La Donna più Bella del mondo - ilCATECUMENO.it

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  A V V E R T E N Z A
Si avvertono i lettori che:
• La presente è un’opera «letteraria»
• Non ha quindi alcuna pretesa di trasmettere verità teologiche diverse da quelle di Fede che la Dottrina cristiana insegna
• Allocuzioni ed espressioni utilizzate vanno pertanto da ciascuno liberamente intese come mezzo per trasmettere concetti  più generali di natura «spirituale» per i quali bisogna riferirsi al loro significato profondo più che alla forma in sé e per sé in cui l’autore – per esigenze anche letterarie – li esprime
                                                L’autore

INDICE DEI CAPITOLI
AVVERTENZA

1.1   Nel mondo dei sogni…
1.2   Un altro sogno ed il mio primo incontro con Papa Wojtyla.
1.3   Da quella volta siamo diventati amici…e abbiamo cominciato a    
vederci più spesso…

2.1 Maria: il Capolavoro della Creazione.
2.2 Maria si affidò a Dio. E Dio cosa ne fece? Una regina? La fece felice?    
Ricolma di ogni piacere? Ne fece una corredentrice…
2.3 Il parere sulla ‘mariologia valtortiana’ di un celebre ‘Mariologo’.


3.1 Ma all’uomo e alla donna depravati da Satana – ecco la rivincita di   
Dio – Dio volle contrapporre l’Uomo per eccellenza: Gesù, nato da
una Donna soprasublimata da Dio.
3.2 Dio volle un seno senza macchia.
3.3 Una famiglia di santi.
3.4 Le ‘missioni’ che Dio affida alle anime…
3.5 Un voto di castità da rispettare, anzi due.


4.1 La Colpa cancellata fu dalla Madre mia. Il Frutto della Colpa: il    
Peccato, riscattato fu da Me.
4.2 Una ‘lettera’ per la mia amica: ‘La vita di Maria è stata anch’essa una   
vita di tribolazione’.


5.1 Non capivo il legame fra Redenzione e Sofferenza, finché non capii       
quello fra Peccato ed Espiazione.
5.2 C’era però stata una frase che mi aveva lasciato un dubbio, perché mi   
pareva una contraddizione…


6.1 Alcuni episodi salienti della vita di Maria.
6.2 I primi dolori di Maria.
6.3 La Donna più bella del mondo…l’archetipo della creazione degli   
uomini.
             

7.1 Entusiasmi pericolosi per Gesù: un tentativo di farlo re.
7.2 Il dolore di Gesù e Maria per l’incredulità ed ostilità dei parenti e     
degli abitanti di Nazareth.


8.1 La Passione di Gesù e Maria è ormai imminente: il clima di
Gerusalemme nei giorni precedenti la ‘settimana santa’.
8.2 La ma precedente mentalità solo…’Cristocentrica’ e quella di certi    
«teologi» che contestano sprezzantemente il ‘madonnismo’ del Papa.


9.1 La logica della Croce.
9.2 Ma non vedete che non credete alla sua Resurrezione? Lo credete?   
No.
9.3 ‘Il mondo non capirà questa pagina…’. Ed io allora vi spiego meglio
la Tentazione finale di Maria.


10.1 L’anima, lo spirito dell’anima ed il Progetto creativo di Dio.
10.2 L’anima spirituale è come il ‘software’ di un computer…
10.3 E il Cielo si richiuse sulla gioia di avermi, di avere la sua Regina, la    
cui carne, unica fra tutte le carni mortali, conosceva la glorificazione   
avanti la resurrezione finale e l’ultimo giudizio.

      
PRESENTAZIONE
Luce:
Il vero «superuomo» è l'amante nello spirito. Il vero superuomo è l'amante - nello spirito - dello Spirito, che è Amore. Solo chi ama è il vero superuomo.
Ecco la conseguenza più importante della Colpa, del Peccato d'Origine.
L'uomo, come Maria SS. concepita immacolata, cioè priva di colpa d'origine, amava perché pieno di "Grazia".
La Grazia è Sapienza, la Sapienza è Dio, Dio è Amore.
L'uomo aveva in sé l'Amore ed amava. Ma quando la Superbia, quel vapore che già si era condensato in Lucifero, si condensò nei primi due - ed essi, non paghi di avere praticamente tutto, vollero essere come Dio, come Lucifero - ecco essi diventarono di fatto ribelli, usurpatori, e come ribelli ed usurpatori vennero cacciati dal Paradiso.
Perché essi avevano perso la Grazia, cioè l'Amore di Dio, che sta e permane solo in coloro che amano. E poiché i primi due avevano smesso di amare, sotto le lusinghe e le adulazioni del Ribelle, essi persero la Grazia e, con la Grazia, tutte le virtù 'psichiche', cioè virtù dell'anima, che fino a quel momento avevano reso integra la loro 'psiche' ed il loro corpo.
La 'Psiche', non nella misura limitata in cui la potete intendere e comprendere voi ora, in realtà è l'Anima e dell'Anima, ora, voi non avete alcuna conoscenza : anzi, la negate.
Ma la relazione fra la psiche-anima ed il corpo è strettissima, perché la Psiche 'anima' il corpo, lo permea in ogni suo poro della pelle, come voi dite, lo permea in ogni sua cellula, molecola, atomo.
La «psiche-anima» dell'uomo, nell'uomo, è quella che lo mantiene in vita.
E' non solo un principio vitaleché questo, per bontà del Signore che li ha voluti, e li ha voluti "vivi" perché all'uomo servissero, è concesso agli animali, che lo meritano pienamente perché essi sì, come i fiori e le piante e le erbe (che pure hanno un loro diverso principio vitale), lo servono - ma è anche un principio 'spirituale'.
Perché questa è la differenza fra l'uomo e l'animale, o animali che, per credervi superiori, vi reputate inferiori a quello che siete: ‘figli’ di Dio, Figli di Dio, grazie alla psiche-anima, non psiche-animale, che vi dà, che dà a voi uomini, animali ma di un gradino superiore al resto del regno animale, quella differenza che vi rende appunto figli miei e pertanto degni di entrare nel mio Paradiso, un Paradiso fatto su misura per voi: come per voi, uomini di carne, feci il primo paradiso terrestre - poi per mia volontà decaduto - come per voi feci l'universo.
Chi come Dio ?
Ma nel mio Regno, in quello dove regno Io, che sono Amore, può entrare solo chi è in 'grazia', solo cioè chi conosce l'Amore.
E come l'uomo primo perse la Grazia - e quindi il diritto, per cominciare, al Paradiso terrestre, anticipazione di quello celeste - così i 'successivi' perdono la Grazia, grazie al peccato: non quello d'origine ma quello che ogni giorno essi commettono contro se stessi andando contro la legge che Dio ha messo nei loro cuori, la legge dei comandi, e peccando d'amore per mancanza d'amore contro Dio e contro se stessi: omicidi degli altri, dell'anima degli altri, grazie al saper odiare, suicidi ad un tempo di se stessi uccidendo la Grazia in sé, quella che rende l'Anima 'viva', quella che la mantiene figlia di Dio e che, una volta perduta, vi fa figli di Satana.
Ed ecco che allora - non tanto per Adamo ed Eva, che pur sbagliarono ma sbagliarono su istigazione perfetta del superbamente intelligente e superbo, il Lucifero, portatore di luce che a loro portò le tenebre - ecco che Io allora, per Pietà per i discendenti che avrebbero automaticamente contratto la 'malattia' con la riproduzione delle specie (perché l'uomo, persa la Grazia, si può ben considerare un animale e quindi, certo, qui si può parlare di 'specie'), feci loro la promessa di salvezza.  
La feci per loro conforto, per dare loro forza ed aiutarli a ravvedersi, come infatti successe dopo l'omicidio di Caino sul povero Abele, sul dolce Abele: prima anticipazione dei tanti omicidi che i caini della terra continuano a commettere, caini ed omicidi nello spirito, prima ancora che dei corpi.
Ma la feci anche per i successivi che sarebbero arrivati ad essere 'caini' non solo per loro merito ma anche a causa della Colpa prima che li aveva privati della Grazia.
Né potete dire che i successivi, se avessero mantenuta la Grazia sarebbero stati migliori dei primi, perché anche questa sarebbe superbia.
Già ti dissi che il Peccato originale fu provvidenziale perché, se l'uomo primo non avesse sbagliato e non fosse piombato nel fango conoscendone tutte le miserie, i successivi - nel loro libero arbitrio  (ricorda sempre, sempre, sempre questo: che non è condanna ma dono, perché altrimenti non figli ma automi sareste), migliorandosi continuamente, nella moltiplica-zione e quindi di generazione evolutiva in generazione evolutiva, di stadio in stadio - sempre più perfetti sarebbero diventati  e avrebbero finito, nel libero arbitrio, di ritenersi del tutto perfetti, cioè come Dio, anzi loro Dèi, come Lucifero. E si sarebbero ribellati: non disobbedienza ribelle, ma vera ribellione.
Non «Chi come Dio ?!», ma 'Chi come Io ?!' avrebbero detto!  E come Lucifero avrebbero meritato la condanna: eterna, immediata.
Ma nella mia Misericordia - Giustizia coi primi due, Misericordia per i successivi - Io feci la Promessa, la promessa di Salvarvi: la promessa di Maria, la Tutta Bella già concepita nella mia mente ab-initio, la Tutta Pronta, tutta pronta per voi, pronta - come Anima - a discendere in un seno sulla terra - un seno già di santa, sua madre - per santificare la terra accogliendo poi, con il suo libero arbitrio, lo Spirito di un Dio, di Dio - ché altro Dio non esiste all'infuori di quello che voi liberamente eleggete nei vostri cuori - di un Dio che si sarebbe sacrificato per salvarvi, che avrebbe dato la sua vita per ridarvi la vostra, la vera Vita, che vi avrebbe dimostrato - con l'azione, per insegnarvelo - la vera sostanza dell'Amore che non è, no, dare la vita per gli amici - perché questa è generosità portata al massimo livello, altruismo, ancora venato da interesse umano - ma darla per i 'nemici', i nemici di Dio: non nemici perché lo crocefiggevano - ché la vita umana nulla vale se non per il fatto che essa è sofferenza e quindi mezzo di santificazione - ma perché nemici del proprio spirito, che è spirito infuso da Dio, creato da Dio a sua immagine e somiglianza.
'Ama il tuo prossimo come te stesso' insegnò il Cristo-Uomo, 'Ama il tuo prossimo più di te stesso', insegnò il Cristo-Dio.
E' questo il Sacramento dell'Amore, è questo che Io sono venuto a ricordare alla vostra anima, ad insegnare al vostro 'io' solo che questi non voglia chiudere le orecchie dello spirito, chiudere gli occhi della materia, per non avere il coraggio di quella riconversione, cioè della modifica del vostro 'io', che Io a voi chiedo.
Ecco spiegato in breve il 'Progetto creativo' di Dio. Non progetto sull'universo, fatto di materia, ma progetto sull’uomo, fatto di spirito, che in spirito Io voglio ritorni a Me.
In spirito dopo il primo giudizio, quello particolare, con la carne glorificata dopo quello ultimo: perché anche la carne gioisca e venga ricompensata nella sua nuova gloria, gloria di carne martirizzata (e perciò superiore alla gloria della carne di Adamo, che gloria non era perché 'donata' e quindi avuta senza merito) dalle sofferenze patite e superate nella vita terrena.
Perché la carne, corrotta dal Peccato d'origine, corrotta da Satana per farvi perdere la figliolanza di Dio, è stata da Me utilizzata per ridarvi - attraverso la sofferenza, e quindi con più merito - la figliolanza rubatavi, consentendovi di godere, nel Paradiso celeste, di una Gloria ancora maggiore: quella che spetta a quelli che sanno essere Martiri, martiri della vita, le cui sofferenze, le normali sofferenze, accettano e offrono, sull'Altare dell'Amore di Dio.

                                                                  

      
INTRODUZIONE
Non so se a voi capiti spesso di sognare, e poi – soprattutto - di riuscire a ricordarvi nei particolari i sogni.
A me di norma non succede, o per lo meno anche se mi succede non me ne ricordo.
Quando invece, svegliandomi, me ne ricordo, il sognosvanisce del tutto in pochi secondi lasciandomi poche immagini incoerenti, ormai scollegate da tutte le altre che avrebbero dato un senso al mosaico.
Vi sono però dei casi in cui vivo il sogno con tale vivacità di immagini, di realismo e di emozioni da svegliarmi di soprassalto, e riuscire poi a ricordare i minimi particolari per parecchi minuti ancora.
E’ per questo che sul mio comodino conservo sempre pronto un block notes e una penna per fissare immediatamente quanto ho appena sognato.
Accendo l’abat-jour, annoto scrupolosamente, spengo la luce e mi riaddormento, rimandando al risveglio del mattino ogni riflessione.
Un ‘sogno’, ad esempio, è entrato in qualche modo anche nella composizione del mio primo libro di sette anni fa: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’.
Mi ero ‘convertito’ da pochi anni. Convertito nel senso che avevo cominciato a mettermi in discussione, anche se non proprio a cambiare radicalmente indirizzo alla mia vita.
Vi domanderete cosa avesse potuto indurmi a ciò.
Era stato un dolore, un dolore come ne accadono in tutte le famiglie.
Ero rimasto vedovo. Mi ero allora chiesto come mai era toccato ‘a lei’ e non ‘a me’, e se dopo la morte esistesse solo la disintegrazione degli atomi del corpo o se quella cosa che nessuno ha visto né toccato ma che tanti dicono che c’è, vale a dire l’anima, esistesse veramente e fosse addirittura immortale.
Ero un agnostico, non credevo nelle religioni1 che ritenevo frutto di elaborazioni umane, né tantomeno credevo nel Cristianesimo se non intendendolo come un’ottima scuola di vita i cui ‘maestri’ non sempre nella storia – a cominciare da certi papi del medioevo - avevano dato il buon esempio.
Uno di questi maestri, anche perché mio insegnante, però mi aveva colpito. Era un sacerdote salesiano, sulla sessantina e, quando nel collegio - dove studiavo da giovinetto - andavo da lui a confessarmi, lo sentivo parlarmi sottovoce nell’orecchio con parole paterne.
Forse aveva la dentiera, perché nel parlarmi attraverso la grata del confessionale e nel darmi l’assoluzione sibilava leggermente fra i denti con quel suo alito che sapeva sempre di caffèlatte.
Era alto, magro, con i capelli a spazzola, bianchi e - mentre io correvo a perdifiato sulle fasce laterali del campo prendendo a calci un pallone - lui passeggiava sul bordo, sempre profondamente assorto in preghiera, con gli occhi su quel breviario che teneva in mano, mentre ogni tanto alzava la testa e mi sorrideva.
Era un ricordo che talvolta affiorava nella mia mente di adulto mentre mi chiedevo con malinconia e con nostalgia che fine avesse mai fatto, visti gli anni trascorsi.
Nel frattempo mi ero allontanato dalla Chiesa di quei primi anni da adolescente, ma non dal ricordo di quel prete né da quelle ‘assoluzioni’ che a volte egli sembrava mi dispensasse con troppa bontà.
Ritornando però al tema del dolore che mi aveva toccato per la prima volta da vicino, avevo cominciato a chiedermi se Dio, intendo il Dio personale come lo intendono i cristiani, esistesse veramente e - se Dio esisteva – come mai Egli permettesse il dolore, specie quello che consideriamo ingiusto.
E se il dolore derivava dalla cattiveria dell’uomo e dalla fragilità della salute, conseguenza del cosiddetto Peccato originale, come mai il Dio dei cristiani aveva permesso ai Primi due di sbagliare e trascinare con loro nella rovina tutti gli innocenti che sarebbero nati dopo  e che non avevano avuto alcuna responsabilità nel loro errore?
Per me, a quei tempi, queste domande - che erano sempre rimaste senza una risposta convincente - erano state più che sufficienti per tenermi alla larga dalla dottrina cristiana, che del resto non avevo voluto mai neanche approfondire, salvo preferire piuttosto i testi orientali delle letture indiane ‘veda’ che – quelle sì – mi sembravano essere dei condensati di filosofia e di saggezza.
Avevo già posseduto per molti anni un rustico di campagna con vigneto e frutteto, che utilizzavo nei week-end e che avevo ristrutturato.
Poi avevo individuato un’altra proprietà e – detestando un poco la vita di città - avevo chiesto ai miei figli se fossero stati disposti ad andare tutti insieme a vivere in campagna facendo con me i ‘pendolari’ giornalieri da e per la città dove lavoravamo.
Essi erano allora più o meno ventenni ma, avendo sempre avuto fiducia in me, avevano condiviso la mia proposta decidendo di fare questa scelta di vita.
Per loro – giovani con le loro amicizie giovani – si trattava di una scelta radicale, anche rispetto alle maggiori prospettive professionali che può offrire il vivere in una grande città.
Forse allora non avevo dato il giusto peso a questo aspetto anche se adesso - a quattordici anni di distanza – mi dico che non ce ne possiamo affatto lamentare, anzi – con trattori, vigne, campi di frumento, mais, fieno, erba per mucche e poco guadagno – posso ancora dire che ci è andata magnificamente bene.
Ero un cinquantenne ancora in forma, ero ormai solo ma mi ero abituato alla solitudine interiore che mi sembrava serenità.
Avevo una grande casa nel verde, nel silenzio di un parco cintato e sorvegliato da bei pastori tedeschi, taglia grande e pelo lungo, che mi tenevano compagnia e che scorazzavano tutto il giorno sotto gli alberi nel prato.
I cani, i cui discendenti - di cucciolata in cucciolata, fra padri, madri, nonni, trisavoli -  ora sono sei, mi allietavano le ore di solitudine quando i miei figli erano al lavoro o quando – alzando la testa dai miei libri – scendevo al piano terra a farmi un caffè lasciando il ritiro della mia ‘torretta’, in cima, dove avevo il mio studio per le mie letture e meditazioni.
Fu allora che i miei figli Marina e Marco, forse un poco preoccupati per quella che a loro doveva apparire come una mia eccessiva chiusura ‘patologica’ in me stesso, un giorno mi presero da parte e – seduti in poltrona di fronte alla fiamma scoppiettante di un caminetto natalizio – mi dissero che per la mamma avevo fatto tanto ma che essi non volevano che chiudessi la mia vita in quella maniera.2
Non sopportavano che – una volta che essi si fossero sposati – io continuassi a dialogare solo con i miei cani…
Insomma loro sarebbero stati contenti se io avessi trovato un’altra anima gemella. Come la avrei voluta io…, naturalmente. A loro sarebbe stato sufficiente che lei non gli ‘mettesse la prua contro’, perché loro in casa con me ci stavano bene e avrebbero voluto rimanerci...
Non vi deve stupire il riferimento alla ‘prua’, ma da velisti quale io stesso ero, conoscevano bene la fatica di navigare in barca ‘di bolina’, e cioè controvento.
‘Ma noi ti vogliamo bene – aveva aggiunto mio figlio – e allora vogliamo che tu ti sposi! Finchè sei in tempo…’.
Credetemi, il pensiero di un’anima gemella era lontano da me mille miglia, ma ci rimasi un pochino male nel sentirmi dire che dovevo farlo ‘finchè ero in tempo’ come se loro pensassero che ero ormai quasi da buttare via, e allora decisi di prendermi un piccola ironica ‘vendetta’, feci finta di prenderli sul serio, feci un bel sorriso a pieni denti, li ringraziai per il pensiero affettuoso e per la loro nobiltà d’animo e, mostrandomi serio, presi il solito block notes e proposi loro di individuare insieme le qualità che una donna ideale per me avrebbe dovuto possedere.
Facemmo insomma un ‘Identikit’: età, cultura, carattere, ecc.,… senza dimenticare in fondo alla lista una certa capacità culinaria per le gioie della gola.
Non so se sia stato il caso o la Provvidenza, fate voi, ma l’identikit, o se preferite la ‘donna ideale’, la incontrai del tutto casualmente appena un mesetto dopo, con la ‘benedizione’ dei figli, naturalmente.
Questo ‘identikit’ – scopersi dopo - possedeva per di più il dono della fede, qualità ancora più importante ma che io - da buon razionalista e uomo di mondo allergico com’ero al ‘religioso’ – mi sarei ben guardato dall’indicare come qualità indispensabile.
Parlando un giorno con degli amici della mia mancanza di fede, pur essendo ‘cristiano, ma ammettendo anche con loro che non ero in realtà in condizione di ‘giudicare’ il cristianesimo del quale ricordavo solo alcune nozioni catechistiche apprese in età scolare, una delle persone presenti mi aveva buttato lì con noncuranza: ‘Leggiti la Valtorta, se vuoi trovare le risposte che cerchi, cercalo nelle librerie delle Paoline…’.
Non sapevo chi fosse costei né cosa avesse scritto esattamente e me ne sarei magari anche dimenticato.
Un giorno però mi trovai a passare per caso proprio davanti ad una libreria delle Edizioni Paoline, ero distratto ma all’improvviso scattò qualcosa nel mio Subconscio e mi ricordai di quella ‘Valtorta’.
Frenai, mi misi in doppia fila davanti all’ingresso e dissi a mia moglie di andare veloce a vedere se quel libro ce l’avevano.
Lei si affacciò dopo un minuto alla porta gridandomi che ‘quel libro’ erano in realtà ‘dieci volumi’, tutti di vita evangelica, più altri cinque o sei. Quale doveva prendere?
Io - che già allora non avevo alcun senso del risparmio, soprattutto se si tratta di libri! - mi limitai a risponderle: ‘Ah…, beh…, comprali tutti, allora!’.
Sono fatto così, nelle mie scelte non conosco le mezze misure.
Ma in casa – mi accorsi dopo - non mi ero portato solo i suoi libri, ma anche lei, la mistica scrittrice, e con lei anche quel Gesù che lei vedeva ogni giorno in visione e la ammaestrava sulla sua vita evangelica di 2000 anni fa.
Questa grande carismatica moderna – paralizzata, offertasi a Gesù quale anima-vittima di ‘corredenzione’ per la salvezza degli altri - aveva trascritto dal suo letto su dei quaderni le sue visioni e i suoi dialoghi con Gesù fra il 1943 e il 1950 del secolo appena trascorso.
Lei, con la sua Opera, aveva finito per riempire la mia vita ed imprimerle una svolta.
Anche perché mia moglie, la ‘donna di fede’, divenne la sua più grande alleata.
Da allora, di anni, ne sono passati dieci e - dopo i primi tre trascorsi nella rilettura frequente e nella meditazione dei testi di questa mistica conosciuta ormai in tutto il mondo dove le sue opere sono state tradotte in molte lingue -  negli ultimi sette anni ho scritto undici libri.
Ma il primo… - e qui ritorno all’argomento dei sogni che avevamo lasciato per questa piccola digressione autobiografica - il primo libro era stato veramente il passo più difficile: descriva il faticoso e graduale cammino di conversione di un agnostico razionalista.
Non avevo alcuna esperienza come scrittore, e delle Case Editrici sapevo quello che leggevo qui e là sui giornali e cioè che uno ne pubblicavano e mille ne cestinavano.
Per di più – in questo campo ‘religioso’ – non potevo ricorrere a nessuna delle ‘maniglie’ che ben avevo conosciuto nella mia vita professionale.
Mi avrebbero potuto infatti servire a tutto tranne che a ‘raccomandarmi’ a qualche eminente Prelato della Chiesa che stilasse una Presentazione accettabile per la mia fatica.
Ma avrebbe mai potuto - un alto Prelato - fare una presentazione al libro di uno sconosciuto ‘catecumeno’, cioè uno che apprende i primi rudimenti del cristianesimo e che ha per giunta la pretesa di scrivere a dei razionalisti parlando un linguaggio da ‘uomo della strada’ e con le sole poche nozioni che può avere un ‘catecumeno’,?
Ed avrebbe mai potuto un ‘razionalista agnostico’, cioè il destinatario-tipo del libro che io avevo scritto, accettare mai di leggere un libro con la ‘presentazione’ di un ‘prelato’, fatto che avrebbe finito per fargli pensare – con rispetto parlando –  non tanto ad un libro in odor di ‘santità’ quanto piuttosto in sentor di ‘sagrestia’?
Quel primo libro era dunque rimasto fermo nel cassetto e pensavo che ci sarebbe rimasto ormai per sempre quando – una notte - entrò in ballo uno di quei ‘sogni’ vividi di cui vi ho parlato prima e che – quando arrivano con chiarezza folgorante – vi ho detto che riesco a ‘ricordare’ con assoluta precisione. 3
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Presentazione
Luce:
"Alla Ricerca del Paradiso perduto" è la storia - che potrebbe essere di tanti - di un uomo che, avendo Fede senza sapere di averla, la cerca nei posti sbagliati senza saper neanche con precisione cosa cercare.
La ricerca del Paradiso perduto è in realtà la ricerca affannosa, inquieta, di Dio.
L'uomo è un uomo dei nostri tempi, moderatamente colto, normalmente colto. Egli ha però approfondito quei settori dello scibile razionalista che cercano di dare una risposta ai problemi di questa esistenza, e dell'altra. E allora (lui crede) la curiosità (ma in realtà è l'anelito interiore) lo spinge allo studio della psicanalisi (per cercare di comprendere se inconscio, subconscio o anima siano la stessa cosa o qualcosa di simile), delle tecniche di meditazione e concentrazione del "training autogeno" (per capire se, rivolgendo l'attenzione verso la propria interiorità, egli riesca a scoprire qualcosa di trascendentale che possa chiamarsi anima), allo studio dei fenomeni spiritici, studio in chiave parapsicologica  (per capire se questi siano la rivelazione di un mondo spirituale che esiste, o frutto di macchinazioni truffaldine, o fenomeni di tipo ESP-extrasensoriale ma non attribuibili al mondo dello Spirito), allo studio della "dottrina" spiritistica elaborata nell'opera di Allan Kardec, padre dello spiritismo moderno (per raffrontarla con le dottrine sulla reincarnazione di tipo orientale), allo studio di quei filosofi - come Pitagora - che avevano elaborato dottrine in questa direzione, allo studio delle religioni e delle filosofie orientali (per analizzare come queste abbiano affrontato il problema di Dio e dell'anima), infine allo studio dell'evoluzionismo darwiniano (per comprendere se l'uomo possa o meno essere il prodotto di una evoluzione da forme di vita inferiore) e, per terminare, a quello della fisica moderna  (per comprendere quale risposta essa possa dare al problema dell'origine dell'universo).
Come si vede questa è una ricerca culturale penosa, ammantata sotto il pretesto della curiosità intellettuale, ma che è volta alla ricerca disperata del senso della vita : Dio.
Dio, questo sconosciuto, a troppi ‘Dio ignoto’, come per i Greci che però almeno gli elevavano un altare.
Dio, questo sconosciuto, anche se tutta la natura, tutta la Creazione grida di Lui.
I 'dolori' non sono estranei a questa ricerca, sono i dolori che accompagnano la vita di ogni uomo, che lo mettono di fronte al problema della Morte e quindi dell'esistenza o meno dell'altra vita.
Ma alla fine la ricerca ha termine.
La ricerca sui problemi della vita, la ricerca sulle risposte in merito a Dio, alla sua esistenza, ai suoi fini creativi, allo scopo della esistenza dell'uomo, si conclude alla fine proprio nella dottrina cristiana che, adeguatamente approfondita in chiave razionalista, ha dimostrato di saper dare all'uomo moderno la risposta ai problemi che si poneva anche l'uomo antico.
Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, chi è Dio, perché ha creato l'uomo, perché esistono l'odio, l'ingiustizia, il dolore. Quale è il senso della nostra vita, quale quello della nostra morte.
In queste domande e nelle relative risposte si sviluppa la piccola ‘opera’ dove, alla ricerca appunto del 'Paradiso perduto', l'uomo immagina di ‘sognare’.
Egli sogna di partire per il Tibet, come molti fanno, per andare a cercare nelle foreste e sui monti, in un monastero tibetano, le risposte spirituali ai quesiti che la convulsa vita moderna non  lascia neanche porre.
Durante il percorso, durante la sosta in una caverna, durante il sonno, una 'Luce' appare in sogno e parla all'uomo.
Luce   : Chi sei?!
Uomo : Uno che cerca la Verità.
Luce   : Perché rifiuti la mia ?
Uomo : Perché non sa darmi risposte che convincano la mia
            ragione.
Luce   : Ma conosci tu veramente la mia dottrina ?
Uomo : Veramente no, ma quel poco che so non mi ha mai convinto...
(incerto)  
Luce   : E se Io ti convincessi, mi seguiresti e ti presteresti a
             convincere quelli come te?
Uomo : Sì !
Luce   : Bene. Da adesso tu sarai il Catecumeno ed Io sarò il tuo
             Maestro.
Il sogno si dipana e, attraverso i "dialoghi" fra la Luce ed il catecumeno, inizia la spiegazione del Progetto creativo di Dio, che "dimostra" se stesso, la verità della propria Dottrina, spiegata in termini semplici e razionali, le risposte ai problemi esistenziali della vita.
E attraverso i "dialoghi" l'uomo si converte, prima in termini intellettuali e poi spirituali, perché la conversione intellettuale passa attraverso la conversione del proprio "Io naturale", con i suoi istinti: conversione dolorosa, giornaliera, fatta di battaglie e sconfitte, dove non si è veramente mai vincitori perché anche dopo una vittoria vi è ancora un'altra prova, ma dove alla fine, martiri del proprio "Io", si perviene alla scoperta del Paradiso perduto ...
Bene, non so se quella ‘anonima’ Presentazione della ‘Luce’ fosse stata convincente, ma il primo Editore al quale avevo inviato solo le prime cento pagine fotocopiate del libro – dicendogli che se non gli fossero piaciute quelle era inutile che gli mandassi anche le trecento successive – mi fece rispondere dopo solo una settimana che mi avrebbe spedito il contratto da controfirmare anche se non aveva ancora letto le pagine successive.4

