla atta ad ospitare e permettere la sopravvivenza futura dell’uomo.
Ora, la spiegazione di Azaria che vi avevo trascritto in precedenza rispettava – a ben vedere - questa sequenza, anche se raccontata in modo poetico. Dunque ve la ripeto affinché ne possiate confrontare il testo con quello della Genesi biblica:
(…)
Nel Creato.
Gli elementi, che erano confusi nel caos, ubbidirono ordinandosi.
Ricordati qui le parole della Genesi, per non dire che il portavoce sente malamente: "Dio creò il cielo e la terra, e la terra era informe e vuota, e le tenebre coprivano la faccia dell'abisso, e lo Spirito di Dio si librava sulle acque e Dio disse: "Sia fatta la Luce"2.
Aria, acqua, fuoco, luce, erano dunque fatti, ma non erano separati e ordinati.
Dio comandò loro di separarsi e di ordinarsi, secondo la legge che Egli dava loro, ed essi ubbidirono, e ubbidiscono da migliaia di anni, facendo il giorno e la notte, i mari e le terre, e lavorando, il fuoco, nelle vene del globo, a preparare i minerali dei quali l'uomo necessita.
Ubbidienza nel Creato: Dio, dopo aver fatto il cielo, ossia gli strati dell'atmosfera, li sparse d'astri comandando loro di seguire una certa via immutabile, e gli astri ubbidirono.
Dio, dopo aver fatto la Terra, ossia dopo aver reso compatta e ordinata la materia, prima sparsa e confusa di polvere e di acque, creò le piante e gli animali della Terra e delle acque, e comandò loro di fruttificare e moltiplicare, ed animali e piante ubbidirono.
Poi venne l'uomo, la creatura-re del creato, e Dio diede all'uomo comando di ubbidienza.
E l'ubbidienza dell'uomo avrebbe mantenuto la Terra allo stato di un Paradiso terrestre nel quale morte, fame, guerre, sventure, malattie, fatiche, sarebbero state ignorate; un giocondo soggiorno di pace e amore nell'amicizia di Dio sarebbe stata la vita dell'uomo sino al suo passaggio alla Dimora celeste, nel modo che lo fu per Maria Ss., che non morì, ma si addormì nel Signore e si svegliò sul suo Seno, bella e glorificata col suo spirito perfetto e con le sue carni senza colpa.
E Satana non volle questa gioia dell'uomo, questa gioia di poco inferiore a quella degli angeli e con, a compenso della differenza fra gli angeli e gli uomini, la gioia dei figli avuti senza concupiscenza, che è sempre dolore, e senza dolore, frutto della concupiscenza.
(…)
La Genesi – come la spiega del resto l’Angelo Azaria - non è dunque un ‘mito’.
Quella di Azaria è infatti l’unica spiegazione logica che rende a sua volta del tutto logico il racconto sulle Origini della Genesi.
In particolare si può comprendere che in un ‘prima’ senza tempo c’era il nulla e solo dopo sono stati creati – in una dimensione spazio-temporale - gli elementi primordiali atomici e molecolari, confusi fra loro in un insieme caotico ma destinati, secondo le leggi di ‘ubbidienza alla sua Volontà’ preordinate da Dio, a formare nel corso del tempo un intero universo ordinato quale noi oggi lo conosciamo.
Dopo l’iniziale ‘punto zero’ del cosiddetto Big-bang, ‘Dio-Luce’ ha dato comando d’ordine a questi elementi primordiali che si sono aggregati fra di loro grazie a precise ‘leggi’ dando così origine alla ‘materia’.
E’ la fase in cui la Luce - sinonimo del Verbo divino che è ‘Luce’ e di cui la Genesi parla all’inizio del racconto della Creazione ma che non va confusa con l’attuale luce del Sole che nella Genesi appare come tale solamente nella quarta fase creativa - è già pienamente ‘operativa’.
Forse all’inizio - quando le nebulose stellari dei primordi avevano cominciato i loro processi di fusione atomica senza essere ancora giunte al massimo sviluppo delle loro ‘reazioni a catena’ - aveva già cominciato a diffondersi nel cielo una luminosità diffusa.
Dio avrebbe dunque fin dal principio ‘condensato’ ed aggregato - mediante precise leggi chimiche, forze elettromagnetiche e gravitazionali - gli elementi caotici in quella che sarebbe divenuta la ‘materia’ del ‘pianeta’ Terra, dando a quest’ultima, trasvolante muta e nuda negli spazi, già coperta di acque, la forma e la consistenza di un globo compatto, sia pur in un informe amalgama di acque frammiste a terra, purificando gradualmente l’atmosfera dai gas venefici che la componevano e che avrebbero altrimenti reso impossibile la vita futura.
Poi Dio ha posto ordine sul globo terraqueo, separando le acque dalla terra e dando così origine al mare e a quella che oggi viene chiamata ‘terraferma’.
E’ ormai scientificamente noto a molti che in origine la ‘terraferma’ era costituita da un’unica massa continentale, in sostanza un’isola colossale circondata da un oceano, un’isola che oggi viene chiamata dagli scienziati Pangea e che si sarebbe frammentata in seguito per qualche immane cataclisma dando origine alla deriva degli attuali continenti.3
Successivamente, già ordinata la Terra e purificata l’atmosfera dai gas venefici, Dio creò la vegetazione composta da tante specie diverse: una vegetazione che producesse frutti e semi che sarebbero stati utili alla sua riproduzione ed a nutrire in seguito i futuri animali e uomini.
Quindi Dio ‘accese’ il sole – forse già esistente come altre stelle ma non ancora del tutto ‘incandescente’ - portandolo alla giusta ’incandescenza’ con reazioni e fusioni atomiche a catena sempre più intense, in modo che potesse illuminare potentemente la Terra, dandole il calore necessario a un maggior sviluppo della vita vegetale e animale.
Inoltre creò la luna, satellite morto della Terra ma che – con luce solare riflessa – avrebbe illuminato le nostre notti esercitando un influsso benevolo sulle maree e quindi sul ricambio delle correnti marine e persino sulle semine oltre che essere utile per il calcolo del tempo grazie ai calendari lunari.
Dio aveva intanto messo ordine nel firmamento creando le costellazioni di stelle, compagne notturne della luna, atte a darci le nostre stupende notti stellate, ad indicare il trascorrere del tempo per i nostri calendari e ad insegnare, anche attraverso la stella polare, le rotte giuste ai naviganti.
Infine, create le condizioni ambientali e climatiche necessarie alla futura vita animale e vegetale, Dio creò gli animali del mare, dei fiumi, dei laghi e della terraferma, per terminare nella fase del sesto ‘giorno’ con la creazione dell’uomo.
Ecco l’ubbidienza del Creato alle Leggi fissate dalla volontà di Dio!
La Terra non sarebbe dunque stata una ‘tarda’ formazione forse espulsa dal Sole per forza centrifuga cinque miliardi di anni fa rispetto ad un universo che sarebbe ‘apparso’ dieci miliardi di anni ancor prima.
Queste sono solo ipotesi ‘fantascientifiche’ ipotizzate dagli astrofisici cultori dell’altrettanto fantascientifico ‘Big-bang’ per sostenere le teorie, solo teorie, di una scienza atea ed agnostica che non può credere che Dio abbia creato per prima la Terra e ricorre allora al ‘dio Tempo’ lungo miliardi di anni per dar tempo al Tempo – con il suo mero trascorrere - di arrivare a produrre da solo e intelligentemente tutto quanto appare oggi ai nostri occhi nella sua incredibile perfezione, questa sì… scientifica.
