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i 4 NOVISSIMI -  PRIMA PARTE: 1. LA MORTE.
(di Guido Landolina)
INTRODUZIONE
«La morte non è niente! Sono solamente passato dall'altra parte:
è come se fossi nascosto nella stanza accanto».
(Sant'Agostino)
Oggi è una bella giornata novembrina, anzi è il 3 novembre 2014, giorno successivo alla commemorazione dei defunti.
Mi ritrovo nel cimitero di una cittadina vicino alla quale io - che abito in campagna - vivo, e sono qui con mia moglie per onorare la memoria di un caro sacerdote che ci ha lasciato alcuni mesi fa.
Con tanti peccati sulla coscienza c'è sempre bisogno di un buon confessore, e lui mi aveva seguito per circa 20 anni, da quando cioè avevo cominciato a vuotare il 'sacco' guadagnandomi una 'assoluzione' non so quanto da me 'meritata'.
Comunque aveva 'allevato', amichevolmente e anche spiritualmente, tantissimi altri 'concittadini': almeno due generazioni di giovani che sono divenuti adulti con i loro figli divenuti poi adulti a loro volta.
Grande predicatore, e 'uomo di Dio' non di rado ...ispirato.
La sua 'morte', che è poi la nascita alla Vita, era stata coronata da una funzione religiosa concelebrata da una trentina di sacerdoti, venuti da ogni dove, e da un pubblico commosso che riempiva all'inverosimile le navate della Chiesa, con altri ancora in ascolto assembrati all'esterno.
E tanti bambini, tanti ragazzi e ragazze che piangevano per la perdita al mondo di quel loro amico.
Bambini, ragazzi e ragazze? Sì, perché con lui erano cresciute due generazioni di 'lupetti' e 'scouts' ai quali egli, il loro 'Baloo', aveva una volta dedicato la seguente bellissima pagina - tutt'ora affissa con la sua fotografia sorridente sul portone della Chiesa - con un titolo: 'SCENDE LA SERA', tema che forse - anche se inconsciamente - voleva essere il suo Testamento spirituale a futura memoria:
Scende la sera.
Il Branco si raccoglie intorno al fuoco: il fiore rosso è aperto!
Questo scenario o meglio questo momento forte della vita di Branco l'ho vissuto tante volte, moltissime. Ma non mi bastano ancora.
Il fuoco che hai davanti ti suscita un insieme di cose: immagini, ricordi, persone, episodi, esperienze di vita. E la vita, si sa, non è mai vissuta abbastanza. Eppure al termine di una giornata delle Vacanze di Branco non puoi fare a meno di godere intensamente di quell'ora notturna.
I giochi con i canti, i racconti con le scenette, le riflessioni con le danze, sono l'essenza di quel fuoco che hai davanti, che illumina i volti a metà o a tutto tondo, che disegna penombre per il gioco, che ti avvolge in un abbraccio con il Branco, famiglia felice.
Sto facendo queste riflessioni in punta di piedi: Baloo solitamente è presente ma non è mai il protagonista. Per il lupetto basta che Baloo ci sia. Sempre. Perché anche col passare degli anni, penso che tutti, crescendo, ci portiamo dentro un tizzone acceso di quei fuochi di bivacco, di quei fiori rossi che a distanza di tempo ti risvegliano, ti riscaldano, ti aiutano a vedere un po' più chiaro nella vita.
Spesso diciamo di vedere nella gioventù d'oggi delle persone spente, senza ideali, vuote o troppo spensierate.
Non è possibile né facile quello che talvolta si muove nel cuore dell'uomo.
La coscienza è luogo dove solo Dio vede e giudica.
Forse basta avere il coraggio di riprendere la forza per soffiare su quel tizzone che ci portiamo dentro sin da bambini.
Qualche volta sembra che il fuoco stenti a riaccendersi, pare un'impresa ardua e impossibile.
Ai lupetti si insegna a non avere paura delle difficoltà, ma a superarle.
E allora al riaffiorare dei ricordi si rivive la gioia di quel tempo.
Il tizzone prende vita, la fiamma si alimenta e la voglia di cacciare le prede si fa più forte.
Il grande progetto della vita, imbastito tanti anni fa pieno di storie raccontate, di canti urlati, di giochi sudati, di momenti di Baloo ricordati, riprende a rianimarsi.
