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14. Gesù: «... E infatti voi siete dei nascituri alla Vita del Cielo. Non è questa la Vita, questa che vivete sulla terra nella giornata mortale. Questa è soltanto formazione del vostro essere futuro di vivente eterno. L’esistenza umana è la gestazione che vi forma per darvi alla Luce. Alla Luce vera, e non alla povera luce caliginosa di questa terra.».
Dopo questo approfondimento concernente quello che sarà il nostro 'destino' dopo la morte - in relazione a quanto avevo a suo tempo già commentato in merito ad uno specifico punto del 'Discorso della montagna' - riprendiamo ora il 'filo' del nostro precedente pensiero.
Noi, pur destinati a morire, siamo in realtà dei 'nascituri' alla vita del Cielo.
La vera vita - lo abbiamo già detto - non è quella della terra che, invece, è soltanto una 'formazione' di ciò che noi saremo nell'eternità.
La vita terrena umana è infatti come una sorta di gestazione che ha il compito di darci alla luce nella vita eterna: alla vera luce, non quella della terra.
Noi passiamo così da una fase incompiuta ad una compiuta, da una vita in uno spazio limitato alla libertà sconfinata, dalle tenebre alla luce.
Basta però questo a farci comprendere cosa è la morte?
No, non basta. Ce lo spiega molto meglio qui sotto Gesù (i grassetti e le sottolineature sono miei):1
10.10.1943
Dice Gesù:
«Una delle imprudenze perniciosissime, e forse la più comune fra gli uomini, è quella del promettere senza riflettere. Quante promesse giurate fanno gli uomini con irriflessione prima, e con leggerezza poi vengono da essi non mantenute! E quanto male ne viene al mondo!
Sacri voti che non vengono osservati per negazione della creatura a quella vocazione seguita al suo primo presentarsi alla mente, scambiando per chiamata di Dio un sentimentalismo del cuore.
Unioni matrimoniali mutate in sacrileghe disunioni perché davanti alla realtà della convivenza il più debole e irriflessivo dei due diviene spergiuro.
Delusioni date ad amici che credevano alla vostra promessa. E, ciò che è più grave, turbamenti mondiali causati da imprudenze di governanti irriflessivi i quali, arbitri dei loro popoli, promettono in loro nome alleanze che poi sono un balzello di sangue per il loro popolo e per l’altrui, sia perché obbligano i sudditi a combattere per l’alleato, o sia perché, con spergiura audacia, infrangono la già stipulata alleanza, impossibile a sostenersi, e divengono nemici.
Come può l’uomo, dotato di un’intelligenza superiore, dono diretto di Dio, agire con così bestiale irriflessione?
Perché in lui si è lesa o spenta del tutto la forza dello spirito col peccato che leva la Grazia.
Guarda, Maria. Vediamo insieme l’episodio2 di Erode che fa decollare il cugino e precursore mio. E vediamolo attraverso al mio modo di vedere, così diverso da quello degli uomini.
Molto, dai pulpiti delle mie chiese, si parla di questo episodio. Ma, irriflessivi come lo stesso Erode, i commentatori si fermano al “Non lecitoe non traggono dall’episodio l’altro insegnamento, così utile alle anime.
Dice Marco (cap. 6, v. 21-27) come Erode fu lo zimbello della propria irriflessione. Egli, mosso da compiacimento sensuale, aveva giurato alla giovinetta di darle tutto quanto ella gli avesse richiesto. E dice l’evangelista che, quando seppe ciò che gli si richiedeva, ne fu rattristato, poiché in fondo Erode rispettava il cugino mio del quale aveva riconosciuto la eroica santità e l’intelligenza soprannaturale, alla quale ricorreva per esser illuminato. Ma promessa data va mantenuta, specie se promessa di re, data davanti a tutta la corte. E la testa del più santo fra gli uomini - perché santificato avanti la nascita dall’abbraccio3 della Portatrice di Dio: la mia Madre santissima, piena di Spirito Santo - cadde per stolto giuramento di re.
Perché Erode poté fare questo? Perché la Grazia non era più in lui.
Satana lo teneva in grazia del peccato. E quando Satana tiene un uomo, quell’uomo è cieco e sordo alle luci e alle voci dello Spirito di Dio, il quale è l’ispiratore delle azioni degli uomini e non consiglia che azioni di giustizia e santità.
Vedete la necessità, dico “necessità”, del vivere in grazia?