La Terra – per Azaria - é stata invece la prima realtà concreta creata da Dio ed il resto venne formato dopo con gradualità e secondo le varie fasi/giorni – queste sì durate ciascuna forse anche centinaia di migliaia di anni – previste nella Genesi.
Vi domanderete come mai la scienza atea voglia negare alla Terra questo ‘primato’ creativo.
Una spiegazione ebbe a fornirla con molta onestà intellettuale il celebre marchese Pierre Simon Laplace, ateo dichiarato, matematico, astronomo e fisico che, nel volerne negare la Creazione da parte di Dio, aveva affermato di non potere accettare che il globo terrestre fosse apparso per primo perché ciò avrebbe implicato un ‘Progetto’ privilegiato di un ‘Dio trascendente’ per il pianeta Terra, e quindi anche una missione speciale per il futuro uomo, un uomo che egli non poteva però credere dotato d’anima spirituale immortale e destinato – sol che lo avesse ‘voluto’ grazie al proprio buon comportamento – al Paradiso celeste.
In secondo luogo, sempre riflettendo sul precedente dettato di Azaria in merito al tema della ubbidienza alla Volontà di Dio, si apprende che una delle motivazioni che indussero Satana a provocare il Peccato originale – oltre a quella principale dell’odio verso Dio e quindi alla volontà di vendicarsi ostacolandone il suo Progetto Creativo – fu l’invidia per la felicità dell’uomo, felicità di poco inferiore a quella degli angeli, con in più – a compensazione della differenza fra angeli e uomini – la gioia per l’uomo di poter avere dei figli senza concupiscenza.
In terzo luogo, con riferimento a chi osserva con rammarico quanto poco si sappia dai Vangeli sulla infanzia di Gesù, sul lungo periodo di tempo di cui nulla si sa prima della sua predicazione pubblica, e infine sul perché della sua fragilità umana sempre soggetta a pericoli, Azaria indica tre motivazioni di fondo:
1) nell’infanzia era necessario nascondere la natura divina di Gesù per non destare anzitempo l’attenzione di Satana il quale - pur sapendo che il Verbo-Messia si sarebbe manifestato - non sapeva ‘esattamente’ quando, dove ed in quale forma;
2) era poi anche prudente, prima che fosse giunto il momento di iniziare la predicazione pubblica, non destare l’attenzione degli uomini di potere a Gerusalemme, sempre pronti ad avventarsi contro un ‘Messia’, visto erroneamente quale Re condottiero, e quindi potenziale avversario politico che li avrebbe potuti spodestare. Prudenza quest’ultima ben giustificata, sol che si pensi alla ‘strage degli innocenti’ ordinata da Erode - dopo l’arrivo a Gerusalemme dei tre Magi in occasione della nascita di Gesù - per liberarsi appunto del neonato Messia;
3) la nascita di Gesù nella fragilità e debolezza della natura umana era stata infine necessaria anche per dare una dimostrazione concreta della sua umanità a futura memoria dei successivi eretici negatori della vera Umanità di Gesù, Figlio di Dio, che tuttavia quale uomo era suscettibile di essere ucciso come poi del resto dimostrato dalla sua morte in Croce.
In quarto luogo emerge dal Dettato di Azaria come il racconto dei tre Re Magi non abbia nulla di ‘fiabesco’, come molti sostengono parendo loro impossibile che essi potessero seguire giorno per giorno nel firmamento il movimento di una stella che a mò di lenta cometa li avrebbe guidati al punto dove avrebbero trovato il Messia. Essi erano degli astrologi, scienziati di quel tempo, una sorta di astronomi che studiavano il movimento e percorso delle stelle e delle costellazioni, come in effetti facevano gli antichi assiri, babilonesi ed anche gli egizi.
Essi erano dei saggi, dei giusti, dei timorati di Dio. Essi non avevano alcun dubbio nell’attribuirGli la bellezza e grandiosità dell’Universo che essi studiavano, e Dio li ispirò indicando separatamente a ciascuno di loro il cammino di quella certa stella facendo loro ‘sentire’ dentro di sé – sempre per ispirazione divina – che seguendo quel percorso essi sarebbero giunti al luogo dove avrebbero trovato ed onorato – recando oro, incenso e mirra - quel famoso Messia predetto dai Profeti già molti secoli prima.
Troppo spesso si tende a non credere alle ispirazioni divine.
In quinto luogo – e qui ribadiamo il concetto - abbiamo una conferma di Azaria che dopo una vita estremamente lunga in Terra, Adamo ed Eva (e con essi i loro discendenti se non fosse stato commesso il Peccato originale) erano destinati dopo un certo tempo a salire in Cielo, in Paradiso, in anima e corpo, come avvenne per Maria dopo la sua ‘dormizione’, e come in anima e corpo ascenderanno alla fine del mondo, dopo la Resurrezione dei morti, tutti i ‘giusti’ che si saranno salvati.
Continuando però con Azaria, ecco ancora quanto Egli ci insegna in un’altra sua lezione in merito al misericordioso comportamento di Dio verso chi – pur imperfettoè ubbidiente alla Sua Volontà.
E’ il 6 ottobre del 1946, Domenica 17a dopo Pentecoste (i grassetti sono miei, le note a piè di pagina sono quasi tutte ‘editoriali’):4

Dice Azaria:
«Sempre ti tratta con misericordia, nelle grandi e piccole cose, con paterna misericordia esigendo da te solo l'ubbidienza.
Perché l'ubbidienza ha per conseguenza una vita senza macchia volontaria e un procedere secondo la legge del Signore e il suo volere.
Dio Ss. non può volere che il bene dei suoi figli, perciò chi ubbidisce al suo volere fa il bene per quanto le sue capacità comportano, e Dio è contento di quel tanto, perché è tutto quanto gli può dare la creatura.
E anche ha un altro frutto l'ubbidienza: quello di unire strettamente a Dio.
Beati quelli che possono dire ciò che disse Gesù Cristo a chi lo rimproverava: "Io ho sempre fatto e faccio ciò che l'Altissimo vuole"5.
L'ubbidienza, unendo strettamente a Dio, fondendo quasi a Dio, per l'uniformità del volere - Dio vuole il bene di una creatura, la stessa vuole il bene che Dio vuole da lei - fa sì che Dio scenda col suo amore ad abitare in chi lo ama6: l'ubbidienza è amore.
E allora, poiché il più forte sempre predomina - e qui il più forte è Dio - avviene anche che chi opera è Dio, possessore assoluto dello spirito fedele, e la creatura non fa più azioni proprie, ma azioni divine, tanto è persa e dominata dal Divino e nel Divino7, e azioni divine non possono che essere azioni sante, scevre di contagi diabolici, come prega invocando l'Orazione.
Questa unione assoluta, questa totale donazione a Dio, questo annullarsi in Dio, spogliandosi dell'io per essere assorbiti da Dio - l'io è materiale e con esso non si può entrare nel Signore che è puro Spirito - predispone a quella unione, donazione, umiltà, carità, pazienza e mansuetudine che Paolo dice essere essenziali per poter essere veri cristiani, uniti al Cristo, uniti a Dio, uniti allo Spirito, col vincolo della pace fra i fratelli, e della carità nei suoi due rami che si stendono, uno al Cielo ad abbracciare il trono di Dio, l'altro sulla Terra a carezzare il prossimo.
