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58. Limbo dei bimbi abortiti e neonati morti dopo la nascita ma non battezzati. Gesù: «Non si può pensare che Dio, Carità perfetta che ha creato tutte le anime, predestinandole alla Grazia, escluda dal suo Regno quelli che, non per propria causa, non hanno ricevuto il Battesimo (...) Sono responsabili i neonati, morti nel nascere, di non essere battezzati? (...) No. Ed è cosa probante, che così non sia, il giudizio inesorabile e severissimo dato da Dio a quelli che sopprimono una vita, anche embrionale, o appena venuta alla luce, vietandole di ricevere il Sacramento che leva la Colpa d’origine... (...) Perché questo rigore, se non perché per secoli e millenni quelle anime di innocenti vengono separate da Dio, in uno stato non di pena, ma neppur di gaudio».
A proposito dei 'giusti' non battezzati residenti nel Limbo ma soprattutto dei bimbi abortiti, ecco quanto ancora si legge nell'Opera (sottolineature e grassetti sono miei): 1
«...Grande numero di giusti attendevano da secoli e millenni che la Redenzione, purificandoli dalla Colpa, permettesse il loro entrare a far parte del Regno di Dio, dove entra solo chi ha in sé la Vita soprannaturale.
Ancor più grande numero di uomini, venuti dopo il Cristo, attendono di entrarvi quando sarà compiuta la loro purificazione dalle colpe gravi volontarie, o quando la Giustizia perfettissima aprirà i Cieli a tutti coloro che vissero e agirono con carità e giustizia, secondo la legge della coscienza, per servire ed onorare così l’Ente che sentivano essere, facendo così parte dell’anima della Chiesa.
Non si può pensare che Dio, Carità perfetta che ha creato tutte le anime, predestinandole alla Grazia, escluda dal suo Regno quelli che, non per propria causa, non hanno ricevuto il Battesimo.
Quale colpa hanno commessa?
Spontaneamente vollero nascere in luoghi non cattolici? 2
Sono responsabili i neonati, morti nel nascere, di non essere battezzati?
Può Dio infierire su tutti questi che non sono “chiesa” nel senso stretto della parola, ma che lo sono avendo ricevuto l’anima da Dio ed essendo morti innocenti perché morti nel nascere, od essendo vissuti da giusti per loro naturale tendenza a praticare il bene per onorare così il Bene supremo che tutto, in loro e intorno a loro, testimoniava essere?
No. Ed è cosa probante, che così non sia, il giudizio inesorabile e severissimo dato da Dio a quelli che sopprimono una vita, anche embrionale, o appena venuta alla luce, vietandole di ricevere il Sacramento che leva la Colpa d’origine.
Perché questo rigore, se non perché per secoli e millenni quelle anime di innocenti vengono separate da Dio, in uno stato non di pena, ma neppur di gaudio.
Può pensarsi che il Buonissimo, che ha predestinato tutti gli uomini alla Grazia, defraudi di essa coloro che non per spontanea elezione non sono cattolici?
«Molte sono in Cielo le dimore del Padre mio» ha detto il Cristo. Quando non sarà più questo mondo, ma vi sarà un nuovo mondo, un nuovo cielo, e i nuovi tabernacoli della Gerusalemme eterna, e tutta la creazione razionale avrà la sua glorificazione con l’esaltazione dei Risorti, che furono dei giusti, al possesso del Regno eterno di Dio, anche coloro che furono uniti soltanto all’anima della Chiesa avranno la loro dimora in Cielo, perché solo Cielo ed Inferno rimarranno eterni, e non può pensarsi che la Carità danni al supplizio eterno creature immeritevoli di esso...».
I due precedenti brani - in forza della loro logica stringente - potrebbero dare una ulteriore risposta a coloro che troppo severamente sostengono che... 'Nulla Salus Extra Ecclesiam', a meno di volerlo interpretare come premio immediato al momento della morte o dopo la purificazione nel Purgatorio.