Tu ormai sei un uomo: l'avventura di Branco è stata ricca di occasioni per impostare una vita autentica.
Ora tocca a te.
Vivi.
Ma soprattutto vivi con gioia.
P. Vittorio Panizzi (Baloo)
Ecco, la «sera» è scesa anche per Baloo come dovrà essere per tutti noi quando saremo accompagnati da questo struggente ricordo dei 'fuochi' della vita. Ed ora siamo qui - un gruppetto di amici davanti alla cappella degli Scolopi del cimitero cittadino, dove egli aveva espresso la volontà di riposare - mentre il suo 'successore', un giovane sacerdote filippino, celebra una Santa Messa di suffragio, appunto il giorno dopo la commemorazione dei defunti.
Difficile eredità, quella del nuovo sacerdote che deve ora continuare la sua opera, ma compito non impossibile per uno che abbia autentica fede.
Parla discretamente italiano, ma le omelie - lui forse pensa... - vorrebbero una conoscenza fluente, la possibilità di poter modellare i concetti come egli li avrebbe in mente nella sua lingua natia, ma che qui escono per necessità di cose in un certo senso 'ristretti', stringati, limitati all'essenziale. Credo che sia per lui una 'sofferenza' non riuscire a far capire bene i propri pensieri come egli vorrebbe, a trasmettere la propria fede, come solo la padronanza dell'eloquio può forse fare.
Credo però che forse egli dimentichi che l'eloquio è niente, quando c'è lo Spirito Santo: basta esprimere pochi concetti, anche in un italiano incerto, ed al resto, a farne capire agli altri lo spirito profondo, ci pensa Lui.
Allora, il sacerdote - mentre alle sue spalle nella cappella occhieggia una foto con il volto sorridente di padre Panizzi che sembra dar luce all'ambiente - tira fuori un foglietto spiegazzato (che io ho successivamente 'recuperato' mettendo a posto punti e virgole, ma solo quelli) che lui comincia a leggere con la sua pronuncia italiana un poco incerta, premettendo che sono solo pochi concetti:
«La prima verità, assolutamente certa della nostra vita - al di là del fatto che esistiamo - è l'inevitabilità della nostra morte.
La nostra vita, infatti, non è separata dalla morte. Ogni passo della nostra vita è una preparazione verso ciò a cui siamo destinati.
Di fronte alla sofferenza della morte, nessuno può dire: 'Sono padrone della mia vita', ma solo quando uno comincia a capire la morte ed a imparare come morire, impara anche a vivere la sua vita.
Il Vangelo ci insegna infatti come vivere proprio in pienezza la nostra vita cristiana.
Se noi riusciamo a seguire la strada indicata da Lui, avremo la speranza e riceveremo la ricompensa alla risurrezione.
La paura di fronte alla morte c'è però sempre, soprattutto quando c'è la mancanza della fede. Perché nessuno può scegliere la morte, perché la morte ha il suo tempo, ma uno può solo scegliere 'come' vivere la morte.
La vita, in questo senso, è una scelta di qualità.
I nostri defunti hanno già fatto la loro strada, e vissuto la loro vita. Siamo 'noi' la testimonianza della loro vita vissuta. Ringraziamo loro, soprattutto padre Vittorio e i nostri cari defunti, per aver condiviso la loro vita con noi.
Essi hanno sicuramente toccato la nostra vita. Da una parte hanno lasciato un grande vuoto nella nostra anima, dall'altra hanno seminato qualcosa che rimane sempre viva dentro al nostro cuore.
La loro morte non può separarci dal loro amore ed è il nostro amore incondizionato per loro quello che ci rende uniti ai nostri cari defunti.
Sant'Agostino afferma dicendo: «La morte non è niente! Sono solamente passato dall'altra parte: è come se fossi nascosto nella stanza accanto».
Allora c'è una nuova dimensione, una pienezza, mai conclusa, oltre questo rapporto fra viventi e non viventi.
Il legame fra Dio e l'uomo è l'amore, l'Amore che vince la morte legando la Sua Eternità alla nostra.
Il Suo Amore, in questo senso, è più forte della morte che ci porta in un'altra dimensione: vi è cioè il passaggio dalla vita attuale, compresa la morte, alla Vita con Lui.
Perché se Dio sceglie davvero di amarci, ci amerà per sempre e per l'Eternità, altrimenti la morte di Gesù in croce non avrebbe senso per noi né valore per l'intera Umanità.
