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i 4 NOVISSIMI - PRIMA PARTE (seguito): 2. GIUDIZIO PARTICOLARE
(con ampliamento al Purgatorio e al Limbo) - di Guido Landolina
27. Il Giudizio particolare.
Nella Introduzione alla Prima parte dei Novissimi, quella precedentemente dedicata all'ingrato tema della 'nostra' Morte, al fine di risollevare il morale prima che il lettore chiudesse già alla prima pagina avevo esordito dicendo che la morte in fin dei conti è 'quella che dà la vita' perché essa è il passaggio 'da una fase incompiuta alla compiutezza di una vita eterna'.
Poi - tanto per metterla ancora sul 'leggero' e farci coraggio - avevo citato una frase di Sant'Agostino il quale, come se per lui fosse la cosa più normale del mondo, aveva affermato: 'La morte non è niente! Sono solamente passato dall'altra parte: è come se fossi nascosto nella stanza accanto'.
Già... nella stanza accanto...! Ma Chi ci aspetta nella 'stanza accanto'?
Ci aspetta Gesù.
Ma quale Gesù? Quello molto misericordioso di duemila anni fa venuto non per condannare ma per salvare tutti, inclusi i grandi peccatori, o quello che ora - a missione originaria compiuta - viene nel Giudizio particolare come nostro Giudice, a chiederci conto di come abbiamo seguito i suoi insegnamenti?
E ancora, quale saranno le modalità di questo Giudizio?
Quale è il modo migliore per cercare di 'cavarcela'?
Cercheremo di trovare le risposte affrontando appunto a fondo questo secondo argomento dei Novissimi concernente il 'Giudizio particolare', sempre alla luce delle rivelazioni fatte alla mistica Maria Valtorta negli anni '45/50 del secolo scorso.
Laddove necessario, per rendere più agevole a tutti la comprensione di taluni contenuti delle stesse e nel contempo semplificarli, ricorrerò anche in questa Seconda parte della mia trattazione - come fatto nella prima - a delle 'parafrasi' di testi valtortiani oppure a delle sintetizzazioni di contenuto, oltre ad esprimere ovviamente le mie valutazioni, salvo citare invece integralmente quei brani valtortiani che dovessi ritenere di particolare interesse.
Nel corso delle nostre riflessioni e con l'inizio di questa nostra meditazione sul Giudizio particolare siamo arrivati ad un punto che possiamo considerare di capitale importanza, un 'punto' che non è esagerato definire ‘di vita o di morte’.
Nei miei numerosi scritti1 ho già avuto occasione di affrontare - ora con un 'taglio', ora con un altro - il tema del 'Giudizio particolare', e non mi preoccupo quindi di 'ripetermi' specie in alcuni aspetti dove anche oggi - a distanza di anni - non saprei come dire meglio.
Ricordate l’episodio evangelico dei due ladroni in croce alla destra ed alla sinistra di Gesù?2 Uno insultava Gesù intimandogli di salvarlo dalla morte, visto che Lui era il Cristo Figlio di Dio, e l'altro rimproverava invece il 'compagno di merende' ricordandogli che loro due erano stati condannati giustamente a morte per i loro misfatti mentre Gesù non aveva fatto niente di male. E poi aveva aggiunto: «Gesù, ricordati di me, quando sarai nel tuo Regno!» E Gesù rispose: «In verità ti dico: oggi sarai in Paradiso con me».
Il 'buon ladrone' – nell’Opera di Maria Valtorta dove sempre in visione si raccontano anche le sue precedenti imprese… brigantesche – si chiamava Disma ed è oggi ricordato anche dalla Chiesa come San Disma.
Perché mai però – da parte di Gesù - quel suo oggi sarai con me in Paradiso’?
Lo avete già immaginato: Gesù poco dopo sarebbe morto sulla Croce e - ciò facendo - avrebbe adempiuto alla sua missione in Terra ottenendo da Dio Padre la Redenzione degli uomini di buona volontà, con l’apertura delle porte del Paradiso - fino ad allora serrate all’Umanità a causa del Peccato originale - anche al ladrone pentito.