Trattandosi di 'innocenti' e comunque - se adulti - di uomini 'giusti' che hanno seguito la giusta legge dettata dalla loro retta coscienza, convinti in fede che il loro sia il 'Dio vero' come pure vera la loro religione - essi si salvano perché - pur non avendo ricevuto il Battesimo e non appartenendo alla Chiesa in senso stretto - appartengono tuttavia all'anima della Chiesa!
Non sono responsabili del non essere stati battezzati neppure i bimbi morti nel nascere o prima della nascita, né tantomeno i bimbi volutamente abortiti.
Essi, incolpevoli ma 'non battezzati', ed in quanto tali portanti il marchio della Macchia d'origine, se non potranno andare subito in Paradiso, oltre a non andare ovviamente all'Inferno che è sofferenza pura, non andranno neppure in Purgatorio che è pur sempre una sofferenza d'amore, ma resteranno nel Limbo: dove non vi è sofferenza, in attesa che venga la Gioia, fatto che - come abbiamo già detto - è già una forma di 'gioia' in quanto anticipazione, pregustazione della gioia futura.
È poi severissima la condanna - salvo ovviamente una perfetta contrizione e Assoluzione - per coloro che hanno soppresso una vita anche embrionale o appena venuta alla luce, vietandole di ricevere così il Sacramento del Battesimo che leva la Colpa d'origine, perché a causa di ciò queste piccole creature, per secoli e millenni sino al Giudizio universale, saranno separate da Dio.
Essi sono 'primizie' della Gloria come, durante un 'pellegrinaggio' a Betlemme con alcuni apostoli, Gesù - a chi lo interrogava sulla sorte dei bimbi uccisi da Erode in occasione della 'strage degli Innocenti' - ebbe a chiarire a loro riguardo:3
«...  Angeli che ripeteranno il "Gloria" quando il Salvatore sarà coronato».
«Re?».
«No. Redentore. Oh! corteo di giusti e santi! E sul davanti le falangi bianche e porporine dei pargoli martiri! E, aperte le porte del Limbo, ecco che saliremo insieme al Regno che non muore. E poi voi verrete e ritroverete padri, madri e figli nel Signore! Credete».
Il Gesù valtortiano tocca altre innumerevoli volte il tema del Limbo e della finale salvezza in Cielo degli innocenti e dei giusti non battezzati, come quando, dialogando con gli apostoli nel corso dei suoi tre anni di evangelizzazione, dice:4
«...Quando in un talamo si compie un concepimento, esso si forma con lo stesso atto, sia che avvenga su un talamo d'oro o sullo strame di una stalla. E la creatura che si forma nel seno regale non è diversa da quella che si forma nel seno di una mendica. Il concepire, il formare un nuovo essere, è uguale in tutti i punti della Terra, quale che sia la loro religione. Tutte le creature nascono come nacquero Abele e Caino dal seno di Eva.
E all'uguaglianza del concepimento, formazione e modo di nascere dei figli di un uomo e di una donna sulla Terra, corrisponde un'altra uguaglianza in Cielo: la creazione di un'anima da infondere nell'embrione, perché esso sia di uomo e non di animale e lo accompagni dal momento che è creata alla morte, e gli sopravviva in attesa della risurrezione universale per ricongiungersi, allora, al corpo risorto ed avere con esso il premio o il castigo.
Il premio o il castigo secondo le azioni fatte nella vita terrena. Perché non vi pensate che la Carità sia ingiusta e, solo perché molti non saranno di Israele o di Cristo, pur essendo virtuosi nella religione che seguono, convinti di essere nella vera, abbiano a rimanere in eterno senza premio.
Dopo la fine del mondo non sopravvivrà altra virtù che la carità, ossia l'unione col Creatore di tutte le creature che vissero con giustizia.
Non ci saranno tanti Cieli, uno per Israele, uno per i cristiani, uno per i cattolici, uno per i gentili, uno per i pagani. Non ci saranno, ma vi sarà un solo Cielo.
