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13. Predestinazione: Siamo predestinati a morire salvi o... dannati? I predestinati alla 'Grazia' ed i predestinati alla 'Gloria'.
Avrete certamente notato quante volte - nel brano valtortiano sopra riportato - ho sottolineato in grassetto la parola 'predestinati'.
Ora, visto che qui stiamo commentando il primo argomento dei Novissimi, cioè la Morte, non vorrei che qualcuno pensasse che il nostro personale futuro - quanto alla Vita o morte spirituale - sia fin dall'inizio predestinato da Dio e che quindi sia inutile darsi da fare per salvarsi, nel qual caso davvero rischieremmo la morte eterna.
Non è allora male ripetere 'lezioni' già date, se questo ci può aiutare a comprendere meglio la spiritualità e la Dottrina cristiana trovando maggiori argomenti che - attraverso una meditazione sulla morte - ci conducano alla Vita in Cielo.
È dunque il caso - a proposito di predestinazione - di trascrivere qui di seguito quanto ho già avuto occasione di spiegare una volta commentando il 'Discorso della montagna':1
3.3 Predestinazione alla Grazia e predestinazione alla Gloria. Gesù: «Alla Grazia sono predestinati tutti gli uomini indistintamente poiché Io per tutti sono morto. Alla Gloria sono predestinati quelli che rimangono fedeli almeno alla legge naturale del Bene. Alla fine dei secoli, sì, ognuno che sia vissuto da giusto avrà il suo premio…».
Sempre a proposito della Grazia - ed in particolare alla domanda che molti si fanno se siamo o meno già destinati comunque alla salvezza o alla dannazione - vi è un interessante Dettato di Gesù che spiega alla mistica Valtorta la differenza fra predestinazione alla Grazia e predestinazione alla Gloria (i grassetti o le sottolineature sono miei)2:
48.34
23-10-48
Dice Gesù rispondendo ad una mia interna riflessione sulla predestinazione alla grazia e su quella alla gloria, suscitata da una frase detta da una persona che era venuta a trovarmi:
«Alla grazia sono predestinati tutti gli uomini indistintamente poiché Io per tutti sono morto.
Alla gloria sono predestinati quelli che rimangono fedeli almeno alla legge naturale del Bene.
Alla fine dei secoli, sì, ognuno che sia vissuto da giusto avrà il suo premio.
E Dio ab eterno conosce coloro che alla gloria sono destinati prima che nascessero alla vita, ossia "predestinati".
Attenta però che qui sta il punto per capire la giustizia di Dio con giustizia.
Vi sono i predestinati, è certo. E Dio li conosce da prima che il tempo sia per essi.
Ma tali non sono perché Dio, con palese ingiustizia, dia ad essi ogni mezzo per divenire gloriosi e impedisca con ogni mezzo ogni insidia del demonio, del mondo e della carne a costoro.
No. Dio dà ad essi ciò che dà a tutti. Ma essi usano con giustizia dei doni di Dio, e quindi conquistano la gloria futura ed eterna, di loro libero volere.
Dio sa che giungeranno a questa gloria eterna. Ma essi non lo sanno, né Dio in alcun modo lo dice loro.
Gli stessi doni straordinari3 non sono segno sicuro di gloria: sono un mezzo più severo degli altri per saggiare lo spirito dell'uomo nelle sue volontà, virtù e fedeltà a Dio e alla sua Legge.
Dio sa. Gode in anticipo di sapere che quella creatura giungerà alla gloria così come soffre in anticipo di sapere che quell'altra creatura giungerà volontariamente alla dannazione.
Ma in alcun modo non interviene a forzare il libero arbitrio di alcuna creatura perché essa giunga dove Dio tutti vorrebbe giungessero: al Cielo.
Certamente la rispondenza della creatura agli aiuti divini aumenta la sua capacità di volere. Perché Dio tanto più si effonde quanto più l'uomo lo ama in verità: ossia di una carità di azioni e non di parole.
E ancora: certamente più l'uomo vive da giusto e più Dio a lui si comunica e si manifesta: un'anticipazione di quella conoscenza di Dio che fa beati i santi del Cielo, e da questa conoscenza viene aumento di capacità di volere essere perfetti.