1  Dell’autore, al riguardo ‘Alla scoperta del Paradiso perduto’ – Vol. I. Cap. 4: l’Intervista – Ed. Segno, 1999
2  G.L. ‘Alla scoperta del Paradiso perduto’ – Vol. I – Cap. 4.2  - Edizioni Segno, 1999
3  G.L. ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Presentazione, Ed. Segno, 1997
4  G.L.: ‘Alla scoperta del Paradiso perduto’, ovvero il Dio interiore – Vol. I, Cap. 1: Il Contratto’ – Ed. Segno, 1999

     
      
1. Preparati: è tempo di Maria! È tempo del Dogma della Corredenzione!
1.1 Nel mondo dei sogni...
Potete ora comprendere come mai io da allora – per tema di sbagliare per eccesso di diffidenza – abbia sempre cercato di porre attenzione alle ispirazioni che sembravano salire dal mio ‘Subconscio creativo’ sia pur sottoponendole – così almeno credo - al vaglio di un sano ed equilibrato giudizio della ragione.
Dopo il primo libro «Alla ricerca del Paradiso perduto, ovvero i Dialoghi di un catecumeno», finalmente ‘appagato’ avrei potuto – a quel punto - riporre la penna e dedicarmi a tempo pieno all’agricoltura.
A quel punto però – di sogno – ne ebbi un altro.1
Mi ero svegliato presto, fuori era ancora buio. Stavo sognando una nenia che continuava a girarmi nella testa, una nenia dolce ad un ritmo lento, altalenante, ondulato, ed io mi sentivo e mi vedevo in barca a vela come una volta e - con le vele gonfie e aperte al lasco - mi lasciavo ‘portare’ dal vento, con la barca un po' inclinata sottovento che infilava la prua nell'onda, salendo e poi ridiscendendo dolcemente, scivolando veloce sul mare blu, con le grandi vele bianche che si stagliavano nell’azzurro del cielo ...
Ad un certo punto - sempre in sogno - mi vedo nella mente, come un lampeggiare a caratteri di stampa, il titolo del mio primo libro che avevo appena passato all'Editore e che sarebbe stato pubblicato fra poco:
Alla scoperta del Paradiso perduto
e poi, più chiaro, dopo il primo «lampeggio», ne vedo un secondo
Alla scoperta del Paradiso perduto
L'immagine è «forte» ed io mi sveglio di colpo, forse perché il mio 'subconscio', od il mio < io > che stava emergendo dal sonno e stava prendendo ‘coscienza’, mi avvertono confusamente che c'è qualcosa che non va.
E infatti c'è un errore: non 'Alla scoperta’ ma «Alla ricerca del Paradiso perduto» è il titolo giusto del libro che ho scritto.
Rimango insonnolito sul letto, cercando di raccapezzarmi. Non capisco il senso del titolo, e neanche del mare e della barca a vela sospinta dal vento, nemmeno della nenia. So che ci deve essere un 'simbolismo': vi ho già detto che è così nei sogni. Ma non capisco quale.
Ecco, mi dico, deve essere l'ansia. Ora me lo sogno anche di notte, il libro. Ma di che mi preoccupo? Ormai è in stampa...
Semmai, ora, è l'Editore che ci ha investito dei soldi quello che si deve preoccupare…!
Faccio per rigirarmi nel letto e riprendere il sonno quando decido di vedere che ora è. Accendo l'abat-jour, spengo subito per non svegliare mia moglie. E' buio ma sono già le sei e un quarto.
La sera prima mio figlio mi aveva detto che avrebbe dovuto alzarsi alle sei e trenta e con un sorriso disarmante mi aveva chiesto se, come faccio talvolta, lo avessi svegliato, portandogli magari un bel caffè a letto...
Al mio grido di indignazione - perché l'indomani sarebbe stata domenica, e almeno la domenica uno come me ha il diritto di dormire un po' di più - lui aveva battuto in ritirata in buon ordine ...
Ma ora che ero sveglio tanto valeva che gli portassi il «cafferino» e facessi bella figura...
Scendo al piano di sotto in cucina, accendo la macchina espresso e aspetto che si ‘riscaldi’ e vada in pressione. Mi sorprendo a canticchiare la nenia che stavo sentendo in sogno quando mi ero svegliato e, di colpo, mi rendo ora conto che era il motivo musicale della canzone 'Romanza', lanciata anni fa da quel giovane tenore, Andrea Bocelli.
‘Bella… -  mi dico - dolce e  ‘fascinosa’.
E intanto, mentre metto un misurino di caffè mi sento rigirare per la testa - sopra il sottofondo della nenia - la parola 'paralipomeni', una, due, tre volte, quattro...
Avevo alzato la testa meravigliato. Che roba era? Cosa erano questi 'paralipomeni'? Da dove saltava fuori questa parola? Sarà stato mica il solito Subconscio creativo che si diverte?
Mi sembrava una parola di derivazione greca. Doveva essere il titolo di qualche poema studiato al Liceo, chissà..., non riuscivo più a ricordare.
Guardare sul vocabolario? Già…, buona idea!
Apro…, cerco: paglia... pappa... paradiso...paralipomeni...!
C'è! C'è e leggo: Paralipòmeni, sm. pl. lett. (dal greco 'paraleipòmena', cose tralasciate): ‘composizione letteraria che è continuazione e compimento di un'altra...'
Rimango perplesso, mentre la melodia della canzone di Andrea Bocelli riprende insistente a suonarmi dolcemente nella testa.
All'improvviso mi si illumina la mente come con una lampadina…
Il titolo!
Il titolo del libro...
                             Alla scoperta del Paradiso perduto!
quel titolo non era un 'errore' del mio 'Subconscio'...
Il titolo ‘lampeggiante’ era ‘giusto’!
Infatti quello non era il titolo (sbagliato) del vecchio libro ma quello (giusto) del nuovo.
Paralipomeni: cioè 'composizione letteraria che è continuazione e compimento di un'altra...'
Avrei dovuto scrivere un nuovo libro!
Ecco perché la parola 'paralipomeni' - dopo il sogno con quella nenia e con le parole della canzone che mi facevano intravvedere un futuro allettante -  continuava a ‘martellarmi’ in testa.                       
Mi voleva avvisare - il mio 'Subconscio creativo' - che avrei dovuto scrivere un nuovo libro con 'quel' titolo, e che sarebbe stato continuazione e compimento del precedente.
Ma perché - mi domandai - il 'subconscio' si deve esprimere per 'simboli' non solo quando sogna ma anche quando sono sveglio e preparo il caffè?
Non sarebbe stato più semplice parlar chiaro in sogno – già che c’era - e dirmi solo che avrei dovuto scrivere un nuovo libro che continuasse e completasse il precedente?
E cosa dicevano le parole della canzone, mentre andavo a vela sull’onda del mare.La ricordate?
Quando sono solo
sogno all'orizzonte
e mancan le parole
sì lo so che non c'è Luce
in una stanza quando manca il Sole
se non ci sei Tu con me, con me.
Su le finestre, mostra a tutti il mio cuore
che hai acceso
chiudi dentro me
la Luce che
hai incontrato per strada...
Con Te..., partirò...
paesi che non ho mai
veduto e vissuto con Te
adesso sì li vivrò...
Con Te partirò...
su navi per mari
che io lo so
no no non esistono più
con Te io li rivivrò
Tralascio di spiegarvi il simbolismo delle immagini, della ‘nenia’ e delle ‘parole’ della canzone, perché altrimenti questo mio libro finirebbe per diventare non un trattato di psicologia…ma di psichiatria!
E così finì che scrissi il secondo libro, avendo l’onore questa volta di una ‘Presentazione’ fatta direttamente dall’Editore ma con una didascalia nel Retrocopertina, che era frutto del mio ‘Subconscio’:
L’autore de ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ ritorna con una nuova Opera.
E’ un’opera didattica’ sul più dibattuto di tutti gli argomenti del pensiero umano…, cioè il dolore.
Perché è l’incomprensione del dolore che spesso porta a negare Dio, come è la sua comprensione che aiuta a sopportarlo meglio.
Ma è mai possibile parlare del dolore facendovi sorridere?
Provate a leggere.
Vi ricordate che vi avevo detto che la mancata spiegazione del perché del dolore era la cosa che più mi rendeva diffidente nei confronti del Dio cristiano che veniva dipinto come ‘buono e giusto’ mentre invece consentiva ingiustizie e dolori?
Ebbene in quel libro ci sono le risposte più importanti senza però che l’argomento vi spinga a piangere, anzi piuttosto a sorridere per i tanti episodi di vita vissuta che vi vengono raccontati.

1.2 Un altro sogno ed il mio primo incontro con Papa Wojtyla.
Dopo aver finito il mio secondo libro - e cioè il primo volume de ‘Alla scoperta del Paradiso perduto’ e avendo ormai imparato la ‘lezione’ - il mio < io > pensò di bruciare sul tempo il ‘Subconscio creativo’, e quindi prese l’iniziativa di scriverne il seguito: un commento al Libro dell’Apocalisse.2
Ignoravo completamente l’argomento ma, poiché oltre che ignorante ero anche incosciente, avevo deciso di cimentarmi con l’Opera più difficilmente comprensibile del Nuovo Testamento.
E’ un testo nel quale pochi – persino i sacerdoti quando, raramente, lo commentano nelle omelie -  si avventurano.
Certi ‘teologi’, proprio perché è un testo redatto in una forma e con dei significati spesso oscuri - tipici del linguaggio profetico velato dell’Antico Testamento e quindi non facilmente comprensibili - possono permettersi talvolta di dire tutto e il contrario di tutto, specialmente interpretandola allegoricamente anziché seguendone il significato letterale.
Se avessi avuto buon senso l’avrei interpretata anch’io in maniera allegorica, e così la mia interpretazione – proprio perché ‘allegorica’, cioè fondata su ‘illazioni’, avrebbe potuto valere – opinione per opinione – come quelle ‘allegoriche’ degli altri, titoli accademici a parte.
E invece no, decisi di interpretarla secondo il testo letterale, proprio come gli altri di solito non fanno, ma come facevano invece i primi Padri della Chiesa che fin da allora insegnavano il metodo corretto per cui il primo criterio di interpretazione dei sacri testi deve essere letterale, e solo quando questo non sia sufficiente a dare ragione del significato provare con quello allegorico.
In questo mio libro sull’Apocalisse ne sono uscite delle belle, credetemi, anche per via del mio Subconscio creativo e dei soliti sogni.
Fu appunto durante la stesura di quel libro che – di sogni – me ne arrivarono ad un certo punto non uno ma …sei.
Tutti uno dopo l’altro, nel corso di una stessa notte.3
Ero andato nel viterbese a trovare mia fratello dove lui – con la sua dolce moglie svedese – si era stabilito, dopo essersi ritirato dall’attività, fra quei stupendi castagneti del monte Cimino, una specie di parco naturale.
Anche lui si era ritirato in ‘campagna’, solo che ‘lui’ faceva il ‘gentiluomo’, cioè niente, mentre io invece ‘lavoravo’ scrivendo libri e facendo il ‘contadino’.
Lo studio dell’Apocalisse – ero a metà del mio lavoro – era non solo faticoso ma anche stressante, se per un momento solo riflettete al fatto che, pur utilizzando immagini simboliche del passato, l’Opera non si riferisce ad avvenimenti passati – come dice qualche ‘teologo’ di superficiale lettura - ma futuri, come scrive molto chiaramente nel testo lo stesso S. Giovanni, il famoso evangelista, che ne fu l’autore ispirato.
Ecco lo stress! È un futuro inquietante, come certi film televisivi con la scritta ‘per soli adulti’, anche se poi l’Apocalisse è a lieto fine
Mi ero già svegliato cinque volte, quella notte, ed ogni volta accendevo, scrivevo il sogno sul block notes, spegnevo e mi rimettevo a dormire.
Dicono gli specialisti che la fase dei sogni durante il sonno duri solo alcune ore, ma a me era sembrata una eternità.
Non so se l’ultimo sogno - il sesto - sia stato una conseguenza deleteria dello stress provocato dalla lettura dell’Apocalisse quanto piuttosto di quella continua tortura di interruzione del sonno, fatto sta che – fate attenzione - mi sognai che stavo sognando di guardare un notiziario TV, un ‘Telegiornale’.
Vedevo delle immagini confuse che si muovevano in maniera agitata e caotica con delle voci concitate.
Intravvedevo, oltre il mucchio che si agitava nello schermo, una figura bianca, come un sacerdote vestito di bianco che stava di fronte ad un altare dando le spalle al pubblico. Poi capivo che quello non era il pubblico di uno ‘spettacolo’ ma una ‘messa’ e che il sacerdote di spalle era il Papa, Wojtyla.
Confusione, mani e corpi che si agitavano verso il Papa. Lo speaker parlava in maniera concitata, mi arrabbiavo perché non si capiva niente, ma in fin dei conti mi dicevo in sogno che quello che vedevo in TV era solo un sogno. Doveva esser però successo qualcosa di grave, mi allarmo, non capisco che cosa fosse stato, questa televisione non è mai chiara quando ti interessa. Anche io scatto in piedi agitato e dico allarmato: ‘L’avranno mica ammazzato una seconda volta?’. Poi mi rendo conto che se uno l’hanno già ammazzato una volta non possono ammazzarlo una seconda volta, e questa era dunque una cretinata, e poi mi rendevo conto ancora che Papa Wojtyla non l’hanno ammazzato neanche la prima volta, perché il realtà, in quei lontani anni ottanta, lui – il «Totus tuus, Mariae» – si era salvato…
Non per niente era un Papa ‘mariano’ e lui ha sempre detto che a salvarlo da quel proiettile che avrebbe dovuto essere mortale è stata la Madonna, con la quale aveva un ‘filo diretto’.
A quel punto però mi sveglio.
Credete che sia finita così? No, perché in realtà mi ero svegliato ma solo in sogno, e io invece continuavo a sognare come se il mio Subconscio creativo, una specie di ‘regista’, volesse farmi rivedere meglio la scena che io prima non ero riuscito a cogliere bene o che non ero riuscito a ricordare.
Vedo infatti che – come con una moviola di quelle partite di calcio in televisione che debba fare un ‘replay’ - il filmato del Notiziario TV viene fatto tornare indietro per poi riprendere dall’inizio.
Questa volta sto bene attento a quello che vedo.
Vedo Papa Wojtyla che dice messa di fronte all’altare come si faceva una volta, e cioè con le spalle rivolte a chi guarda, insomma con le spalle ai fedeli e con il volto rivolto a Gesù che è nel Tabernacolo.
Oggi invece – si tratta qui di novità liturgiche introdotte per adeguarsi ai ‘tempi’ - nelle chiese il Sacerdote volta le spalle a Gesù nel Tabernacolo e rende onore ai fedeli che guardano.
Il Papa si volta ad un certo punto verso i fedeli, tutto bianco, e come vediamo fare talvolta ai sacerdoti quando celebrano una messa, allarga le mani e le braccia in segno di pace.
Si vede allora un trambusto di persone, come se qualcuno volesse da dietro farsi avanti e spintonasse quelli che gli ingombrano il passaggio.
Si vede uno che si butta addosso al Papa, lui guarda senza capire, sembra un po’ sorpreso - l’azione continua ora al ‘rallentatore’, evidentemente per paura che io non capisca bene – il Papa è sempre stupito, apre la bocca meravigliato, l’altro ha in mano un pennello, è un pennello intinto in vernice nera, lo alza e – al rallentatore - imbratta Papa Wojtyla dipingendogli una croce nera sulla faccia…
Il Papa è inorridito, il gesto – in sogno lo si percepisce chiaramente – è orribile nel suo significato profondo.
In sogno, mentre assisto impotente, ne percepisco la violenza spirituale: la croce nera è un simbolo satanico, di sfregio!
Il Papa è inorridito, capisce, piange di dolore, poi afferra quella cosa che i sacerdoti hanno sulle spalle, sarà la stola, e – non più al rallentatore ma freneticamente - si pulisce il volto, proprio freneticamente, come se volesse assolutamente togliersi subito di dosso quella sozzura repellente.
Con orrore, si cancella con forza la pittura dal volto.
Capisco in sogno che la stola utilizzata per pulirsi è un ‘simbolo’: è come se essa rappresentasse una ‘liberazione’, ma non capisco che simbolo esattamente sia.
Sento che lo Speaker TV – nella confusione e nelle voci agitate – commenta: ‘…gesto sconsiderato di un folle…!’.
Ma io e il Papa, ci guardiamo profondamente negli occhi attraverso lo schermo TV, e ci capiamo, perché sappiamo entrambi che così non è.
Mi ero poi svegliato di colpo per la sesta volta ma, visto che erano quasi le sette del mattino e di incubi non ne volevo più sapere, avevo buggerato il mio Subconscio creativo prima che fosse tentato di fare – come i sette Angeli, le sette trombe e le sette coppe dell’Apocalisse - un ulteriore sogno settenario, cioè il settimo sogno.
Mi sono dunque alzato, sono andato in camera di mio fratello a chiedergli se voleva che gli facessi un caffè, e lui, posando il libro che stava leggendo, mi fa: ‘Hai dormito bene con quei piumoni svedesi, vero? Fanno un caldo d’inferno…’.
‘Appunto…!’, mi sono risposto mentalmente, ma poi gli ho sorriso anch’io come se avessi dormito dieci ore di fila, in paradiso.  
1.3 Da quella volta siamo diventati amici…e abbiamo cominciato a vederci più spesso…
Bene, da quella volta non è stato più come prima, io e Papa Woytila – attraverso quello sguardo reciproco in Tv, occhi negli occhi - avevamo rotto il ghiaccio perché ci eravamo ‘capiti’ e – quando terminavo un nuovo libro lui ‘veniva’ non di rado a darmi la sua ‘benedizione’, ovviamente in sogno.
Ne rimasi talmente condizionato che qualche volta che si era dimenticato di venire a ‘trovarmi’ ero stato persino tentato di non spedire la bozza del libro all’Editore, pensando che magari non andasse bene, salvo poi essere confortato, ovviamente, dalla solita ‘Luce’ del mio Subconscio creativo.
Non potete quindi immaginare ora la mia sorpresa quando poco tempo fa – avendo in programma di terminare presto il mio undicesimo libro mentre già stavo pensando ad un successivo sulla Genesi, un libro di fede scientifica – Papa Wojtyla, al secolo Giovanni Paolo II – me lo sono visto arrivare ancor prima che avessi terminato il libro per dirmi: ‘Preparati: è tempo di Maria! È tempo del Dogma della Corredenzione. Scrivilo in un libro dedicato alla Corredentrice di questa Umanità’.