E così vi sarà un solo premio: Dio, il Creatore che si ricongiunge ai suoi creati vissuti in giustizia, nei quali, per la bellezza degli spiriti e dei corpi dei santi, ammirerà Se stesso con gioia di Padre e di Dio. Vi sarà un sol Signore. Non un Signore per Israele, uno per il cattolicesimo, uno per le altre singole religioni.
Ora vi rivelo una grande verità.
Ricordatevela. Trasmettetela ai vostri successori. Non attendete sempre che lo Spirito Santo rischiari le verità dopo anni o secoli di oscurità. Udite. Voi forse direte: "Ma allora che giustizia c'è ad essere della religione santa, se saremo alla fine del mondo ugualmente trattati, come lo saranno i gentili?".
Vi rispondo: la stessa giustizia che c'è, ed è vera giustizia, per coloro che, pur essendo della religione santa, non saranno beati perché non saranno vissuti da santi.
Un pagano virtuoso, soltanto perché visse con virtù eletta, convinto che la sua religione era buona, avrà alla fine il Cielo.
Ma quando? Alla fine del mondo, quando delle quattro dimore dei trapassati due sole sussisteranno, ossia il Paradiso e l'Inferno. Perché la Giustizia, in quel momento, non potrà che conservare e dare i due regni eterni a chi dall'albero del libero arbitrio scelse i frutti buoni o volle i frutti malvagi.
Ma quanta attesa prima che un pagano virtuoso giunga a quel premio... Non ve lo pensate?
E questa attesa, specie dal momento in cui la Redenzione, con tutti i suoi conseguenti prodigi, si sarà verificata, e l'Evangelo sarà predicato nel mondo, sarà la purgazione delle anime che vissero da giuste in altre religioni ma non poterono entrare nella Fede vera dopo averla conosciuta come esistente e di provata realtà.
Ad essi il Limbo per i secoli e secoli sino alla fine del mondo.
Ai credenti nel Dio vero, che non seppero essere eroicamente santi, il lungo Purgatorio; e per alcuni potrà avere termine alla fine del mondo.
Ma, dopo l'espiazione e l'attesa, i buoni, quale che sia la loro provenienza, saranno tutti alla destra di Dio; i malvagi, quale che sia la loro provenienza, alla sinistra e poi nell'Inferno orrendo, mentre il Salvatore entrerà con i buoni nel Regno eterno».
«Signore, perdona se non ti capisco. Ciò che dici è molto difficile... almeno per me... Tu dici sempre che sei il Salvatore e redimerai quelli che credono in Te. E allora quelli che non credono, o perché non ti hanno conosciuto essendo vissuti prima, oppure perché - è tanto grande il mondo! - non hanno avuto notizia di Te, come possono essere salvati?», chiede Bartolomeo.
«Te l'ho detto: per la loro vita di giusti, per le loro opere buone, per la loro fede che essi credono vera».
«Ma non sono ricorsi al Salvatore...».
«Ma il Salvatore per essi, anche per essi, soffrirà. Non pensi, Bartolmai, quale ampiezza di valore avranno i miei meriti di Uomo-Dio?».
«Mio Signore, sempre inferiori a quelli di Dio, a quelli che hai perciò da sempre».
«Giusta e non giusta risposta. I meriti di Dio sono infiniti, tu dici. Tutto è infinito in Dio. Ma Dio non ha meriti nel senso che non ha meritato. Ha degli attributi, delle virtù sue proprie.