Ma ancora e sempre l'uomo è libero del suo volere e, se dopo aver già raggiunto la perfezione uno rinnegasse il bene sin lì praticato e si vendesse al Male, Dio lo lascerebbe libero di fare. Non vi sarebbe merito se vi fosse coercizione.
Concludendo:
Dio conosce ab eterno coloro che sono i futuri eterni abitanti del Cielo, ma l'uomo di sua libera volontà deve volere giungere al Cielo ben usando degli aiuti soprannaturali che l'Eterno Padre dà ad ogni sua creatura.
E così sino all'ultimo respiro, quali che siano i doni straordinari ricevuti e i gradi di perfezione raggiunti.
Ricordare che nessuno è mai veramente arrivato altro che quando il suo cammino è finito. Ossia: nessuno è certo di aver meritato la gloria altro che quando il suo tempo è finito e iniziata l'immortalità».
In questo brano Gesù – in merito alla predestinazione alla Grazia - conferma quanto aveva detto in precedenza con altre parole lo Spirito Santo nelle sue lezioni alla mistica, e cioè che con il Suo Sacrificio Egli ha portato la redenzione a tutti gli uomini indistintamente aprendo loro le porte del Paradiso, precisando però anche che alla effettiva salvezza in Cielo, cioè alla Gloria, sono predestinati solo coloro che sono rimasti fedeli sino alla fine almeno alla Legge naturale, battezzati o non: i non battezzati potranno tuttavia entrare in Paradiso solamente alla fine del mondo, dopo il Giudizio universale.
Riepilogando:
Grazie al Sacrificio redentivo di Gesù che ci ha restituito la possibilità della Grazia, tutti gli uomini hanno potenzialmente la grande opportunità di andare in Paradiso se osservassero almeno la Legge naturale dei Dieci Comandamenti incisa nell’anima infusa da Dio nel concepito.
Non è però detto che tutti gli uomini vogliano osservare tale legge interiore, certamente non gli impenitenti.
Dio, che vive fuori del tempo in un Eterno Presente, conosce le cose passate e future di ciascuno di noi che viviamo nel tempo e nello spazio, vale a dire che Egli conosce i nostri futuri comportamenti.
Egli sa dunque in anticipo - essendo Onnisciente e fuori del tempo - se noi ci vorremo salvare o meno, ma non interviene per correggere forzatamente la nostra autonomia decisionale.
Se Egli infatti intervenisse - ad esempio per salvarci contro la nostra volontà - noi non avremmo più alcun merito.
Dio non ci impedisce l’autodannazione, perché ciò sarebbe una grave menomazione del nostro libero arbitrio, e sarebbe oltretutto una ingiustizia nei confronti di quegli uomini che invece – grazie ai ‘loro’ sforzi e buona volontà – cercano di salvarsi con i loro mezzi.
Dio, lo ribadisco ancora a maggior chiarimento, conosce nel suo Pensiero in anticipo la sorte delle nostre anime e quindi il nostro futuro comportamento, perché - per Lui - Passato-Presente-Futuro non esistono.
Il Futuro è tale per noi ma è sempre un Presente per Dio. Lo stesso dicasi per il Passato.
Conoscendo quindi in anticipo il nostro libero comportamento, Dio gioisce nel sapere chi si salverà e soffre nel sapere chi si dannerà.
Egli ci vorrebbe infatti tutti salvi, tutti ‘figli di Dio’, perché a tutti ha dato la possibilità attraverso la Grazia di salvarsi e accedere al Paradiso, anche se non tutti vorranno mettere a frutto questo talento, il dono che Egli ci ha restituito grazie al Sacrificio del Verbo incarnato.
Pertanto se tutti sono predestinati alla Grazia e cioè alla potenziale salvezza, in virtù del Sacrificio redentivo di Gesù Cristo (predestinazione nel senso che la possibilità di ottenerla ce l’hanno tutti, in primo luogo attraverso il Sacramento del Battesimo ed il rispetto dei Dieci comandamenti ed in secondo luogo, per i non battezzati, almeno con il rispetto della Legge naturale dei Dieci comandamenti), non tutti sono invece predestinati alla Gloria e cioè alla loro effettiva salvezza in Cielo, in quanto ciò dipende dalla loro libera volontà.