Allora realmente formate un sol corpo e un solo spirito, tutt'uni con il Signore, con una sola fede, un sol battesimo, un solo Padre che è su tutti e in tutto, e specialmente nelle membra del corpo di Cristo, viventi membra, nelle quali le grazie infuse realmente vivono e vivificano.
Essere battezzati, cresimati, assolti, comunicati, poco è, se sono inerti doni.
Tutto è, se il buon volere della creatura8 rende attivi i doni ricevuti attraverso i Sacramenti, e rende realtà eterna la speranza che allieta l'esilio dei vocati da Dio al grande popolo di Cristo.
Il buon volere! Quale arma potente per vincere!
Come dice, il Graduale, il Signore guarda dal Cielo e mira i suoi figli e li vede animati dal buon volere di servirlo, anche se incapaci di farlo perfettamente.
Ebbene, allora si sgomenterà Iddio di questa vostra incapacità di fare perfettamente?
Dirà forse: "Per quanto essi facciano non potranno entrare qui, nel mio Paradiso, dove entrano solo le cose perfette e le creature perfette, perché essi sono imperfetti e le loro azioni sono pure imperfette"?
Oh! no. Quel Dio che con una parola ha creati i cieli, radunando le molecole dei gas, e così ha creato gli astri e la Terra, adunando le diverse parti sparse nel cosmo per farne la massa solida che è il mondo vostro, quelle ardenti che sono gli astri, quelle liquide che sono i mari, tutte quelle cose che sono, da allora, l'Universo, non potrà forse, delle informi e imperfette vostre azioni, fatte con buon volere, compiere opere perfette?
Lasciatelo fare con fede, speranza e carità viva, ed Egli farà.
La santità è fatta del buon volere eroico dei figli di Dio e del potere di Dio che completa e rende perfetto l'eroico buon volere dei figli.
Ed è tanto bello, o uomini, che il vostro Padre, che è Dio, sia Colui che prende ciò che i suoi piccoli fanno e lo rende simile a cosa fatta da un dio, completandolo con la sua bontà.
Noi non abbiamo questo. Ed è giusto. Giusto sempre. Ma come è bello, come vi deve far pieni di gioia riconoscente, pensare che per servirlo ed aiutarlo nella Redenzione e nell'apostolato Egli si serva di uomini9 e non di angeli, e che per fare degli uomini degli dèi, suoi figli10, Egli si serva della sua potenza tutta amore!
Tutto potete, sol che viviate da figli, sul Padre vostro che è Dio Altissimo; anche parlargli così come a paterno amico, anche a chiedere di stornare la già pronta punizione sui fedifraghi che lo offendono11, anche ad ottenere il compimento dei desideri audaci che vi sorgono in cuore nell'impeto dell'amore acceso.
I desideri! I santi desideri! Sai cosa sono, Maria? Sono il desiderio stesso di Dio - ispirato da Lui nei cuori dei figli, e specie dei più amanti, e tanto più sono desideri audaci quanto più il figlio di Dio è amante di Dio; il desiderio di Dio, ispirato da Lui, raccolto dalla creatura amante e lanciato come freccia d'oro ai piedi di Dio, e lo spirito sale dietro allo strale prezioso, per chiedere le cose che all'umanità sembrano follie, le azioni dell'amore - di poter compire queste azioni a Sua gloria.
Oh! voi amanti che fate vostri i desideri di Dio per voi, siete i sublimi folli al seguito del Divino Gesù, folle per amore sino alla morte di Croce.
Voi siete i folli della sublime follia dell'amore e del sacrificio. Lanciatevi! Non temete! Il mondo ha bisogno di voi, santi folli, per ottenere misericordia ancora. E di voi hanno bisogno le anime per essere ancora salvate. Esse, le più, non sanno più farlo di salvare se stesse. Sono con le ali spezzate, strappate, bruciate. Strisciano e si avviliscono a terra. Il vostro sacrificio, la vostra follia d'amore, ridà loro ali e pupille, e risuscita il desiderio dell'alto, ed esse risorgono, cercano Dio, aprono le ali...
È la vostra sete di amore, è il vostro inesausto desiderare ciò che Dio vuole e compiere ciò che Dio desidera che le trascina al Cielo.
La carne, il mondo, il demonio sono il laccio che le trattengono. Voi ardete quel laccio pesante, mettete al loro collo l'aureo filo della carità e le trascinate con voi, in alto, in alto, al Cielo, a Dio.
Sia lode all'Amore che ispira. Sia lode all'Amore che opera. Sia lode all'Amore che salva.
Sia lode a Dio ispiratore delle azioni dei santi. Sia lode ai santi che operano con Cristo.
Sia lode all'Amore, all'Amore, all'Amore!
Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo».


1  M.V.: ‘Libro di Azaria’ – Lezione 47 del 5.1.47 – Centro Editoriale Valtortiano (N.d.A.: vedi la parte seconda di           questa riflessione sul settimo discorso)
2  vedi: Genesi 1, 1-5.
3  N.d.A.: Osserviamo al riguardo che ricomponendo l’originaria Pangea facendo fare un cammino a ritroso dei vari continenti fino a ricostituire la forma dell’iniziale isola colossale, si nota che la città di Gerusalemme si trova esattamente al centro. Sarà un caso o questa 'centralità' ha un significato 'spirituale' perché Gerusalemme sarebbe stata in futuro - con la Croce di Gesù sul Calvario - il centro redentivo della salvezza della Terra?
4  M.V.: ‘Libro di Azaria’ – Dettato 6.10.46 – Lezione n. 34 – Centro Editoriale Valtortiano
5  vedi: Giovanni 8, 25-30; vedi anche: Poema V, p. 198, n. 3; p. 336, n. 3; VII p. 1726, n. 3.
6  Viene spontaneo di pensare a Maria SS.ma; vedi: Luca 1, 26-38.
7  vedi: Atti 19, 11-12; Galati 2, 19-20. Questa spiegazione collima perfettamente con quella da noi fornita per illustrare il fenomeno degli Scritti valtortiani; vedi: 7 aprile 1946, n. 31 (p. 52).
8  vedi: .V.: ‘Libro di Azaria’ Lezione n. 6 del 31 marzo 1946, pag. 43, nota n. 37 – entro Ed. Valtortiano
9  Di Maria SS.ma, tutta dedicata a servizio dell'opera della redenzione, scrive così il Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, numero 56: «... semetipsam ut Domini ancillam per et operi Filii sui totaliter devovit, sub Ipso et cum Ipso, omnipotentis Dei gratia, mysterio redemptionis inserviens». Noi uomini siamo detti «aiutanti di Dio» in: Ia Corinti 3, 5-9; Colossesi 4, 7-9.
10  Se noi, in Gesù Cristo Figlio di Dio, diveniamo partecipi della filiazione divina, è chiaro che diveniamo partecipi anche della divinità di Lui, e quindi possiamo, in tal senso, esser detti «dèi». Anche nel Messale Romano nuovissimo, di Papa Paolo VI, all'offertorio si recita questa preghiera: «Per huius aquae et vini mysterium, eius efficiamur divinitatis consortes, qui humanitatis nostrae fieri dignatus est particeps».