Egli è Colui che è: la Perfezione, l'Infinito, l'Onnipotente. Ma per meritare bisogna compiere, con sforzo, qualcosa di superiore alla nostra natura. Non è un merito mangiare, ad esempio. Ma può divenire un merito il saper mangiare parcamente, facendo veri sacrifici per dare ciò che risparmiamo ai poveri. Non è un merito stare zitti. Ma lo diviene quando si sta zitti non ribattendo un'offesa. E così via. Ora tu comprendi che Dio non ha bisogno di sforzare Se stesso che è perfetto, infinito. Ma l'Uomo-Dio può sforzare Se stesso, umiliando l'infinita Natura divina a limitazione umana, vincendo la natura umana che non è assente o metaforica in Lui ma è reale, con tutti i suoi sensi e sentimenti, con le sue possibilità di sofferenza e di morte, con la sua volontà libera.
Nessuno ama la morte, specie se è dolorosa, precoce e immeritata. Nessuno l'ama. Eppure ogni uomo deve morire. Perciò dovrebbe guardare la morte con la stessa calma con cui vede finire tutto ciò che ha vita. Ebbene, Io sforzo la mia Umanità ad amare la morte.
Non solo. Io ho eletto la vita per potere avere la morte. Per l'Umanità.
Perciò Io, nella mia veste di Uomo-Dio, acquisto quei meriti che, rimanendo Dio, non potevo acquistare.
E con essi, che sono infiniti per la forma come li acquisto, per la Natura divina congiunta all'umana, per le virtù di carità e di ubbidienza con le quali mi sono messo in condizione di meritarli, per la fortezza, per la giustizia, temperanza, prudenza, per tutte le virtù che ho messe nel mio cuore a renderlo accetto a Dio, Padre mio, Io avrò una potenza infinita non solo come Dio, ma come Uomo che si immola per tutti, ossia che raggiunge il limite massimo della carità.
È il sacrificio quello che dà il merito. Più grande il sacrificio e più grande il merito.
Completo il sacrificio e completo il merito. Perfetto il sacrificio e perfetto il merito. E usabile secondo la santa volontà della vittima, alla quale il Padre dice: "Sia come tu vuoi!", perché essa lo ha amato senza misura ed ha amato il prossimo senza misura.
Ecco, Io ve lo dico. Il più povero degli uomini può essere il più ricco e beneficare un numero senza misura di fratelli, se sa amare sino al sacrificio.
Io ve lo dico: anche non aveste neppur più una briciola di pane, un calice d'acqua, un brandello di veste, voi potete beneficare sempre. Come? Pregando e soffrendo per i fratelli.
Beneficare chi? Tutti. In che modo? In mille modi tutti santi, perché, se voi saprete amare, saprete come Dio operare, insegnare, perdonare, amministrare e, come l'Uomo-Dio, redimere...».
Poi, ancora nell'Opera valtortiana, altri due brani contenuti nei 'Quadernetti' che recitano:5
48.5
[1948?]
Quando G. C. scese nel Limbo liberò gli innocenti e santi là accolti.
Quelli che vi sono ora e vi saranno, i giusti di ogni religione, convinti di essere nella vera, hanno un premio da "pargoli"... in attesa di quello finale, perché la Divina Giustizia, la Misericordia Incarnata e l'Infinita Carità non lasceranno di premiare coloro che seguirono Giustizia offrendola al Dio in cui credevano, sicuri di essere nel vero.
E inoltre:
SD. 2 [Senza data e come se mancasse qualche foglio precedente]
(1) Nota: Se qualcuno obbiettasse che Lazzaro, e anche Abramo, non potevano essere né fulgidi né beati perché ancora separati dalla luce di Dio, dall'unione caritativa e gloriosa con Lui, dall'ammirazione degli angeli, perché ancora nel Limbo, si ricordi a costoro che per quanto sta agli angeli, i custodi dei santi Padri del Limbo e dei giusti in esso raccolti già giubilavano per la gloria meritata dai loro custoditi, gloria che attendeva la redenzione per essere loro donata; e che per quanto riguarda alla luce ed unione caritativa con Dio si ricordi che, anche per definizione teologica in merito alla conoscenza dei purganti, "la conoscenza arriva alle anime già separate dal corpo per un'azione diretta di Dio, Luce eterna".