Insomma, Dio sa tutto in anticipo ma l’uomo saprà se si sarà salvato o meno solamente nel momento in cui – morto il corpo – la sua anima si presenterà a Dio per essere giudicata istantaneamente in un infinitesimo di attimo della nostra più piccola unità di tempo.
A questo riguardo ricordo che il Gesù valtortiano aveva precisato in una occasione:4
«…Tornare all’Origine, presentarsi al Giudice G., non vuol dire andare in un dato luogo né esattamente andare ai piedi dell’eterno trono. Sono, queste, formule usate per aiutare il vostro pensiero. L’anima che lascia la carne che animava si trova immediatamente di fronte alla Divinità che la giudica, senza necessità di salire e presentarsi alle soglie del beato Regno. È catechismo che Dio è in Cielo, in terra e in ogni luogo. E perciò l’incontro avviene dovunque. La Divinità empie di Sé il Creato. È quindi presente in ogni luogo del Creato. Io sono che giudico. Ma Io inscindibile dal Padre e dallo Spirito Santo, onnipresenti in ogni luogo».
L’anima viene dunque giudicata da Dio, e destinata alla vita eterna o alla morte eterna, proprio lì dove è nell’istante della morte corporale, cioè in qualunque luogo la persona si trovi, perché Dio è… ovunque: in Cielo, in terra e in ogni luogo.
Nell’istante in cui la vita corporale cessa, inizia per l’anima quella immortale, vita destinata a completarsi con il corpo risorto, nella buona come nella cattiva sorte, nel momento del Giudizio universale.
Nessuno può essere certo in anticipo della propria salvezza, né tantomeno lo potranno sapere quelle persone – ad esempio ‘strumenti’ di vario genere o profeti – che hanno ricevuto doni straordinari da Dio, ma hanno poi sprecato il talento finendo per meritare una maggior punizione in funzione del talento più o meno grande che avevano ricevuto.
Tutto ciò significa forse che Dio si disinteressa degli uomini?
No, Egli – che ci ha posto a fianco anche un Angelo Custode per guidarci meglio – aiuta tutti con consigli ‘silenziosi’ (per non menomare la nostra libertà come potrebbe succedere se ‘alzasse la voce’) sussurrati alla nostra anima spirituale. E lo fa anche - e oserei dire quasi soprattutto - nei confronti di chi pecca e che quindi ha più bisogno di consigli.
Dio tuttavia ha non solo ridonato a tutti gli uomini la predestinazione alla Grazia - attraverso Gesù Cristo - ma ha aggiunto altri importanti aiuti divini come i Sette Sacramenti, atti a sorreggerci nel nostro cammino spirituale, sol che lo vogliamo.
Pertanto quanto più l’uomo vive da giusto conoscendo in tal modo Dio sempre meglio, e quanto più si rafforza per migliorarsi ulteriormente, tanto più da Dio riceve soccorso in cambio della sua accertata e confermata buona volontà.
3.4 Lo Spirito Santo: «Perché altra è la predestinazione alla Grazia divina, comune a tutti gli uomini, e perciò concessa gratuitamente da Dio in misura sufficiente a salvarsi; e altra è la predestinazione alla gloria che viene data a quelli che durante la vita terrena hanno bene usato del dono della Grazia, e le sono rimasti fedeli».
L’argomento della Grazia - e della predestinazione alla Grazia ed alla Gloria - è davvero fondamentale e poiché – come dicevano i latini – ‘repetita juvant’, vorrei continuare ad approfondirlo qui di seguito attraverso una ulteriore lezione che lo Spirito Santo impartisce alla mistica.
Si tratta di lezioni oggettivamente ‘articolate’: per comprenderle meglio bisogna conoscere l’Epistola ai Romani redatta da San Paolo, alla quale esse sono un commento, ed avere possibilmente anche una conoscenza della totalità delle lezioni impartite alla mistica dallo Spirito Santo.
Determinati concetti si possono infatti comprendere meglio alla luce di una lezione precedente o susseguente.