11  Un brano biblico, classico in tale senso, è: Genesi 18, 16-33. Vedi anche: Geremia 5, 1; Ezechiele 22.
12.2 Gesù: «Ho risposto… Maria, ho risposto radunando le forze, bevendo pianto e sangue che colavano dagli occhi e dai pori, ho risposto: “Non ho più madre. Non ho più vita. Non ho più divinità. Non ho più missione. Nulla ho più. Fuorché fare la Volontà del Signore mio Dio… e il Cuore si è franto nello sforzo. Il sudore è divenuto non più stille ma rivoli di sangue. Non importa. Ho vinto. Io ho vinto la Morte. Io. Non Satana. La Morte si vince accettando la morte».
Ricorderete che Gesù aveva finito il suo Discorso della Montagna già il sesto giorno, nel pomeriggio del quale Egli aveva iniziato la discesa dal Monte delle Beatitudini insieme agli apostoli ed alla folla per raggiungere i villaggi vicini prima che iniziasse il tramonto e quindi la sosta obbligatoria del sabato ebraico.
I discorsi - secondo l’originario programma - avrebbero dunque dovuto essere solo sei.
Il settimo discorso sull’amare e sul fare la Divina Volontà - discorso che abbiamo trattato in modo particolarmente ampio in questa nostra ultima lunga riflessione - non sembrava quindi rientrare nel ‘Programma’ iniziale di Gesù, come non rientrava del resto nel ‘mio’ programma il trattenervi così a lungo su questo argomento della cui importanza mi sono reso conto solo sviluppandolo.
La Provvidenza di Dio – nel caso del Discorso della montagna - aveva però diversamente disposto, credo ad insaputa dello stesso ‘Uomo-Gesù’, grazie all’incidente di percorso causato dalla apparizione di quel lebbroso che Egli aveva guarito e del ritardo che ne era conseguito.
Obbligato ormai alla sosta, il mattino dopo Gesù – dopo una notte in preghiera – aveva detto agli apostoli che una Voce venuta dai Cieli aveva chiesto preghiera per i buoni e per i malvagi, e anche per Se stesso.
Lo sguardo di Gesù – parlando – si era posato pensieroso su Giuda Iscariote ad una cui domanda sul perché di quello sguardo Egli aveva cercato di evadere la risposta dicendo genericamente che stava solo contemplando altre cose, ed in particolare tutto il bene e tutto il male che un discepolo può dare e che può anche fare per il suo Maestro.
Dovete sapere che Pietro era molto diffidente nei confronti di Giuda perché non ne apprezzava i comportamenti, non consoni a quelli di un vero discepolo.
Gli apostoli - che vivevano tutti comunitariamente nelle loro continue peregrinazioni che duravano tutto l’anno, salvo un poco rarefarsi nei più rigidi mesi invernali quando il tempo era inclemente e le strade fangose erano poco praticabili - avevano finito per intuire che Giuda era non solo un ambizioso, ma anche lussurioso e bugiardo, amico per di più della Casta del Tempio con la quale continuava saltuariamente a mantenere contatti anche di nascosto.
Ogni volta che Gesù accennava appena al fatto che qualcuno di loro lo avrebbe tradito, subito ognuno di loro si faceva preoccupato un esame di coscienza domandandosi costernato se il traditore potesse mai essere lui, poi i loro sguardi si incrociavano di sfuggita per cercare di capire chi altri di loro potesse essere, ma gli occhi sospettosi di Pietro correvano istintivamente a Giuda.
Anche in questo caso parrebbe essere stato così, perché Gesù – notando il ‘parlottare’ di Pietro con Bartolomeo e Filippo – lo invita a ‘deporre il sospetto’ chiedendo a tutti di essere buoni, volersi reciprocamente bene, non farsi sedurre da chi lo odiava, e volere soprattutto bene alla volontà di Dio.
E’ da queste ultime parole - che la ‘Provvidenza’ mette forse sulle labbra di Gesù - che Egli trae lo spunto, l’Incipit del suo ultimo discorso circa appunto la grande importanza di fare la volontà di Dio.
A quest’ultimo riguardo Gesù, in precedenza, aveva detto che il Regno del Cielo sarebbe stato di chi avrebbe fatto la volontà del Padre, non di chi avrebbe accumulato parole su parole per poi ribellarsi al volere del Padre, mentendo alle sue stesse parole.
Niente ci può allora far comprendere cosa gli sia costato ubbidire a questa Volontà di Dio se non il brano seguente che io avevo già proposto in una mia precedente serie di riflessioni sul CREDO e che riporto ancora una volta qui.
Si tratta infatti di una ‘testimonianza’ straordinaria che andrebbe meditata e rimeditata più volte profondamente, una testimonianza straordinaria anche perché del tuttopersonale’, resa dallo stesso Gesù in merito a quanto da Lui vissuto e patito nel Getsemani, sul monte degli Ulivi, di cui parla anche il Vangelo di Luca1, immediatamente prima della sua cattura e successiva condanna a morte da parte del Sinedrio (i grassetti sono miei):
L’ora del Getsemani
6 luglio 1944
Dice Gesù:2
«Vedi, anima mia, che avevo molta ragione di dire: “La conoscenza del mio tormento del Getsemani non sarebbe capita e diverrebbe scandalo”?
La gente non ammette il Demonio. Quelli che l’ammettono non ammettono che il Demonio abbia potuto vessare l’anima di Cristo sino al punto di far sudare sangue. Ma tu, che hai avuto un briciolo di questa tentazione, puoi comprendere.
Parliamo dunque insieme.
Mi hai chiesto: “Quante sono le agonie del Getsemani che mi dai?”.
Oh! tante! Non per piacere di tormentarti. Unicamente per bontà di Maestro e Sposo.
Non potrei su te, piccola sposa, abbattere tutto insieme il cumulo di desolazione che mi accasciò quella sera e che nessuno intuì, che nessuno comprese fuorché mia Madre e il mio Angelo. Ne morresti pazza. E allora ti do adesso un briciolo, domani un altro, di modo da farti gustare tutto il mio cibo e di ottenere dal tuo soffrire il massimo di compassione per il tuo dolente Sposo e di redenzione per i tuoi fratelli.
Ecco perché ti do tante ore di Getsemani. Uniscile e, come il mosaicista unendo le tessere piano piano vede formarsi il quadro completo, tu, riunendo nel tuo pensiero il ricordo delle diverse ore, vedrai l’Agonia vera del tuo Signore.
Rifletti come ti amo.
La prima volta ti ho dato soltanto la vista della mia smania fisica.
E tu, soltanto per vedermi col Volto straziato, andare e venire, alzare le braccia, torcermi le mani, piangere e abbattermi, ne hai avuta tanta pena che per poco non mi moristi.
Ti ho presentato quella tortura visibile più e più volte sinché l’hai conosciuta e l’hai potuta sopportare.
Poi, volta per volta, ti ho svelato le mie tristezze. Le mie tristezze. Di uomo.
Tutte le passioni dell’uomo si sono drizzate come serpi irritate, fischiando i loro diritti d’essere, ed Io le ho dovute strozzare una per una per essere libero di salire il mio Calvario.
Non tutte le passioni sono malvagie. Te l’ho già spiegato. Io dò a questo nome il senso filosofico, non quello che voi gli date scambiando il senso col sentimento.