1  G.L.: ‘Alla scoperta del Paradiso perduto’ (ovvero il Dio interiore) -Vol. I, Cap. 3 - Ed. Segno, 1999
2  G.L.: ‘Alla scoperta del Paradiso perduto’ Vol. II – (La Rivelazione del Dio nascosto – Apocalisse e Nuovi Tempi) – Ed. Segno, 2001
3  G.L.: ‘Alla scoperta del Paradiso perduto’ – Vol. II – Cap. 13.13 – Ed. Segno, 2001
     
(La Sacra Bibbia – Il Libro dei proverbi –  Ed. Paoline, 1968)
2. «La Sapienza» parla di Maria SS, Madre della Sapienza: cioè di Dio, Gesù, perché Gesù è Sapienza.
Dal Libro dei proverbi: 8, 22-31:
Dio mi creò fin dall’inizio dei suoi atti, prima ancora delle opere sue.
Fin dall’eternità io fui costituita, dalle origini, dai primordi della terra.
L’abisso ancor non era: io fui concepita quando ancora non zampillavano le fonti.
Prima che sorgessero le maestose montagne, prima dei colli, io fui generata; quando ancor non aveva fatto né terra, né campi, né le prime zolle del mondo.
Quando fissava i cieli io ero presente, quando tracciava un cerchio sulla faccia dell’abisso; quando condensava in alto le nubi, quando distribuiva le sorgenti nel cuor della terra, quando fissava al mare il suo limite, affinché le sue acque non ne varcassero la sponda, quando gettava le fondamenta della terra, io ero a suo fianco, quale architetto, e mi compiacevo giorno per giorno, gioivo di continuo in sua presenza, mi dilettavo sul globo della terra, deliziandomi nei figli dell’uomo.
2.1 Maria: il Capolavoro della Creazione
Ero dunque stato sollecitato a scrivere un libro sulla Madonna, anzi sulla Madonna in quanto Corredentrice, Dogma – questo – che non è stato ancora riconosciuto dalla Chiesa e che richiede quindi molte preghiere.
Una sera mi trovavo in vacanza in Sardegna in casa di amici.
Cena squisita, come l’ospitalità, e poi quattro chiacchere in relax sui divani con l’immancabile bicchierino in mano.
I miei amici sapevano che stavo scrivendo un libro spirituale, fatto che - per un omaccio come me virile e d’azione - doveva sembrare quasi una bestemmia.
Inoltre erano quasi del tutto agnostici, anzi con in più una vena di ironico scetticismo, specie da parte della padrona di casa, peraltro colta e affascinante.
Lei aveva quindi portato il discorso sullo spirituale, tanto per ‘sfrugugliarmi’ un po’, per malizia tipicamente femminile o forse solo per sana curiosità ed Io – che con le donne sono sempre stato ingenuo e poco psicologo – avevo cominciato dalla Creazione parlando quindi di Eva e del Peccato originale.
Non avevo pensato – e non me ne vogliate, voi donne che leggete - che questo, per alcune donne, avrebbe potuto essere un tasto dolente, specie se femministe.
Il Dio della Genesi  ha condannato l’uomo a guadagnarsi il pane con il sudore della fronte ma loro – in quanto prime colpevoli del Peccato – le ha condannate a partorire con dolore e ad essere soggette – salvo le eccezioni che diventano sempre più frequenti - all’uomo.
Non parliamo poi della sessualità.
A scanso di equivoci mi ero premurato di premettere che – contrariamente a quanto molti pensano – il Peccato originale non consistette nella sessualità di Eva tentatrice, la donna, precisando che la sessualità fu solo la conseguenza della perdita della Grazia dovuta alla disubbidienza e cioè alla mancanza di amore verso Dio, per aver voluto cogliere il frutto dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male e voler così essere pari a Dio in potenza.
Lo spirito di Eva - fino ad allora in Grazia - ‘governava’ le passioni dell’io  e della ‘carne animale’ ma dopo il Peccato mortale la donna – con lo spirito morto alla Grazia - si ritrovò ad essere solamente ‘animale’.
Io – oltre che ingenuo e poco psicologo  - sono anche poco osservatore e credo di non essermi accorto dello sguardo truculento che lei certo mi doveva aver lanciato. Io ero ospite, lei era anche molto educata e si era trattenuta, ma dopo che ebbi spiegato – facendo il paragone con Eva – il ruolo nella salvezza redentiva di Maria, nuova Eva e vergine, è scoppiato un putiferio.
La mia simpatica padrona di casa infatti, donna intelligente, polemica, positivista e, ovviamente, evoluzionista, si era dialetticamente 'scatenata' dicendomi che francamente non capiva tutta  questa 'favola' di Adamo ed Eva: che male c'era se invece fossimo discesi da una scimmia?
Non era forse bella la scimmia?
Perché mai, poi, Maria doveva essere ‘vergine’?
E cosa  era tutta quella storia della libidine e della lussuria dei Primi Due che Dio sembra tanto 'stigmatizzare', visto che poi è Dio stesso che ha fatto gli uomini di carne dicendo loro ‘Crescete e moltiplicatevi’?
Per essere 'figli di Dio' è  semmai sufficiente comportarsi 'eticamente' bene!
Discussione accesa - l'avrete capito -  qui accennata peraltro solo per 'argomenti', ma intellettualmente interessante.
Avevo spiegato con calma, avevo ribattuto in maniera riflessiva finché, rimasti a corto entrambi di argomenti, o forse semplicemente 'esausti', ci eravamo dati una calmata salvo alla fine, con un abbraccio riconciliatore, darci appuntamento alla cena seguente…, l’anno prossimo!
Però su un punto mi sentivo di non darle torto: quello della verginità di Maria.
Questo concetto mi è sembrato a lungo una assurdità logica tanto che qualche anno dopo ho finito per scriverne a fondo su di un libro, trovando ovviamente tutte le risposte che la mia mente razionalista esigeva.1
Che necessità c'era – mi dicevo però durante quella discussione con l’amica - che la Chiesa sostenesse l’assunto di questa verginità? Che male c'era se, essendo sposa di Giuseppe, Maria non fosse stata vergine? Quale era la 'logica' per cui, dal punto di vista teologico e spirituale, 'doveva' essere vera una cosa così poco verosimile che cozza contro il più comune buonsenso?
Ecco - mi dissi riflettendoci qualche tempo dopo - quella volta mi erano mancati gli argomenti fondamentali da opporre alla mia piccola amica scatenata  mentre il marito se la rideva sotto i baffi.
Fu allora che la ‘Luce’, insomma quella del mio ‘Subconscio Creativo che doveva aver tenuto d’occhio i pensieri del mio ‘Io conscio’...:2
    Luce:
'La Sapienza' parla di Maria SS., Madre della Sapienza: cioè di Dio, Gesù, perché Gesù è Sapienza.
Maria è stata il capolavoro della 'Creazione'.
Se non ci fosse stata Lei - concepita ab initio, nella Sua perfezione ed umiltà - la Creazione, per l'uomo come sarebbe diventato, non avrebbe avuto senso. Quindi la 'creazione perfetta', cioè l'uomo perfetto, non furono Adamo ed Eva, ma fu Maria.
Lei fu l'anima creata perfetta, 'concepita' prima ancora perfetta, che seppe però mantenersi perfetta, e che giustificò - per la sua perfezione avuta e mantenuta, soprattutto mantenuta - che la creazione non venisse distrutta, non tanto per il Peccato dei primi due ma per le atroci empietà dei successivi. Perché è empio non solo chi non ama Dio, ma chi odia l'uomo nel quale è lo 'spirito' dato da Dio : l'anima infusa da Dio a sua immagine e somiglianza.
Per questo devi passare per Maria,  per questo Lei, la Tutta Bella, è l'Ineffabile Mediatrice, perché Dio : in quanto Padre, il Figlio : in quanto Figlio, lo Spirito : in quanto Sposo, nulla possono negare alla sua Bellezza spirituale - data ma soprattutto mantenuta - ed alla sua Umiltà.
Maria fu tanto umile da apparire quasi insignificante. Poco ne parlarono gli Apostoli. E' questo il capolavoro dell'umiltà: essere l'elemento centrale ed apparire secondario.
Per questo Io salverò ancora una volta la Creazione: per la Sua intercessione !
Perché, Dio, ha creato allora l'uomo, l'assassino della propria anima, anzi il suicida ?
Perché l'uomo potesse godere del Creato ed amare il suo Dio : il Padre.
E per far ciò, Il Padre, stabilì il Mezzo : il Cristo, e quindi lo Strumento: Maria SS.
Poiché Io sono Dio di Libertà e poiché l'uomo avrebbe peccato con il suo libero arbitrio, Io - nel mio Amore - proposi (ed il Figlio - nel suo Amore - accettò) il Sacrificio di un Dio per riparare agli errori e lo Spirito - anch'esso Amore, anzi l'Amore - operò, operò in  Maria SS. Vergine, ricorda bene, vergine, purissima.
E non paia 'bestemmia', a voi bestemmiatori, la sua verginità.
Solo un bestemmiatore incallito può pensare che a Dio sia impossibile provocare un concepimento in una vergine. Solo chi non vede Dio nel Creato, solo chi non crede che Dio possa aver creato il Creato, può veramente pensare che Dio - dopo aver concepito la Vergine senza Macchia d'Origine, poiché Essa doveva salvare, poiché Essa era la Salvatrice sublime - non potesse incarnarsi, con un atto di volontà intellettuale, in un corpo umano.
Chi come Dio?!, disse Michele. Chi come Dio?!, ripeto a voi bestemmiatori eterni, perché, se non cambiate, continuerete a bestemmiarmi - con il vostro 'Dio' - per l'Eternità, nell'Inferno, creato per lui, mantenuto per Voi !
Ed ecco dunque che Dio si fece Carne, la Carne si fece Uomo, l'Uomo fece di sé Sacrificio, sacrificio vivente sulla Terra, sul Gòlgota, sacrificio 'eterno', sulla Terra, nell'Eucarestia...
Perché mai (vi prendo per mano e vi conduco nel ragionamento ) - se Io ho potuto creare  l'Universo, creare la Terra, creare la Materia, le specie viventi di vegetali ed animali, dal protozoo all'uomo, la vostra anima, la vostra Anima !, per quanto da voi rovinata - perché mai non dovrei essere capace, come mi incarnai in una vergine, di incarnarmi in un'Ostia per compiere il Sacrificio Eterno, iniziato sul Gòlgota ma concepito ab-initio, che durerà eterno finché l'uomo durerà, perché l'uomo - nella sua dannazione vivente da lui stesso voluta sulla Terra, dannazione della sua Anima - avrà sempre bisogno di un Dio che, attraverso questo Sacramento, da Me nel Mio Amore istituito, scenda a salvarlo?     
E' per questo che l'uomo non discende dalla scimmia.
Una sola semmai è la Scimmia dalla quale lui discende: Lucifero, l'eterno antagonista, 'eterno' perché lo sarà in Eterno, anche quando alla Fine del Tempo verrà rinchiuso in Eterno.
Solo 'quello' è l'uomo che discende dalla scimmia : quello che rinnega i miei comandi, quello che calpesta la sua Anima, quello che si sceglie un altro Padre, la Scimmia appunto: quella con la S maiuscola, S maiuscola come Superbia, S maiuscola come Satana, e che della Scimmia, come del Padre putativo, sceglierà la Sorte, liberamente, liberamente. Perché Io sono Dio di Libertà.
Dillo alla tua amica, falle leggere queste Parole, illuminale la mente perché deponga la 'corona', non umile di spine come la Mia ma della 'superbia', questa superbia dell'uomo inculcata dai padri terreni fin dall'infanzia, che vi trasforma da Figli miei in figli della scimmia, Figli della Scimmia.
Quella superbia, quella che volle esser di Lucifero, che si antepose a Dio gridando : 'Perché non Io, Dio !', e che vi fa ora dire, poveri figli, figli del Peccato d'Origine : ' Perché 'figli di Dio? Perché non figli di una scimmia? Non è forse bella la scimmia ...? '.
Certo è bella la scimmia, come tutte le cose che Io ho creato, ma non è bello l'Uomo-Scimmia, quello che con il suo libero arbitrio si è creato da sé: figlio di Satana.
Dillo alla tua amica, lei dolce è ma povera di spirito, come tutti voi.
Dillo alla tua amica perché sappia che Dio, nella sua dolcezza, le è Padre, la carezza, le sta vicino, l'ama. Ricordale di essere mia Figlia.
Io sono:Padre, Io sono:Amore, Io sono:Colui che è !                                                                          
^^^^
Lo dissi alla mia amica, anzi glielo feci leggere, ed è ancora oggi evidentemente un’amica se continua ad invitarmi a pranzo parlando anche di cose spirituali dopo che quella volta, dopo aver letto, mi tolse il saluto per sei mesi.
2.2 Maria si affidò a Dio. E Dio cosa ne fece? Una regina? La fece felice? Ricolma di ogni piacere? Ne fece una corredentrice…
Sempre con riguardo alla Madonna, un’altra volta stavo leggendo un brano valtortiano3 dove la mistica descriveva in visione la scena della apparizione dell’Arcangelo Gabriele a Maria SS., cioè l’Annunciazione, che venne seguita – dopo il ‘sì’ di Maria – dalla Incarnazione del Verbo per opera dello Spirito Santo.
Mi rivedevo mentalmente la scena. Il possedere una buona padronanza della tecnica di ‘training autogeno’ mi permetteva una grande concentrazione sulle cose che meditavo ed anche la capacità di visualizzarmi bene mentalmente le scene che la Valtorta descriveva.
Rivedevo Maria, la sua stanzetta, mentre lei seduta su uno sgabello, tesseva il lino cantando e pensando a Dio, alla prossima venuta del Messia annunziato dai Profeti per quei tempi - come aveva detto Daniele4 con quella sua profezia sulle settanta settimane di anni rispetto all’epoca in cui lui era vissuto – ed augurandosi di poter essere sua ‘serva’.
Lei aveva appoggiato il capo al muro rivolgendo gli occhi sognanti al Cielo quando una tenda di porta aveva palpitato come smossa dall’aria, una luce perlacea…, un bagliore, e nel bagliore l’Arcangelo che le si materializza e le si prosterna davanti.
E l’Angelo comunica a Maria che lo Spirito Santo scenderà in lei, vergine, e lei ‘concepirà’, senza rapporto d’uomo. E il figlio sarà chiamato ‘Figlio di Dio’.
Bella la scena, ma mi era sembrata una scena fantascientifica, come pure il fatto di poter concepire senza aver avuto rapporto con un uomo, quando…:5
Luce:
Guardati intorno. Non è ancora più fantascientifica la natura che ti circonda?
Immagina di venire da un altro pianeta.
Cielo azzurro, sole caldo, stelle luminose, uccelli, profumi, fiori, api che ronzano e suggono nettare, alberi, alberi colossali, fiumi, laghi, mari, pesci, monti, cime nevose, deserti aridi, foreste, tutto, di tutto.
Cosa c'è di più fantascientifico del caleidoscopio di colori che ti circonda? E dei suoni? E gli uomini? Tutti diversi uno dall'altro. Lo stesso gli animali, le piante, i fiori: non uno che sia identico all'altro. Non uno!
E i minerali? Quanti minerali. Tutti diversi.
E la materia? Di cosa è composta? Molecole, atomi, protoni, neutroni, elettricità? O cosa?
Cosa c'è di più fantascientifico?
E l'universo? La terra, il sole, i pianeti, le stelle, la tua galassia, con miliardi di stelle e pianeti, e miliardi di galassie ognuna con miliardi di stelle. E ogni stella distante miliardi di anni luce, le più lontane. E l'universo è finito? E' infinito? Non lo sai. Non puoi saperlo. Non riesci a saperlo. La tua ragione vacilla.
Cosa c’è di più fantascientifico?
Dio! C'è Dio!
Ma Dio non è fantascienza. Dio è realtà!
E, come Dio ha creato tutto questo, Dio tutto può.
Dimmi, ti pare proprio che Dio, lo Spirito di Dio, non abbia potuto fare una cosa, una piccola cosa, come quella di incarnarsi e rendere feconda una Vergine lasciandola 'vergine'?
Chi come Dio? Ecco cosa devi dire ai 'razionalisti, cioè a quelli come te: a quelli che  dicono di credere, vogliono anzi credere ma poi - nell'angolo del loro cervello - conservano il tarlo che rode e dice, piano, fra sé: 'Ma è mai possibile?'
^^^^
Questa me l’ero proprio meritata. Infatti il discorso della 'verginità' l'avevo 'rimosso', ma il 'tarlo' – dentro di me - rodeva, rodeva...
Ma non era ancora finita…
Luce:
E Maria si 'affidò'...
'Sia fatto secondo la sua volontà, secondo la volontà del Signore...'
Maria si affidò a Dio. E Dio cosa ne fece? Una regina? La fece felice? Ricolma di ogni piacere? Ne fece una corredentrice.
Come suo figlio, il Redentore.
Non gioia, non onori, ma dolori, perché questa è la missione a cui Dio chiama i figli suoi come a questa chiamò il Figlio Suo.
La Missione del Dolore: per essere Corredentore.
Perché l'Umanità non cessa, perché l'Umanità continuerà a peccare, e la Redenzione continua.
E Dio chiama i suoi figli in aiuto del Figlio suo.
E Cristo chiama i fratelli in aiuto di sé, non per gravare essi del suo peso ma per renderli compartecipi della sua Gloria: perché il Dolore è Gloria come 'gloria' sono le ferite del soldato in guerra.
E, questa, guerra è! Guerra di Satana ai figli di Dio, guerra di Satana a Dio attraverso i figli di Dio.
Non ci riesci? Non sei un eroe? Pazienza.
Non vuoi, non puoi soffrire? Almeno ama. Ama i fratelli tuoi.
Ama, e vedrai che l'Amore sarà ancora più forte del Dolore.
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Ferma tutto! Torna indietro.
Cos’è che aveva detto la ‘Luce’?
E Maria si 'affidò'...
'Sia fatto secondo la sua volontà, secondo la volontà del Signore...'
Maria si affidò a Dio. E Dio cosa ne fece? Una regina? La fece felice? Ricolma di ogni piacere? Ne fece una corredentrice.
Come suo figlio, il Redentore.
2.3 Il parere sulla ‘mariologia valtortiana’ di un celebre ‘Mariologo’.
Ecco ci siamo. Sono passati degli anni e quel brano della mia ‘Luce’ non me lo ricordavo nemmeno più.
Io stesso – o meglio la ‘Luce’– mi aveva parlato per prima di Maria Corredentrice…, e magari – se vado a cercare nei miei libri – chissà quante altre volte lo avrà fatto.
Mi ricordo però che c’era stato un altro personaggio, legato all’opera valtortiana, che ne aveva parlato pure molto.
Si tratta di un famoso ‘mariologo’, Padre Gabriele Maria Roschini.
La Valtorta, come Padre Pio ed altri santi, è stata ‘strumento di contraddizione’ e – come Gesù - ha avuto – insieme a tantissimi autorevoli ed anche entusiasti estimatori - anche critici e qualche denigratore.
Neppure Galileo Galilei – quando come astronomo aveva osato difendere il sistema eliocentrico contro quello geocentrico, allora  predicato dalla Bibbia e dalla Chiesa - era stato molto fortunato con i tribunali dell’Inquisizione, anche se tutto sommato gli alti prelati erano stati con lui piuttosto benevoli, visti i tempi.
A Padre Pio erano state invece ad un certo punto vietate le Messe in pubblico, se ben ricordo, prima di venire ‘riabilitato’.
Emilio Pisani, curatore dell’Opera di Maria Valtorta edita dal Centro Editoriale Valtortiano, ha scritto un interessante volumetto di circa duecento pagine ‘Pro e contro Maria Valtorta’, con pareri di insigni personaggi.
E’ una pubblicazione di grande interesse.
Per me lo è anche perché – una volta che uno abbia letto senza prevenzioni l’Opera della grande mistica – questi si può rendere conto della fragilità e superficialità delle critiche, quasi incredibili in personaggi che dovrebbero essere di un certo livello intellettuale e morale se – a loro parziale discolpa - non fosse in loro la prevenzione e talvolta la non approfondita conoscenza a renderli ciechi.
Ebbene ecco cosa scrive del ‘Mariologo’ (le sottolineature in grassetto sono le mie) l’autore del volumetto, Emilio Pisani, alle pagine 98 e segg.:
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    Gabriele M. Roschini
Nel 1973 Padre Roschini è ancora tenuto in grande considerazione nell'Ordine dei Servi di Maria, al quale ha dato lustro come mariologo famoso. E’ stato il fondatore e il primo preside della Facoltà Teologica "Marianum" (poi insignita del titolo di Pontificia) che continua ad averlo come professore. Insegna anche alla Pontificia Università Lateranense. E’ consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede e della Congregazione per le Cause dei Santi. Ha partecipato come Perito al Concilio Ecumenico Vaticano Il (1962‑1965).
Sono passati ventisette anni da una sua misurata dichiarazione, sottoscritta in data 27 agosto 1946. Eccola:
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Dietro incarico del Rev.mo P. Generale ho riveduto il primo volume dell'Opera (che potrebbe intitolarsi: Ai marginì del Vangelo),dal Concepimento di Maria SS. alla vita pubblica di N.S.G.C., e non vi ho riscontrato nulla contro la fede e i costumi. Vi ho riscontrato invece un soffio di grande spiritualità ed una potenza di ricostruzione delle scene evangeliche singolarissima. Se ne può quindi permettere la stampa alle seguenti condizioni:
che si dichiari espressamente che a quanto si racconta non si deve altra fede che l'umana, e che si tratta di ricostruzione umana;
che si tolga completamente tutto ciò che, in un modo esplicito o equivalente, si riferisce all'origine divina dell'Opera, origine che non consta, essendovi alcuni indizi che depongono contro di essa;
che vengano fatte tutte le correzioni indicate, suggerite dalla prudenza ecc.
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Da allora ha seguito le vicende dell'Opera con interesse distaccato ma a volte determinante, giacché fu per suo consiglio che si pensò di proporne la stampa al tipografo‑editore Michele Pisani dell'Isola del Liri.
Quando, però, si mostrò sorpreso della condanna all'Indice pur facendo parte del Sant'Uffizio, qualcuno mise in dubbio la sua sincerità.
Comunque sia, da un anno (precisamente dall'estate del 1972) Padre Roschíni è completamente cambiato.
Ed il primo ad averlo saputo è stato l'editore Emilio Pisani, figlio di Michele, che in quel tranquillo pomeriggio di agosto era con sua moglie Claudia a Viareggio, ospite come al solito di Marta Diciotti nella casa Valtorta.
Sentì suonare alla porta e andò ad aprire, trovandosi di fronte il celebre Servita.
Si conoscevano bene. Padre Roschini, poi, si ricordava della casa per esservi stato nel lontano 1949, quando volle fare una visita di cortesia a Maria Valtorta, che lo lasciò indifferente. (“Una ragazzotta" soleva definirla, per dire che gli era sembrata una donna del tutto comune).
La Valtorta ora non c'era più, ma c'era la Marta a prolungarne il ricordo, ed egli era venuto a chiederle "perdono". Perché? Lo spiegò subito.
Tornava da Píetralba, sulle Dolomiti, dove ogni anno trascorreva le vacanze estive nel convento del suo Ordine. Questa volta aveva voluto riposarsi leggendo tutta l'Opera, con il risultato di aver sottratto al sonno molte ore di ogni notte, tanto lo aveva avvinto la lettura di quei volumi.
Nel viaggio di ritorno verso Roma aveva ritenuto doveroso sostare a Viareggio per un atto di riparazione alla sua lunga tiepidezza.
Aveva già deciso di inserire Maria Valtorta nel corso di lezioni sulle "intuizioni marìane dei grandi mistici", che avrebbe tenuto al "Marianum" nel prossimo anno accademico.
Nel 1973 egli rielabora la parte valtortiana di quelle lezioni e ne fa un libro dal titolo La Madonna negli scritti di Maria Valtorta. Con la seguente prefazione:
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E’ da mezzo secolo che mi occupo di Mariologia: studiando, insegnando, predicando e scrivendo. Ho dovuto leggere perciò innumerevoli scritti mariani, d'ogni genere: una vera «Biblioteca mariana».
Mi sento però in dovere di confessare candidamente che la Mariologia quale risulta dagli scritti, editi e inediti, di Maria Valtorta, è stata per me una vera rivelazione.
Nessun altro scritto mariano, e neppure la somma degli scritti mariani da me letti e studiati, era stato in grado di darmi, del Capolavoro di Dio, un'idea così chiara, così viva, così completa, così luminosa e così affascinante: semplice e insieme sublime.
Tra la Madonna presentata da me e dai miei colleghi (i Mariologi) e la Madonna presentata da Maria Valtorta, a me sembra di trovare la stessa differenza che corre tra una Madonna di cartapesta e una Madonna viva, tra una Madonna più o meno approssimativa e una Madonna completa in ogni sua parte, sotto tutti i suoi aspetti.
Per questo fondamentale motivo, nell'esporre la Mariologia degli scritti valtortiani, ho preferito che parlasse, quasi di continuo, la stessa Valtorta, limitando la mia azione a coordinare quanto ella ha scritto, in vari luoghi, in modo insuperabile. Dove gli altri forse vedranno, in questo mio modo di agire, un difetto, io amo vedere un pregio.
E’ bene, inoltre che si sappia che io non sono stato un facile ammiratore della Valtorta.
Anch'io infatti sono stato, un tempo, tra coloro che, senza un'adeguata conoscenza dei suoi scritti, hanno avuto un sorrisolino di diffidenza nei  riguardi dei medesimi.
Ma dopo averli letti e ponderati, ho dovuto ‑ come tanti altri ‑ lealmente riconoscere di essere stato troppo corrivo; e ho dovuto concludere: «Chi vuol conoscere la Madonna (una Madonna in perfetta sintonia col Magistero ecclesiastico, particolarmente col Concilio Vaticano II, con la S. Scrittura e la Tradizione ecclesiastica) legga la Mariologia della Valtorta!».
A chi poi volesse vedere, in questa mia asserzione, uno dei soliti iperbolìci «slogan» pubblicitari, non ho da dare che una sola risposta: «Legga, e poi giudichi! ... »
Roma, 1973                                                                                                                             P Gabriele M. Roschìnì
O.S.M.
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Nello stesso anno 1973, il 2 luglio, P. Gabriele M. Roschini accompagna come sacerdote i Resti mortali di Maria Valtorta da Viareggio a Firenze, per la sepoltura privilegiata nel complesso monumentale della Ss. Annunziata.
Nato a Castel Sant'Elia (Viterbo) nel 1900, morirà a Roma, stroncato da un cancro, il 12 settembre 1977.
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Riepilogando, al Roschini – in quanto esperto – era stato dato il compito di ‘periziare’ l’Opera Valtortiana.
Era il 1946.
Con la prudenza – talvolta davvero eccessiva per timore di sbagliare - che Santa Madre Chiesa usa anche con i santi più santi per la cui canonizzazione lascia passare anche secoli, egli aveva detto con formula classica che ‘non vi aveva riscontrato nulla contro la fede e i costumi’ , che vi era un soffio di grande spiritualità ed una potenza di ricostruzione delle scene evangeliche singolarissima, che se ne permettesse pure la stampa purché non si dicesse che era opera di ispirazione divina.
La cosa mi ricorda per certi versi papa Pio XII al quale - contro il parere di alcuni personaggi che in quell’epoca detenevano in Vaticano le leve del potere - si erano rivolti i direttori spirituali della Valtorta per ottenere invece l’Imprimatur.
Pio XII (e chi ha detto che i Papi possono fare quello che vogliono?) non poteva contrastare i contrari ma – durante l’udienza che gli era stata richiesta – aveva risposto: ‘Pubblicate questa Opera così come sta, senza pronunciarvi dell’origine straordinaria o meno di essa: chi legge capirà…’.
E infatti – morto lui – i ‘nemici’ riuscirono dopo dodici anni a farla mettere all’Indice!
Ma nel 1973, quasi trent’anni dopo quel suo parere espresso sul primo volume, il mariologo Roschini, dopo aver letto e meditato in un periodo di vacanza anche i volumi successivi, ha capito.
Egli scrive infatti che – dopo essersi occupato per mezzo secolo di studi di mariologia, - la Madonna quale emerge dagli scritti di Maria Valtorta è stata per lui una vera rivelazione.
Nessun altro scritto e neppure la somma degli scritti mariani da lui letti e studiati, era stato in grado di dargli, del Capolavoro di Dio, un’idea così chiara, così viva, così completa, così luminosa e così affascinante semplice e insieme sublime.
Nella Madonna presentata da Maria Valtorta – come avete notato più sopra scorrendo le sue parole - a lui sembrava di trovare la stessa differenza che corre fra una Madonna di cartapesta e una Madonna viva, tra una Madonna più o meno approssimativa e una Madonna completa in ogni sua parte, sotto tutti i suoi aspetti.
Credo che Padre Roschini si sarebbe comunque salvato l’anima, ma certo questo parere conclusivo deve aver a mio avviso concorso a dargli una spintarella decisiva non tanto per avere ‘un posto’ in Cielo, quanto per averne uno ancora migliore, grazie alle preghiere della Valtorta e alla ‘gratitudine’ della…Madonna.
Infatti Padre G.M. Roschini dedicò un libro particolare alla Madonna valtortiana La Madonna negli scritti di Maria Valtorta’, vale a dire una preziosa raccolta dei brani valtortiani che ne parlavano e che gli erano sembrati più pertinenti.
Se Padre Roschini dopo questo libro sulla Madonna della Valtorta  non è stato scomunicato, perché dovrebbero farlo allora con me, visto poi che - in sogno - Papa Giovanni Paolo II mi ha dato anche l’Imprimatur?
Mi viene un dubbio: che Giovanni Paolo II – con il dovuto rispetto - se la sia cavata al meglio potendo poi sempre dire che tanto io me lo son solo ‘sognato’?
Allora anch’io – anche se sono tutt’altro che un ‘mariologo’ - scriverò della Madonna corredentrice come emerge dagli scritti di Maria Valtorta, aggiungendovi poi qualcosa anche di mio - ovviamente da ‘catecumeno’ e da uomo della strada - qualcosa di mio o… del mio ‘Subconscio creativo’.