Ciò nonostante, anche se qualcuno dei brani dello Spirito Santo qui riportati dovesse risultare un pochino ‘ostico’ per un lettore che non abbia particolari conoscenze di teologia, è comunque facile comprenderne il senso per via ‘intuitiva’, ed anche questo potrebbe essere un ‘dono’ dello Spirito Santo!
Ecco dunque la lezione (i grassetti sono miei): 5
Ai Romani C. 7°, v. 14‑25.
Dice il Dolce Ospite:
«La Legge è spirituale. Lo è anche quando vieta cose materiali.
Veramente nel Decalogo6 i comandi puramente spirituali sono i primi tre.
Gli altri sette, e specie gli ultimi sei, sono divieti a peccati contro il prossimo, contro la sua vita, la sua proprietà, i suoi diritti, il suo onore. Si potrebbe allora dire che chiamare “spirituale” la Legge è giusto perché essa viene da Dio, ma non è in tutto giusto in quanto essa comanda, per due buoni terzi di essa, di non commettere atti materiali che Dio vieta di commettere.
Ma al di sopra dei dieci Comandamenti della Legge perfetta sta la perfezione della Legge, coi due comandamenti dati dal Verbo docente: «‘Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente’. Questo è il massimo e primo comandamento. Il secondo è simile a questo: ‘Amerai il tuo prossimo come te stesso’.
Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge ed i profeti»7.
Nella luce della Luce, che è il Verbo, si illumina la spiritualità che è in tutta la Legge perché è data a far vivere nell’amore. Perché tutta la Legge riposa e vive per l’amore. E perché l’amore è cosa spirituale, quale che sia l’Ente o la creatura verso i quali si volge.
Triplice amore a Dio: amore del cuore, dell’anima, della mente; perché nell’uomo è questa piccola trinità: materia (cuore), anima (spirito), mente (ragione); e giusto è che le tre cose create da Dio per fare un’unica creatura ‑ l’uomo ‑ a Dio ugualmente diano riconoscenza per l’essere che hanno avuto da Dio.
Triplice amore dunque: amore del cuore, dell’anima, della mente; perché Adamo peccò col cuore (concupiscenza della carne), con l’anima (concupiscenza dello spirito), con la mente (concupiscenza della ragione), uscendo dall’ordine, per abusare dei doni ricevuti da Dio, e offendendo Dio con gli stessi doni da Lui ricevuti perché l’uomo potesse somigliargli ed essergli causa di gloria.
Con le cose che peccarono va dunque riparato il peccato, cancellata l’offesa, ristabilito l’ordine violato.
E il Verbo si fece Carne per fare ciò, e per ridarvi “la grazia e verità” e in misura piena, traboccante, inesauribile.
Con quanto peccò il primo uomo, l’Uomo‑Dio ripara.
E insegna a voi, con l’esempio più ancor che con la dottrina, che è perfetta ma che potreste giudicare impossibile a praticarsi, come si ripara.
Egli è Maestro di fatti, non solo di parole. E quanto Egli ha fatto voi potete fare.
In ogni uomo persiste l’eredità di Adamo.
È come nascosto in ogni carne un Adamo che può essere debole nella prova, come lo fu il primo Adamo all’origine del tempo.
Ma Cristo è venuto perché le vostre cadute siano riparate, risarcite le vostre piaghe, restituita la Grazia vitale quando la vostra debolezza nelle prove quotidiane vi fa morti di quella vita soprannaturale che il Battesimo vi aveva data.
Ma Cristo è venuto per esservi Maestro e Modello e perché voi gli siate discepoli e fratelli, non soltanto di nome e nella carne, ma in spirito e verità, imitandolo nella sua perfezione, nel suo triplice amore verso Dio.
Per questo triplice amore, Gesù fu fedele alla giustizia della carne, nonostante fosse provato e fosse libero nel suo libero arbitrio come ogni uomo.
Per questo triplice amore, Gesù fu perfetto nella giustizia dell’anima, ossia nell’ubbidienza all’antico precetto divino: “Amerai il Signore Iddio tuo”8, non sentendosi esente da questo dovere perché era Dio come il suo Eterno Generante; Uomo‑Dio, vero Uomo e vero Dio non per infusione temporanea dello Spirito di Dio in una carne predestinata a tal sorte, o per unione morale di un giusto col suo Dio, ma per unione ipostatica delle due Nature, senza mutazione della natura divina perché unita a quella umana, senza alterazione della natura umana - composta di carne, mente, spirito ‑ perché unita alla natura divina.