E le passioni buone il tuo Gesù-Uomo le aveva come tutti gli uomini giusti. Ma anche le passioni buone possono divenire nemiche in certe ore, quando con la loro voce fanno catena, e catena di durissimo, fortissimo, annodatissimo acciaio, per impedirvi di compiere la volontà di Dio.
Amare la vita, dono di Dio, è dovere, tanto che chi si uccide è colpevole come e più di chi uccide, perché colui che uccide manca alla carità di prossimo ma può avere l’attenuante di una provocazione che lo dissenna, mentre chi si uccide manca contro sé stesso e contro Dio, che gli ha dato la vita perché egli la viva sino al suo richiamo.
Uccidersi è strapparsi di dosso il dono di Dio e gettarlo con urlo di maledizione sul Volto di Dio. Chi si uccide dispera di avere un Padre, un Amico, un Buono.
Chi si uccide nega ogni dogma di fede e ogni asserzione di fede. Chi si uccide nega Dio.
Dunque occorre aver cara la vita.
Ma come cara? Facendosi schiavi di essa? No. Amica buona la vita. Amica dell’Altra. Della Vita vera. Questa è la grande Vita. Quella è la piccola vita. Ma come un’ancella serve e procura cibo alla sua signora, così la piccola vita serve e nutre la grande Vita, la quale raggiunge l’età perfetta attraverso le cure che la piccola vita le dà.
E’ proprio questa piccola vita che vi procura la veste ornata da indossare quando divenite le Signore del Regno di Vita.
E’ proprio questa piccola vita che vi fortifica col pane amaro, intriso di forte aceto, delle cose di ogni giorno, e vi fa adulti e perfetti per possedere la Vita che non termina. Ecco perché occorre chiamare “cara” questa triste esistenza d’esilio e di dolore. E’ la banca in cui maturano i frutti delle ricchezze eterne.
E’ passabilmente buona? Lodarne il signore.
E’ cosparsa di pene? Dir “grazie” al Signore.
E’ triste oltre misura? Non dir mai: “E’ troppo”. Non dir mai: “Dio è cattivo”.
L’ho detto mille volte: “il male – e le tristezze che sono se non frutto del male? - il male non viene da Dio. E’ l’uomo il malvagio che fa soffrire”.
L’ho detto mille volte: “Dio sa finché potete soffrire e, se vede che è troppo ciò che il prossimo vi procura, interviene non soltanto aumentando la vostra forza di sopportazione, ma con conforti celesti; e quando è l’ora con spezzare i malvagi, perché non è lecito torturare oltre misura il prossimo migliore.
La vita è cara per le oneste soddisfazioni che procura: Dio non le biasima. Il lavoro Egli l’ha messo. Per punizione, ma anche per svago all’uomo colpevole.
Guai se aveste a vivere nell’ozio. Da secoli la Terra sarebbe un enorme manicomio di furenti che si sbranerebbero l’un coll’altro. Lo fate già, perché ancor troppo oziate.
L’onesta fatica rasserena e dà gioia e riposo sereno.
La vita è ancor più cara per gli affetti santi di cui si infiora. Dio non li biasima. Potrebbe Dio, che è Amore, biasimare un amore onesto? O gioia d’esser figli! E gioia d’esser padri! O gioia di trovare una compagna che genera figli al proprio nome e figli a Dio! O gioia di avere una dolce sorella, un buon fratello, e amici sinceri! No, che queste oneste dolcezze Dio non le biasima.
L’amore lo ha messo Lui, e non sulla Terra, come il lavoro, per punizione e svago del colpevole. Ma nel Terrestre Paradiso per base alla grande gioia di esser figli di Dio.
“Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen. 2,18) ha detto. Re del creato, l’uomo sarebbe stato in un deserto senza una compagna. Buoni gli animali tutti col loro re, ma troppo, sempre troppo inferiori al figlio di Dio. Buono, infinitamente buono Dio col suo figlio, ma sempre troppo superiore ad esso.
L’uomo avrebbe patito la solitudine di essere ugualmente distante dal divino e dall’animale. E Dio gli diede la compagna.
Non solo. Ma dal casto amore con la stessa gli avrebbe concesso i dolci figli, perché l’uomo e la donna potessero dire la parola più dolce dopo il Nome di Dio; “Figlio mio!”, e i figli potessero dire la parola più santa dopo il nome di Dio: “Mamma!”.
Mamma! Chi dice: “mamma” prega già.
Dire: “mamma” vuol dire ringraziare Dio della sua Provvidenza, che dà una madre ai figli dell’uomo e fino ai piccoli figli delle fiere e dei domestici animali o dei volanti uccelli e fin dei muti pesci, perché l’uomo non conoscesse l’orrore di crescere solo e non cadesse per mancanza di sostegno quando ancora è troppo debole per conoscere il Bene e il Male.
Dire: “mamma” vuol dire benedire Iddio che ci fa conoscere cosa sia l’amore attraverso il bacio di una madre e le parole delle sue labbra.
Dire: “mamma” vuol dire conoscere Iddio che ci dà un riflesso del suo principale attributo, la Bontà, attraverso l’indulgenza di una madre. E conoscere Iddio vuol dire sperare, credere e amare. Vuol dire salvarsi.
Avere un fratello non è come avere, per una pianta, la pianta gemella che sostiene nelle ore di burrasca, intrecciando i rami, e che nelle ore di gioia aumenta la fioritura di essa col polline del suo amore?
Per questo ho voluto che i cristiani si chiamassero l’un l’altro fratelli, perché è giusto, dato che venite tutti da un Dio e da un sangue d’uomo, e perché è santo, perché è confortevole per coloro che non hanno fratelli di carne poter dire al vicino: “Fratello, io ti amo. Amami!”.
Avere un amico sincero non è come avere un compagno nel cammino? Andare soli è troppo triste. Quando Dio elegge alla solitudine di anima vittima, allora gli si fa compagno perché soli non si può stare senza flettere.
La vita è una strada scoscesa, sassosa, spesso interrotta da crepacci e correnti vorticose.
Aspidi e spine lacerano e mordono sull’irto sentiero. Esser soli sarebbe perire. Dio ha creato l’amicizia per questo. In due cresce la forza e il coraggio. Anche un eroe ha attimi di debolezza. Se è solo dove si appoggia? Ai rovi? Dove si afferra? Agli aspidi? Dove si adagia? Nel torrente vorticoso o nell’orrido oscuro? Ovunque troverebbe nuove ferite e nuovo pericolo. Ma ecco l’amico. Il suo petto è appoggio, il suo braccio sostegno, il suo affetto riposo. E l’eroe riprende forza. Il camminatore cammina di nuovo sicuro.
Per valorizzare l’amicizia Io ho voluto chiamare “amici” i miei apostoli, e tanto ho apprezzato questo affetto che nell’ora del dolore ho voluto i tre più cari con Me nel Getsemani.
Li ho pregati di vegliare e pregare con Me, per me… e di vederli incapaci di farlo ne ho tanto sofferto da uscirne indebolito, e perciò più suscettibile alle seduzioni sataniche.
Una parola, avessi potuto scambiare una parola con degli amici desti e comprensivi del mio stato, non sarei giunto a svenarmi, prima della Tortura, nella lotta per respingere Satana.
Ma vita e affezioni non devono divenire nemiche. Mai. Se tali divengono, occorre spezzarle.