Conoscenza relativa sempre, ma che sempre più si fa ampia, viva, luminosa, più la purgazione si compie, sino a divenire, da "conoscenza", "visione beatifica" al momento in cui, espiata ogni pena, l'anima entri in Paradiso.
Se quindi le stesse anime purganti, per ammissione dei teologi, hanno una conoscenza relativa di Dio e una partecipazione alla sua vita d'amore, già smisuratamente più profonda di quanto possa mai godere sulla Terra un'anima già profondamente formata nella perfezione, è lecito credere che gli attendenti nel Limbo l'apertura dei Cieli e l'entrata nel regno della Gloria da essi meritato, fossero già oggetto di ammirazione agli angeli e già splendessero delle luci spirituali del reciproco amore tra Dio ed i suoi santi e prossimi abitatori del Regno Celeste.
Se operatori della purificazione del Purgatorio sono i soffi ardentissimi dello Spirito di Dio: l'Amore, e quelli ardenti delle anime desiderose di riparare alle loro omissioni, tiepidezze o colpe verso l'amore, se sono le Fiamme e le luci del Divino Amore quelle che portano le anime penanti ad una contemplazione e conoscenza intuitiva che aumenta ad ogni nuovo efflusso di luce e di ardore divini, e tanto più cresce più l'anima si purifica, è logico credere che non fosse negato ai santi del Limbo una contemplazione e conoscenza intuitiva di Dio ancor più ampia di quella che la Teologia ammette essere concessa alle anime purganti, una conoscenza già causa di pace e gaudio, sebbene relativi, prodromo alla pace e al gaudio senza misura di vastità e durata che costituisce il premio eterno, ossia "il vedere Dio faccia a faccia e conoscerlo non più parzialmente, ma come ne siamo conosciuti", secondo le parole dell'Apostolo Paolo (I ai Corinti c. XIII v. 12).
Ho dunque terminato questa mia rassegna valtortiana sui due primi temi dei NOVISSIMI che - compatibilmente con lo scopo divulgativo di questo mio lavoro - credo di aver trattato in misura abbastanza esauriente.
Avevo iniziato con il primo tema approfondendo l'argomento - in realtà non psicologicamente facile da affrontare - della 'nostra' morte.
Prima o poi siamo tutti destinati a varcare quel 'passo' e non c'è niente di meglio che conoscere in anticipo il 'campo minato di battaglia' per portare a casa la 'pelle'.
Ho poi continuato con il secondo tema, quello del Giudizio particolare subito dopo la morte, giudizio al quale è legata anche la duplice destinazione al Purgatorio ed al Limbo,
Nella Bibbia si deve distinguere il tempo del rigore e quello dell'Amore misericordioso.
Rigore perché - come si apprende dall'Opera Valtortiana - prima della venuta di i Maria e Gesù e poi di Giovanni il Battista (presantificato nel grembo materno) - sulla Terra non vi erano che peccatori, anche se Giusti, in quanto tutti avevano un’anima morta alla Grazia a causa del Peccato originale.
Dopo Gesù, la Vergine Immacolata e il Battista (la Trinità in terra, come la chiama il Gesù valtortiano), l'occhio di Dio si sarebbe invece nuovamente posato con compiacenza sull'Umanità, e sarebbe venuto appunto il tempo dell'Amore e della Misericordia.
Il nostro 'tempo' è dunque quest'ultimo e un segno di tale tempo è non solo e soprattutto il Vangelo ma anche la rivelazione contenuta nell'Opera valtortiana che senza essere un 'Vangelo canonico' è pur sempre un'Opera ispirata da Dio.
Non siamo tenuti - dal punto di vista della Chiesa - ad avere 'fede' in essa, ma ad essa possiamo anche credere nella misura in cui i suoi contenuti non vadano contro le verità di Fede e ci convincano.
Sulla Morte e sul Giudizio particolare abbiamo dunque appreso quanto è strettamente necessario per la nostra salvezza, e anche di più.