Se una costante della Dottrina cristiana è quella del Giudizio universale alla fine del mondo con la Resurrezione dei vivi e dei morti, è pure vero che il 'buon' ladrone – per poter entrare in Paradiso quello stesso giorno – deve aver anch’egli affrontato di lì a poco, cioè dopo la sua morte, il Giudizio particolare individuale che tocca a ciascun uomo.
Non va dimenticato che prima della Redenzione, il Giudizio Particolare era fatto da Dio Padre che ovviamente non poteva mandare nessuno in Paradiso, ma solo agli “Inferi”, cioè a uno dei tre regni che allora erano aperti per l’umanità: Inferno, Purgatorio e Limbo.
Nel caso di Disma, però, Gesù - avendo preso atto della sua contrizione perfetta come pure delle sue parole di amore e della sua espiazione in croce (e soprattutto del grandissimo atto di fede fatto da Disma che in quel momento aveva di fronte non più il famoso Maestro ma un uomo condannato – come lui - ad una morte ignominiosa) - sapendo che con la propria morte redentiva le porte del Paradiso sarebbero state riaperte agli uomini, non ebbe difficoltà - nella conoscenza anticipata del successivo Giudizio particolare - a garantirgli la salvezza in Paradiso per quello stesso giorno.
Il Giudizio divino si basa sull’amore, e la destinazione di ognuno - all’Inferno, in Purgatorio o direttamente in Paradiso - dipende dal comportamento, in rapporto all’amore, che ciascuno di noi ha tenuto in vita, una vita che è tanto più importante perché – se ben vissuta - è fucina di preparazione alla Vera Vita dell’Aldilà: quella eterna.
Nel caso del peccatore che si comporta invece come Disma (anche se ha trascorso una vita infame), esso può arrivare, in morte, ad ottenere persino il Paradiso immediato, ma con i presupposti su esposti: contrizione perfetta, fede immensa e accettazione di una morte terribile proprio con l’intenzione di pagare il suo debito terreno, preghiera e invocazione costante fino alla fine.
Ho poco sopra ricordato che - parlando della Morte - Sant'Agostino aveva detto:
'La morte non è niente! Sono solamente passato dall'altra parte:
è come se fossi nascosto nella stanza accanto'.
Lui era un santo e tutto gli doveva sembrare semplice. Magari in quel momento avrà anche avuto la coscienza a posto, ma non è vero che la morte non è niente perché dopo la morte bisogna affrontare il Giudizio.
Contrariamente a quei teologi che con diverse argomentazioni respingerebbero l’idea di un giudizio immediato dopo la morte, il Magistero della Chiesa ha stabilito che le anime - subito dopo la separazione dal corpo - sono giudicate secondo le loro azioni, per cui esse entrano nella vita eterna: parte in Paradiso, parte in Purgatorio per la necessaria purificazione, parte nell’Inferno. Del Limbo - che è un caso particolare - parleremo invece in seguito.
All’anima separata dal corpo mortale – insegna sempre il Magistero della Chiesa – si deve attribuire una intuizione fulminea con la quale – attraverso lo sguardo diretto del ‘Cristo-Giudice’ – essa si rende conto della propria ultima ‘scelta’ di adesione o di rifiuto del Sommo Bene…, scelta carica di una intera vita tessuta momento per momento nella corrispondenza o nella resistenza all’amore di Dio, Giudizio al quale essa non si può sottrarre, percependo la valutazione più oggettiva, sincera ed esatta di sé con tutti i meriti e le colpe.
E’ con questo Giudizio divino – che per certi versi si può anche considerare come una sorta di ‘auto-giudizio’ – che inizia per ciascuno di noi la vita eterna, con la compiacenza per il bene operato oppure la disperazione per il male irrimediabile commesso.3
Il Catechismo della Chiesa cattolica (1021-1022) così presenta il Giudizio particolare (sottolineature e grassetti sono miei):
^
«La morte pone fine alla vita dell'uomo come tempo aperto all'accoglienza o al rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo.