Le ho spezzate. Una per una.
Avevo già spezzato l’umano fermento di sdegno verso il Traditore. E un nervo del mio cuore s’era lacerato nello sforzo.
Ora ecco che sorgeva la paura di perdere la vita. La vita!
Avevo trentatré anni. Ero uomo in quell’ora. Ero l’Uomo. Avevo perciò l’amore vergine della vita come lo aveva Adamo nel Paradiso Terrestre. Una gioia d’esser vivo, d’esser sano, d’esser forte, bello, intelligente, amato, rispettato. Una gioia di vedere, di intendere, di poter esprimere. Una gioia di respirare l’aria pura e profumata, di udire l’arpa del vento fra gli ulivi, vedere il rio fra i sassi, e il flauto di un usignolo innamorato; di vedere splendere le stelle in cielo, tanti occhi di fuoco che guardavano Me con amore; di vedere farsi d’argento la terra per la luna così bianca e lucente che riverginizza ogni sera il mondo, e pare impossibile che sotto la sua onda di candida pace possa agire il Delitto.
E tutto questo Io dovevo perdere. Non più vedere, non più udire, non più muovermi, non più essere sano, non più essere rispettato. Divenire l’aborto marcioso che si scansa col piede torcendo il capo con disgusto, l’aborto espulso dalla società che mi condannava per essere libera di darsi ai suoi sozzi amori.
Gli amici!... Uno mi aveva tradito. E mentre Io attendevo la morte, egli si affrettava a portarmela. Vedeva di darsi gioia con la mia morte…
Gli altri dormivano. Eppure li amavo. Avrei potuto destarli, fuggire con loro, altrove, lontano, e salvare vita e amicizia. E invece dovevo tacere e restare. Restare voleva dire perdere amici e vita. Essere un reietto, voleva dire.
La Mamma! O amore della Mamma! Invocato amore curvo sul mio dolore! Respinto amore per non farti morire del mio dolore! Amore della mia Mamma!
Sì, lo so. Ogni mio singhiozzo ti giungeva, o Santa. Ogni mio chiamarti valicava lo spazio e penetrava come spirito nella chiusa stanza dove tu, come sempre, passavi la tua notte orando, e in quella notte orando non con estasi ma con tortura d’anima. E mi interdivo di chiamarti per non farti giungere il lamento del tuo Figlio, o Madre martire che iniziavi la tua Passione, solitaria come Io solitario, nella notte del Giovedì pasquale.
Il figlio che muore fra le braccia di sua madre non muore: solo si addormenta cullato dalla ninna nanna di baci, che continuano gli angeli fino al momento che la visione di Dio smemora del desiderio di sua madre.
Ma Io dovevo morire fra le braccia dei carnefici e di un patibolo, e chiudere vista e udito su schiamazzi di maledizione e gesti di minaccia.
Come ti ho amata, Madre. In quell’ora del Getsemani!
Tutto l’amore che ti avevo dato e che mi avevi dato in trentatré anni di vita erano davanti a Me e peroravano la loro causa e mi imploravano di avere pietà di essi, ricordando ogni bacio tuo, ogni tua cura, le stille di latte che mi avevi dato, il cavo tiepido delle tue mani per i miei piedini freddi d’infante povero, le canzoni della tua bocca, la leggerezza delle tue dita sui miei riccioli fitti, e il tuo sorriso e il tuo sguardo e le tue parole e i tuoi silenzi e il tuo passo di colomba che posa i piedi rosei al suolo ma tiene le ali già socchiuse al volo, e non piega stelo tanto il suo andare è leggero, poiché tu eri sulla Terra per mia gioia, o Madre, ma tu avevi l’ali sempre trepide di Cielo, o santa, santa, santa e innamorata!
Tutte le lacrime che ti ero costato, e tutte quelle che ora cadevano dal tuo ciglio e quelle che sarebbero cadute nei tre giorni avvenire, ecco che le udivo cadere come pioggia di lamento. O lacrime di mia Mamma!
Ma chi può vedere piangere e udire piangere sua mamma e non avere poi, finché vita gli dura, lo strazio presente di quel pianto?
Io ho dovuto sperdere, strozzare l’amore umano per te, Mamma, e calpestare il tuo e il mio amore per camminare sulla via della Volontà di Dio.
Ed ero Solo. Solo! Solo! Terra e Cielo non avevano più abitanti per Me. Ero l’Uomo carico dei peccati del mondo.
Odiato perciò da Dio. Dovevo pagare per redimermi ed essere di nuovo amato. Ero l’Uomo carico della Bontà del Cielo. Odiato perciò dagli uomini a cui la Bontà è ripugnante. Dovevo essere ucciso per punizione d’esser buono.
E anche voi, oneste gioie del lavoro compiuto per dare il pane quotidiano a Me stesso prima, per dare il pane spirituale poi agli uomini, mi siete venuti avanti a dirmi: “Perché ci lasci?”.
Nostalgia della quieta casa fatta santa da tante orazioni di giusti, fatta Tempio per aver accolto gli sponsali di Dio, fatta Cielo per aver ospitato fra le sue mura la Trinità chiusa nell’anima del Cristo di Dio!
Nostalgia delle folle umili e schiette alle quali davo luce e grazie, e dalle quali mi veniva amore! Voci di bambini che mi chiamavano con un sorriso, voci di madri che mi chiamavano con un singhiozzo, voci di malati che mi chiamavano con un gemito, voci di peccatori che mi chiamavano con un tremito! Tutte le udivo e mi dicevano: “Perché ci abbandoni? Non ci vuoi più accarezzare? Chi ci darà carezze, sui ricci biondi o bruni, simili alle tue”. “Non vuoi più renderci le creature estinte, guarirci le morenti? Chi avrà pietà delle madri come Tu, Figlio santo?”.
“Non vuoi più sanarci? Chi ci guarirà se Tu scompari?”.
“Non vuoi più redimerci? Non ci sei che Tu che sei Redenzione. Ogni tua parola è forza che schianta una corda di peccato nel nostro buio cuore. Noi siamo più malati dei lebbrosi, perché per loro la malattia cessa con la morte, per noi si accresce. E Tu te ne vai? Chi ci capirà? Chi sarà giusto e pietoso? Chi ci rialzerà? Resta, Signore!”.
“Resta! Resta! Rimani!” urlava la folla buona.
“Figlio!”, urlava mia Madre.
“Salvati!”, urlava la vita.
Ho dovuto spezzare queste gole che urlavano, strozzarle per non farle più urlare, per aver forza di spezzarmi il cuore, strappando uno per uno i suoi nervi per compiere la Volontà di Dio.
Ed ero solo.
Cioè: ero con Satana.
La prima parte dell’orazione era stata penosa, ma ancora potevo sentire lo sguardo di Dio e sperare nell’amore degli amici.
La seconda fu più penosa perché Dio si ritirava e gli amici dormivano.
Riconfermavano il sibilo di Satana e la voce della vita: “Ti sacrifichi per nulla. Gli uomini non ti ameranno per il tuo sacrificio. Gli uomini non comprendono”.
La terza… la terza fu la demenza, fu la disperazione, fu l’agonia, fu la morte. La morte dell’anima mia. Non è risorto soltanto il corpo mio. Anche la mia anima ha dovuto risorgere. Poiché conobbe la Morte.
