NoviGL-16 - ilCATECUMENO.it

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16. In occasione della morte i dannati - che hanno già fatto la loro scelta - preferiscono a quel punto Satana ma non lo amano, anzi lo odiano, ciò nonostante lo seguono poi 'fedelmente' e, come legati a lui da un patto di ferocia, cooperano con lui alla dannazione degli altri uomini come per un feroce e sadico 'mal comune mezzo gaudio'.
In definitiva, riflettendo su tutto quanto detto fino a questo momento, non dovremmo davvero preoccuparci troppo della morte del corpo, ma piuttosto molto di quella dello spirito, che - come ha ben spiegato Gesù - è la vera morte perché é quella che ci separa da Dio.
La pena dell'inferno, dopo la resurrezione dei corpi, non è solo 'spirituale' perché all'inferno vi si andrà - dopo il Giudizio - anche con il corpo che vi soffrirà fisicamente, perché in vita oltre che con lo spirito si era peccato anche con il corpo.
Vi è chi si domanda se coloro che finiscono all'inferno con i loro corpi risorti, avvertiranno - come nei gironi danteschi - delle pene corporali come inflitte ad un loro reale corpo solido in carne ed ossa oppure - avendo magari essi solo una mera 'forma' corporea in qualche modo 'evanescente' - 'percepiranno' quelle sofferenze come se fossero inflitte ad un loro vero corpo umano in carne ed ossa.
Inutile sottilizzare, in ogni caso sempre sofferenze sono.
Stiamo parlando infatti della 'grande morte' dove le pene sono effettive anche dal punto di vista 'materiale', ma l'aver visto la 'bellezza' e 'grandezza' di Dio nel momento del Giudizio credo possa essere avvertito come una atroce 'mancanza' di una Realtà meravigliosa perduta irrimediabilmente per sempre: Dio.
Dio è Vita e dove manca Dio è Morte: questa è la duplice verità anche se a noi - che viviamo ancora sulla terra - sfugge sia il vero senso di cosa soprannaturalmente significhi Vita sia di cosa si debba esattamente intendere per Morte.
Ciò nonostante - e lo dico per coloro che sostengono teorie come quella che un dannato, ivi compreso lo stesso Satana, non chiederebbe di meglio che di poter un giorno essere a sua volta salvato in grazia della 'Misericordia' di Dio - sottolineo che la condanna all'inferno è definitiva, una volta per tutte, e da parte mia credo che un dannato non accetterebbe mai di essere successivamente salvato perché - divenuto egli Odio allo stato puro come un satana - odierebbe anche e soprattutto Dio che è Amore assoluto, cioè l'Antitesi dell'Odio: l'anima dannata lo considererebbe responsabile della sua sorte e rifiuterebbe - per odio, orgoglio e superbia - persino una ipotetica Grazia che fosse proposta da Dio.
È nel momento della morte in terra che avviene il combattimento spirituale per eccellenza: se infatti nei giusti - aiutati da Dio e dai suoi Angeli - la morte è un sereno trapasso, nei meno giusti il demonio ha miglior gioco nel suggerire sottilmente drammatiche tentazioni.
Satana può infatti tentarci sia quando ci avviciniamo alla nostra fine in uno stato di vigile coscienza sia quando il corpo non risponde più agli stimoli sensitivi esterni, come in un caso di coma, ma ha invece al suo 'interno' lo spirito immortale che non ha ancora abbandonato il corpo.
Satana potrebbe tentare in extremis di indurci in peccato anche facendoci cadere in disperazione, inducendoci a maledire Dio per questa morte non accettata, o per renderci più difficile il pentimento per i nostri peccati.
Si dice che Dio vorrebbe salvare tutti ma non può salvare quelli che non si vogliono salvare ai quali basterebbe peraltro pronunciare un semplicissimo 'Signore, abbi pietà di me'.
Nel momento della loro morte i dannati hanno già fatto una scelta, hanno preferito Satana. Tuttavia non lo amano, anche se poi lo seguono 'fedelmente' e, legati a lui da un patto di ferocia, cooperano alla dannazione degli altri uomini come per un feroce e sadico 'mal comune mezzo gaudio'.
Una volta morti i dannati sono infatti 'Odio allo stato puro', come del resto lo è il loro Capo Satana, al punto che essi per rabbia ed invidia odiano persino quelli che in vita erano i loro cari che non vorrebbero si potessero salvare.
Quasi per contrappasso, nemmeno i loro cari che sono già in Cielo, o che andranno successivamente in Cielo, piangono troppo su chi muore da dannato.
Ma come - vi domanderete - questi parenti 'salvati' non vivono essi nella Carità anche e soprattutto per i loro congiunti?
Non bisogna invece mai dimenticare che in Cielo la Carità non è mai disgiunta dalla Giustizia, ed essi - beati e ormai nella 'Luce' di Dio - capiscono tutto e 'convengono', sia pur per dolorosa carità, che la sorte comminata da Dio a quei loro cari volutamente dannatisi è stata giusta e meritata.
Credo che sia 'umanamente' per noi sconvolgente riflettere su questo terribile aspetto sapendo che persino coloro che ci amano o ci hanno tanto amato in vita (che abbiamo oggi magari ancora a fianco e che noi stessi oggi amiamo - come un nostro padre o una nostra madre, una nostra moglie o un marito, un nostro fratello o sorella, per non parlare dei nostri figli) una volta in Cielo non piangerebbero per noi se non per un caritatevole dolore per quella sorte che in fin dei conti però noi stessi abbiamo proprio voluto.
Non ci si danna infatti 'per caso', ci si danna perché lo si è 'voluto'.
Lo stesso vale evidentemente anche per noi stessi, una volta beati, nei confronti degli altri.
Nella parabola evangelica del ricco Epulone1 questi muore e si ritrova all'Inferno per la sua assoluta mancanza di carità in vita, in particolare anche nei confronti del povero mendico Lazzaro che, morto in precedenza di stenti, era invece andato in Paradiso.
L'Epulone, soffrendo fra le fiamme, chiede ad Abramo che gli mandi per mezzo di Lazzaro qualche goccia d'acqua per attenuare almeno un poco la terribile arsura e sofferenza fisica. Ma la risposta di Abramo è negativa e si può sintetizzare in un 'chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato...', perché ormai con la ineluttabilità della condanna all'inferno si è creato un incolmabile abisso fra i due 'regni'.
L'Epulone si raccomanda allora con Abramo affinché egli faccia apparire Lazzaro ai suoi cinque fratelli perché essi vengano informati della sua sorte e - così ammoniti - essi possano salvarsi.
Anche per questa seconda richiesta la risposta è negativa perché - dice Abramo - se i suoi fratelli non hanno voluto credere a quanto era stato detto dai profeti, non crederanno nemmeno se ora cercasse di persuaderli uno che è risorto da morte.
Insomma, la morale è che da 'lassù' non c'è più 'carità' per quelli che sono ...'laggiù'.
Mai come in questo caso varrebbe il detto 'Chi è causa del suo mal pianga se stesso!'


1 Lc 16, 19-31: 19C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. 24Allora gridando disse: «Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma». 25Ma Abramo rispose: «Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi». 27E quello replicò: «Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento». 29Ma Abramo rispose: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro». 30E lui replicò: «No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno». 31Abramo rispose: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti».

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