Il Nuovo Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva dell'incontro finale con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più riprese, l'immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede.
La parabola evangelica del povero Lazzaro e le parole dette da Cristo in croce al buon ladrone, così come altri testi del Nuovo Testamento, parlano di una sorte ultima dell'anima - prima della Resurrezione finale dei morti - che può essere diversa per le une e per le altre.
Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre.
"Alla sera della vita, saremo giudicati sull'amore".
Ho sopra accennato al fatto che fra i teologi vi è una corrente di pensiero che tende a negare l’esistenza di un giudizio particolare immediato dopo la morte con relativa 'retribuzione' mentre – citando io il Vangelo di Luca - ho parlato dell’episodio del ‘buon ladrone’ Disma dove le parole dettegli da Gesù con quel 'oggi' lasciavano invece pensare ad un giudizio con una ‘retribuzione’ immediata.
Lo stesso Catechismo qui sopra citato ne fa del resto autorevolmente cenno.
Il Catechismo accenna tuttavia anche alla parabola del povero Lazzaro, che quindi riporto in nota, dalla quale pure risulta chiaro un giudizio particolare per cui Lazzaro una volta morto nel corpo viene portato dagli angeli nel ‘seno di Abramo’ - che noi oggi potremmo definire come il Limbo - mentre il ricco Epulone viene relegato all’inferno: tutto ciò evidentemente a seguito di un 'Giudizio particolare' prima di quello collettivo universale.
Nel caso tuttavia che la parabola evangelica dell'Epulone4 leggibile in nota dovesse lasciare ancora dei dubbi andiamo a vedere come Gesù, ne ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’, ce la racconta nella sua versione originale ed integrale che poi Matteo ebbe a ripetere con parole proprie (i grassetti sono i miei):5
(…)
«Vi era un tempo un uomo molto ricco. Le vesti più belle erano le sue, e nei suoi abiti di porpora e di bisso si pavoneggiava nelle piazze e nella sua casa, riverito dai cittadini come il più potente del paese, e dagli amici che lo secondavano nella sua superbia per averne utile.
Le sue sale erano aperte ogni giorno in splendidi banchetti in cui la folla degli invitati, tutti ricchi, e perciò non bisognosi, si pigiavano adulando il ricco Epulone.
I suoi banchetti erano celebri per abbondanza di cibi e di vini prelibati. Ma nella stessa città vi era un mendico, un grande mendico. Grande nella sua miseria come l'altro era grande nella sua ricchezza. Ma sotto la crosta della miseria umana del mendico Lazzaro vi era celato un tesoro ancor più grande della miseria di Lazzaro e della ricchezza dell'Epulone. Ed era la santità vera di Lazzaro.
Egli non aveva mai trasgredito alla Legge, neppure sotto la spinta del bisogno, e soprattutto aveva ubbidito al precetto dell'amore verso Dio e verso il prossimo.
Egli, come sempre fanno i poveri, si accostava alle porte dei ricchi per chiedere l'obolo e non morire di fame. E andava ogni sera alla porta dell'Epulone sperando averne almeno le briciole dei pomposi banchetti che avvenivano nelle ricchissime sale. Si sdraiava sulla via, presso la porta, e paziente attendeva. Ma se l'Epulone si accorgeva di lui lo faceva scacciare, perché quel corpo coperto di piaghe, denutrito, in vesti lacere, era una vista troppo triste per i suoi convitati. L'Epulone diceva così. In realtà era perché quella vista di miseria e di bontà era un rimprovero continuo per lui.
Più pietosi di lui erano i suoi cani, ben pasciuti, dai preziosi collari, che si accostavano al povero Lazzaro e gli leccavano le piaghe, mugolando di gioia per le sue carezze, e giungevano a portargli gli avanzi delle ricche mense, per cui Lazzaro sopravviveva alla denutrizione per merito degli animali, perché per mezzo dell'uomo sarebbe morto, non concedendogli l'uomo neppure di penetrare nella sala dopo il convito per raccogliere le briciole cadute dalle mense.