O uomini che vi affannate ad acquistare ed a conservare le ricchezze che periscono, come non vi affannate a conservare questa immensa ricchezza soprannaturale della Grazia in voi? Della Grazia che vi mantiene in contatto con Dio e vi nutre delle sue luci come nascituri nel seno di una madre, attraverso le fibre che uniscono a lei.
E infatti voi siete dei nascituri alla Vita del Cielo. Non è questa la Vita, questa che vivete sulla terra nella giornata mortale. Questa è soltanto formazione del vostro essere futuro di vivente eterno. L’esistenza umana è la gestazione che vi forma per darvi alla Luce. Alla Luce vera, e non alla povera luce caliginosa di questa terra.
Io vi porto in Me come madre che forma la sua creatura, vi circondo e riparo di Me stesso, vi nutro del mio alimento per farvi nascere immortali nell’ora di quella che voi chiamate “morte”, e altro non è che “passaggio”.
Passaggio da una fase incompiuta alla compiutezza, dalla segregazione in limitato spazio alla libertà sconfinata, dalle tenebre alla Luce, dalle impedite carezze all’abbraccio assoluto dell’anima col suo Genitore. Questo è ciò che voi chiamate “morire”.
Voi che, col vostro orgoglioso sapere, ancora non sapete dare il giusto nome alle cose, e come fanciulli di pochi anni chiamate le cose con nomi errati.
Io vi voglio insegnare cosa è la “morte” e chi sono i “morti”. Morte è separarsi da Dio come nascituro che avanti tempo si separa dall’organo materno e putrefà nell’alveo che lo espelle con dolore. Morti sono coloro che, per essere così espulsi, non differiscono dalla spoglia di un animale che si disfà al sole e alla pioggia lungo una carraia della terra, oggetto di ribrezzo a chi la vede. Questo è ciò che è “morte”. Questo è ciò che è l’essere “morti”.
Il peccato è la causa che vi separa da Dio e fa di voi una putrefacente carne corrotta, pasto di Satana che vi ha avvelenati per divorarvi, preda alla sua fame di divoratore di anime e di nemico di Dio, Creatore delle anime.
Come poteva e come può lo Spirito di Luce e Carità essere guida a Erode e ai molti Erodi che sempre sono sulla terra quando il loro peccato li rende avulsi da Dio?
In verità vi dico che base di tutti gli errori che si commettono sulla terra è il peccato che separa l’uomo dalla Grazia.
Vivete in Grazia se non volete errare. Allora, come pargoli sostenuti dal velo della madre, voi camminate nelle vicende della terra e non cadete nei tranelli del mondo e del padrone del mondo, che ha rinnegato il Padrone santo e vero che è Iddio.
Allora, come nascituri che si formano e crescono nel seno materno, voi raggiungete lo sviluppo completo per nascere alla Vita dei Cieli.
Allora Io, Sangue tre volte santo, circolo in voi e vi nutro di Me, tanto che il Padre mio e vostro, stringendovi al seno, non distingue più il vostro essere di figli di Adamo e vi chiama “figli”. Figli come Me, il suo Verbo, perché il Sangue del Verbo è in voi e, abbracciando voi, il Padre Santo abbraccia il suo stesso Figlio, fatto uomo per darvi la Vita.
Allora l’Eterno Spirito vi saluta, all’entrata nella Vita, con i suoi bagliori di Luce, perché riconosce in voi una parte di Sé4 che torna alla Sorgente divina da cui è scaturita.
Oh! giorno santo e felice del vostro nascere al Cielo! Oh! giorno che il Dio Uno e Trino anela che venga per voi! Oh! beatitudine che ho preparata agli uomini!
Sorgete, o miei diletti!
La vita della terra è il tempo che vi dono per crescere alla Vita vera e, per quanto possa esser lungo e penoso, è attimo che fugge rispetto alla mia eternità. Eternità che vi prometto e che tengo in serbo per voi. Gioia che vi ho conquistata col mio dolore. Vivete in Me e di Me, figli che amo. La gioia che vi attende è smisurata come la gloria di Dio.»


1  M.V.: 'I Quaderni del 1943' - 10.10.1943 - C.E.V.
2  L'episodio riportato in Matteo 14, 3-12; Marco 6, 17-29.
3 abbraccio, implicito nel "saluto" di cui si narra in Luca 1, 39-45.
4  una parte di Sé: N.d.R. : parte non nel significato di porzione, ma piuttosto in quello di partecipazione. Concetto già chiarito in altri scritti valtortiani. Vedi anche Quaderni 43, Dettato 23.9.43 - nota Editore

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