Sappiamo che la morte, per quanto riguarda la nostra fede, non è qualcosa di 'opposto' alla vita. È per questo che San Paolo dice: 'Vivere è Cristo, morire è un guadagno'.
La morte dal punto di vista cristiano non è la fine ma apre una realtà nuova alla nostra alleanza con Dio. È un nuovo inizio della nostra vita con Lui.
Ecco, Dio ci fa vedere la continuità, non la rottura.
La Risurrezione di Gesù conferma che il nostro non è il Dio della morte, ma Dio della Vita.
Noi siamo figli della Resurrezione, perché crediamo in Lui. Infatti noi non viviamo più per noi stessi ma viviamo per Lui che ha vinto la morte amandoci fino alla Croce, ed è per questo che morire è un 'guadagno', mai una sconfitta.
Questo significa che la nostra fede non è vana né inconsistente, perché la Resurrezione di Gesù offre una prospettiva nuova sulla morte.
Allora la 'chiave' è molto semplice: la nostra fede.
Chi crede dunque in Lui, abbia la vita eterna. Il Cristo risorto non è più solo uno di noi, ma è anzi il più grande di tutti i viventi e non viventi.
È vero che è facile perdere la speranza di fronte alla morte dei nostri defunti che sono molto cari ed amati, ma non dobbiamo perdere la fiducia, perché nel silenzio di Dio, nei nostri dubbi e nella nostra mancanza di fede, possiamo essere sicuri di trovare la potenza e l'amore di Dio.
Se cerchiamo sinceramente Dio, e non sentiamo la Sua presenza, e non troviamo qualsiasi risposta, affidiamoci a Lui che ci troverà e ci risponderà secondo il Suo tempo e la Sua Volontà.
Gesù soffre infatti sulla Croce non tanto - forse - perché subisce la sofferenza fisica, ma perché si sente 'abbandonato': 'Padre, perché mi hai lasciato, perché mi hai abbandonato?!'.
Non c'è nessuna risposta, c'è solo un grande silenzio profondo. Infatti il suo silenzio è proprio la Sua risposta.
Anche noi ci sentiamo abbandonati e orfani quando ricordiamo i nostri cari defunti. Ma Gesù, alla fine, dice di nuovo con piena fiducia: 'Padre, nelle tue mani affido il mio spirito'.
Il silenzio può sembrare un fallimento ed una 'oscurità' che ci mette in dubbio, ma - invece - è proprio lì che - nel silenzio - si può trovare la Sua risposta e la Sua Volontà.
Gesù accetta la Sua morte come abbandono totale di sé a Dio, insieme, per la Redenzione del mondo.
Davvero vorremmo ad ogni costo evitare la morte. Vediamo la morte come una cosa brutta, impensabile.
Il filosofo Pascal dice infatti: 'Come non avendo potuto guarire dalla morte... per essere felici hanno ritenuto non pensarci più'.
La morte è tuttavia una realtà imminente e ne siamo tutti soggetti. Di fronte ad essa siamo tutti uguali.
Di fronte alla morte dei nostri defunti, ci viene da pensare alla 'nostra' morte il che ci fa rendere conto della nostra realtà umana.
Spero dunque che la morte dei nostri defunti ci insegni qualcosa: ci insegni cioè ad affrontare la 'nostra' morte e ad affidare la nostra vita a LUI».
È dunque pensando a queste parole del giovane sacerdote filippino ed al tema della Morte, oggetto di questa mia 'Introduzione' al primo argomento dei 'Novissimi', che mi torna alla mente un brano tratto dall'Opera di Maria Valtorta.
È un brano che non inizia con l'abituale: 'Dice Gesù', con il quale la grande mistica cominciava a scrivere i Dettati che Egli le dava giornalmente.
Ma, anche se solo frutto di una personale meditazione della mistica, dal suo tenore non è difficile intravvedere comunque l'ispirazione divina perché - come sanno gli esperti di misticismo - quando, come lei, si vive immersi in Dio, talvolta si finisce per parlare persino con le parole di Dio.
È un brano con quattro domande ed una risposta (sottolineature e grassetti sono sempre i miei) 1:
Possiamo noi, disgustati dal mondo in cui viviamo - così diverso, nella sua pesante e sovente feroce materialità, dal sogno e dal bisogno del nostro animo - credere, per resistere alla bufera delle realtà che ci percuotono distruggendo luci, sorrisi, speranze, fiducie nel futuro, che vi è un altro mondo dove tutto è diverso da ciò che è in questo in cui viviamo?