1  G.L. “Il Vangelo di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I, Capp. 5 e 9 – Ed. Segno, 2001
2  G.L. ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 61 – Ed. Segno, 1997
3  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. I, Cap. 16 – Centro Ed. Valtortiano
4  G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I, Capp. 10 e 11 – Ed. Segno,
5  G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 62 – Ed. Segno, 1997
M.V. :’L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. I - Capp. 1, 4 e 5 – Centro Ed. Valtortiano)
3. La purezza ha un valore tale che un seno di creatura poté contenere l’Incontenibile, perché possedeva la massima purezza che potesse avere una creatura di Dio…
3.1 Ma all’uomo e alla donna depravati da Satana – ecco la rivincita di Dio - Dio volle contrappore l’Uomo per eccellenza: Gesù, nato da una Donna sovrasublimata da Dio.
Il mariologo Roschini – che sa bene quello che dice – definisce Maria ‘Capolavoro di Dio’.
La mia ‘Luce’ precisa il concetto e la chiama ‘Capolavoro della Creazione’.
Quale è infatti l’immagine di Maria che esce dall’opera della nostra mistica?
Ve lo spiego a modo mio.
Gesù è Sapienza, e nel libro della Sapienza parla della Madre della Sapienza, cioè di Dio-Gesù.
Dio ‘pensò’ l’anima di Maria fin dal principio, prima ancora di porre mano alla creazione, perché il capolavoro della Creazione  sarebbe stato Maria.
La sua futura nascita, la creazione perfetta, avrebbe da sola giustificato la creazione dell’uomo, creato perfetto ma poi invece volontariamente decaduto.
L’amore di Maria verso Dio, la sua Purezza, l’aver creato Dio l’anima di Maria, un’anima che lo avrebbe amato come solo Lei avrebbe saputo fare, avrebbe poi giustificato da parte di Dio la decisione di non distruggere la razza umana, traditrice e ribelle, dopo il peccato originale.
Tutte le bellezze della natura e dell’universo sono state fatte per l’uomo, perché alla ‘felicità’ di Dio non era certo necessario l’universo, poiché Dio bastava a se stesso.
Nonostante il fatto che – dopo il peccato originale – la corruzione sia entrata nella natura e nell’uomo, che cominciò a conoscere la sofferenza e la morte, la vita merita sempre d’esser vissuta, e quindi l’aver concesso alla razza corrotta di perpetuarsi e di poter vedere le bellezze straordinarie della Natura è stato ancora un dono di Dio.
La Mente suprema ‘sapeva’, fin da prima della creazione, che l’uomo sarebbe stato ‘omicida’ della propria anima e ‘ladro’ dei doni spirituali ricevuti da Dio e allora – Buona all’estremo – pensò, da prima che la Colpa fosse, al mezzo per annullare la Colpa: il Verbo-Gesù e allo strumento per rendere il mezzo operante: Maria, la cui anima venne quindi vagheggiata in anticipo nel pensiero sublime del Padre.
L’uomo – corrotto nello spirito – sarebbe diventato ‘carne’, e per salvare la ‘carne’ il Verbo avrebbe dovuto farsi Carne. Il Verbo incarnato avrebbe dovuto sublimare la ‘carne’ umana per portarla in Cielo.
Ma, per essere Carne, Dio-Figlio aveva bisogno di una Madre che lo generasse secondo le leggi della carne. E per essere Dio aveva bisogno che il Padre fosse Dio.
Ecco dunque Dio – ab aeterno – concepirsi la Sposa che secondo la carne sarebbe stata Madre del Figlio.
La creazione dell’uomo, per come era stata concepita nella mente di Dio, avrebbe dovuto rappresentare la quintessenza della spiritualità e dell’amore.
La nostra mente si smarrirebbe se potesse pensare come sarebbe divenuta la specie dell’uomo se l’uomo non avesse cominciato invece a riprodursi secondo gli insegnamenti di Satana.
L’uomo perfetto si sarebbe riprodotto carnalmente, ma di un amore dal quale la sessualità come la intendiamo noi - e a maggior ragione la libidine - sarebbero state assenti.
Satana – per spregio a Dio che è Purezza assoluta – ha voluto degradare il concetto d’amore, portandolo ad un livello che – spiritualmente parlando – è sub-animale, perché l’animale copula ma lo fa ai soli fini del mantenimento della specie, per comando divino che così ha prescritto per la sua sopravvivenza.
Ma all’uomo e alla donna depravati da Satana – ecco la rivincita di Dio – Dio volle contrapporre l’Uomo per eccellenza: Gesù, nato da una Donna sovrasublimata da Dio, al punto che – grazie alla potenza di Dio – Ella avrebbe generato un Figlio senza alcuna cooperazione umana  ma per un atto di volontà divina che l’avrebbe decretato con un ‘Fiat’.
Prima che Satana diventasse il Ribelle e il Corruttore della razza umana, egli era già il Vinto, da Maria che avrebbe dato alla luce l’Uomo: il vertice della Perfezione.
Satana tolse però a Dio la gioia di esser Padre di tutti gli uomini, perché una parte di essi – nel proprio libero arbitrio – avrebbe preferito Satana come padre.
Senza la sessualità e la libidine destate da Satana, ma con un amore ordinato, sulla terra vi sarebbe stato equilibrio fra i sessi e le razze, atto ad evitare sovrappopolazione, guerre ed altre sventure famigliari.
Nell’amore coniugale anche la carne, proprio perché ‘carne’,  avrebbe svolto la sua parte, ma nell’ordine.
Sulla base del progetto di Satana i ‘figli di Dio’ avrebbero dovuto diventare tutti figli suoi, venendone preclusa - a causa del Peccato originale e dei peccati individuali successivi - la possibilità di un ritorno al Cielo che è Perfezione.
3.2 Dio volle un seno senza macchia.
Grazie a Maria che seppe mantenersi Pura in un mondo depravato dando vita di carne al Figlio di Dio, l’Umanità sarebbe stata invece riscattata e avrebbe conosciuto in quale modo – con un poco di buona volontà – avrebbe potuto ritrovare la strada del Cielo.
Se Satana aveva voluto vendicarsi di Dio - che l’aveva fatto cacciare dal Cielo - corrompendo la spiritualità dell’uomo perfetto, Dio si era però già preso in anticipo la sua rivincita su Satana pensando – ancor prima che Satana fosse Ribelle – di portare la perfezione della creazione di Maria ad una superperfezione, creando l’Uomo per eccellenza, neanche originato da un casto abbraccio ma da divino amplesso di pensiero.
Il Battesimo leva la Colpa, ma della Ferita rimane la cicatrice che lascia il segno: la debolezza dell’uomo, i fomiti, che lo spingerebbero continuamente verso l’errore, se Gesù non gli avesse messo a disposizione degli aiuti soprannaturali per aiutarlo nella sua battaglia.
Maria – nella quale invece la Colpa non è mai stata e nella quale soprattutto la Purezza si è sempre mantenuta - rappresenta dunque la Creazione Perfetta, il vero ‘Uomo’, razza della quale i primi due sono risultati in definitiva esser stati solo dei ‘prototipi’.
Maria fu dunque il ‘modello’, l’archetipo di tutte le creature, la creatura perfetta, degna di ospitare un Dio.
La Creazione fu fatta per Lei perché tutti gli uomini decaduti potessero trovare in Lei la Perfezione, perché da quella Perfezione sarebbe nato il Redentore, che avrebbe riscattato l’Umanità e dato vita – grazie al suo Sacrificio - al popolo  dei ‘figli di Dio’.
Eva era ‘perfetta’ ma Dio – che vive fuori del Tempo e quindi conosce in anticipo il nostro ‘futuro’ che ci scegliamo liberamente - sapeva che nella sua libertà Eva avrebbe deciso di sbagliare.
Dio – conoscendo dunque il ‘veleno’ che Satana avrebbe iniettato ad Eva e ad Adamo e, attraverso di essi, alla loro discendenza che avrebbe contratto per ‘contagio’ la stessa ‘malattia’ - preparò in anticipo l’antidoto, cioè Maria, pensandola fin dall’inizio ma inviandola sulla terra, anima nel seno di sua mamma Anna, quando fossero stati maturi i tempi per la Redenzione, affinché da questo Capolavoro potesse nascere il Dio-Redentore che insegnasse all’uomo che aveva dimenticato la sua origine spirituale quale fosse il percorso da compiere per tornare alla Salvezza.
Il primo volume de ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ dedica la prima quarantina di capitoli alla nascita di Maria, alla sua crescita, al suo matrimonio con Giuseppe, alla nascita di Gesù, alla fuga in Egitto dopo la strage degli innocenti ad opera di Erode il Grande a Betlemme, al ritorno della famiglia a Nazareth, fino al ritrovamento di Gesù dodicenne fra i dottori del Tempio.
Si tratta del periodo e dei fatti commentati nel mio primo volume della serie de “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni”.
Il primo volume dell’Opera della mistica si apre con la descrizione di una sua visione in cui lei vede Gioacchino ed Anna.
Ma prima della visione – a proposito di Maria SS. – il Gesù Valtortiano le parla e le dice di trascrivere un ‘Pensiero di Introduzione’ all’intera opera dei dieci volumi successivi:1
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Nascita e vita nascosta
di Maria e di Gesù.
l. Pensiero d'introduzione.
Dio volle un seno senza macchia.
Dio mi possedette all'inizio delle sue opere
Salomone, Proverbi cap. 8 v. 22.
22 agosto 1944.
Gesù mi ordina: « Prendi un quaderno tutto nuovo. Copia sul primo foglio il dettato del giorno 16 agosto. In questo libro si parlerà di Lei ».
Ubbidisco e copio.
16 agosto 1944.
Dice Gesù:
« Oggi scrivi questo solo. La purezza ha un valore tale che un seno di creatura poté contenere l'Incontenibile, perché possedeva la massima purezza che potesse avere una creatura di Dio.
La Ss. Trinità scese con le sue perfezioni, abitò con le sue Tre Persone, chiuse il suo Infinito in piccolo spazio - né si diminuì per questo, perché l'amore della Vergine e il volere di Dio dilatarono questo spazio sino a renderlo un Cielo - si manifestò con le sue caratteristiche:
il Padre, essendo Creatore nuovamente della Creatura come al sesto giorno ed avendo una " figlia " vera, degna, a sua perfetta somiglianza. L'impronta di Dio era stampata in Maria così netta che solo nel Primogenito del Padre le era superiore. Maria può essere chiamata la " secondogenita " del Padre perché, per perfezione data e saputa conservare, e per dignità di Sposa e Madre di Dio e di Regina del Cielo, viene seconda dopo il Figlio del Padre e seconda nel suo eterno Pensiero, che ab aeterno in Lei si compiacque;
il Figlio, essendo anche per Lei " il Figlio " e insegnandole, per mistero di grazia, la sua verità e sapienza quando ancora non era che un Germe che le cresceva in seno;
lo Spirito Santo, apparendo fra gli uomini per una anticipata Pentecoste, per una prolungata Pentecoste, Amore in " Colei che amò ", Consolazione agli uomini per il frutto del suo seno, Santificazione per la maternità del Santo.
Dio, per manifestarsi agli uomini nella forma nuova e completa che inizia l’era della Redenzione, non scelse a suo trono un astro del cielo, non la reggia di un potente. Non volle neppure le ali degli angeli per base al suo piede. Volle un seno senza macchia.
Anche Eva era stata creata senza macchia. Ma spontaneamente volle corrompersi.
Maria, vissuta in un mondo corrotto - Eva era invece in un mondo puro - non volle ledere il suo candore neppure con un pensiero volto al peccato. Conobbe che il peccato esiste. Ne vide i volti diversi e orribili. Tutti li vide. Anche il più orrendo: il deicidio. Ma li conobbe per espiarli e per essere, in eterno, Colei che ha pietà dei peccatori e prega per la loro redenzione.
Questo pensiero sarà introduzione ad altre sante cose che darò per conforto tuo e di molti ».

