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33. Il Decalogo 'rivisitato' da Gesù. Luogo e tempi in cui avviene il Giudizio: un atomo di attimo!
Sappiamo che a Gesù è stato deferito dal Padre ogni giudizio, ma se nel Suo giudizio c'è Giustizia, non mancano neppure - come già detto e ripetuto - amore e misericordia nei confronti di chi ha sbagliato ma si è sforzato di seguire al suo meglio la Legge naturale dei Dieci Comandamenti incisa da Dio nella sua anima o comunque si è sforzato di seguire - anche imperfettamente - la Dottrina, migliorativa della Legge mosaica che Gesù - Verbo incarnato - era venuto ad insegnare.
Dottrina migliorativa?
Sì, perché la Legge dei Dieci Comandamenti, il cosiddetto Decalogo, era stato dato a Mosè come norma di comportamento del 'popolo di Dio' in un contesto sociale e religioso di circa 1.500 anni prima della venuta di Gesù.
Si trattava storicamente di tempi di 'barbarie ', un'epoca in cui la 'legge' era 'amare l'amico' ma anche 'odiare' e conseguentemente all'occorrenza uccidere il nemico'.
La successiva legge del taglione: 'occhio per occhio, dente per dente', che era in qualche modo 'frenante', era già un passo avanti rispetto al passato. Era un principio di diritto che consentiva ad una persona danneggiata di infliggere a quella danneggiante un danno almeno uguale all'offesa ricevuta. In definitiva aveva lo scopo di porre un limite a delle vendette spropositate.
Tuttavia bisognava pur cominciare ad educare gradualmente il suo 'popolo' e Dio cominciò a farlo partendo appunto dalle Tavole della Legge date a Mosè.
Trascorsi parecchi secoli, il popolo - già in qualche modo 'formato' dal Decalogo - era pronto per il secondo ammaestramento, quello di 'perfezione' di cui al Discorso della montagna di Gesù.
Nelle mie valutazioni sul Giudizio particolare non mi attengo dunque al Decalogo del Deuteronomio dell'Antico Testamento, ma alla spiritualità del 'Decalogo del Nuovo Testamento', simile a quello dell'Antico ma 'rivisitato' e fattoci meglio comprendere da Gesù allo scopo di portarci sempre più in alto verso le vette della perfezione spirituale.
Ognuno di noi cerca di non pensare alla propria morte, e di norma non cerca neppure di immaginare in quale modo e per che cosa sarà giudicato, per non parlare del 'dove' verrà giudicato.
Quella che viene giudicata è la nostra anima spirituale, la quale è costituita dal nostro 'Io' con tutto il carico di cose buone e meno buone compiute nel corso della vita.
Che cosa è il nostro 'io'? Siamo 'io' che scrivo e 'voi' che leggete. Io e voi, il mio pensiero ed il vostro pensiero. Non è il nostro 'cervello' quello che pensa -à come tanti ritengono -  ma è il nostro 'io', la nostra anima, il nostro spirito intelligente datoci originariamente da Dio ma arricchito nel bene e nel male dalle 'esperienze' della vita secondo il nostro libero arbitrio: il cervello non produce 'pensieri' ma è lo strumento utilizzato dal nostro 'io pensante' per rapportarsi con i nostri cinque sensi e dunque con il mondo esterno.
L'immagine della Bilancia, con cui si raffigura la Giustizia umana, può ben adattarsi alla Giustizia divina.
Sbaglierebbe però colui che - essendosi comportato bene per tutta una vita - si illudesse per questo pur apprezzabile fatto di vedere pendere a proprio favore il 'piatto' della Bilancia avendo commesso solo all'ultimo momento un peccato che avesse prodotto l'effetto di uccidere la sua Vita soprannaturale.
L'anima, una volta uccisa è uccisa, e niente la può 'resuscitare' una volta che sia intervenuta la morte fisica senza più alcuna possibilità di pentimento.
Ecco perché bisogna perseverare nel bene - o per lo meno non commettere peccati 'mortali' - fino alla fine.
Dobbiamo in sostanza vegliare affinché l'anima rimanga 'viva' fino all'ultimo istante della nostra vita, senza mai abbassare la guardia.