Per questo triplice amore, infine, Gesù fu sublime nella giustizia della mente, sottomettendo il suo intelletto perfettissimo non soltanto alla Legge divina, come deve fare ogni uomo che la conosca, ma anche ai disegni di Dio Padre per Lui e su Lui: 'Uomo', accettando ogni cosa proposta, compiendo ogni ubbidienza, sino all’estrema della morte di croce.
“Fattosi servo”9 per tutta un’Umanità decaduta, Gesù ha passato il segno da Lui stesso messo agli uomini perché raggiungano l’amore perfetto, ma non ha imposto agli uomini il sacrificio totale come termine d’amore per possedere il Cielo, e nel secondo precetto d’amore non vi dice altro che: “Amate il vostro prossimo come amereste voi stessi”.
Egli è andato oltre. Non si è limitato ad amare il prossimo suo come amava Se stesso, ma lo ha amato ben più di Se stesso, perché per dare “bene” a questo suo prossimo ha sacrificato la sua vita e l’ha consumata nel dolore e nella morte.
Ma a voi non propone tanto.
Gli basta che la grande maggioranza dei membri del suo Corpo Mistico portino la piccola croce di ogni giorno e amino il prossimo come amano se stessi.
Solo ai suoi eletti, ai suoi predestinati, Egli indica la sua Croce e la sua sorte e dice: “Amatevi come Io vi ho amato”, e insiste: “Nessuno ha un amore più grande di quello di colui che dà la vita per i suoi amici”, e termina: “Voi siete miei amici, se farete quello che Io comando”10.
La predestinazione non è mai separata dall’eroismo. I santi sono eroi. In questa o in quella maniera, nella maniera che Dio loro propone, la loro vita è eroica. Essi sanno ciò che fanno, sanno a cosa li conduce il fare ciò che fanno. Ma non se ne spaventano. Sanno anche che ciò che loro fanno serve a continuare la Passione di Cristo, e ad aumentare i tesori della Comunione dei Santi, a salvare il mondo dai castighi di Dio, a strappare all’Inferno tanti tiepidi e peccatori che, senza la loro immolazione, non si salverebbero dalla dannazione. Perché anche la tiepidezza, raffreddando gradatamente la carità che ogni uomo deve avere per poter vivere in Dio, conduce lentamente alla morte dell’anima come per un’inedia spirituale.
Se la predestinazione fosse disgiunta dal volere eroico della creatura, sarebbe cosa non giusta. E Dio non può volere cose non giuste.
Parlo qui della predestinazione alla santità, proclamata dalla giustizia della vita e dai fatti straordinari che punteggiano come stelle la vita e la via del predestinato fedele alla sua predestinazione alla gloria, e che continuano ad essere proclamati dai miracoli oltre la morte del predestinato.
Perché altra è la predestinazione alla Grazia divina, comune a tutti gli uomini, e perciò concessa gratuitamente da Dio in misura sufficiente a salvarsi; e altra è la predestinazione alla gloria che viene data a quelli che durante la vita terrena hanno bene usato del dono della Grazia, e le sono rimasti fedeli nonostante ogni prova di tentazione al male, o di ogni altro dono straordinario, accettato con commossa gioia, ma non preteso e non distrutto facendo di esso una stolta presunzione di essere tanto amati e tanto sicuri di possedere già la gloria, da non essere più necessario lottare e perseverare nell’eroismo per arrivarvi.
Il quietismo, nel quale degenerano talora i primi impulsi di uno spirito chiamato a via straordinaria, è inviso a Dio.
E così pure la superbia e la gola spirituale: i due peccati così facili negli eletti, beneficati ‑ e provati per confermarli nella missione o privarli di essa come indegni ‑ da doni straordinari, i peccati di Lucifero, di Adamo, di Giuda di Keriot, che avendo moltissimo vollero aver tutto; che credendosi sicuri di salvarsi senza merito e per il solo amore da parte di Dio; che fidando soltanto nell’infinita Bontà senza pensare che la perfetta, divina Bontà, pur essendo infinita, non diviene mai stoltezza e ingiustizia; che credendosi “dèi perché tanto erano stati eletti, peccarono così gravemente.