Non vi paia eresia. Cosa è la morte dello spirito? La separazione eterna da Dio. Ebbene Io ero separato da Dio. Il mio spirito era morto.
E’ la vera ora di eternità che Io concedo ai miei prediletti. Quella che tu, piccola sposa, ti sei chiesta che fosse da quando ti hanno detto che tu hai sorte simile a Veronica Giuliani, che al termine dell’esistenza conobbe questo strazio superiore a tutti gli strazi sovrumani.
Noi conosciamo la morte dello spirito, senza averla meritata, per comprendere l’orrore della dannazione che è il tormento dei peccatori impenitenti.
La conosciamo per ottenere di salvarli. Lo so. Il cuore si spezza. Lo so. La ragione vacilla. So tutto, anima diletta. L’ho provato prima di te. E’ l’orrore infernale. Siamo in balia del Demonio perché siamo separati da Dio.
Credi tu che Marta, che vinse il dragone, abbia tremato più di noi? No. La sofferenza è più grande in noi. La belva vinta da Marta era una spaventosa belva, ma sempre una belva della Terra. 3
Noi vinciamo la belva-Lucifero. Oh, non c’è confronto! E la Belva-Lucifero viene sempre più vicino quanto più tutto, in Cielo e in Terra, da noi si allontana.
Ero già stato tentato nel deserto. Una fola di tentazione poiché allora avevo solo la debolezza del cibo materiale. Ora ero affamato di cibo spirituale e affamato di cibo morale, e non c’era pane per il mio spirito e pane per il mio cuore. Non più Dio per lo spirito mio. Non più affetti per il cuore mio.
Ecco, allora, esile come lama di vento, penetrante come pungiglione d’ape, irritante come veleno di colubro, la voce di Lucifero. Un flauto che suona in sordina, così piano, così piano che non desta la nostra vigile attenzione. Penetra con la seduzione della sua magica armonia, ci fa sonnecchiare, sembra un conforto, ha aspetto di conforto soprannaturale.
Oh! Ingannatore eterno, come sei sottile! L’io non chiede che di essere aiutato. E pare che quel suono aiuti. Parole di compassione e di comprensione, dolci come carezze su una fonte febbrile, calmanti come unguento su una bruciatura, stordenti come vino generoso versato a chi è a digiuno. L’anima stanca si addormenta.
Se non fosse più che vigile col suo subcosciente, il quale è vigile soltanto in coloro che nutrono sé stessi di costante unione coll’Amore, finirebbe col cadere in un letargo che la darebbe in balìa totale di Satana, in un ipnotico sonno durante il quale Lucifero le farebbe compiere qualsiasi azione. Ma l’anima che ha nutrito sé stessa costantemente di Amore non perde l’integrità del suo subcosciente, neppure nelle ore che uomini e Dio pare si uniscano per fare di lei una demente. E il subcosciente sveglia l’anima. Le grida: “Agisci. Sorgi. Satana ti è alle spalle”.
La lotta tremenda ha inizio. Il veleno è già in noi. Occorre perciò lottare coi suoi effetti e contro le ondate accelerate, sempre più veementi e accelerate, del nuovo veleno della parola satanica che si versa su noi.
Il frastuono cresce. Non è più suono di flauto in sordina, non è più carezza e unguento.
E’ clangore di strumenti pieni, è percossa, è ferita di gladio, è fiamma che soffoca ed arde. E nella fiamma ecco la vita che passa davanti allo sguardo spirituale. Già c’era passata col suo rassegnato aspetto di cosa sacrificata. Ora torna con veste di prepotente regina e dice: “Adorami! Io son che regno! Questi son i miei doni. I doni che ti ho dato e più belli ti darò se tu mi sarai fedele”.
E nel suono degli strumenti tornano le voci delle cose e delle persone. Non pregano più.
Comandano, imprecano, insultano, maledicono, perché le abbandoniamo. Tutto torna per tormentarci. Tutto. E l’anima sbalordita lotta sempre più debolmente.
Quando vacilla come guerriero svenato e cerca un appoggio in Cielo o in Terra per non procombere, ecco che Lucifero le dà la sua spalla. Non c’è che lui… Si chiama al soccorso… Non risponde che lui… Si cerca uno sguardo di pietà… Non si trova che il suo…
Guai a illudersi della sua sincerità! Col resto di energia che sopravvive bisogna scostarsi da quell’appoggio, rientrare nella solitudine, chiudere gli occhi e contemplare l’orrore del nostro destino piuttosto che il suo subdolo aspetto, alzare le mani che tremano e stringerle sulle orecchie per fare ostacolo alla voce che inganna.
Cade ogni arma nel fare così. Non si è più che una povera cosa morente e sola. Non si riesce neppure a pregare con la parola, perché l’acre del fiato di Satana ci strozza le fauci.
Solo il subcosciente prega. Prega. Prega. 4
Come il batter confuso di farfalla trafitta esso agita le sue ali nell’agonia, ed ogni colpo d’ali dice: “Credo, spero, amo”. Credo ugualmente, spero ugualmente, ti amo ugualmente!”.
Non dice: “Dio”. Non osa più pronunciare il suo Nome. Si sente troppo insozzato dalla presenza di Satana. Ma quel Nome lo tracciano le lacrime di sangue del cuore sulle ali angeliche dello spirito, che voi chiamate subcosciente mentre in realtà è il supercosciente, e ad ogni colpo d’ala quel Nome sfavilla come rubino percosso dal sole, e Dio lo vede, e le lacrime di pietà di Dio circondano di perle il rubino del vostro sangue che goccia in pianto eroico…
Oh! Anime che salite a Dio con quel Nome scritto così in rubini e perle!... Fiori del mio Paradiso!
Satana mi diceva, poiché la voce entrava nonostante ogni mio riparo: “Tu vedi. Ancora non sei morto e già sei abbandonato. Tu vedi. Hai beneficato e sei odiato. Tu vedi. Lo stesso Dio non ti soccorre. Se non ti ama Dio, di cui sei Figlio, puoi mai sperare ti siano grati gli uomini del tuo sacrificio?
Sai cosa occorre per loro? La Vendetta, non l’Amore come Tu credi.
Vendicati, o Cristo, di tutti questi stolti, di tutti questi crudeli.
Vendicati. Colpisci con un miracolo che li fulmini.
Appari quale sei: Dio. Il Dio terribile del Sinai. Il Dio terribile che mi ha fulminato e che ha cacciato Adamo dal Paradiso.
Fino ad ora hai detto parole di bontà. I tuoi rari rimproveri erano sempre troppo dolci per queste belve dalla pelle spessa più del cuoio dell’ippopotamo. Il tuo sguardo medicava le tue parole. Non sai che amare. Odia. E regnerai. L’odio tiene curve le schiene sotto la sua sferza e passa trionfante su queste schiene servili. Le schiaccia. E sono felici d’esserlo.
Non sono che dei sadici, e la tortura è l’unica carezza che apprezzano e che ricordano.
E’ tardi? No, che non è tardi.
Già gli armati vengono a questa volta? Non importa.
Lo so che Tu ti appresti ad esser mite. Sei in errore. Una volta ti avevo insegnato a trionfare nella vita. Non hai voluto ascoltarmi e Tu vedi che sei un vinto.5 Ora ascoltami. Ora che ti insegno a trionfare dalla Morte.
Sii Re e Dio. Non hai armi? Non milizie? Non ricchezze?