Il segreto della salvezza sta dunque tutto nella 'carità', che non significa sentimentalismo ma azione fattiva che può assumere le tante facce di un prisma: un poliedro formato da un numero elevato di aspetti, secondo la 'vocazione' o attitudini del carattere e della personalità di ciascuno.
Maria Valtorta - affetta da paralisi, inchiodata su un letto come Gesù sulla Croce - colpita da numerose malattie che secondo i medici avrebbero dovuto portarla rapidamente ad una morte che invece non arrivava mai perché Gesù la manteneva in vita6 utilizzando le sue sofferenze volontarie per redimere i peccatori - era ciò nonostante tormentata dalle critiche e dai dubbi di chi - specie nell'ambiente ecclesiastico e dello stesso Ordine dei Servi di Maria al quale il Signore l'aveva affidata - non riusciva a credere alle sue rivelazioni.
Non è un fatto nuovo che gli 'uomini di Chiesa' stentino a credere alle rivelazioni.
Il rapporto dei primi preti con i mistici - fin dall'inizio della storia del Cristianesimo e ciò sembra duri ancor oggi - è stato quasi sempre caratterizzato dal sospetto, e talvolta anche dalla 'rivalità'.
Sovente i mistici - parlando a nome di Dio - intervenivano per richiamare i presbiteri all'ordine, rimproverando l'umanità degli ecclesiastici di allora che si occupavano molto di organizzazione e di gestione amministrativa e finanziaria delle loro 'parrocchie' ma non sempre di spiritualità e di cura delle anime.
In una certa misura il non credere subito alle rivelazioni è prudenza, perché nella storia ce ne sono state tante di false in quanto Satana è il Padre della Menzogna, ma esagerare nel non credere è 'imprudenza', specialmente quando è possibile - con un corretto discernimento - conoscere l'albero dai 'frutti' che produce, e nel caso dell'Opera valtortiana questi ultimi sono numerosissimi in tutto il mondo, con conversioni che non si calcolano.
Per Dio stesso 'guarire' fisicamente è molto facile ma convertire spiritualmente una persona è molto più difficile perché richiede preventivamente l'adesione dell'interessato dotato di 'libero arbitrio'.
L'Angelo Custode Azaria istruiva la mistica Valtorta con lezioni di commento alle Sante Messe e la confortava invitandola a sopportare con pazienza i critici increduli e soprattutto a 'non odiarli', considerandoli 'nemici', ma anzi a pregare per loro, ed infatti le diceva7: «Tu sei del tempo dell'amore8, cristiana sei, e sulle tue labbra solo la preghiera in favore dei nemici deve fiorire9. Anzi: non nemici, ma "poveri fratelli" devi chiamare chi ti dà dolore. Non sono forse privi delle vere ricchezze, non possedendo carità, non avendo giustizia, ignorando le voci del soprannaturale, di modo che non comprendono la lingua dei Cieli10 e la dicono delirio di creatura o, peggio ancora, menzogna di creatura? Poveri, poveri fratelli tuoi!...».
Ecco, l'Opera valtortiana è scritta nella 'lingua dei Cieli' e quindi va compresa e da noi tutti meditata come tale acciocché - ora che leggendo l'abbiamo conosciuta meglio - nel giorno del nostro Giudizio particolare, Gesù - come dice l'Angelo Custode della mistica, Azaria - non abbia a rimproverarci (i grassetti sono miei): 11  
«Io ho parlato e non mi avete conosciuto. Ho preso, secondo la mia Parola, un 'piccolo', e l'ho messo in mezzo a voi, dottori12, e l'ho istruito perché vi dicesse le mie parole, dato che lo Spirito del Signore si compiace di rivelarsi agli umili13 coi quali scherza come padre coi suoi pargoli, trovando in essi il suo ristoro14. Io sono venuto e non mi avete accolto.