Dio certamente sa quali saranno coloro che rimarranno perseveranti eroicamente sino alla fine, mentre l’uomo non sa se sarà perseverante sino alla fine.
E anche in questo è giustizia.
Perché se Dio volesse che nonostante il libero arbitrio dell’uomo, molto sovente causa contraria rispetto al conseguimento della gloria ‑ perché l’uomo difficilmente usa giustamente di questo regale dono di Dio, donato onde l’uomo, conscio del suo fine ultimo, liberamente elegga di compiere solo le azioni buone per meritare il conseguimento di quel beato fine ‑ ogni uomo fosse salvo, costringerebbe gli uomini a non peccare.
Ma allora verrebbe meno al suo rispetto per la libertà dell’individuo, creato da Lui con tutti quei doni che lo rendono capace di distinguere il bene e il male, capace di comprendere la legge morale e la legge divina, capace di tendere al suo fine e di raggiungerlo.
E verrebbe pure a mancare per ogni singolo predestinato la causa della gloria: l’eroicità della vita per rimanere fedele al fine per cui fu creato e per usare, e usare santamente, dei doni gratuiti avuti da Dio, di quei doni che sono i frutti mirabili dell’Amore divino che vorrebbe la salvezza e il gaudio eterno di ogni uomo, ma che lascia libero l’uomo di volere il suo eterno futuro di gloria o di condanna.
Ed è anche giustizia, questo ignorare, da parte vostra, la vostra sorte ultima.
Perché se voi sapeste il vostro futuro eterno, restereste senza il movente che spinge i giusti ad agire per meritare la visione beatifica di Dio che è gaudio senza misura, e potreste cadere o in quietismo o in superbia anche transitori, ma sempre sufficienti a crearvi più lunga espiazione e minor grado di gloria, mentre gli ingiusti avrebbero in ciò il movente che li spingerebbe a divenire veri satana tanto giungerebbero ad odiare e bestemmiare Dio, odiare e nuocere al prossimo loro, senza più alcun freno, sapendosi già destinati all’inferno.
No. Conoscendo la Legge e il fine a cui porta l’ubbidienza o la disubbidienza alla Legge, ma ignorando quanto solo l’onniveggenza di Dio sa, onde non manchi ai giusti lo sprone del puro amore che meriterà loro la gloria, e non manchi ai perversi, che preferiscono peccato e delitto a giustizia e amore, la libertà di seguire ciò che a loro piace ‑ onde, nell’ora della divina condanna, non compiano l’estremo peccato contro l’Amore lanciandogli questa blasfema accusa: “Ho agito così perché Tu, da sempre, mi avevi destinato all’inferno” ‑ ogni creatura ragionevole deve liberamente scegliere la via che le piace, ed eleggersi il fine preferito.
La predestinazione alla gloria non è un dono gratuito concesso a tutti gli uomini, ma è una conquista, oltre che un dono, fatta dai perseveranti nella giustizia, una conquista che si ottiene coll’uso perfetto dei doni e aiuti di Dio e con la buona volontà che non lascia mai inerte alcuna cosa proposta o donata da Dio, ma tutto rende attivo e tutto volge al fine santo della visione intuitiva di Dio, e al possesso gaudioso di Lui.
Alcuno obbietta: “Ma allora solo coloro che sono santi al momento della morte hanno la gloria? E gli altri? Il Purgatorio è forse prigione meno dolorosa, ma sempre costringente, che separa le anime da Dio? Non sono dei predestinati al Cielo anche gli spiriti purganti?”.
Lo sono. Un giorno verrà, e sarà quello del Giudizio finale, nel quale il Purgatorio non sarà più, e i suoi abitanti passeranno al Regno di Dio.
E anche il Limbo non sarà più, perché il Redentore è tale per tutti gli uomini che seguono la giustizia per onorare il Dio in cui credono, e per tendere a Lui, così come lo conoscono, con tutte le loro forze.
Però quanto esilio ancora, dopo la vita terrena, per costoro!
E quanto, per coloro che limitano il loro amare ed operare a quel minimo sufficiente a non farli morire in disgrazia di Dio, che conoscono come cattolici!