3.3 Una famiglia di santi.
Anna, la futura mamma di Maria, era della stirpe di Aronne, mostrava una età fra i cinquanta e i cinquantacinque anni, non vecchia dunque ma comunque in una età dove solitamente non si hanno più figli.
Capelli un poco grigi, bella, occhi neri profondi, sguardo dolce, un poco mesto, colorito del volto leggermente bruno, bocca ben disegnata, espressione austera, naso leggermente aquilino ma che si intonava bene al resto del viso, ben proporzionata ed alta.
Insomma una ‘bella donna’, nonostante l’età.
Ma era anche una ‘santa donna’, perché lei ed il marito erano quelli che una volta si chiamavano ‘giusti’, persone che fanno cioè della loro vita una missione di lode al Signore.
Era moglie di Gioacchino, della stirpe di Davide.
Questi era più anziano, leggermente più basso di Anna, capelli bianchi e folti, colorito chiaro del viso, barba squadrata, occhi azzurri, ciglia castane, quasi bionde.
L’essere rimasti senza prole era sempre stato il loro cruccio ed un giorno decisero di andare a Gerusalemme per la Festa dei Tabernacoli e – al Tempio - fare voto al Signore che se Egli avesse fatto loro la grazia di concedergli un figlio  essi glielo avrebbero offerto e consacrato.
E l’anno dopo arrivò il figlio, anzi la figlia.
I due mantennero la parola e fin da quando Maria ebbe pochi anni, cioè in tenerissima infanzia, se ne privarono e la portarono a Gerusalemme e – forse attraverso i buoni uffizi di Zaccaria, sacerdote – la fecero accogliere al Tempio dove venne allevata fra le ‘vergini’.
Maria crebbe nel Tempio, che potremmo immaginare avesse come propaggine una sorta di convento odierno, venendo istruita nella conoscenza della Sacre Scritture che dunque lei imparò a menadito.
Era seguita in particolare da una specie di suora – Anna, figlia di Fanuel – quella che Luca nel suo Vangelo indica come la profetessa che nel momento della Presentazione di Gesù al Tempio arrivò insieme a Simeone, mettendosi poi entrambi a profetare sul futuro messianico del piccolo infante.
Per ritornare però a Maria, Gioacchino ed Anna morirono quando lei era ancora in giovanissima età.
Lei rimase dunque al Tempio fino ai quindici anni circa, seguita dalle cure e dalle visite soventi di Zaccaria e di sua moglie Elisabetta, cugina di Maria SS. per parte materna.
Elisabetta e Zaccaria – anch’essi in tarda età – daranno alla luce Giovanni Battista che, concepito col Peccato d’origine, ne fu liberato prima della nascita da Dio al momento della visita di Maria ad Elisabetta, come racconta il Vangelo.
Egli riceverà la ‘missione’ di ‘Precursore’, il Banditore del futuro Messia, preannunciandone la imminente venuta ed invitando i cuori alla conversione ed alla penitenza.
Dio aveva quindi scelto due famiglie di ‘giusti’, per di più parenti, legandoli insieme nello stesso progetto di Redenzione.
Quando parliamo di Dio e delle cose di Dio, non dobbiamo mai dimenticare che Egli può parlare alle nostre menti, farsi presente nel nostri pensieri, anche senza che nemmeno ce ne accorgiamo.
3.4 Le ‘missioni’ che Dio affida alle anime…
Nel creare le anime che infonde negli embrioni umani quando vengono concepiti dai genitori, Dio le crea individualmente una per una affidando ad ognuna una sua missione.
Uno può nascere con la vocazione al sacerdozio o ad un qualsiasi altro ruolo all’interno della società, che – tutt’altro che santa – può diventare mezzo della nostra santificazione e della santificazione degli altri.
Dio non ci ‘obbliga’ ad una missione specifica di attività umana, ad esempio una professione, ma quella che noi scegliamo – anche se non è quella che magari lui avrebbe ritenuto la più adatta – Egli vorrebbe che la svolgessimo al meglio.
Missione di madre e padre, cioè ‘vocazione al matrimonio’ e missione della famiglia? Sì, ma essere ‘buoni’ padri e madri, cioè genitori che non solo si occupano della salute fisica e del benessere dei loro figli, ma impartiscano a loro quegli insegnamenti morali e spirituali che permettano loro di ‘crescere’ come ‘figli di Dio’, destinati al Paradiso, e creare a loro volta una famiglia analoga alla loro quando sarà il momento.
Medico? Certo, ma ‘buon medico’, coscienzioso, preparato, perché dovrà tutelare la salute e la vita degli altri.
Insegnante? Sì, ma ‘buon insegnante’, perché non tanto o solo dalle ‘nozioni’ ma dai principi educativi ed etici che egli avrà saputo istillare dipenderà il futuro dello scolaro, dello studente.
Imprenditore? Sì, ma ‘buon imprenditore’ consapevole che dal suo impegno ed avvedutezza dipenderà l’avvenire di tante famiglie che saranno legate alla sua azienda.
Lavoratore? Sì, ma ‘buon lavoratore’, perché dal suo lavoro dipenderà il buon andamento dell’azienda del suo ‘padrone’ ma anche la sicurezza economica della sua famiglia.
Dio ci lascia liberi, ma vuole che quello che facciamo lo facciamo bene, soprattutto dal punto di vista spirituale.
Le anime sono tutte eguali, ma le missioni sono diverse, ed insieme alla missione Dio infonde all’anima anche i ‘doni’, cioè le caratteristiche, che aiuteranno l’anima a compierla.
L’anima – che ha intravisto, fuori dal nostro Tempo, la Verità nell’Eternità di Dio nell’attimo folgorante della propria creazione – una volta ‘incarnata’, ne rimarrà subito dopo ‘smemorata’, pur continuando a mantenere nel proprio ‘subconscio’ una sorta di ‘istinto’ o ricordo confuso su ciò che dovrebbe poi fare nella vita.
Perché confuso? Perché la ‘carne’ è viziata dal Peccato d’origine e fa velo alla Verità precedentemente intravista dall’anima spirituale e perché Dio vuole che l’uomo sia assolutamente libero di seguire o non seguire il percorso che Egli gli  ha pur ‘suggerito’.
Dio non ci predestina ad una missione, ce la propone solamente, ma se noi poi decideremo di seguirne un’altra a Dio andrà bene comunque, purché la strada prescelta sia sempre una via di giustizia.
Maria SS. però – per le ragioni già spiegate – era stata preservata dalla Macchia d’origine e aveva dunque la pienezza dei doni dello Spirito Santo.
I testi di teologia insegnano che bisogna distinguere fra peccato originante e peccato originale.
Il primo fu quello personale commesso dai due Progenitori, primi responsabili di tutti i mali della famiglia umana, il secondo consiste nella sua conseguenza, cioè nella privazione della giustizia originale (e conseguente perdita dei doni di integrità) trasmessa per generazione a tutti i membri della famiglia umana.
La ‘macchia’ del ‘Peccato originale’ – con le sue conseguenze che derivano dalla perdita dei doni di integrità - si trasmette quindi dai genitori ai figli attraverso la procreazione carnale.
L’anima – nell’istante creativo e prima dell’infusione nell’embrione – è tuttavia creata da Dio ‘pura’ per tutti gli uomini.
Cerco ora di rendervi l’idea meglio che posso con un esempio, per farvi capire un concetto difficile.
L’uomo – come dice San Paolo in una delle sue lettere - è un animale composto da spirito, anima e corpo.
L’anima è una sorta di principio vitale intelligente che caratterizza – sia pur con differenze sostanziali diverse – gli animali in genere.
L’anima-animale muore con il corpo dell’uomo.
Lo spirito, o anima-spirituale, è invece quello infuso da Dio nell’embrione umano al momento del concepimento ed è eterno, nel senso che – dal momento in cui viene creato – diviene immortale.
Con il concepimento, l’embrione che si forma ‘eredita’ dai propri genitori un’anima animale marchiata dal Peccato originale commesso dai primi Progenitori, o meglio dalle sue conseguenze.
E’ come se l’embrione – per il solo fatto di essere concepito – rimanesse  in qualche modo ‘contagiato’ attraverso la procreazione carnale e l’anima- spirituale, pur creata pura in origine, dovesse poi contrarre anch’essa la ‘malattia’ una volta infusa da Dio nell’embrione.
L’anima-spirituale di Maria – creata dunque immacolata, come tutte le anime - venne invece preservata tale anche dopo l’incarnazione nell’embrione e ‘ricordava’ quindi la sua ‘missione’ in maniera straordinaria.
3.5 Un voto di castità da rispettare, anzi due.
Maria aveva dunque Dio in sé nella sua pienezza e, anche da bambina, guidata dallo Spirito, poteva esprimere pensieri sublimi, inimmaginabili per una bimba di quell’età tanto da sembrare geniale o…ispirata.
Abbiamo un esempio di questa capacità di Maria in un episodio che succederà qualche anno dopo.
Ne avevo già parlato, in un mio libro precedente di cui vi trascrivo un brano:2
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5.1 Un ‘Giudizio di Dio’…, senza arrostirsi i piedi sui carboni ardenti
Nelle ultime righe del capitolo precedente avevo accennato al fatto che Giuseppe era un ‘nazareo’, non solo un nazareno, cioè nativo di Nazareth, ma proprio un ‘nazareo’, cioè – per spiegarmi meglio – un ‘laico’ che aveva fatto una scelta di vita in qualche modo ‘religiosa’ e che aveva fatto per conto suo – già prima di conoscere Maria – un voto di castità.
Il Signore che tutto vede e prevede e - quindi tutto sa - aveva avuto buon fiuto ad affidare a lui la giovane Maria la quale – consacrata a Dio fin dalla nascita dai genitori anziani, per riconoscenza del dono avuto in così tarda età – viveva nel Tempio, in una specie di collegio femminile. Mi seguite?
Maria fin da piccolissima aveva consacrato la propria verginità a Dio, rinunciando – come fanno tante suore anche oggi – al diritto sacrosanto ad una famiglia e a tanti bei pargoli da allevare.
Giuseppe, da parte sua, da buon nazareo e Israelita praticante, partiva da Nazareth ogni anno per una visitina al Tempio, specie nell’epoca della Pasqua, finché un giorno – ad uno come lui che si era votato alla castità – non capita l’imprevisto più imprevedibile. Ora ve lo racconto.
Giuseppe - come lo descrive in visione la Valtorta  - era un bell’uomo sui trent’anni, mentre Maria ne mostrava una quindicina.
Egli aveva capelli corti,  piuttosto ricci, di un castano morato come la barba e i baffi che ombreggiavano un bel mento e salivano verso le gote brune rosse, non olivastre come in certi bruni. Aveva occhi scuri, buoni e profondi, molto seri, quasi un poco tristi. Ma quando egli sorrideva diventavano lieti e giovanili.
Un giorno - al Tempio, appunto - il Sommo Sacerdote convoca Maria che – come abbiamo già detto – vi era entrata, nelle visioni della Valtorta, all’età di tre anni, consacrata al Signore come Vergine del Tempio dai genitori Gioacchino e Anna.
Qualche anno dopo  – già piuttosto vecchi – i genitori erano morti lasciandola sola, anche se seguita dalle cure di Zaccaria, sacerdote al Tempio e marito di Elisabetta.
Maria giovinetta - crescendo piena di Grazia anche se non ancora pienamente cosciente del destino che le era riservato – concepiva la sua offerta di verginità come un sacrificio, anzi un’offerta, che lei faceva volentieri al suo Dio.
Quale non è per lei lo ‘shock’ nel sentirsi dire dal Sommo Sacerdote, alla presenza di Zaccaria, che ormai non è più una fanciulla, anzi è una donna,  anche di stirpe regale perché discendeva da Davide e Aronne, e le ricorda come – in base alla legge di Israele - ogni donna avrebbe dovuto farsi sposa per portare il suo maschio al Signore.
Maria arrossisce, e il Sacerdote – forse fraintendendo – la invita a non temere perché egli aveva ben presente la Legge che prescriveva che a ogni uomo fosse data una donna della sua stirpe, per cui lei non avrebbe ‘disperso’ la sua ‘regalità’ corrompendo il suo ‘sangue’.
Il Sommo Sacerdote chiede a Maria – nei cui occhi brillano e sgorgano lacrime che scendono sulla bocca tremante – se lei conosce qualcuno, intendendo dire ‘qualcuno’ che fosse evidentemente già di suo gradimento.
Risponde per lei Zaccaria, ricordando al Sacerdote che la giovinetta era entrata al Tempio nella puerizia e che la stirpe di Davide era stata troppo percossa e dispersa per permettere di riunirne ora i diversi rami.
Il Sacerdote decide allora di affidare a Dio la scelta dello sposo.
Anna di Fanuel, la famosa Anna profetessa che avrebbe profetato un annetto dopo insieme a Simeone al momento della Presentazione di Gesù Bambino al Tempio, si intenerisce vedendo le lacrime di Maria e ricorda al Sacerdote che la piccola era stata offerta al Tempio ed era cresciuta promettendosi al Signore per la sua gloria e per la grandezza di Israele (che per inciso si sarebbe realizzata quando Dio finalmente avesse mandato il suo Messia che tutta Israele attendeva), e quindi ella si sentiva legata ad un voto.
Il Sommo sacerdote guarda allora la giovane con maggiore attenzione, si sovviene di quando era entrata al Tempio una dozzina d’anni prima e – meravigliato – le chiede come poteva, così piccina allora, essersi già consacrata e votata a Dio.
E Maria – con lo Spirito che soffiava dolcemente in Lei - così risponde:
« Se guardo indietro io mi ritrovo vergine... Non mi ricordo dell'ora in cui nacqui, né come cominciai ad amare la madre mia e a dire al padre: " O padre, io son la tua figlia "... Ma ricordo, né so quando ebbe inizio, d'aver dato a Dio il mio cuore.  
Forse lo fu col primo bacio che seppi dare, con la prima parola che seppi pronunciare, col primo passo che seppi fare...
Sì, ecco. lo credo che il primo ricordo d'amore io lo trovo col mio primo passo sicuro...
La mia casa... la mia casa aveva un giardino pieno di fiori... aveva un frutteto e dei campi... e una sorgente era là, in fondo, sottomonte, e sgorgava da una roccia incavata che faceva grotta... era piena di erbe lunghe e sottili, che piovevano come cascatelle verdi da ogni dove e pareva piangessero, perché le fogliettine leggere, le fronde che parevano un ricamo, avevano tutte una gocciolina d'acqua che cadendo suonava come un campanellino piccino piccino.  E anche la sorgente cantava.  E vi erano uccelli sugli ulivi e i meli che erano sulla costa sopra la sorgente, e colombe bianche venivano a lavarsi nello specchio limpido della fontana...
Non mi ricordavo più tutto questo, perché avevo messo tutto il mio cuore in Dio e, fuorché il padre e la madre, amati in vita e in morte, ogni altra cosa della terra si era dileguata dal mio cuore...
Ma tu mi vi fai pensare, Sacerdote... Devo cercare quando mi detti a Dio... e le cose dei primi anni tornano...
lo amavo quella grotta, perché più dolce del canto dell'acqua e degli uccelli vi udivo una Voce che mi diceva: " Vieni, mia diletta ". Io amavo quelle erbe diamantate di gocce sonore, perché in esse vedevo il segno del mio Signore e mi perdevo a dirmi: " Vedi come è grande il tuo Dio, anima mia?  Colui che ha fatto i cedri del Libano per l'aquilone, ha fatto queste fogliette che piegano sotto il peso di un moscerino per la gioia del tuo occhio e per riparo al tuo piccolo piede ". Io amavo quel silenzio di cose pure: il vento lieve, l'acqua d'argento, la mondezza delle colombe... amavo quella pace che vegliava sulla grotticella, piovendo dai meli e dagli ulivi, ora tutti in fiore, ed ora tutti preziosi di frutti...
E non so... mi pareva che la Voce dicesse, a me, proprio a me: " Vieni, tu, uliva speciosa; vieni, tu, dolce pomo; vieni, tu, fonte sigillata; vieni, tu, colomba mia "...
Dolce l'amore del padre e della madre... dolce la loro voce che mi chiamava... ma questa! questa!  Oh! nel terrestre Paradiso penso che così l'udisse colei che fu colpevole, né so come poté preferire un sibilo a questa Voce d'amore, come poté appetire ad altra conoscenza che non fosse Iddio...
Con le labbra che ancora sapevan di materno latte, ma col cuore ebbro del celeste miele, io ho detto allora: " Ecco, io vengo.  Tua.  Né altro signore avrà la mia carne fuor di Te, Signore, come altro amore non ha il mio spirito "...
E nel dirlo mi pareva di ridire cose già dette e compire un rito già compiuto, né estraneo m'era lo Sposo prescelto, perché io ne conoscevo già l'ardore, e la mia vista si era formata alla sua luce e la mia capacità d'amare s'era compiuta fra le sue braccia.  
Quando?... Non so.  Oltre la vita, direi, perché sento di averlo sempre avuto, e che Egli mi ha sempre avuta, e che io sono poiché Egli mi ha voluta per la gioia del suo Spirito e del mio...
Ora ubbidisco, Sacerdote.  Ma dimmi tu come io devo agire... Non ho padre e madre.  Sii tu la mia guida ».
E il Sommo Sacerdote:
« Dio ti darà lo sposo, e santo sarà poiché a Dio ti affidi. Tu gli dirai il tuo voto».
E Maria:
« E accetterà? ».
E il Sacerdote:
« Lo spero.  Prega, o figlia, che egli possa capire il tuo cuore. Vai, ora.  Dio ti accompagni sempre ».
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E Dio l’accompagnò, perché il successivo incontro con Giuseppe fu ‘segnato’ da un evento poco comune.
La Valtorta – in una ulteriore visione del 4 settembre 1944 - vedeva infatti una bellissima sala del Tempio, e in essa vari sacerdoti, fra i quali Zaccaria, e molti uomini di ogni età dai venti ai cinquant’anni: povera Maria!
Sono tutti vestiti a festa e un poco in ansia. In un angolo c’è il Giuseppe che vi ho già descritto fisicamente prima, in un abito marrone chiaro, molto semplice ma molto ordinato.
Si capisce che è una cerimonia importante: la scelta di uno sposo.
Da una porta entra un levita con fra le braccia un fascio di rami tutti secchi, sui quali ve ne è però uno fiorito. Il fascio viene delicatamente posato su un tavolo per non rovinare quell’unico rametto di fiori delicati.
Brusìo, colli allungati per vedere e capire quel che si sente dire dai sacerdoti.
Anche Giuseppe guarda e - quando il suo vicino gli spiega qualcosa - Giuseppe   con la testa fa un cenno come per dire: ‘impossibile!’
Squillo di tromba, silenzio assoluto, entra il Sommo Sacerdote, discorso:
« Uomini della stirpe di Davide, qui convenuti per mio bando, udite.  Il Signore ha parlato, sia lode a Lui!  Dalla sua Gloria un raggio è sceso e, come sole di primavera, ha dato vita ad un ramo secco, e questo ha fiorito miracolosamente mentre nessun ramo della terra è in fiore oggi, ultimo giorno dell'Encenie, mentre ancor non è sciolta la neve caduta sulle alture di Giuda ed è l'unico candore che sia fra Sion e Betania.  Dio ha parlato facendosi padre e tutore della Vergine di Davide, che non ha altro che Lui a sua tutela.  Santa fanciulla, gloria del Tempio e della stirpe, ha meritato la parola di Dio per conoscere il nome dello sposo gradito all'Eterno.  
Ben giusto deve essere costui per esser l'eletto del Signore a tutela della Vergine a Lui cara!  
Per questo il nostro dolore di perderla si placa, e cessa ogni preoccupazione sul suo destino di sposa.  E all'indicato da Dio affidiamo con ogni sicurezza la Vergine, sulla quale è la benedizione di Dio e la nostra.  
Il nome dello sposo è Giuseppe di Giacobbe betlemita, della tribù di Davide, legnaiolo a Nazareth di Galilea.  Giuseppe, vieni avanti.  Il Sommo Sacerdote te lo ordina ».
Si è trattato insomma di qualcosa di analogo, concettualmente, a quello che – presso alcune tribù primitive di certi paesi – è  chiamato come ‘il Giudizio di Dio’: se uno riesce a superare una certa prova, ad esempio camminare scalzo senza arrostirsi i piedi su dei carboni ardenti, vuol dire che è nel vero e Dio è con lui. Se non ci riesce…peggio per lui, non tanto per i piedi abbrustoliti quanto perché potrà magari essere condannato a morte.
In questo caso la ‘prova’ era meno truculenta, anzi direi proprio ‘poetica’, con quel ramoscello fiorito, come si conviene alle prove di Dio.
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Volete voi sapere come è finito quell’incontro fra Giuseppe e Maria?
I due vengono lasciati soli in una stanza.
Giuseppe era annichilito perché da buon ‘nazareo’ aveva fatto voto di castità e tutto si sarebbe immaginato fuorché doversi sposare.
Non si poteva però – in Israele – disubbidire al Gran Sacerdote, come non avrebbe potuto disubbidire Maria quando questi le aveva detto che ‘doveva’ sposarsi.
Ecco dunque cosa le dice Giuseppe, e quanto gli risponde Maria, così come la nostra mistica vede sempre in visione:
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« Ti saluto, Maria.  Ti ho vista bambina di pochi giorni... Ero amico del padre tuo ed ho un nipote di mio fratello Alfeo che era tanto amico di tua madre.  Il suo piccolo amico, perché ora non ha che diciott'anni, e quando tu non eri ancor nata egli era un affatto piccolo uomo, e pure rallegrava le tristezze della madre tua che l'amava tanto.  Tu non ci conosci, perché sei venuta qui piccina.  Ma a Nazareth tutti ti vogliono bene, e pensano e parlano della piccola Maria di Gioacchino, la cui nascita fu un miracolo del Signore che fece rifiorire la sterile... Ed io ricordo la sera in cui sei nata... Tutti la ricordiamo per il prodigio di una grande pioggia che salvò la campagna, e di un violento temporale nel quale i fulmini non schiantarono neppure uno stelo d'erica selvaggia, finito con un arcobaleno che più grande e vago mai più si vide.  E poi... chi non ricorda la gioia di Gioacchino?  Ti palleggiava mostrandoti ai vicini... Come tu fossi un fiore venuto dal Cielo, ti ammirava e voleva tutti ti ammirassero, felice e vecchio padre che morì parlando della sua Maria così bella e buona e dalle parole piene di grazia e sapere... Aveva ragione di ammirarti e di dire che non vi è una di te più bella!  E tua madre?  Empiva del suo canto l'angolo in cui era la tua casa, e pareva un'allodola a primavera mentre ti portava e dopo, quando ti aveva al seno. lo ti ho fatto la culla.  Una cullina tutta a intagli di rose, perché così la volle tua madre.  Forse vi è ancora nella chiusa dimora... Sono vecchio io, Maria.  Quando sei nata facevo i primi lavori.  Lavoravo già... Chi me lo avesse detto che io ti avrei avuta a sposa!  Forse sarebbero morti più lieti i tuoi, perché mi erano amici.  Ho seppellito il padre tuo piangendolo con cuor sincero, perché mi era maestro buono nella vita ».
Maria alza piano piano il viso, rinfrancandosi sempre più, sentendo che Giuseppe le parla così, e quando accenna alla culla sorride lievemente, e quando Giuseppe dice del padre gli tende una mano e dice: «Grazie, Giuseppe». Un grazie timido e soave.
Giuseppe prende fra le sue corte e forti mani di legnaiolo la manina di gelsomino, e la carezza con un affetto che vuole sempre più rassicurare.  Forse attende altre parole.  Ma Maria tace di nuovo.  Allora riprende lui: « La casa, tu lo sai, è intatta, meno che nella parte che fu abbattuta per ordine consolare, per fare del viottolo via ai carriaggi di Roma.  Ma la campagna, quella che t'è rimasta, perché tu sai... la malattia del padre ha consumato molto tuo avere, è un poco trascurata.  Sono oltre tre primavere che gli alberi e le viti non conoscono cesoia di ortolano, e la terra è incolta e dura.  Ma gli alberi che ti hanno visto piccina vi sono ancora e, se me lo permetti, io subito mi occuperò di loro ,.
« Grazie, Giuseppe.  Ma tu già lavori...».
« Lavorerò al tuo orto nelle prime e nelle ultime ore del giorno. Ora il tempo di luce si allunga sempre più.  Per la primavera voglio sia tutto in ordine per la tua gioia.  Guarda, questo è un ramo del mandorlo che sta contro casa.  Ho voluto cogliere questo... - si entra per ogni dove dalla siepe rovinata, ma ora la rifarò solida e forte - ho voluto cogliere questo pensando che, se io fossi stato il prescelto - non lo speravo perché sono nazareo e ho ubbidito perché ordine di Sacerdote, non per desiderio di nozze - pensando, dicevo, che tu avresti avuto gioia ad avere un fiore del tuo giardino.  Eccotelo, Maria.  Con esso ti dono il mio cuore, che come esso è fiorito sino ad ora solo per il Signore, ed ora fiorisce per te, sposa mia ».
Maria prende il ramo.  E' commossa e guarda Giuseppe con un viso sempre più sicuro e radioso.  Si sente sicura di lui.  Quando poi egli dice: « Sono nazareo », il suo volto si fa tutto luminoso, ed Ella si fa coraggio. « Io pure sono tutta di Dio, Giuseppe.  Non so se il Sommo Sacerdote te l'ha detto...»
« Mi ha detto solo che tu sei buona e pura, e che hai da dirmi un tuo voto, e d'esser buono con te.  Parla, Maria.  Il tuo Giuseppe vuole farti felice in ogni tuo desiderio.  Non t'amo con la carne.  Ti amo con lo spirito mio, santa fanciulla che Dio mi dona!  Vedi in me un padre e un fratello, oltre che uno sposo.  E come a padre confidati, come a fratello affidati ».
« Fin dall'infanzia mi son consacrata al Signore.  So che questo non si fa in Israele.  Ma io sentivo una Voce chiedermi la mia verginità in sacrificio d'amore per l'avvento del Messia.  Da tanto l'attende Israele!... Non è troppo rinunciare per questo alla gioia d'esser madre! ».
Giuseppe la guarda fissamente come volesse leggerle nel cuore, e poi prende le due manine, che ancora hanno fra le dita il ramoscello fiorito, e dice: « Ed io unirò il mio sacrificio al tuo, e ameremo tanto con la nostra castità l'Eterno che Egli darà più presto alla terra il Salvatore, permettendoci di vedere la sua Luce splendere nel mondo.  Vieni, Maria.  Andiamo davanti alla sua Casa e giuriamo di amarci come gli angeli fra loro.  Poi io andrò a Nazareth a preparare tutto per te, nella tua casa se ami andare in quella, altrove se vuoi altrove».
« Nella mia casa... Vi era una grotta là in fondo... Vi è ancora? ».
« Vi è, ma non è più tua... Ma te ne farò una ove starai fresca e quieta nelle ore più calde.  La farò quanto possibile uguale.  E, dimmi, chi vuoi con te? ».
« Nessuno.  Non ho paura.  La madre d'Alfeo, che sempre viene a trovarmi, mi farà compagnia un poco nel giorno, e la notte preferisco esser sola. Nulla mi può accadere di male ».
« E poi ora ci sono io... Quando devo venire a prenderti? ».
« Quando tu vuoi, Giuseppe ».
« Allora verrò non appena la casa è ordinata.  Non toccherò nulla.  Voglio tu trovi come tua madre ha lasciato.  Ma voglio sia piena di sole e ben monda, per accoglierti senza tristezza.  Vieni, Maria.  Andiamo a dire all'Altissimo che lo benediciamo ».
Non vedo altro…’ – conclude la sua visione Maria Valtorta – ‘ma mi resta in cuore il senso di sicurezza che prova Maria...’.
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Bene, avevo pensato fin dall’inizio di questo libro che prima di parlare di Maria ‘corredentrice’, avremmo dovuto imparare a conoscere meglio ‘Maria’, ed è quello che infatti abbiamo cominciato a fare.
Abbiamo parlato del concepimento e della nascita di Maria, del Peccato originale e del perché Maria ne era stata preservata nel concepimento, abbiamo parlato della sua infanzia e siamo già arrivati al suo matrimonio, o meglio alla sua ‘promessa di matrimonio’, poco più che quindicenne, età in cui le donne di Israele venivano allora considerate ‘da marito’.
Maria - senza Macchia – era dunque in Grazia ed amava pienamente con quella intelligenza superiore che solo la Grazia di Dio dà, quando è piena.
Cosa sarebbero stati gli uomini successivi se i Primi Due si fossero riprodotti nella Grazia?
Sarebbero stati una continua evoluzione – non discendente verso l’imperfetto, come succede ora – ma ascendente verso il perfetto.
‘Quelli sarebbero stati ‘superuomini – aveva spiegato una volta il Gesù valtortiano – non quelli a cui ‘pensate voi, che superdémoni sono. Satana – aveva aggiunto – sarebbe stato ‘atterrato’ tante migliaia di secoli avanti l’ora in cui lui e il suo male lo saranno…’.3
Cosa può aver voluto dire Gesù con questa sua frase misteriosa? Lo si capirà meglio da altre spiegazioni che verranno date nell’Opera della mistica.
Comunque, sviluppando il concetto, significa che così come nella riproduzione della razza umana ed in quella detta animale i caratteri dei due genitori – nel bene come nel male – si sommano nei figli, così avviene nel ‘corpo’ spirituale.
Se Adamo ed Eva si fossero dunque mantenuti in Grazia e perfetti, la loro Grazia e perfezione (essendo escluso ogni loro difetto morale e fisico) si sarebbe trovata moltiplicata nei figli, e nei figli dei figli, dando il via ad un processo ascensionale di ‘assimilazione’ a Dio.
Questo concetto sembrerebbe tuttavia apparentemente contraddire un altro concetto espresso – nella Presentazione di questo mio libro – dalla ‘Luce’ del mio Subconscio creativo.
In effetti, quando si parla di concetti che emergono dal Subconscio, bisogna stare attenti  a che essi non riflettano piuttosto dei vissuti interiori di cui l’io-conscio non è spesso nemmeno cosciente.
Le ‘voci’ che sorgono dal profondo del cuore possono essere talvolta male interpretate o mal tradotte ‘in chiaro’ dall’Io.
Ma in realtà la ‘Luce’ – correttamente ‘tradotta’ ed intesa come abbiamo già fatto con quelle parole del Gesù valtortiano – non contraddice il concetto di Gesù, ma piuttosto lo integra  e lo completa per rendere più comprensibile una cosa altrimenti assurda, e cioè come mai Dio che tutto prevede abbia permesso la tentazione di Satana ed il Peccato originale.
Mi spiego meglio.
La perfezione degli spiriti angelici – che sono ‘puri spiriti’, rispetto a Dio che è ‘purissimo Spirito’ – è superiore a quella dell’uomo, che è un semplice ‘spirito’ in carne umana.
E’ enorme il divario che separa noi dal più piccolo degli angeli.
Ciò non di meno una parte degli angeli peccò seguendo Lucifero, un angelo che forte della sua eccelsa perfezione nella scala angelica fu preso da un vapore di Superbia, finì per credersi pari a Dio e – nella sua libertà – finì per ribellarsi meritandosi così l’espulsione dai Cieli ed una condanna eterna.
Gli uomini – meno ‘perfetti’ degli Angeli e quindi di intelligenza inferiore – nel loro percorso evolutivo avrebbero finito anch’essi per credersi perfetti, anzi del tutto perfetti, simili a Dio, di più, loro stessi Déi.
Il Peccato d’origine e la perdita conseguente dei doni originari – situazione non voluta ma permessa da Dio che aveva dato alle sue creature sia angeliche che umane il prezioso dono della libertà che dava loro dignità – fu in questo senso provvidenziale.
Infatti la sopravvenuta limitatezza e miseria avrebbe impedito all’Umanità di cadere nel Peccato di Superbia di Lucifero e nella conseguente dannazione immediata.
La consapevolezza delle proprie miserie e limiti avrebbe favorito in molti l’umiltà, virtù che Dio considera essenziale, consentendo così a Dio di esercitare la sua Misericordia, promettendo agli uomini – nello stesso momento in cui li cacciava dall’Eden – che avrebbe mandato loro una Donna che con il suo ‘calcagno’ avrebbe schiacciato la testa al Serpente nemico: Maria con il suo Gesù, Verbo incarnato.
Dio – nella sua Onniscienza - aveva dunque previsto le future mosse di Satana nei confronti dei Primi Due e, come un perfetto giocatore di scacchi, aveva lasciato sia a Satana che all’uomo la loro libertà di azione – ma aveva anche predisposto in anticipo le proprie ‘contromosse’, dando alla fine ‘scaccomatto’ al Nemico suo e degli uomini, ai quali Dio aveva in animo di offrire la salvezza con la Redenzione.
Diceva infatti la ‘Luce’ della Presentazione: ‘Ecco spiegato in breve il 'Progetto creativo' di Dio. Non progetto sull'universo, fatto di materia, ma progetto sull’uomo, fatto di spirito, che in spirito Io voglio ritorni a Me.
In spirito dopo il primo giudizio, quello particolare, con la carne glorificata dopo quello ultimo: perché anche la carne gioisca e venga ricompensata nella sua nuova gloria, gloria di carne martirizzata (e perciò superiore alla gloria della carne di Adamo, che gloria non era perché 'donata' e quindi avuta senza merito) dalle sofferenze patite e superate nella vita terrena.
Perché la carne, corrotta dal Peccato d'origine, corrotta da Satana per farvi perdere la figliolanza di Dio, è stata da Me utilizzata per ridarvi - attraverso la sofferenza, e quindi con più merito - la figliolanza rubatavi, consentendovi di godere, nel Paradiso celeste, di una Gloria ancora maggiore: quella che spetta a quelli che sanno essere Martiri, martiri della vita, le cui sofferenze, le normali sofferenze, accettano e offrono, sull'Altare dell'Amore di Dio’.
                           