Avevamo detto nella Prima parte di questa nostra meditazione sui 'Novissimi', dedicata alla 'Morte', che l'Umanità è attualmente costituita da circa 7 miliardi di uomini dei quali parecchie decine di migliaia muoiono ogni giorno.
Se vi è in Cielo dunque una attività che non conosce soste, da parte di Gesù-Giudice, è proprio quella del giudicare.
Ma quanto tempo ci vorrà per giudicare l'intera nostra vita?
E dove avverrà il Giudizio delle nostre anime? Da qualche parte in Cielo dove noi ci presentiamo 'inginocchiati' davanti a Dio?
Ma in Cielo non ci vanno solo le anime destinate al Paradiso?
Spiega allora Gesù alla mistica Valtorta (sottolineature e grassetti sono sempre miei):1
«...Tornare all’Origine, presentarsi al Giudice G., non vuol dire andare in un dato luogo né esattamente andare ai piedi dell’eterno trono.
Sono, queste, formule usate per aiutare il vostro pensiero.
L’anima che lascia la carne che animava si trova immediatamente di fronte alla Divinità che la giudica, senza necessità di salire e presentarsi alle soglie del beato Regno.
È catechismo che Dio è in Cielo, in terra e in ogni luogo. E perciò l’incontro avviene dovunque. La Divinità empie di Sé il Creato. È quindi presente in ogni luogo del Creato.
Io sono che giudico. Ma Io inscindibile dal Padre e dallo Spirito Santo, onnipresenti in ogni luogo.
Il giudizio è rapido come rapida è stata la creazione: meno di un millesimo della vostra più piccola unità di tempo.
Ma come nell’atomo dell’attimo creativo l’anima ha tempo di intravedere la Ss. Origine che la crea e di seco portarne il ricordo perché sia istintiva religione e guida nella ricerca della fede, della speranza, della carità che, se voi ben osservate, sono, nebulosamente, come germi informi, anche nelle religioni più imperfette - la fede in una divinità, la speranza in un premio dato da questa divinità, l’amore a questa divinità - altrettanto nell’atomo dell’attimo del giudizio particolare lo spirito ha tempo di comprendere ciò che non ha voluto comprendere nella vita terrena, e ha odiato come nemico o schernito o negato come fola vana, o anche servito con tiepidezze che esigono riparazione, e di seco portare, nel luogo espiativo o nell’eterna dannazione, il ricordo, a suscitare fiamme d’amore per l’eterna Bellezza, o tortura di castigo col rovello del Bene perduto che la coscienza intelligente rimprovererà di aver voluto liberamente perdere. Perché lo ricorderanno, e terribile, senza poterlo contemplare, insieme ai loro peccati.
La creazione dell’anima e il giudizio particolare sono i due atomi di attimi in cui le anime dei figli dell’uomo intellettualmente conoscono Dio per quel tanto che è giusto e sufficiente a dar loro un agente per tendere al loro Bene appena intraveduto, ma rimasto impresso nella sostanza che, essendo intelligente, libera, semplice, spirituale, ha comprensioni pronte, volontà libere, desideri semplici, e movimento o inclinazione o appetito, se più vi piace, a riunirsi con l’amore a Colui donde venne, e a raggiungere il suo fine del quale ha già intuito la bellezza, o a staccarsene con un odio perfetto raggiungendo colui che è il loro dannato re, e avendo nel ricordo “di odio” un tormento, il maggiore fra i tormenti infernali, una disperazione, una maledizione indescrivibili.
In definitiva nel momento del Giudizio particolare, cioè in quell'infinitesimo di attimo subito dopo la morte, non avremo dunque materialmente tempo per 'tergiversare' e accampare scuse con Gesù-Giudice anche perché di fronte alla Verità di Dio, tutte le nostre colpe ci appariranno in una luce incontestabile.
Quel che è fatto è fatto. Illuminata dalla Luce di Dio, la nostra anima libera dalla carne e perfetta nella comprensione sarà in condizione di intuire già da sé l'esito e la giustezza del Giudizio da parte di Gesù.


1  Maria Valtorta: 'Quaderni 1945-50' - Dettato 28.1.47 - C.E.V.
    

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