Un giorno Lazzaro morì.
Nessuno se ne accorse sulla terra, nessuno lo pianse. Anzi ne giubilò l'Epulone di non vedere quel giorno né poi quella miseria che egli chiamava "obbrobrio" sulla sua soglia.
Ma in Cielo se ne accorsero gli angeli. E al suo ultimo anelito, nella sua tana fredda e spoglia, erano presenti le coorti celesti, che in un folgoreggiare di luci ne raccolsero l'anima portandola con canti di osanna nel seno di Abramo.
Passò qualche tempo e morì l'Epulone.
Oh! che funerali fastosi! Tutta la città, che già sapeva della sua agonia e che si pigiava sulla piazza dove sorgeva la sua dimora per essere notata come amica del grande, per curiosità, per interesse presso gli eredi, si unì al cordoglio, e gli ululi salirono al cielo e con gli ululi del lutto le lodi bugiarde al "grande", al "benefattore", al "giusto" che era morto.
Può parola d'uomo mutare il giudizio di Dio?
Può apologia umana cancellare quanto è scritto sul libro della Vita? No, non può. Ciò che è giudicato è giudicato, e ciò che è scritto è scritto. E, nonostante i funerali solenni, l'Epulone ebbe lo spirito sepolto nell'Inferno.
Allora, in quel carcere orrendo, bevendo e mangiando fuoco e tenebre, trovando odio e torture in ogni dove e in ogni attimo di quella eternità, alzò lo sguardo al Cielo.
Al Cielo che aveva visto in un bagliore di folgore, in un atomo di minuto, e la cui non dicibile bellezza gli rimaneva presente ad essere tormento fra i tormenti atroci.
E vide lassù Abramo. Lontano, ma fulgido, beato... e nel suo seno, fulgido e beato pure egli, era Lazzaro, il povero Lazzaro un tempo spregiato, repellente, misero, ed ora? ... Ed ora bello della luce di Dio e della sua santità, ricco dell'amore di Dio, ammirato non dagli uomini ma dagli angeli di Dio.
Epulone gridò piangendo: "Padre Abramo, abbi pietà di me! Manda Lazzaro, poiché non posso sperare che tu stesso lo faccia, manda Lazzaro ad intingere la punta del suo dito nell'acqua e a posarla sulla mia lingua per rinfrescarla, perché io spasimo per questa fiamma che mi penetra di continuo e mi arde!
Abramo rispose: "Ricordati, figlio, che tu avesti tutti i beni in vita, mentre Lazzaro ebbe tutti i mali. E lui seppe del male fare un bene, mentre tu non sapesti dei tuoi beni fare nulla che male non fosse.
Perciò è giusto che ora lui sia qui consolato e che tu soffra. Inoltre non è più possibile farlo.
I santi sono sparsi sulla terra perché gli uomini di loro se ne avvantaggino. Ma quando, nonostante ogni vicinanza, l'uomo resta quello che è - nel tuo caso, un demonio - è inutile poi ricorrere ai santi.
Ora noi siamo separati. Le erbe sul campo sono mescolate. Ma una volta che sono falciate vengono separate dalle buone le malvagie. Così è di voi e di noi. Fummo insieme sulla terra e ci cacciaste, ci tormentaste in tutti i modi, ci dimenticaste, contro l'amore.
Ora siamo divisi. Tra voi e noi c'è un tale abisso che quelli che vogliono passare da qui a voi non possono, né voi, che lì siete, potete valicare l'abisso tremendo per venire a noi.