Ho parlato e non mi avete ascoltato. Vi ho chiamato e invitato ad entrare nella stanza dei miei tesori che vi aprivo15, e non siete venuti.
Il mio amore non vi ha commossi. La mia dottrina l'avete negata, dicendo che non poteva avere aggiunta quella che avevo predicata in Palestina16.
Vi volevo fare ricchi, vi volevo fare dotti, volevo darvi in mano uno strumento arricchito di nuove note perché poteste cantare le infinite, e da molti ignorate, misericordie di Dio, convertendo i cuori; vi volevo santi: la mia conoscenza è amore, e non vi è limite ad essa, perché il Cristo docente è Dio, e Dio è infinito nel suo amore e in ogni altro suo attributo, e chi più conosce più ama e chi più ama più si santifica.
Voi, santi, voi, ardenti, voi sapienti della 'mia' santità, del 'mio' amore, della 'mia' sapienza, avreste santificato, acceso, istruito.
Oh! mia Sapienza, Amore, Perfezione! Perché non mi avete voluto? Ora siete poveri. Più del povero Lazzaro17. Egli aveva per veste le sue piaghe, ma nel suo cuore aveva il tesoro del suo saper conoscere Dio.
Andate a vestirvi di luce, andate ad imparare l'amore, andate a meditare sulle parole che non avete accolte, e quando vi sarete vestiti e ornati di carità, verità e sapienza, venite...".
Poi Azaria aggiungeva: «Tu prega, tanto, perché nel tempo che loro resta sappiano vestirsi e ornarsi di quanto il Signore esige per gli invitati alle nozze18, senza far sosta penosa fuor dalla Casa di Dio, espiando la loro ignavia e tiepidezza, e con esse superbia ed egoismo».


1  M.V.: 'I Quaderni del 1945-1950' - senza data: Apocalisse, Ed. 2006 pag. 517 - C.E.V
2  N.d.A: Notare che Gesù dice “non cattolici” e non “non cristiani” e questa precisazione dovrebbe farci ben riflettere sulla importanza del Battesimo nei rami separati dal tronco…
3  M.V.: 'L'Evangelo come mi è stato rivelato' - Cap. 75.4 - C.E.V.
4  M.V.: 'L'Evangelo come mi è stato rivelato' - Vol. VII - Cap. 444. 5/7 - C.E.V
5  Maria Valtorta: 'Quadernetti' - 48.5 e S.D.2 - Centro Editoriale Valtortiano
6  N.d.A.: A proposito di questo straordinario 'mantenimento in vita' sono famosi i casi di Martha Robin e Teresa Newmann, affette nel Novecento da gravi malattie e dolori che venivano offerti al Signore, mantenute in vita senza mangiare se non nutrendosi di sola Eucarestia: miracolo Eucaristico!
7  M.V.: 'Libro di Azaria' - Domenica 9a dopo la Pentecoste - Lezione 26 - 11.8.1946 - C.E.V.
8  come la n. 1.
9  vedi: Proverbi 25, 21-22; Matteo 5, 38-48; Luca 6, 27-35, Romani 12, 14-21.
10  Forse, vi è un'allusione a: Ia Corinti 13, l.
11  M.V: 'Libro di Azaria' - 11.8.1946 - Cap. 26 - C.E.V.
12  Allusione a: Matteo 18, 1-4; Marco 9, 33-37; Luca 9, 46-48.
13  vedi: Matteo 11, 25-27; Luca 10, 21-22.
14  Forse, allude a: Proverbi 8, 27-31; Sapienza 1, 6.
15  Forse, allude a: Cantico dei Cantici 2, 3-5; (Isaia 39, 1-4); Apocalisse 3 20.
16  vedi: Giovanni 20, 30; 21, 24-25; Apocalisse 22, 18-21; vedi anche: Poema X, p. 369, n. 66.
17  vedi: Luca 16, 19-31.
18  vedi: Matteo 22, 1-14; (Luca 14, 15-24).     

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