È lecito ancora, a noi che l'età avanzata e il logoramento del vivere ha fatti spogli di illusioni e speranze, e che procediamo, perché si deve farlo, stanchi, delusi, avviliti, nauseati, simili a pellegrini che sono obbligati a compiere un viaggio e che sanno che più procedono e più la via sarà aspra, sassosa, spinosa, brulla, avvelenata da aspidi e tossici, è lecito a noi che procediamo curvi sotto il peso dei nostri dolori, fra creature e cose ostili ed egoiste, cagione per sé stesse di dolore e di fatica, dati a fare ancor più pesante e amara l'esistenza di per sé stessa amara e pesante, è lecito a noi, per non abbandonarsi sconfortati e spezzati ai margini delle vie della vita, credere che vi è una società migliore dove gli spiriti stanchi della lunga battaglia trovano infine pace e riposo e dove l'essere stati onesti sarà riconosciuto come virtù degna di premio?
È saggio credere che nell'Universo, nel quale sembrano troppe volte trionfare leggi crudeli e ingiuste che per un capovolgimento dei valori favoriscono i malvagi a detrimento dei buoni, non è il tutto e il fine, ma su esso è un Ente che non ci voleva infelici, il Quale dal suo eterno "ora" provvede a compensare di quanto le forze misteriose del Male ci hanno privato?
È santo e salutare credere che questo Ente non distrugge ciò che ha creato, ma lo porta dopo il dolore a plaghe più serene e che perciò ciò che fu non è morto ma vive e ama in altre sfere, ama l'Inconoscibile che ormai conosce, e ama noi che ha preceduti nel cammino e superati in giustizia, sia che lungo o breve sia stato il suo giorno fra noi?
Sì, è possibile credere tutto ciò.
È anzi evidente che si debba credere ciò, perché questo mondo lontano ci manda le prove del suo esistere e dalle sue plaghe soprannaturali scendono a noi, a farci pensosi sui misteri e le luci della seconda vita, esseri che non è errore chiamare nunzi di un mondo sconosciuto tutt'affatto diverso da quello in cui viviamo.
Essi ci testimoniano che oltre il pesante e opaco regno della carne è il puro e luminoso regno degli spiriti, dal quale essi vengono e al quale essi tornano simili a stelle che per una notte trasmigrano per i prati siderei alti sul nostro capo. E veramente essi ci appaiono come creature stellari, nelle quali la materia non è muraglia messa a soffocare la luminosità dell'anima, ma è soltanto velo steso ad avvolgere il mistero che è lo spirito dell'uomo il quale, da dietro al velo, irraggia le sue potenze e sapienze con luci di bontà e con parole che fanno riflettere perché venienti da un'Intelligenza che direttamente forma e illumina l'io dei suoi prediletti. Parole, luci, sentimenti superiori all'età e formazione della creatura, onde chi le nota esclama: «Questa è: "cosa venuta di Cielo in Terra a miracol mostrare"».
Per questi esseri così superiori alla massa, troppo estranei alla Terra perché ci si possa illudere di averli a lungo fra noi, l'uomo può credere e dirsi: «Sì. Dio è. Ed è un mondo oltre la Terra. È il gioioso e puro mondo degli spiriti, della giustizia e dell'amore senza fine. È la stabile Vita oltre la fuggevole morte...».
Proprio pensando alla possibilità che esista un altro 'mondo' cominceremo a parlarne entrando dalla sua 'porta di ingresso', che è appunto la 'Morte'.
Morte che non è morte ma è Vita, sapendo che - su questo argomento come in quello successivo del 'Giudizio particolare', dove parlerò anche di Purgatorio e Limbo - mi servirò di brani valtortiani di per se stessi dotati di 'autorità', ma sapendo pure che molte altre mie riflessioni, anche se non citano espressamente delle specifiche rivelazioni valtortiane, sono frutto della mia metabolizzazione delle stesse, nel corso di venti anni di studio della sua Opera, oltre che del mio personale pensiero.


1 Maria Valtorta: 'Quadernetti' - Rif. SD 4, pag. 241 e segg. (Nota Editore: senza data e senza alcuna premessa)

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