Dio – che è Dio di amore - elargisce alle sue creature doni immensi, ma – essendo anche Dio di Giustizia – esige che questi doni vengano meritati.
Dall’Opera valtortiana emerge che Egli sottopone dunque le sue creature alla Prova.
Fu così per gli angeli – ai quali nella notte dei tempi Dio fece balenare di fronte alla loro vista spirituale il suo Progetto creativo con il Verbo di Dio che si sarebbe incarnato in un uomo e che essi avrebbero dovuto adorare. Una parte di essi considerò però l’uomo un essere inferiore e si ribellò.
Ai primi due progenitori – esseri umani, sia pur perfetti in quanto tali e nella pienezza dei doni  – Dio propose la più semplice delle prove, quella della obbedienza, perché l’obbedienza è amore: limitarsi a non mangiare il frutto dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male.
Essi vi appetirono per poter essere come Dio, in potenza. Sbagliarono anche loro, ma – tentati da Lucifero, enormemente superiore in intelligenza e malizia – meritarono proprio per ciò le ‘attenuanti’ con la prospettiva di Redenzione.
Subì la Prova perfino Gesù Cristo, Verbo incarnato Figlio di Dio, perché Egli avrebbe dovuto ottenere e ‘meritarsi’ per gli uomini decaduti il grande dono inestimabile della Redenzione.
E la Prova fu superata dal novello Adamo.
Subì la Prova – come vedremo – la stessa Maria SS., che la superò divenendo appunto Corredentrice.
Il Dio di Libertà lasciò dunque Satana libero di tentare e l’uomo libero di sbagliare, perché in tal modo l’uomo redento – se avesse solo dimostrato un poco di buona volontà - avrebbe meritato la salvezza conquistandosi, grazie al ‘martirio’ delle sue passioni contrastate, anche una maggior ‘gloria’ in paradiso.
Satana aveva usato la libertà dell’uomo e le debolezze dovute alla sua caduta per perderlo, e Dio – che scrive dritto sulle righe storte – avrebbe utilizzato le stesse cose per salvarlo.

1  M.V.’L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. I, Cap. 1 – Centro Ed. Valtortiano
2  G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I, Cap. 5.1 – Ed. Segno, 2001
3  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. I, Cap. 4 – Centro Ed. Valtortiano
      
4. Tutta la sua vita fu un tribolo, ogni ora veniva vissuta nell’aspettativa del triste momento della perdita del Figlio suo…
4.1 La Colpa cancellata  fu dalla Madre mia. Il Frutto della Colpa: il Peccato, riscattato fu da Me.
Nell’accingermi a porre mano a questo lavoro mi sono proposto un ‘volumetto’, più che uno dei mie soliti volumi che, quanto a peso, potrebbero venire considerati ‘armi di offesa’.
A proposito di Maria SS., la Mistica per eccellenza, parto dal presupposto che il lettore ‘razionalista’ non sia in linea di massima interessato a sentirne parlare a meno che non si riesca a fargli capire qualcosa a cui egli sia ‘razionalmente’ interessato, e comunque sempre con una buona dose di misura.
Se dovessimo veramente raccontare e commentare la ‘Madonna’ come emerge e come la vediamo nelle visioni della Valtorta, non basterebbero alcune migliaia di pagine.
Mi limiterò dunque all’essenziale, e cioè allo stare strettamente al tema, che è quello del suo ruolo di ‘Corredentrice’.
Cosa vuol dire essere Corredentrice?
Chiediamolo al ‘mariologo’ Roschini che1, a proposito di questo titolo, scrive:
‘Questo glorioso titolo mariano s’incontra con una certa frequenza negli scritti della Valtorta. Oltre ad usare con frequenza il titolo di ‘Corredentrice’, la Valtorta ne dà anche il significato preciso. Dice: «divenne la Corredentrice e perciò riscattatrice della Terra».
La Corredenzione infatti è una cooperazione al riscatto della Terra (= del genere umano) dalla schiavitù del peccato e della morte (introdotta sulla terra dall’invidia del Diavolo), mediante il versamento di un prezzo (i meriti e le soddisfazioni del sacrificio di Cristo e di Maria).
Questa definizione del Roschini con quell’idea del riscatto, della schiavitù e del peccato mediante il versamento di un ‘prezzo’, mi fa  venire alla mente un certo discorso di riscatto e di cambiali in pagamento che mi aveva fatto una volta – non senza una certa ironia – la ‘Luce’ del mio ‘Subconscio creativo’.2
Stavo meditando come al solito uno scritto della nostra mistica.3
Quella volta non era Gesù ma la Madonna che parlava alla scrittrice e le spiegava che con il suo 'sì' - sì alla accettazione di un matrimonio casto con Giuseppe, sì alla solitudine di un matrimonio senza maternità, sì poi alla richiesta del Signore di divenire Madre, nonostante sapesse che avrebbe provocato dolore a Giuseppe (il quale non avrebbe in un primo tempo creduto ad una sua maternità 'spirituale'), sì alla maternità del Figlio di Dio pur sapendo, per 'prescienza', che sarebbe stato Figlio del Dolore - con il suo 'sì' a tutto, con la sua Ubbidienza a tutto, Maria spiega che lei annullò la disubbidienza di 'Eva prima', disubbidienza che fu 'Colpa' e dalla quale nacque il Peccato...
Io dunque leggevo e riflettevo.
Mi sembrava di capire - e mi pareva un po’ strano – che la Colpa non fosse stata 'lavata' dal Sangue del Cristo, come credevo, ma annullata dalla Ubbidienza di Maria, vera 'Eva', in quanto - così leggevo - il 'principio' della Colpa era stato nella disubbidienza al comando di Dio di 'non mangiare e toccare di quell'albero...'.
Ecco, credevo di aver capito, ma non ero sicuro di aver capito bene.
Ma allora  Cristo? Non era stato Lui a 'lavare' la Colpa? Non ci capivo più niente!
E allora…:
Luce:
Il frutto della Colpa!
Si dice, comunemente, che la mia Redenzione levò la Colpa, levò il frutto della Colpa, cioè il peccato, il Peccato.
Ma, come la Colpa nacque a seguito della Disobbedienza di Eva - e con la Colpa il Peccato primo, e quelli successivi - con l'Ubbidienza di Maria fu lavata e cancellata la Colpa prima, venendo - con la Redenzione  da me operata - riscattati i peccati dei primi due e di tutti i successivi affinché - con la buona volontà - potessero sperare di tornare al Padre senza rimanere, i migliori, nel Limbo.
Quindi la Colpa cancellata fu dalla Madre mia.
Il frutto della Colpa: il Peccato, riscattato fu da Me.
Questo devi capire. Questo devi capire per comprendere quanto sia stato grande il ruolo della vera Eva, la seconda, l'Ancella di Dio, quella che, non regina del Paradiso terrestre, non 'dominatrice' sulla Terra, aveva saputo, aveva voluto essere serva e dominata dall'Amore del suo Signore.
Mai abbastanza sarà compreso il ruolo della Madre mia, seconda - senza saperlo - dopo Dio.                               
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Avevo riletto ma non riuscivo a far quadrare i 'conti'.
Se dunque Maria aveva levato o lavato Lei la Colpa, e non Gesù - che invece  'riscattò' il frutto della Colpa, cioè il Peccato, con il suo incarnarsi per sacrificarsi - come è mai possibile che Lei avesse tolto la Colpa prima ancora che Lui si sacrificasse sulla Croce, 33 anni dopo?
I conti non tornavano perché sembrava che Lei avesse lavato la Colpa prima ancora che Lui avesse 'riscattato' il Peccato.
Mi sembrava un controsenso...Non riuscivo a mettere a fuoco con lucidità questo concetto…
Luce:
E' come se tu avessi avuto  un'ipoteca con il Signore...
Quando hai un'ipoteca devi:
. pagare, cioè riscattarla
. cancellarla dagli 'Atti'
Maria e Gesù 'operarono' insieme.
Maria cancellò 'in anticipo' quel che Gesù avrebbe 'riscattato', pagando di persona, 'dopo'.
Ma in realtà, nello stesso momento in cui Maria disse il grande 'Sì', il Figlio si incarnò. E cancellazione e riscatto furono contestuali  anche se il ... 'pagamento' fu 'cambializzato' nel tempo... 33 anni dopo.

Ecco qui un altro punto, importante sul quale riflettere.
Poco sopra la ‘Luce’ aveva precisato che “Maria e Gesù ‘operarono’ insieme” e ciò  conferma quanto dirà nel suo libro poco dopo Padre Roschini in merito al concetto di ‘Corredenzione’, e cioè che Maria fu ‘associata’, quale Corredentrice, a Cristo Redentore.
Anch’ella, come Cristo suo figlio, era stata chiamata da Dio ad una missione di redentrice, quindi…’corredentrice’.
‘Ella – aveva detto il Gesù del Vangelo valtortiano – è Salvatrice come Me’...
‘Voi – aveva detto ancora Gesù in un’altra opera della mistica, i ‘Quaderni 43’– mi avete avuto perché Maria ha accettato, trentatre anni prima di Me, di bere il calice dell’amarezza. Sull’orlo della coppa che ho bevuta fra sudori di sangue, ho trovato il sapore delle labbra di mia Madre, e l’amaro del suo pianto era fuso col fiele del mio sacrificio. E, credetelo, di farla soffrire, Lei che non meritava il dolore, è stata per Me la cosa più costosa…Ricordo la sua vita martirizzata di Corredentrice, senza la quale Io non sarei stato Uomo tra gli uomini e vostro Redentore eterno’.
Mi sembra che il concetto espresso dal Gesù dei ‘Quaderni’ sia chiaro, ma ora vi spiego come - nell’Opera della mistica - si debba stare attenti anche ai minimi particolari.
Gesù dice qui sopra che Maria bevve ‘il calice’ della amarezza, non che bevve ‘al calice’.
Bere ‘al calice’ significa sorseggiare, cioè fare un piccolo assaggio. Bere ‘il calice’ significa invece trangugiarsi tutto il fiele dell’amara Medicina.
Ecco di nuovo il concetto di essere ‘soci’ della missione, cioè ‘corredentori entrambi’.
Questa ‘finezza’ della differenza fra bere ‘il’ calice e bere ‘al’ calice me la aveva insegnata una volta il Gesù valtortiano che la mistica vedeva mentre Lui predicava 2000 anni fa.
Nel mio libro precedente ero arrivato al punto in cui – poco prima dell’entrata a Gerusalemme per l’ultima Pasqua di Passione – commentavo l’episodio (Mt 20, 20-25) in cui la madre di Giacomo e Giovanni si avvicina cammin facendo con i due figli a Gesù e – continuando a credere che Gesù, avrebbe fondato un Regno di questa terra, un Regno materiale, nonostante che Egli avesse più e più volte cercato di fare entrare nella testa degli apostoli che sarebbe stato il ‘Re dei re’ indicato dai Profeti, ma Re di un Regno tutto spirituale – gli chiede di far sedere i suoi figli uno alla destra e l’altro alla sinistra nel suo Regno.
Evidentemente anche allora la gente teneva alle ‘poltrone’, persino i due santi apostoli.
Gesù – dice il Vangelo di Matteo - rispose: « Non sapete quello che chiedete. Potete voi bere il calice che dovrò bere io?».
Gli risposero: « Lo possiamo ».
Disse loro: « Sì berrete il calice mio, però sedere alla mia destra o alla mia sinistra, non sta a me concederlo, ma è per quelli ai quali è stato preparato dal Padre mio ».
L’episodio ed il dialogo del Vangelo erano naturalmente raccontati in visione dalla mistica la quale, nel riportare fedelmente la risposta di Gesù alla loro richiesta, aveva invece scritto:
«Anche voi divenite dunque avidi e stolti? Ma non voi. E’ già il crepuscolo mefitico delle tenebre che avanza, e l’aria inquinata di Gerusalemme che si avvicina  e vi corrompe e accieca….Io vi dico che voi non sapete ciò che chiedete! Potete voi forse bere il calice che berrò Io?».
«Noi lo possiamo, Signore».
«Come potete dirlo se non avete ancora compreso di quale amaritudine  sarà il mio calice? Non sarà solamente l’amarezza che vi descrissi ieri, la mia di Uomo di tutti i dolori. Vi saranno torture che, anche se Io ve le descrivessi, voi non sareste in condizioni di capire…Eppure, sì, poiché – per quanto ancor come due bambini  che non conoscono il valore di ciò che chiedono – poiché voi siete due spiriti giusti e amanti di Me, voi certo berrete al mio calice. Però sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a Me di concedervelo. Essa è stata concessa a quelli ai quali è stato preparato dal Padre mio».
Al termine della visione e della sua trascrizione, Gesù  parla  alla sua Maria – che Egli chiama spesso affettuosamente e scherzosamente ‘piccolo Giovanni’, come il grande apostolo evangelista - e riferendosi alle parole da lei trascritte le dice:
« segna il punto: « ‘…voi certo berrete al mio calice’. Nelle traduzioni si legge: ‘il mio calice’. Ho detto ‘al mio’ , non ‘il mio’ . Nessun uomo avrebbe potuto bere il mio calice. Io solo, Redentore, l’ho dovuto bere tutto il mio calice. Ai miei discepoli, ai miei imitatori e amanti, certo è concesso bere a quel calice dove Io bevvi, per quella stilla, quel sorso, o quei sorsi, che la predilezione di Dio concede loro di bere. Ma mai nessuno lo berrà tutto il calice come Io lo bevvi. Dunque è giusto dire ‘al mio calice’ e non ‘il mio calice’».
Questo Gesù valtortiano mi sembra Uno che tenga molto alla precisione, anche nei minimi particolari, e ne fa fede questo chiarimento che dà al suo ‘strumento’ per farci comprendere una sfumatura importante.
Gesù dice che nessun uomo ma Lui solo, Redentore, avrebbe potuto bere ‘il’ calice.
Nessun uomo? Certo, ma Maria allora? Maria non era ‘un uomo’…, era una Donna!
In conclusione Gesù non ha qui detto che Maria aveva accettato di bere ‘al calice’ ma di bere ‘il calice’ della sua amarezza e che senza Maria Egli non sarebbe stato Redentore eterno.
E perché? Perché anche Lei - la Purissima, la Immacolata, il Capolavoro della Creazione, l’Archetipo, il Modello perfetto – è stata ‘Corredentrice’, insomma sua ‘socia’ al 50%, o meglio – se pensiamo che non sia giusto ‘dividere’ i meriti - ‘comproprietaria’ con Lui al 100%.

4.2 Una ‘lettera’ per la mia amica: ‘La vita di Maria è stata anch’essa una vita di tribolazione’.
In merito al calice dell’amarezza che anche Maria dovette interamente bere, ricordo un episodio di qualche tempo fa.
Una mia amica, in un momento di debolezza e di sconforto, mi aveva confessato pene e delusioni.
Mi aveva colpito il suo tormento interiore, un senso impalpabile – almeno in quel momento – di infelicità. Nella sua crisi esistenziale c’era però ancora il senso profondo di Dio al quale lei sembrava volersi aggrappare anche se diceva di esserne ‘indegna’.
Come non pensare a quell’episodio evangelico del fariseo tronfio e del pubblicano, il primo orgoglioso di essere ‘in regola’ con il Signore, perché rispettava tutti i precetti legali, il secondo che chiedeva invece perdono perché era un peccatore e si credeva indegno? Bene, per il Dio del Tempio di Solomone le parti erano invertite, l’indegno era il fariseo, ed il degno era il pubblicano, considerato da tutti peccatore ma che lui si considerava tale per primo.
La mia amica viveva dunque un senso profondo di abbandono da parte di Dio ed io mi ero sentito inadeguato a darle in quel particolare momento il conforto di cui lei avrebbe avuto bisogno.
Avrei voluto almeno scriverle dopo una lettera personale, ma con quali parole?
Fu in quel momento che, mentre guardavo assorto quel foglio bianco di carta sulla mia scrivania…:4
Luce:
Le puoi scrivere così:
La vita di Maria è stata anch'essa una vita di tribolazione.
Votata al Tempio, offerta dai genitori a Dio, visse nel Tempio finché, come narrano le visioni dei miei Santi ai quali Io mi rivelo, essa fu prescelta come sposa di Giuseppe.
Giuseppe era un casto, votato di suo alla castità, e trovò confacente alle sue intime aspirazioni il desiderio confessatogli subito da Maria di voler rimanere vergine. Ed accettò di prenderla in sposa mantenendo con lei la castità del matrimonio.
La castità del matrimonio che Io desidero dai figli miei, che votati non sono al Sacerdozio, è quella dei sentimenti, che devono essere puri, di donazione reciproca.
Serena fu la vita di Maria fino al momento del 'Sì', dato all'Angelo annunciatore. Ma da quel momento, da quando lo Spirito di Sapienza si fuse a Lei generando il Figlio, la Grazia, Ella fu ripiena di Sapienza, e 'seppe'.
Seppe di quale sorte doveva ‘morire’, seppe che avrebbe allevato un figlio che, come dicevano anche i profeti, sarebbe stato redentore morendo di morte atroce.
Tutta la sua vita fu un tribolo, ogni ora veniva vissuta nell'aspettativa del triste momento della perdita del Figlio suo.
Questo pensiero avvelenò ogni sua gioia.
La nascita nella povertà della grotta, la fuga, gli stenti, il ritorno a Nazareth, una vita modesta, vissuta dei proventi del lavoro santo del Falegname, la perdita del marito che, più che sposo, era padre e fratello, la perdita del sostegno, l'affanno di doversi preoccupare della vita umana di un Dio che aveva scelto la debolezza della natura umana per farsi Uomo-Dio, come tale vulnerabile alle insidie dell'uomo. E poi, premio finale del suo 'Sì', la Croce.
Vedere suo figlio in croce, le mani trafitte dal chiodo e dai colpi violenti, i piedi trafitti, appeso pendente alla Croce, come le ali larghe di una farfalla, di una meravigliosa farfalla piena dei colori di Dio e che morendo benedice.
E Maria era sotto quella croce, vedeva il Sangue di suo figlio, vedeva gli spasimi atroci dell'uomo che soffriva nella carne e che continuava ad amare gli uomini come solo un Dio può fare.
E, prossimo il momento dell'ultimo respiro, quando Maria poteva pensare che la sua Croce ormai era al termine, giunse l'affidamento di un'altra maternità, di un'altra croce, quella dell'Umanità che attraverso l'altro suo ‘figlio’, Giovanni, le veniva affidata.
E Maria SS., pur nella beatitudine dei Cieli, continua a soffrire anche adesso per te, per le tue pene, per le pene di tutti gli uomini.
Rivolgiti a Lei che è Madre delle pene, e vedrai che Lei te le laverà con il suo pianto e si trasformeranno in dolcezze.
Aggrappati alla tua croce, ogni uomo ha la sua, e una croce non è migliore dell'altra.
Aggrappati alla tua croce e caricatela sulle spalle salendo la salita del Calvario, sali guardando lassù Maria ai piedi della Croce santissima, sali guardando Lei, Maestra della Croce, ed abbi fiducia in Me, che continuo anch'io ad essere in Croce ma non faccio mancare i conforti a chi la croce l'accetta.
Ascolta, o anima, la mia parola. Abbandonati fiduciosa, non cercarti altre croci che Io non voglio per te.
Riposa serena nel mio amore e vedrai che la Misericordia del Padre ti soccorrerà e ti farà volare.
                                                     

1  G.M.Roschini: ‘La Madonna negli scritti di Maria Valtorta’, pag. 80 – Centro Ed. Valtortiano, 1986
2  G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 63 – Ed. Segno, 1997
3  Vol. I, Cap. 25 de ‘Il Poema dell’Uomo-Dio’ corrispondente all’attuale Cap 17 del Vol. I della nuova Edizione ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’, Centro Ed. Valtortiano
4  G.L. ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 72 – Ed. Segno, 1997

