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22.Parliamo di morte per eutanasia: atto di arbitrio contro i diritti di Dio.
La morte - se non altro per un nostro 'spirito di conservazione' e di paura - ci fa umanamente orrore. Ancor più quando è accompagnata da sofferenze, anche terribili.
Lamentarsene con Dio non è peccato1, perché Dio comprende. Anzi sono sofferenze che se sopportate senza perdere la fede nel Signore, ma piuttosto abbandonandoci alla Sua Volontà, ci agevolano la conquista del Cielo.
Oggi si parla molto di quella che eufemisticamente viene chiamata 'dolce morte', cioè l'eutanasia.
In realtà non è affatto 'dolce'. Essa è un grave peccato perché - per chi vuole procurarsi questa morte per sé - è un omicidio di se stessi. Noi non siamo liberi di farlo perché non è vero che la vita è 'nostra' e che noi ne siamo 'padroni'.
Noi siamo potenzialmente dei 'figli' di Dio destinati a ricongiungerci con Lui in Cielo.
È Dio che con lo spirito a Sua immagine e somiglianza ci ha dato la Vita e dunque solo Dio - che, in quanto Creatore, ne è anche Padrone - può toglierla.
La morte per eutanasia diventa quindi un atto di arbitrio, una usurpazione dei diritti di Dio il quale può avere molte ragioni spirituali per lasciar soffrire una determinata persona o per lasciarle ad esempio espiare in vita certi suoi peccati salvandone l'anima oppure per utilizzare quelle sofferenze espiatorie a beneficio e salvezza altrui, sempre nell'ambito della Comunione dei Santi, magari a favore dei suoi stessi cari che ne avessero bisogno per salvarsi.
Umanamente si può forse comprendere la auto-decisione di una persona che soffre in maniera insopportabile, e ciò in quanto la sua capacità di giudizio potrebbe essere ottenebrata dal dolore o anche dall'ignoranza in materia di fede.
È però gravissima la responsabilità di coloro che ne fanno scientemente una questione ideologica per 'indurre' all'eutanasia, affermando così il proprio auto-giudizio rispetto a quello di Dio e - caso ancora più grave - si prestano a farsi propagandisti e promotori della diffusione nella società di una cultura di morte, come coloro che - sempre in nome della 'libertà individuale' promuovono il 'diritto all'aborto' senza pensare che così facendo la prima ad 'abortire' sarà la loro anima.
Ancora più grave, anzi gravissimo, è poi il fatto di procurare la morte per eutanasia a dei bambini malati che non hanno nemmeno la possibilità di un corretto e consapevole discernimento, per non parlare di quando questa cultura di morte viene introdotta con leggi di stato che la 'legalizzano' dando così l'impressione che - essendo stabilita per legge, come ad esempio lo è in molti paesi il diritto all'aborto - essa sia una cosa del tutto 'normale' e, appunto, 'legittima', addormentando lo spirito critico della coscienza e imprimendo così un impulso a questa pratica letale.
A ben vedere, la mentalità con la quale si dice - per un malinteso senso di 'carità' - che è meglio non continuare a far soffrire un bambino gravemente ammalato, è in fondo la stessa mentalità eugenetica - per non dire addirittura 'eugenismo' - con la quale per le donne in gravidanza si promuovono spesso indagini prenatali con amniocentesi per sopprimere all'occorrenza un feto, cioè in realtà un bimbo dotato di anima spirituale, che mostri o anche faccia solo supporre ancor prima di nascere l'esistenza di difetti fisici o di malattie genetiche.
Si dice che nella città di Sparta dell'antica Grecia non solo adulti ma anche bambini nati malati o deformi venissero abbandonati sul monte Taigeto, destinati a soccombere per fame, intemperie e fiere.
Oggi siamo tornati indietro di 3000 anni. Gli spartani avevano però almeno la giustificazione di non essere cristiani e di non sapere di avere un'anima immortale appartenente a Dio.


1  M.V.: 'Lezioni sull'Epistola di Paolo ai Romani' - 18.5.1950 - C.E.V.

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