Te l’ho detto già una volta che un resto di amore, quel poco che può essermi rimasto dal tesoro d’amore che era la mia vita angelica, è in me per Te che sei buono. Ti amo, mio Signore, e ti voglio servire.
Sei il Redentore degli uomini. Perché non vuoi esserlo del tuo angelo decaduto?
Ero il tuo prediletto perché il più luminoso e Tu sei la Luce. Ora sono la Tenebra. Ma le lacrime del mio tormento hanno empito l’Inferno di liquido fuoco tanto sono numerose.
Lascia che io mi redima. Un poco soltanto. Che da demone divenga uomo. L’uomo è sempre tanto inferiore agli angeli. Ma quanto superiore a me, demonio!
Fa’ che io divenga uomo. Dammi una vita d’uomo tribolata, torturata, angosciosa quanto ti pare. Sarà sempre un Paradiso rispetto al mio tormento demonico. E potrò viverla in modo da espiare per dei millenni e giungere infine di nuovo alla Luce; a Te.
Lascia che io ti serva in cambio di questo che ti chiedo. Nessun arma vince le mie. Né nessun esercito è più numeroso del mio. Le ricchezze di cui dispongo non hanno misura, perché ti farò re del mondo se Tu accetti il mio aiuto, e tutti i ricchi saranno gli schiavi tuoi.
Guarda: i tuoi angeli, gli angeli del Padre tuo sono assenti. Ma i miei sono pronti a vestirsi di angelici aspetti per farti corona e stupire la plebe ignorante e malvagia.
Non sai dire parole di imperio? Io te le suggerirò. Sono qui per questo. Tuona e minaccia.
Ascoltami. Di’ parole di menzogna. Ma trionfa. Di’ parole di maledizione. Di’ che te le suggerisce il Padre. Vuoi che simuli la voce dell’Eterno? Lo farò. Tutto posso fare. Sono il re del mondo e dell’Inferno. Tu non sei che il Re del Cielo. Io sono più grande perciò di Te. Ma metto tutto ai tuoi piedi se Tu lo vuoi.
La Volontà del Padre tuo?
Ma come puoi pensare che Egli voglia la morte del suo Figlio? Pensi che possa illudersi dell’utilità della stessa? Tu fai torto all’Intelligenza di Dio. Già hai redento coloro che sono suscettibili di redenzione con la tua santa Parola. Non occorre di più.
Credi che chi non muta per la Parola non muta per il tuo Sacrificio.
Credi che il Padre ti ha voluto provare. Ma gli basta la tua obbedienza. Non vuole di più. Quanto lo servirai di più vivendo!
Puoi percorrere il mondo. Evangelizzare. Guarire. Elevare. O sorte felice!
La Terra abitata da Dio! Ecco la vera redenzione.
Rifare della Terra il Paradiso terrestre dove l’uomo torna a vivere in santa amicizia con Dio e ne ode la voce e ne vede l’aspetto. Più ancora felice della sorte dei due Primi, perché vedrebbero Te; vero Dio, vero Uomo.
La Morte! La tua Morte! Lo strazio di tua Madre! Lo scherno del mondo!
Perché? Vuoi essere fedele a Dio?
Perché? Ti è fedele Lui? No. Dove sono i suoi angeli? Dov’è il suo sorriso? Cosa hai per anima, adesso? Un cencio lacero, afflosciato, abbandonato.
Deciditi. Dimmi: “Sì”. Senti? Escono dal Tempio i sicari. Deciditi. Liberati. Sii degno della tua Natura.
Tu sei un sacrilego, perché permetti che mani sozze di sangue e libidine tocchino Te: il Santo dei santi. Sei il primo sacrilego del mondo. Dai la Parola di Dio in mano ai porci, in bocca ai porci. Deciditi. Sai che morte ti attende. Io ti offro la vita, la gioia. La Madre ti riporto. Povera Madre! Non ha che Te! Guarda come agonizza… e Tu ti appresti a farla agonizzare più ancora. Che figlio sei? Che rispetto porti alla Legge? Non rispetti Dio-Te. Non rispetti la genitrice. Tua Madre… Tua Madre… Tua Madre…”.
Ho risposto… Maria, ho risposto radunando le forze, bevendo pianto e sangue che colavano dagli occhi e dai pori, ho risposto: “Non ho più madre. Non ho più vita. Non ho più divinità. Non ho più missione. Nulla ho più. Fuorché fare la Volontà del Signore mio Dio.
Va’ indietro, Satana! L’ho detto la prima e la seconda volta. Lo ridico per la terza: Padre, se è possibile passi da Me questo calice. Ma però non la mia; la tua Volontà sia fatta’. Va’ indietro, Satana. Io son di Dio!”.
Maria, ho risposto così… E il Cuore si è franto nello sforzo. Il sudore è divenuto non più stille ma rivoli di sangue. Non importa. Ho vinto.
Io ho vinto la Morte. Io. Non Satana. La Morte si vince accettando la morte.
Ti avevo promesso un grande regalo. Come a pochi l’ho concesso. Te l’ho dato.
Hai conosciuto l’estrema tentazione del tuo Gesù. Te l’avevo già svelata. Ma eri ancora immatura per conoscerla in pieno. Ora lo puoi fare. Vedi che ho ragione di dire che non sarebbe compresa e ammessa da quei piccoli cristiani che sono larve di cristiani e non cristiani formati? Va’ in pace, ché Io sono con te».


1  Lc 22, 39-46: «39Uscì e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. 40Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione». 41Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: 42«Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». 43Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. 44Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra. 45Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. 46E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione».
2  M.V.: ‘Preghiere’ – ‘L’Ora del Getsemani’ – Pag. 89 e segg. – Centro Editoriale Valtortiano
3  N.d.A.. Riferimento ad una antica tradizione francese che narra che Marta – la quale, come si apprende dall’Opera valtortiana, aveva un autentico terrore dei coccodrilli, anche piccoli come li aveva incontrati una volta in Palestina al seguito del Gruppo apostolico – divenne, una volta emigrata in Francia insieme a Lazzaro e Maria Maddalena, a tal punto coraggiosa da catturare una sorta di ‘dragone’ o piccolo coccodrillo anche in Francia: una bestia pericolosa che terrorizzava le campagne sbranando animali e mettendo in pericolo anche gli uomini. Il Gesù valtortiano conferma indirettamente in tal modo in questo Dettato che la ‘leggenda’ che riguarda Marta in Francia non sarebbe una leggenda!
4  N.d.A.: Emerge da tutto questo brano un aspetto molto interessante e cioè il legame stretto che esiste fra anima spirituale ed anima animale e fra anima animale e subconscio. Se ne accenna anche in altri passi dell’Opera valtortiana. Pare di capire che Subconscio, Inconscio, Superconscio, Anima spirituale ed animale facciano parte in un qualche modo misterioso di un unico ‘complesso psichico-spirituale’, come le varie facce di uno stesso poliedro piramidale. In sostanza quello che noi chiamiamo comunemente Subconscio, senza che poi la Psicologia neanche sappia esattamente di cosa si tratti pur avendone intuito la presenza misteriosa dentro di noi, in realtà parrebbe un ‘Superconscio’: lo spirito immortale infuso da Dio!
5  N.d.A.: Satana fa qui riferimento alle famose tentazioni da lui ispirate a Gesù alla fine dei quaranta giorni nel Deserto.

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