Quanta differenza tra costoro, salvati, più che per merito loro, per i meriti infiniti del Salvatore, per l’intercessione di Maria, per i tesori della Comunione dei Santi e le preghiere e sacrifici dei giusti, e coloro che vollero la gloria non per egoismo ma per amore a Dio!
Quanta tra i primi che, a fatica e con molte soste di languore, sussurri di malcontento, e anche smarrimenti su vie di egoismo, trascinano come una catena e un peso il loro limitatissimo amore, e i secondi che, veri amanti di Dio e imitatori di Gesù Cristo, “amano come Gesù ha amato” dando anche la vita, e sempre abbracciando ogni croce, chiedendo anzi la croce come dono dei doni, per salvare la vita dell’anima al prossimo loro, anime-ostie le quali al conoscimento divino appaiono da sempre “amici di Gesù” perché faranno ciò che Egli comanda loro!
Presente eterno: “Siete miei amici”. Dio conosce.
Condizionale individuale: “Se farete”. Perché la conquista di un’amicizia richiede opere capaci di ottenere quell’amicizia. Ma l’assicurazione che tali opere vi fanno amico colui che volete tale, vi aiuta a compierle. Come tra gli uomini, così, e anche più perfettamente, tra Dio e uomini.
Gesù, quando già la lezione era più “fatto” che parola, dà l’ultima lezione ai suoi apostoli, perché raggiungano la perfezione richiesta da Gesù per chiamarli “amici”.
E quella è la perfezione richiesta da Gesù a tutti i predestinati a gloria rapida, proclamata dalla giustizia eroica della vita, dai fatti straordinari durante la vita, e dai miracoli dopo la morte. “Voi siete miei amici, se farete quello che Io vi comando”.
Rincuora allo sforzo futuro premiando già col presente: “siete”».
Avevo in precedenza avvisato che le Lezioni dello Spirito Santo sono alquanto ‘articolate’ e qui sopra ne avete avuto un esempio. Sono ricchissime, riflettono la sua specifica ‘Personalità’ ed offrono molti spunti alla riflessione.
Al di là degli aspetti principali della suddetta lezione – di per sé chiari ed evidenziati come faccio io da apposite sottolineature e da grassetti – vorrei richiamare la vostra attenzione su alcuni particolari:
1) Gesù, Uomo-Dio, nel suo voler essere ‘giusto’ non volle essere sottomesso solo alla Legge divina, come dovrebbe fare ogni uomo, ma si sottomise anche ai disegni di Dio Padre per Lui e su Lui. Dunque sottomissione totale.
2) Gesù - mentre si è accontentato di dare una meta relativa a noi uomini, e cioè amare il prossimo come vorremmo essere amati noi stessi - assegnò a Sé un traguardo ben maggiore, quello del sacrificio totale, non volendo limitarsi ad amare il prossimo come se stesso ma amarlo più di se stesso, a prezzo cioè della propria vita.
3) Non dobbiamo tuttavia spaventarci perché – nel suo amore – Gesù non pretende da noi sacrifici impossibili, non ci vuole addossare croci speciali particolarmente pesanti – privilegio che Egli riserva solo alle anime-vittima come Maria Valtorta - ma si accontenta che noi, oltre ad amare il prossimo come noi stessi, sopportiamo pazientemente la piccola croce di ogni giorno. Le nostre giornate sono piene di piccole croci. Potremmo imprecare, e chissà quante volte lo abbiamo fatto, specie quando abbiamo ragione, ma quale grande valore spirituale – per la Comunione dei santi - avrebbe un nostro sacrificio se dicessimo mentalmente: ‘Signore, quel che mi succede è ingiusto o comunque doloroso e non lo merito, ma io comunque lo accetto e lo offro per amore tuo e la salvezza degli altri!'
4) Con tale ‘offerta’ non è cambiata in niente la ‘croce’, ma è differente lo spirito con il quale la accettiamo e nel momento in cui facciamo questa piccola offerta la ‘croce’ stessa – caso strano a dirsi – diventa di colpo meno pesante, perché nobilitata dentro al nostro spirito dalla nostra offerta che va a favore di molti.