Epulone piangendo più forte gridò: "Almeno, o padre santo, manda, io te ne prego, manda Lazzaro a casa di mio padre. Ho cinque fratelli. Non ho mai capito l'amore neppure fra parenti. Ma ora, ora comprendo cosa è di terribile essere non amati. E, poi che qui dove io sono è l'odio, ora ho capito, per quell'atomo di tempo che vide la mia anima Iddio, cosa è l'Amore. Non voglio che i miei fratelli soffrano le mie pene. Ho terrore per loro che fanno la mia stessa vita. Oh! manda Lazzaro ad avvertirli di dove io sono, e perché ci sono, e a dire loro che l'Inferno è, ed è atroce, e che chi non ama Dio e il prossimo all'Inferno viene. Mandalo! Che in tempo provvedano, e non abbiano a venire qui, in questo luogo di eterno tormento".
Ma Abramo rispose: "I tuoi fratelli hanno Mosè ed i Profeti. Ascoltino quelli. E con gemito di anima torturata rispose l'Epulone: "Oh! padre Abramo! Farà loro più impressione un morto... Ascoltami! Abbi pietà!".
Ma Abramo disse: “Se non hanno ascoltato Mosè ed i Profeti, non crederanno nemmeno ad uno che risusciti per un'ora dai morti per dire loro parole di Verità. E d'altronde non è giusto che un beato lasci il mio seno per andare a ricevere offese dai figli del Nemico. Il tempo delle ingiurie per esso è passato. Ora è nella pace e vi sta, per ordine di Dio che vede l'inutilità di un tentativo di conversione presso coloro che non credono neppure alla parola di Dio e non la mettono in pratica”.
(…)
Come non rimanere incantati dall'elegante e sapiente oratoria di Gesù - Uomo esente da Peccato originale e per di più Dio - nella parabola da Lui raccontata nella visione valtortiana, parabola che il Vangelo del pur bravissimo Matteo ci presenta invece con scarne parole, belle ma più che altro volte ad evidenziare i concetti principali?
Ho sottolineato con dei 'grassetti' alcune frasi 'chiave' dalle quali si capisce che il ricco Epulone venne giudicato individualmente subito e non venne condannato a causa della sua ricchezza - che di per sé non è una colpa se viene bene utilizzata - ma per la sua mancanza d'amore verso Dio, che egli non aveva mai tenuto in conto - e verso il prossimo, in particolare anche Lazzaro.
Parimenti Lazzaro, che tanto aveva sofferto in vita ma che neppure era invidioso né odiava l'Epulone perché egli era un 'buono' ed era un timorato di Dio, riceve la sua retribuzione immediata, accolto nel seno di Abramo, e ammirato dagli angeli per la sua bontà e mitezza.
L'inferno nel quale si dibatteva fra le 'fiamme' L'Epulone era una realtà, come pure - non essendo ancora intervenuta la Redenzione ed essendo quindi interdetto l'accesso al Paradiso agli uomini ancora marchiati dalla macchia del Peccato originale - era una realtà il 'Seno di Abramo', cioè il Limbo dei Patriarchi e dei Giusti.
Costoro, come dice Gesù nella sua parabola, erano 'beati', non pienamente come lo sarebbero stati successivamente in Paradiso nella piena visione beatifica di Dio, ma 'beati' nella prospettiva di entrarvi un giorno, rassicurati dalla visione che - nel momento del Giudizio particolare - essi avevano avuta di Dio e del Paradiso, mentre l'Epulone - proprio per la stessa identica visione - si sentiva infelice al sommo e dannato più che mai.


1 Vedi Sito dell'Autore: http://www.ilcatecumeno.net/ - Sezione 'Opere'
2  Lc 23, 39-43
3  Padre Enrico Zoffoli: Dizionario del Cristianesimo
4  Mt 16, 19-31: Parabola del ricco e del povero:
19C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti.
20Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto.
23Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui.   
24Allora gridando disse: «Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma».
25Ma Abramo rispose: «Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.
26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi».
27E quello replicò: «Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento».
29Ma Abramo rispose: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro». 30E lui replicò: «No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno». 31Abramo rispose: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti»».
5  M.V.: L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. III, Cap. 191.5 – C.E.V.
 

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