      
5. Ecco il ‘mistero glorioso’ più grande: quello del dolore.
5.1 Non capivo il legame fra Redenzione e Sofferenza, finché non capii quello fra Peccato ed Espiazione.
Una cosa - fra le tante - l’avrete certamente capita, e che cioè qui si parla sempre di dolore.
Quando muovevo i primi passi sulla strada delle mie letture valtortiane e, specie nei ‘Quaderni’ dove a parlare non è il Gesù evangelico di 2000 anni fa ma quello moderno che parla sovente con rimprovero all’uomo di oggi, colpevole di non avere corrisposto al suo Sacrificio di Redenzione, io rimanevo molto scosso dal rilievo che veniva dato al tema del dolore, dolore inteso come mezzo di espiazione.
All’inizio io faticavo a comprendere persino il perché della presenza stessa del dolore, o per lo meno a ritenerlo inconciliabile con la presenza di un Dio che mi era stato insegnato essere "buono".
Poi – sul perché del dolore – vi ho già detto che ho finito per scriverci sopra un libro, il secondo, con il quale giunsi finalmente a comprenderne le cause, tutte indipendenti dalla volontà di Dio, nel senso che il dolore è stato portato sulla terra dall’Odio di Satana e da allora è stato sempre egregiamente supportato dagli egoismi degli uomini, oltre che dalla natura umana ormai fisicamente decaduta che porta alle malattie ed alla morte.
Faticavo però a capire perché - per salvare gli uomini  - Dio avesse dovuto  incarnarsi e, come Uomo-Dio, soffrire.
Quella ‘croce’ mi faceva paura, mi faceva paura quel vivere il sentimento della sofferenza in forma masochistica.
Non capivo il legame fra Redenzione e Sofferenza, finché non capii quello fra Peccato ed Espiazione.
Il concetto potremmo riassumerlo così.
L’Uomo – con i Primi Due – aveva avuto doni immensi da Dio, e fra questi una intelligenza superiore, l’immortalità fisica, il diritto ad una vita prima nel Paradiso terrestre e poi ad una vita eterna nel Paradiso celeste, senza dimenticare la possibilità che aveva di intrecciare colloqui spirituali con Dio stesso, nei ‘silenzi della sera’, cioè nella pace dell’Anima.
L’uomo aveva però tradito Dio e ne aveva subito le conseguenze.
Ma se i Primi Due avevano mancato in un ramo dell’Amore, quello verso Dio, i successivi – a cominciare da Caino – mancarono anche nell’altro ramo, quello dell’amore verso il prossimo.
Da allora per l’uomo cominciò una discesa continua in cui le onde concentriche del Male si allargavano sempre di più sospinte da una Umanità sempre più corrotta.
Ci volle un diluvio, per distruggere e poter ricominciare.
L’Umanità era però ormai decaduta, le ferite del Peccato originale rimanevano, e dopo poco tempo – la storia è fatta di cicli e ricicli – l’uomo ricominciò a sbagliare.
L’uomo – con le sole proprie forze – non avrebbe mai più potuto ritornare, in spirito, nel Regno dei Cieli.
Con il passare dei secoli aveva persino perso la consapevolezza della propria origine spirituale.
Il Peccato, non tanto e non solo quello ‘originante’, come vi avevo spiegato, ma quello ‘originale’ dovuto alla conseguenze nei discendenti dell’errore personale dei primi due, pesava come un macigno ed impediva all’uomo di rialzarsi da terra e rivolgere lo sguardo al Cielo.
Ma se il Peccato è mancanza di amore e se in Cielo entrano solo quelli che imparano ad amare, come avrebbe mai potuto l’Umanità – fatta di uomini che vivevano e morivano: i cattivi all’Inferno e i relativamente buoni nel Limbo – aspirare un giorno a quel Regno dei Cieli che l’errore dei Progenitori aveva loro precluso?
Ci voleva un perdono!
Un perdono gratuito? Troppo ‘ingiusto’ per un Dio che è anche Giustizia.
Troppo comodo cavarsela anche con dei sacrifici animali, dove ad espiare sono quelle povere bestie che non hanno nessuna colpa.
Non parliamo neppure di ‘sacrifici umani’ che peraltro Dio non chiedeva come faceva invece il Dio ‘pagano’ – satanica ispirazione - di certe religioni barbare.
Ho un fratello che è sulla via della conversione, è un generoso, legge i miei libri, vorrebbe ‘fare’, ma poi – anche lui – è spaventato dall’ottica del ‘dolore’ anche se nessuno, come neppure a me, glielo ha chiesto.
I miei sono libri di commento e in qualche caso di sviluppo di concetti che emergono ‘in nuce’ dall’Opera della grande mistica.
Voi avrete notato come siano frequenti le mie ‘citazioni’, e ciò non perché mi ‘appoggi’ a lei – come mi rimprovera mio fratello – ma perché mi sembra essenziale che il pensiero perfetto del ‘suo’ Gesù venga riportato in misura fedele e completa.
Il mio ruolo è come quello dei ‘portatori d’acqua’ per i grandi campioni del ciclismo: io pedalo e porto la ‘borraccia’ e quando è il momento giusto il Campione – che è Gesù – parte allo sprint e…taglia Trionfatore il Traguardo.
È Lui che vince sempre, ed è giusto perché è Lui il Vero Campione, ma io sono contento lo stesso come se avessi vinto io, anche se ho solo portato una ‘borraccia’.
Ora mio fratello, che ha un sacro terrore della Valtorta e del suo misticismo, mi dice che i miei libri se li legge, rilegge e medita, ma solo fino al punto in cui spunta il brano della Valtorta, perché lì lui salta a quello successivo, ovviamente…mio.
Mi cascano le braccia perché mi sembra che lui si perda il meglio e renda persino vana la mia fatica di ‘borracciaro’.
Mi telefona spesso per dirmi che è d’accordo su certi brani, per chiedermi chiarimenti su altri, o per dirmi che non è d’accordo con ‘quella Valtorta là…’.
Anzi, quando qualche mio libro lo mette in crisi di coscienza mi chiede come mai – anziché scrivere sempre su queste cose della ‘Valtorta’, donna che infilo in tutte le salse per ogni dove – io non cambi genere letterario e scriva romanzi, gialli o quant’altro voglia, anche in tema di politica, visto che – secondo lui, che è mio fratello, è generoso e mi vuol bene – io scriverei magnificamente.
In questi momenti è inutile ragionare. Gli dico allora che va bene, che finirò per farlo, che me ne andrò in crociera da qualche parte a divertirmi senza pensare al ‘dolore’, che farò una accurata selezione dei migliori ristoranti della Guida Michelin, e lui allora non mi crede ma è lo stesso contento perché non si sa mai…
Devo solo aspettare che la ‘crisi’ gli passi, insieme ai suoi complessi inconsci di colpa che il Gesù della mistica Valtorta ha provocato a suo tempo a me prima ancora che a lui.
Ebbene fu mio fratello che una volta – sempre a proposito del ‘Dio buono’ di noi cristiani – mi chiese ‘Ma che Dio è mai quello che chiede ad un Abramo di accoltellare e sacrificare suo figlio Isacco? Un Moloc anche lui’?
È però una domanda che mi sono sentito fare in un altro paio di occasioni da altre persone e pertanto - prima che, parlando di ‘sacrifici’, ve la facciate ora anche voi - vi rispondo subito.
Si tratta di quella che viene chiamata ‘La Prova d’Abramo’, la ‘Prova’ di massima fedeltà e di amore che Dio può chiedere a qualcuno che è padre, o madre.
Dio non sottopone mai i suoi ‘figli’ a ‘prove’ che Egli sa che essi non sarebbero capaci di superare o che potrebbero indurli in disperazione al punto di perdersi.
Le prove a cui Dio ci pone di fronte non sono insuperabili come lo sono quelle opposteci da Satana al fine di farci cadere.
Gli ostacoli di Dio sono superabili, e se ogni volta Egli alza di più il segno dell’asticella è per abituarci a saltare sempre più in alto, anzi a farci volare.
Dio infatti – da fuori del Tempo - conosce in anticipo il futuro ed il nostro comportamento. Egli sa già in anticipo che noi saremo in grado di superare la prova, e ce ne renderà poi merito al centuplo dopo che avremo in tutta libertà superato il nostro test.
Talvolta poi non ci sottopone nemmeno alla attuazione completa di quanto richiestoci ‘per prova’, accontentandosi invece di vedere il nostro comportamento, cioè l’intenzione di volerla superare.
È ciò che successe con Abramo, al quale Dio fece  però fermare da un Angelo il braccio armato già teso sulla testa del figlio Isacco.
Prova superata, dunque, che meritò così ad Abramo la ‘discendenza innumerevole’ che il Padre gli aveva promesso non solo per il futuro popolo di Israele ma - Redentore e Redenzione  compresi - discendenza spirituale per tutta l’Umanità.
Isacco come Gesù, Abramo come Dio Padre.
Ma a parti invertite, perché Dio Padre – nel suo amore per l’uomo - non evitò la morte al Figlio, né evitò a Sé stesso la morte del Figlio.
E perché Gesù fin dall’inizio seppe che avrebbe dovuto morire effettivamente sulla Croce, come lo seppe sua Madre che lo vide morire sapendo per prescienza che nessuno avrebbe fermato la Mano del Padre.
Dio lasciò fare, affinché il dolore e quindi l’espiazione fossero più completi, perché in gioco c’era il destino di tutta l’Umanità.
Ritornando però al concetto iniziale, e cioé che per ottenere il perdono dell’Umanità era necessaria l’espiazione, in questo caso la Vittima offerta a Dio avrebbe dovuto essere adeguata al dono immenso che gli veniva chiesto in cambio.
Ma quale «vittima» avrebbe mai potuto compensare la mole tremenda di peccati atroci commessi dall’Umanità nel corso di millenni e millenni, passati e futuri? Il solito olocausto di animali? Un olocausto addirittura umano? No. Lo avrebbe potuto fare solo il Sacrificio di un Dio, il Verbo, che si facesse Uomo e – patendo oltre ogni misura fisica, morale e spirituale – offrisse al Padre la propria sofferenza e la propria vita in riscatto della Vita eterna in Paradiso restituita al resto dell’Umanità.
Come avrebbe potuto – l’Uomo-Dio - riparare una tale mancanza di amore degli altri uomini verso Dio?
Con altro atto di amore che – per essere divino, e cioè infinito – potesse controbilanciare le sterminate mancanze d’amore dell’Umanità.
Ma come si dimostra ‘amore’ se non accettando la sofferenza per amore?
Come si può espiare e riscattare se non soffrendo?
Ecco la Redenzione, ecco anche la Corredenzione.
Ero dunque immerso in questi lugubri pensieri un giorno in cui, leggendo l’Opera, avevo meditato anche su una serie di commenti nei ‘Quaderni’ in cui la Madonna aveva spiegato alla mistica il significato profondo dei vari misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi.1
Li avevo letti tutti, ma non riuscivo a trovare da nessuna parte il commento della Madonna al primo mistero glorioso, che parla della Resurrezione di Gesù: è quello che nel racconto delle visioni valtortiane mi entusiasma di più.
Questo deve essere lo spirito del ‘bambino’ che è sempre presente dentro di noi e che – come quando guardavamo certi film western all’americana di una volta – ci fa gridare: ‘”Arrivano i nostri…’!
Volevo dunque – dopo aver letto i misteri dolorosi – tirarmi un po’ su il morale e quindi avevo sfogliato e risfogliato a lungo le pagine, avanti e indietro, pensando che il brano di commento di Maria che non trovavo, relativo alla Resurrezione, dovesse magari essere in qualche altro punto dell’Opera, composta da vari libri.
Non riuscivo però a trovarne traccia, finché -  esausto di spaginare - non rinunciai.
E fu allora che mi arrivò dalla ‘Luce’ del mio ‘Subconscio creativo’ - ‘a tradimento’ - questo strano commento al ‘primo mistero glorioso’, ben diverso da quello che mi sarei aspettato:
Luce:
A commento del primo mistero glorioso.
Gesù è nato. È nella sua grotta al freddo e al gelo. Così narra la tradizione. Ma quanto soffrire, quante pene...
Niente fu quella sofferenza fisica calata su un infante che non poteva comprendere, con solo un impercettibile barlume di coscienza umana.
Le pene e le sofferenze sono venute dopo, man mano che egli, mio figlio, aumentava in scienza e sapienza, come dicono i miei "testimoni" nel loro "Vangelo".
Buona Novella. Certo. Ma mai "buona novella" doveva essere così male accolta. Con il freddo e il gelo ci fu pure l'amore dei pastori, degli umili...ma poi, ma poi quando dai Magi si seppe chi doveva essere nato..., quale tragedia !
Fu quella la prima persecuzione, la prima strage degli innocenti.
Perché il Male odia l'innocenza delle anime, simbolo dell'innocenza di Dio, e soprattutto del Figlio di Dio che aveva assunto umana carne.
E quanta sofferenza in questo annichilimento!
'Mistero doloroso' doveva essere, non fosse stato per l'amore di Dio che ha voluto trasformare il dolore in gloria.
Il resto della vita, prima di quella pubblica, non conta perché - a parte gli affanni della fuga, l'ansia del ritorno - fu solo vita di ristrettezze peraltro serena perché vissuta in Dio e con Dio fra noi.
Ma dopo ...nei tre anni e fino al patibolo... non gloria ma disamore!
Tutto della vita di mio Figlio è stato non all'insegna della gloria ma del dolore.
Nacque in una stalla, morì su un palo di croce: crocifisso come farfalla, con le sue ali aperte in segno di amore e di abbraccio filiale...
Ecco il mistero glorioso più grande: quello del dolore.
Dolore soltanto attraverso il quale - per amore - si poteva, Dio poteva, riscattare il genere umano.
Tu non sei anima vittima ma devi almeno capire la generosità delle altre anime che vittime si danno, mostrando un coraggio, anzi una abnegazione che tu umanamente non hai.
Così ti sentirai più sollevato pensando al fatto che il Signore, per la tua debolezza, non ti chiede di più.
Ma quello che devi fare, quello che "puoi" fare, fallo bene.
Anche questo, in un certo senso, è amore di vittima.
Non olocausto,  non "vittima", ma "amore" di vittima sì perché sempre chi ama Dio e obbedisce ai suoi comandi soffre su questa terra ed è vittima del mondo che non comprende e spesso odia.
Dolore e amore.
Questo è il "ritornello" che il Padre vuole che noi cantiamo con gioia, questa è la musica suonata dal Figlio mio, armonia celeste da troppi non compresa, questo è l'esempio che - con la sua nascita, la sua vita, la sua morte - egli, Fratello, ha voluto dare ai suoi Figli dei quali era contemporaneamente Padre.
Fratello, Figli, Padre: è l'altro triangolo dell'Amore Trinitario, dove Egli - Figlio del Padre, Padre del Figlio - è Fratello degli altri figli del Padre.
Questa è la ragione della comunione dei santi.
Questo è il circolo chiuso dell'Amore, "chiuso" perché nulla si crea e nulla si distrugge in eterno, in un principio che non ha fine con una fine che non ha principio.
Prova dunque a pensare al 'primo mistero glorioso' come al primo mistero doloroso sapendo che però è stato il primo mistero d'amore di mio figlio, che è vostro Fratello e Padre nell'unità con lo Spirito Santo, mio divinissimo Sposo.
5.2 C’era però stata una frase che mi aveva lasciato un dubbio, perché mi pareva una contraddizione…
Non so se lo avrete notato, ma qui la ‘Luce’ conclude accennando al ‘suo divinissimo Sposo’.
Avete capito chi è? L’avete dunque capita la ‘lezione’ e la garbata ma severa tirata d’orecchi che mi ha dato la nostra ‘Corredentrice’?
Ecco perché vi ho detto che con la Madonna ho un ‘rapporto’ difficile.
Lei non solo con lo Spirito Santo ma anche con il Dolore ci andava a nozze.
Rileggiamo ancora una volta…:
«Tu non sei anima vittima ma devi almeno capire la generosità delle altre anime che vittime si danno, mostrando un coraggio, anzi una abnegazione che tu umanamente non hai.
Così ti sentirai più sollevato pensando al fatto che il Signore, per la tua debolezza, non ti chiede di più.
Ma quello che devi fare, quello che "puoi" fare, fallo bene ».
Ecco perché io avevo paura del ‘dolore’. A forza di meditare sulla Valtorta, anima vittima, e a furia di leggere tutti quegli inviti ad offrire il dolore per salvare gli altri avevo finito per dirmi, inconsciamente: ‘Qui va a finire che prima o poi – questi - me lo chiedono anche a me! Alla larga!…’. Sta a vedere che ha ragione mio fratello… e che, quando anch’io arrivo al brano della Valtorta, o alla mia ‘Luce’, sarà meglio che lo salti anch’io…!’.
Vi ho detto all’inizio di questo libro che il ‘Subconscio’ è il nostro io interiore e di fronte a quello non c’è difesa: ti legge tutto dentro prima che il tuo ‘io esteriore’ se ne renda ancora conto.
Se ‘lui’ si accorge di qualcosa che non va, ‘tu’ sei fregato, e ti redarguisce.
Scartato fortunatamente il dolore perché a sentire il Gesù valtortiano pare che quello sia un dono di predilezione, un privilegio che il Padre concede solo agli eletti fra gli eletti, non mi rimaneva dunque che cercare di fare bene quello che posso fare.
A dire il vero non so se lo faccio bene, ma è per questo che sono sette anni che non faccio altro che scrivere libri nella speranza di migliorarmi un poco.
Il risultato non sarà pari alle aspettative, d’accordo, ma io ci metto almeno la ‘buona volontà’.
Non è una forma di ‘dolore’ anche questa, tutto sommato?
C’era stata però una frase che mi aveva lasciato un dubbio, perché mi pareva una contraddizione…ed aveva fatto subito scattare i miei meccanismi di sospetto, difesa e…prevenzione.
Il Gesù valtortiano, nel capitolo precedente, aveva detto che la vita di Maria era stata tutta una sofferenza.
La mia ‘Luce’, poco sopra, mi sembrava che invece ‘minimizzasse’ i dolori di Maria, perché diceva al contrario:
Il resto della vita, prima di quella pubblica, non conta perché - a parte gli affanni della fuga, l'ansia del ritorno - fu solo vita di ristrettezze peraltro serena perché vissuta in Dio e con Dio fra noi.
Allora la vita della famiglia di Nazareth e della Madonna in particolare, prima dei trent’anni di Gesù dopo i quali Egli iniziò la predicazione pubblica, fu una vita di tribolazioni o una vita serena?
La risposta la ebbi qualche tempo dopo, perché la mia ‘Luce’ – non di rado – lascia tempo al tempo, prima di rispondermi, perché magari aspetta il momento giusto.2
La Valtorta era solita meditare la 'Passione' di Gesù rileggendo la narrazione di visioni e dettati da lei precedentemente avuti.
La Madonna che le parla le dice però ad un certo punto che nel ripercorrere le varie 'tappe' della Passione fra il Venerdì e il Sabato santo vi è nei Vangeli una 'carenza' che Lei stessa le colma raccontandole la sua grandissima sofferenza dal momento in cui Gesù fu rinchiuso nel sepolcro - lui dentro e lei fuori aggrappata al pietrone di chiusura - e quindi via-via fino al suo ritorno alla casa del Cenacolo. 3
È questo il racconto straziante di una madre che rivive, con grande acutezza di introspezione psicologica, il dolore provato per la morte del figlio.
Maria SS. invita dunque la mistica a fare tutti i sabati - quando 'rivive' la Passione - l'Ora della Desolata, meditando anche su queste sofferenze che le sono state appena raccontate.
Ed è mentre stavo chiudendo il libro della Valtorta - stanco di tutte queste ‘desolazioni’ - che…
Luce:
L'Ora della Desolata...
La Mamma mia Desolata fu perché sempre visse nel pensiero -  con la prescienza -  delle mie sofferenze e morte.
Morte atroce di Croce, morte spirituale, intesa come offese mortali allo Spirito ed al Cuore mio.
Tutta la sua vita fu una vita di Desolata, e se Lei ti disse che la sua vita - prima dei tre anni di vita pubblica - vita serena fu, fu perché nel suo Amore essa seppe soffrire con Amore e quando si soffre con amore e per amore la sofferenza non è, e la vita serena è, perché è vita di sofferenza ma sofferenza in Dio e con Dio.
Ed Io ero ben Dio...
Questa è una riflessione che ti volevo far fare.
Non sei anima vittima, non temere, ma devi almeno capire - e qui insisto - che le Vittime sono vittime d’Amore e nella Sofferenza trovano conforti tanto soprannaturali che la sofferenza non è più tale ma anzi diventa gioia, gioia spirituale.
Le vittime -  da questo punto di vista - non sono più 'vittime' ma anime privilegiate - baciate dal privilegio di Dio -  che, come tali,  vivono una anticipazione "umana", e perciò piccola ma grande allo stesso tempo, di quella che sarà invece la vera gioia eterna.
Vere vittime sono invece gli altri, quelli che non sono vittime, perché perdono il privilegio e devono vivere nella dimensione dell'umano.
Eccoti un chiarimento importante che completa, per te, il ciclo che ti ho fatto leggere sulle anime-vittima.
Come ti dissi, non vittima devi essere, perché diversa è la tua missione.
Missione di apostolo che deve trovare il consenso della tua volontà.
Ma è bene, ma è stato bene che ti fosse ben chiarito il ruolo e la sorte delle vere vittime perché così le difficoltà che incontrerai nella tua missione di apostolo ti sembreranno ben poco, quasi una gratificazione di Dio alla tua debolezza, e ringrazierai il Signore di averti - nella sua Misericordia che tiene conto della tua pochezza di forze - di averti chiesto così poca cosa. E tu allora opererai con gioia...
E per timore forse che non avessi ben capito, successivamente mi ribadì ancora:4
Luce:
Metti sempre a fuoco due concetti fondamentali della mia Dottrina: quello del Dolore e quello dell'Amore.
Vengono trattati compiutamente nell'Opera, a più riprese: vedrai meglio e li approfondirai.
Il dolore inteso quale 'accettazione' e non rifiuto, e quindi come strada di espiazione terrestre che vi libera dal peso dei vostri peccati e che vi porta più presto e più direttamente a Dio.
Il concetto di amore - che in qualche modo e per quanto sembri difficile si incrocia con quello dell'accettazione del dolore - che pure porta a Dio, molto più direttamente, perché l'essenza di Dio è Amore.
La strada dell'Amore si incrocia con quella del Dolore perché chi ama sa soffrire, chi ama 'offre' e si offre per gli altri, e chi si «offre» soffre anche, ma è una sofferenza d'amore che in quanto tale è dolce perché contemperata dalla consapevolezza di essere compartecipi del progetto di Dio su ogni uomo: quello di amarsi per essere 'simili' a Lui stesso.
Nell'accettazione e comprensione di questi due concetti sta la base della dottrina cristiana.
Ciò cozza contro l'egoismo dell'uomo-animale, ma è l'unico modo per farlo evolvere allo stato di uomo spirituale.
Questa è la vera 'evoluzione' della specie umana.
Batti bene su questi due concetti, dunque, e sviluppali ogni volta che il tema trattato te lo consenta, perché sono fondamentali.
In quest'ottica il dolore sulla Terra - non voluto da Dio ma conseguenza dell'uomo - non è una ingiustizia ma una opportunità.
Quindi, l'importanza di imparare ad abbandonarsi per saper soffrire ma nello stesso tempo soffrire meno: Dio da un lato chiede ma dall'altro dà.
Compartecipazione da un lato e contemperazione dall'altro.
Il fulcro della Dottrina cristiana è il dolore.
Perché è solo con il dolore -  accettato ed offerto, quando non 'richiesto' - che si può riparare agli errori degli altri. Perché il dolore è sofferenza, è espiazione, per sé e per gli altri, e nel dolore 'offerto' si concretizza il miracolo dell'Amore, che è il perdono di Dio ai peccatori, grazie ai meriti dei fratelli di sangue, spirituale, che hanno sofferto.
Perché questa è la Comunione dei Santi, la 'comunione' dove i 'santi' mettono in comune dolore e amore (perché il dolore accettato ed offerto è 'amore') per aiutare i loro fratelli che non sanno ancora amare.
Ecco il perché della sofferenza che, quando è di anime innocenti, è ancora più gradita a Dio, perché sofferenza «perfetta» che salva, sofferenza senza inquinamenti, che viene posta sull'altare dell’Umanità a bruciare di fiamma intensissima le scorie del peccato.
Dio, dunque, è Dio di Libertà e consente la sofferenza proprio perché è Dio di Libertà.
Se non ci fosse libertà non ci sarebbe merito, e senza merito - per giustizia - non ci sarebbe il Paradiso. Ma poi Dio utilizza la sofferenza e la volge a favore di chi soffre e di chi pecca, per la loro felicità eterna nell'unica vita che conta, quella dello spirito.
Bene, avendo ormai capito tutto o quasi del ‘dolore’, abbiamo potuto anche capire il senso ed il valore della Redenzione e, conseguentemente, della Corredenzione di Maria SS..
Siamo adesso in condizione di procedere in questo nostro lavoro e comprendere meglio quanto seguirà.