5) Gesù riserva invece la croce, la vera croce, ai suoi eletti, ai suoi predestinati alla croce e ... alla Gloria, anzi alla Gloria più alta, ai quali propone infatti la sua stessa sorte: dare la vita per amore degli altri.
6) In questo tipo di predestinazione vi è sempre una componente di eroismo ma i ‘predestinati’ a questa speciale missione non se ne spaventano affatto, anzi per nulla vorrebbero rinunciare alla loro croce di vittime. Interviene infatti lo Spirito Santo che dona loro la forza ed il coraggio che infondeva ai primi martiri cristiani sbranati dalle belve nel Colosseo: essi morivano cantando inni al Signore. I romani pagani rimanevano attoniti, si chiedevano che Dio fosse mai quello per il quale essi accettavano di morire coraggiosamente e anche gioiosamente in quel modo, cominciavano a volerlo conoscere anch’essi e … finivano in molti casi per farsi cristiani, perché non c’è niente come il Sangue del martiri che alimenti la fede.
7) Dopo la predestinazione alla Grazia e la predestinazione alla Gloria, vi è infine un’altra ‘predestinazione’ meno conosciuta, ed è quella alla Santità: insomma quella dei santi comprovati tali da tanti segni in vita ed in particolare anche dai miracoli dopo la morte.
8) Avevamo detto che Dio lascia l’uomo libero di scegliere il proprio destino eterno fausto od infausto, ma non ce ne fa sapere in anticipo l’esito. Se infatti sapessimo di essere ‘destinati’ a salvarci verrebbe a mancarci la molla che ci spinge a far sempre meglio (a meritare quindi un maggior grado di gloria in Cielo ed a contribuire maggiormente ad arricchire il ‘tesoro’ della Comunione dei santi), per non parlare poi del rischio di cadere nel quietismo (inteso come caduta nella inattività e passività di comportamento) o nella superbia, incorrendo nel migliore dei casi in una più lunga espiazione in Purgatorio.
9)  Se dovessimo venire a conoscenza della nostra futura dannazione – non avendo a quel punto più niente da perdere - potremmo essere spinti a comportarci in maniera ancora peggiore, a divenire dei veri ‘satana’ ed a fare ancor più male al prossimo.
10) Anche quelli del Purgatorio sono predestinati alla Gloria, cioè alla salvezza in Cielo, perché il Purgatorio è già di per sé ‘salvezza’, anche se destinata a ‘perfezionarsi’ con la dovuta espiazione e purificazione.
11) C’è tuttavia modo e modo di salvarsi: c’è chi si salva facendo il minimo necessario per non perdersi, salvato solo per i meriti del Salvatore e della Comunione dei santi - ma quanta espiazione poi in Purgatorio! - e c’è chi invece si ‘vuole’ salvare per amore di Dio. I gradi di Gloria in Cielo saranno evidentemente diversi.
12) Il Limbo dei non battezzati, con i ‘giusti’ pagani attendenti in esso, e lo stesso Purgatorio, alla fine del mondo cesseranno di esistere. Al Giudizio universale i loro ‘abitanti’ - già virtualmente salvi, grazie alla loro buona volontà ed ai meriti infiniti di Gesù Cristo - andranno tutti in Cielo.
13) Alla fine del mondo rimarranno infatti eterni solo il Paradiso e l’Inferno.


1  Guido Landolina: 'Il Discorso della montagna' - Capp. 3.3 e 3.4 - www.ilcatecumeno.net - Sez. Opere
2  M.V.: ‘Quadernetti’ – 48.34 - 23.10.48 – Centro Editoriale Valtortiano
3  N.d.A.: doni straordinari, quali ad esempio particolari 'carismi', come di 'guarigione', di 'profezia', etc.
4  M.V.: ‘I Quaderni del 1945-1950’ – 28.1.47 – Centro Editoriale Valtortiano.
5  M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – 29.5 / 3.6.48 - Centro Editoriale Valtortiano.
6  Esodo 20, 1‑17; Deuteronomio 5, 1‑22.
7  Matteo 22, 37‑40.
8  Deuteronomio 6, 5.
9  Filippesi 2, 7.
10  Giovanni 15, 9‑17

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