1  G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 75 – Edizioni Segno, 1997
2  G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 76 – Edizioni Segno, 1997
3  M.V.: ‘Quaderni 1944’, Dettato 3.6.44, pagg. 408/414 – Centro Ed. Valtortiano
4  G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’, Capp. 101 e 104 – Ed. Segno, 1997
      
6. Pianse perché era la Corredentrice e la Madre del genere umano rinato a Dio…
6.1 Alcuni episodi salienti della vita di Maria.
Abbiamo in questi ultimi capitoli visto Maria SS. da un punto di vista spirituale, ma consideriamone adesso anche la sua vita di donna e di madre, così come appare – questo va sempre sottinteso anche quando non lo dico – dall’Opera della mistica Valtorta che io nei miei commenti prendo sempre come punto di riferimento anche quando a raccontare sono io.
Vi avevo narrato quel primo incontro di Maria e Giuseppe al Tempio.
Lei era più o meno una quindicenne e nel Tempio - dove si insegnavano anche le arti della vita domestica, come il filare e il cucire - lei era stata allevata soprattutto alla scuola delle ‘Scritture’.
L’insegnamento delle Scritture era normale per i giovani in Israele di quei tempi che, al dodicesimo anno,  dovevano affrontare l’esame di ‘maturità’ e venivano riconosciuti come adulti, cioè civilmente responsabili, dopo aver superato alcune prove di conoscenza ‘teologica.’
Naturalmente Maria, è quasi superfluo dirlo, si era applicata allo studio con particolare impegno e profitto grazie alla sua intelligenza, volontà ed alla ardente passione di poter servire un giorno quel Messia che tutti in Israele attendevano da un momento all’altro.
Tutti lo attendevano perché circa sei secoli prima Daniele1 – giovinetto deportato alla corte di Babilonia – aveva profetizzato che il popolo di Israele, allora in cattività, sarebbe stato presto liberato e che l’atteso Messia sarebbe giunto settanta settimane (di anni) dopo il decreto con cui il popolo deportato sarebbe stato autorizzato a tornare in patria ed a ricostruire il Tempio distrutto.2
Scribi e sacerdoti avevano sondato per secoli quella profezia, chiara quanto al numero di anni ma oscura quanto ad altri riferimenti che parlavano della uccisione di un Unto che sarebbe stato senza colpa mentre la città ed il santuario sarebbero stati distrutti da un ‘principe’, cioè da un Re o un condottiero, che sarebbe venuto successivamente.
Impossibile, secoli prima, pensare alla uccisione di Gesù Cristo, l’Unto - non solo senza ‘Colpa’ d’origine ma anche ‘innocente’ delle accuse che gli sarebbero state mosse per condannarlo - vittima di espiazione per la salvezza degli uomini, impossibile immaginarsi anche la futura distruzione del Tempio e di Gerusalemme per ordine di un Imperatore romano.
Gli scribi e i dottori della Legge dell’epoca di Gesù avevano fatto i loro calcoli – che si basavano sul calendario degli anni lunari – e avevano concluso che, più o meno, pur con i margini di incertezza che quella profezia velata lasciava, il periodo in cui il Messia si sarebbe manifestato nella storia fosse quello dell’epoca che essi stavano vivendo.
L’attesa era dunque spasmodica perché erano in gioco la libertà di Israele, in quel momento soggetta a Roma, ed il futuro glorioso Regno di Israele sul resto del mondo, Roma compresa.
Israele aveva infatti compiuto l’errore di interpretare le varie profezie dei secoli precedenti in maniera ‘materiale’, per cui i Capi mai più avrebbero pensato che il Liberatore che si attendevano, il ‘Re dei re’ che avrebbe ‘governato’ il mondo, potesse essere riferito ad un Regno spirituale – eterno rispetto alla caducità di quelli umani – ed alla liberazione dal peccato e dalla schiavitù di Satana, Principe di questo mondo.
Maria viveva in questo clima ma – illuminata potentemente dallo Spirito Santo – avvertiva tale avvento in materia spirituale ed il suo sogno ardente era quello di poter vivere il momento di quella venuta ed anzi di poter essere ‘serva’ del Santo dei santi.
Qualche tempo dopo quel primo incontro al Tempio, Giuseppe torna a prendere Maria e la conduce – promessa sposa - a Nazareth nella casetta dei suoi genitori che, rimasta in abbandono per parecchi anni dopo la loro morte, Giuseppe aveva in qualche modo rimesso a posto.
L’uso ebraico prevedeva prima del matrimonio un fidanzamento, anche di un anno, che avrebbe permesso ai due promessi sposi di conoscersi meglio, pur continuando ovviamente a vivere nel frattempo separati.
È durante questo periodo, forse all’inizio, che Maria si vede comparire davanti l’Angelo, o meglio l’Arcangelo dell’Annunciazione, Gabriele.
È un episodio ben raccontato nel vangelo di Luca, che doveva aver raccolto al riguardo le confidenze personali della Madonna.
L’Arcangelo le annunzia il concepimento di un bimbo, il Figlio di Dio il cui Regno non avrebbe avuto mai fine.
Maria si meraviglia, era vergine, non aveva mai avuto rapporti con uomini né tanto meno li avrebbe avuti con Giuseppe con il quale aveva fatto quel reciproco voto di castità.
L’idea di un figlio la turbava quanto l’aveva turbata quell’idea del sacerdote del Tempio che le aveva detto che si sarebbe dovuta ‘maritare’.
L’angelo le risponde allora che il suo non sarà un umano concepimento, ma un concepimento spirituale – grazie alla potenza del pensiero di Dio – per cui tutto quanto avverrà sarà opera dello Spirito Santo.
Per farle capire quanto nulla fosse impossibile a Dio, l’Arcangelo le svela che l’anziana cugina Elisabetta, notoriamente sterile, era già al sesto mese di attesa di un bimbo.
Maria si affida al Signore, accetta la sua volontà, l’Angelo scompare e…il concepimento avviene.
Ad incarnarsi non è lo Spirito Santo ma il Verbo, grazie all’azione dello Spirito Santo.
Per darvi una idea espressa in termini antropologici dei distinti ‘ruoli’ delle Tre Persone della Trinità vi dirò che il Padre è Pensiero Potente, il Figlio è Verbo, cioè Parola che ‘traduce in azione’ il Pensiero del Padre come le nostre parole traducono il nostro pensiero, lo Spirito Santo  è quella sorta di Energia Intelligente che le cose le ‘realizza’.3
L’angelo aveva però anche detto a Maria che nulla era impossibile a Dio, anche un concepimento senza concorso d’uomo.
Oggi si fa la fecondazione di un ovulo femminile ‘in vitro’, Dio non  aveva bisogno del ‘vitro’: gli bastava il Pensiero.
Maria, che considerava Elisabetta come una sua seconda mamma, decide di partire poco dopo per Ebron, cittadina vicino a Gerusalemme, per andare ad aiutarla nei mesi faticosi prima del parto.
Si trattiene nella casa di Elisabetta e Zaccaria per tre mesi abbondanti, fino a dopo la nascita di Giovanni Battista, sbrigando le faccende domestiche, preparando da mangiare, lavando, sostenendo in tutto l’anziana cugina.
Quando però Giuseppe, torna a prenderla cominciano i primi ‘dolori’, non solo per Maria ma soprattutto per Giuseppe.
Egli si avvede infatti che la sua angelica promessa sposa ha un addome un po’ troppo pronunciato che lascia intuire l’inizio di una bella…gravidanza.
Cosa avreste pensato voi uomini - al suo posto - della vostra fidanzata?
Vi si sarebbe gelato il cuore. Avreste pensato che la ‘santarellina’ - che aveva fatto tanto la ‘difficile’ con quella storia del ‘voto di castità’ - durante quei tre mesi lontano da casa si era data invece alla pazza gioia.
Il ritorno a Nazareth con Maria incinta sarebbe stato il massimo della gogna.
Nella migliore delle ipotesi tutti avrebbero pensato che il ‘nazareo’ Giuseppe, tanto votato prima alla ‘castità’, aveva voluto recuperare il tempo perduto ‘dandosi da fare’ ben prima del matrimonio.
Oggi è quasi normale, ma allora era proprio un disonore, per la donna.
Chi invece non avesse messo in dubbio la sua onorabilità, avrebbe trovato da ridire su quella di Maria durante quel lunghissimo soggiorno ad Ebron, lontana dagli occhi e…dal cuore di Giuseppe.
Al di là di tutto – anche se ‘marito’ solo di facciata – Giuseppe si sentì tradito.
Perdonate la brutalità ed il cinismo con la quale vi dico queste cose, ma vi ho detto che io vengo dal mondo, scrivo cose spirituali ma con l’ottica di uno che conosce il mondo, e soprattutto le scrivo per voi…persone anche voi ‘di mondo’ che certamente – se non aveste saputo che quella giovane Maria sarebbe stata in futuro la ‘Madonna’ – avreste magari pensato le stesse cose.
Dunque il dramma psicologico di Giuseppe  – ancorché nella mistica e prudente opera valtortiana non venga certo presentato in quest’ottica…’laica’– non dovette essere molto lontano da quanto io vi ho detto.
Maria era una ragazza intelligente e sensibile, aveva capito che Giuseppe - rivedendola dopo quei tre mesi - aveva intuito la sua situazione, pur facendo finta di non essersi accorto di niente, ma lei non poteva rivelargli alcunché di quel concepimento divino.
Era un segreto del Re e Lei doveva lasciare al Re il compito di decidere in quale modo rivelare la verità e restituirle l’onore.
Uno che non riusciva ad accettare l’idea del ‘parto verginale’ di Maria era Voltaire, ma di costui e del parto di Maria, come della situazione di Giuseppe, ho già scritto altrove a sufficienza.4
Tornati dunque a Nazaret, ognuno nella propria casa, i rapporti fra Giuseppe e Maria rimasero molto freddi per qualche tempo e, quando Giuseppe cominciava già a pensare seriamente a rinunciare al matrimonio, dovendo magari scegliere fra una sorta di libello di ripudio o - per non umiliarla ufficialmente – semplicemente ‘lasciarla’, ecco che un angelo gli appare in sogno per dirgli la verità su quel concepimento, sulla onestà e verginità di Maria e su quel Figlio divino che sarebbe stato nientemeno che il futuro Messia.
Quel sogno era talmente vivido, talmente reale e forte che Giuseppe si dovette certamente svegliare di soprassalto, come vi ho raccontato che succedeva a me in occasione di certi sogni del mio ‘Subconscio creativo’, tanto ‘realisti’ da farmi credere persino a quel sogno di Papa Wojtila che mi ha indotto a mettermi a scrivere questo volumetto.
Giuseppe non avrebbe creduto a delle parole di autodifesa di Maria - perché sarebbero comunque state ‘parole di Maria’ e per di più razionalmente incredibili rispetto al mistero di un Dio che feconda una danna e si incarna come uomo - ma  – ecco la Sapienza di Dio –  crede invece alla ‘verità’ del ‘suo’ sogno di un realismo assoluto.
Giuseppe era un pio, un nazareo, una specie di ‘religioso’ in abiti civili, egli sapeva bene quante volte Dio si fosse rivelato in sogno ai profeti, quindi credeva a questi sogni, specie se a parlare erano degli angeli.
Si precipita da Lei, le dice del sogno, implora perdono per averla offesa pensando di lei il peggio che si potesse pensare e…ne ottiene il perdono.
Se Maria era già al terzo mese compiuto di gravidanza  a Ebron, e se poi erano ancora passati dei giorni prima di questo chiarimento con Giuseppe a Nazaret, penso che lo sposalizio ufficiale dovesse essere stato fatto subito dopo perché altrimenti – nonostante i lunghi abiti che vestivano le donne ebraiche dell’epoca - quella gravidanza prematura sarebbe stata evidente a tutti.
Nessun maligno paesano però se ne accorgerà e riuscirà a calcolare i mesi trascorsi dal matrimonio alla nascita del figlio perché nel frattempo Roma aveva emanato l’editto per il censimento e la famiglia aveva dovuto partire per andare a farsi registrare nel paese d’origine della loro stirpe a Betlemme.
Questa era una cittadina vicina a Gerusalemme, la quale era distante circa 150 chilometri da Nazareth.
Vi era dunque una settimana di cammino e anche più, con una donna incinta su un somarello, fermandosi frequentemente per soste di riposo e per dormire in locande lungo la strada.
Il bambino – chissà se saranno state le fatiche dello strapazzo - nascerà la notte stessa del loro arrivo, in una sorta di grotta-stalla, poiché la locanda del villaggio era strapiena di pellegrini venuti per partecipare alle festività delle Encenie nella vicina Gerusalemme.
Anche l’argomento della nascita di Gesù l’ho già trattato a fondo, e qui mi spiace solo di non avere il tempo di raccontarvi e soprattutto commentarvi la visione valtortiana dalla quale si è finalmente intuito come fece Maria non solo a rimanere vergine prima del parto, perché ciò dipese dal concepimento spirituale, ma soprattutto – come afferma la Tradizione dei Padri della Chiesa e la Dottrina cristiana - a rimanerlo dopo, con buona pace di Voltaire.5
È il giorno 25 del mese ebraico di casleu (corrispondente al nostro mese di novembre/dicembre)  e la festa – oltre che delle Encenie - era anche detta Festa delle Luci, della Purificazione o Dedicazione del Tempio.
Quella nascita in una grotta non fu dunque dovuta ad uno stato di estrema indigenza della famiglia, perché anzi Giuseppe viveva dignitosamente del suo lavoro e si sarebbe potuto permettere un albergo.
Le circostanze vollero invece che non ci fossero posti migliori e Dio nella sua Sapienza seppe servirsi anche delle circostanze per dare a tutti l’insegnamento che il Verbo di Dio si era fatto uomo non solo annichilendosi – Lui Dio – in una misera natura umana, ma venendo alla luce anche nelle condizioni ambientali peggiori per far sapere agli uomini come neanche queste miserie dei più umili gli fossero state sconosciute e quanto ai più umili Egli sarebbe stato vicino. Beati gli ultimi perché saranno i primi.
Chissà quante volte vi sarete chiesti come mai Gesù fosse nato duemila anni fa e non, ad esempio, mille anni dopo o mille anni prima.
Oppure – come mi aveva chiesto una volta provocatoriamente mio fratello – perché avesse voluto nascere in Israele e non piuttosto, ad esempio, in Nepal.
La prima è una domanda giusta.
In primo luogo nacque allora perché il mondo dell’epoca – nella visione di Dio che vede tutto da fuori del Tempo – sarebbe stato tanto in pace che Roma proprio per questo, con i confini sicuri, poté indire un censimento in tutto l’Impero.
Il Re della Pace non poteva infatti accettare di venire se non quando nel cuore degli uomini vi fosse stata pace.
In secondo luogo perché in quelle circostanze di Editto – e quindi di un evento come la nascita del Redentore – tutto il popolo di Israele sparso in ogni nazione di quella che veniva chiamata Diaspora – sarebbe confluito in Israele, rappresentandovi così in figura tutta l’Umanità.
In terzo luogo perché Roma dominava ormai il mondo militarmente e culturalmente e, quando i primi cristiani fossero stati costretti a fuggire da Israele a causa delle prime persecuzioni ebraiche nei loro confronti, si sarebbero stabiliti a Roma, capitale dell’impero, convertita la quale sarebbe stato molto più facile alla Dottrina cristiana diffondersi fino all’estrema periferia dell’Impero stesso, come poi in effetti avvenne dopo la conversione dell’Imperatore Costantino, nei primi decenni del terzo secolo d.C..
Dio potrebbe certo imporre agli uomini la sua Dottrina con un miracolo strepitoso, ma Egli è Dio di Libertà e preferisce invece servirsi della collaborazione degli uomini e con i tempi degli uomini, perché li vuole certo salvi ma con la loro libera volontà.
La seconda domanda sul perché Gesù si incarnò in Israele e non altrove, è una domanda legittima per chi la fa in buona fede ma lo è un poco meno per coloro che in realtà la fanno con lo spirito di ‘contestare’ la ‘scelta’ del Dio cristiano a favore di un popolo, quasi per accusarlo di parzialità per aver voluto privilegiare un popolo a detrimento degli altri.
La storia, letta in chiave cristiana, ci dimostra che non si trattò di un privilegio visto che – come predetto da Gesù nei Vangeli – a causa dell’aver respinto il figlio di Dio Gerusalemme avrebbe conosciuto la propria distruzione.
Dio aveva però fatto quella promessa ad Abramo di una Nuova Terra e di una ‘numerosa discendenza’, da interpretare in senso spirituale, perché voleva premiare un giusto ed un popolo che – in un’epoca assolutamente pagana – lo adorava in spirito e come Spirito, cioè in Verità.
Fu dunque grazie alla ‘giustizia’ dei patriarchi - cioè al loro rispetto per la legge dei ‘dieci comandi’, vale a dire la ‘legge naturale’ che Dio aveva inciso nel cuore di tutti gli uomini ma che i patriarchi rispettavano e facevano rispettare – che Dio decise di ‘privilegiare’ quel popolo.
Qualche tempo dopo la nascita di Gesù avviene l’episodio evangelico della visita dei tre ‘magi’.
Questi – seguendo la famosa ‘stella’, venendo ognuno da luoghi d’origine diversi – si erano incontrati ed avevano proseguito insieme per Gerusalemme chiedendo ad Erode, che li aveva accolti con il loro seguito, dove fosse rintracciabile il Messia che essi sapevano essere nato.
Neanche Erode lo sapeva ma lo sapevano invece Scribi e dottori della Legge che – meravigliati per la notizia – dicono che i profeti avevano a suo tempo parlato di Betlemme.
Erode temeva che quel piccolo Messia, che certo sarebbe stato seguito dal popolo, avrebbe finito per spodestarlo ed allora invita i magi ad andare a Betlemme e poi fargli sapere chi e dove fosse, fingendo di volere anch’egli andare poi a rendergli onore.
Quelli vanno, lo trovano, lo adorano ma poi – in sogno – vengono avvisati di non dir niente a Erode e ritornarsene indietro per altre strade.
Quando Erode capisce…è ormai troppo tardi, e qualche mese dopo deciderà di ordinare la strage degli ‘innocenti’ di Betlemme, dai due anni in giù, tanto per non lasciarne fuori nessuno.
Giuseppe tuttavia - avvisato in anticipo sempre in sogno – salta giù dal letto, carica nottetempo moglie, figlio e attrezzi da lavoro su tre asinelli comprati con l’oro dei magi e parte all’alba per l’Egitto, terra di rifugio.
L’Egitto era un paese ospitale dove risiedevano già molti ebrei presso i quali la famiglia avrebbe potuto trovare i primi appoggi.
Qualche anno dopo, morto Erode ‘il Grande’, l’Angelo – ancora una volta in sogno – avvisa Giuseppe di rientrare in patria. La famiglia torna dunque a Nazareth dove si ristabilisce definitivamente e dove Giuseppe riprende la sua attività di falegname.
I parenti, dopo quella fuga da Betlemme, nulla avevano più saputo di loro e potete immaginare con quale gioia essi li avessero accolti.
Maria e Giuseppe continuarono tuttavia a mantenere il segreto sulla reale natura di Gesù, a maggior ragione dopo aver saputo al loro ritorno della strage degli innocenti avvenuta cinque anni prima a Betlemme.
6.2  I primi «dolori» di Maria
Inutile raccontarvi tutti gli innumerevoli episodi che hanno caratterizzato la vita di Maria, innanzitutto perché c’è già l’opera valtortiana che lo fa molto meglio e poi perché ci porterebbero fuori dagli scopi che ci siamo prefissi con questo libretto.
Il suo primo dolore (se non vogliamo considerare come tale lo strazio per il dolore di Giuseppe quando questi la seppe incinta)  fu quando – andati Lei e Giuseppe al Tempio di Gerusalemme per la Presentazione del loro primogernito – il vecchio Simeone, ispirato dallo Spirito Santo che fin da allora aveva deciso di preparare gradualmente la sua giovane Corredentrice affinché si disponesse psicologicamente al compito che l’attendeva – le profetizzò che quello sarebbe stato il Messia, che sarebbe stato elemento di contraddizione fra gli uomini – che infatti si sarebbero divisi di fronte alla sua predicazione - e che ciò li avrebbe obbligati a svelare i ‘segreti’ del loro cuore e cioè la loro vera natura interiore di amici o nemici di Dio, e infine che una ‘spada’ le avrebbe trapassato l’anima.
Vi avevo detto che Maria aveva studiato bene le profezie, e l’uomo dei dolori predetto da Isaia le era ben presente nella mente senza che qualcun altro glielo dovesse ancora ricordare.
Se fino a quel momento il ricordo di quelle tristi profezie poteva essere stato rimosso, la profezia di Simeone glielo confermerà in pieno, colpendo il suo cuore di madre nell’amore verso il figlio.
Il suo secondo dolore fu quella precipitosa fuga in Egitto di cui vi ho già parlato, con il terrore di essere presi dai soldati di Erode e di veder ucciso il loro Gesù. L’Egitto era in direzione opposta a Nazareth e non ebbero nemmeno il tempo di informare i parenti, che anzi avrebbero messo in pericolo facendogli conoscere la loro destinazione.
Non considero come vero dolore l’aver perduto Gesù dodicenne a Gerusalemme, salvo ritrovarlo – dopo aver temuto per la sua vita e sentito la tremenda responsabilità di non aver saputo ‘accudire’ il Figlio di Dio - mentre ‘istruiva’ i dottori del Tempio che non riuscivano a capacitarsi di come un fanciullo così giovane potesse possedere così tanta sapienza.6
Un terzo dolore fu la morte di Giuseppe.
Giuseppe – che era ben più anziano di Maria, avendo una quindicina d’anni in più – circa trenta anni dopo il loro matrimonio, ed essendo  quindi sulla sessantina, morirà da santo fra le braccia di Gesù in un ultimo colloquio struggente.
Il ‘piccolo Giovanni’ vede Gesù che sta lavorando nella stanza della falegnameria adiacente alla casa, sta piallando delle tavole, indossa una tunica corta, maniche rimboccate, grembiule sul davanti.
Maria irrompe nella stanza e corre verso di lui, vestita di azzurro, con una tunica stretta in vita da un cordone. Chiama affannosamente il figlio, lo chiama, Giuseppe sta male…
Entrano nella stanza di Giuseppe che è steso su un giaciglio, respiro affannoso, appoggiato a vari cuscini. Le mani sono già livide, una lacrima gli spunta da un occhio e scorre sulla guancia. Gesù gli si accomoda vicino, lo solleva un poco e cerca di confortarlo. Maria piange in silenzio con lacrimoni che le rotolano lungo le guance. Giuseppe si rianima, guarda Gesù, vorrebbe parlargli, non gli riesce, gli dà la mano, Gesù gliela bacia e, curvandosi sul morente, comincia a recitargli dei bellissimi salmi, i salmi del Giusto che muore nell’attesa fiduciosa di essere accolto fra le braccia del Padre.
Gesù ogni tanto interrompe il salmo e gli parla. E lui capisce.
Gesù lo ringrazia per quanto egli ha fatto per lui e per Maria, e gli dice che il Padre aveva posto sia Gesù infante che Maria sotto la sua protezione perché sapeva fin dall’inizio che egli sarebbe stato un giusto. Lo invita ad andare in pace. Il Signore aveva predisposto le cose in modo che alla sua vedova non venisse a mancare l’aiuto. Lo invita ad andarsene sereno. Glielo assicura Lui, Figlio di Dio. Lo invita ad entrare nel Limbo dei Patriarchi precedendolo e portando loro la notizia che la Salvezza è nel mondo e che il Regno dei Cieli presto sarà loro aperto.
Giuseppe capisce ma intanto la morte è sempre più imminente. Maria lo accarezza, Gesù se lo stringe a sé e poi - quando lui si accascia e muore – lo adagia dolcemente sul letto ed abbraccia sua Madre, straziata, in un gesto di conforto.
Ecco come Gesù commenta poi quell’episodio:7

(Evangelo cap.42) La morte di Giuseppe.
Gesù è la pace di chi soffre e di chi muore.
5 febbraio 1944, ore 13,30.
….
  Dice Gesù:
« A tutte le mogli che un dolore tortura, insegno ad imitare Maria nella sua vedovanza: unirsi a Gesù.
Quelli che pensano che Maria non abbia sofferto per le pene del cuore, sono in errore.
Mia Madre ha sofferto. Sappiatelo. Santamente, perché tutto in Lei era santo, ma acutamente.
Coloro che pensano che Maria amasse di un amore tiepido lo sposo, poiché le era sposo di spirito e non di carne, sono parimenti in errore.
Maria amava intensamente il suo Giuseppe, al quale aveva dedicato sei lustri di vita fedele. Giuseppe le era stato padre, sposo, fratello, amico, protettore.
Ora Ella si sentiva sola come tralcio di vite al quale viene segato l'albero a cui si reggeva. La sua casa era come colpita dal fulmine. Si divideva. Prima era una unità in cui i membri si sostenevano a vicenda. Ora veniva a mancare il muro maestro, primo dei colpi inferti a quella Famiglia, segnacolo del prossimo abbandono del suo amato Gesù.
La volontà dell'Eterno, che l'aveva voluta sposa e Madre, ora le imponeva vedovanza e abbandono della sua Creatura.
Maria dice fra le lacrime uno dei suoi sublimi " Sì ".
" Sì, Signore, si faccia di me secondo la tua parola ". E, per aver forza in quell'ora, si stringe a Me.
Sempre si è stretta a Dio, Maria, nelle ore più gravi della sua vita.
Nel Tempio chiamata alle nozze, a Nazaret chiamata alla Maternità, ancora a Nazaret fra le lacrime della vedovanza, a Nazaret nel supplizio del distacco dal Figlio, sul Calvario nella tortura del vedermi morire.
Imparate, voi che piangete. E imparate voi che morite.
Imparate voi, che vivete per morire. Cercate di meritare le parole che dissi a Giuseppe. Saranno la vostra pace nella lotta della morte. Imparate, voi che morite, a meritare d'aver Gesù vicino, a vostro conforto. E, se anche non l'avete meritato, osate ugualmente di chiamarmi vicino. lo verrò. Le mani piene di grazie e di conforti, il cuore pieno di perdono e d'amore, le labbra piene di parole di assoluzione e di incoraggiamento.
La morte perde ogni asprezza se avviene fra le mie braccia. Credetelo. Non posso abolire la morte, ma la rendo soave a chi muore fidando in Me.
Il Cristo l'ha detto per tutti voi, sulla sua Croce: " Signore, confido a Te lo spirito mio ".
L'ha detto pensando, nella sua, alle vostre agonie, ai vostri terrori, ai vostri errori, ai vostri timori, ai vostri desideri di perdono. L'ha detto col cuore spaccato di strazio, prima che per la lanciata, e strazio spirituale più che fisico, perché le agonie di coloro che muoiono pensando a Lui fossero addolcite dal Signore e lo spirito passasse dalla morte alla Vita, dal dolore al gaudio, in eterno.
Questa, piccolo Giovanni, la lezione di oggi. Sii buona e non temere. La mia pace rifluirà in te sempre, attraverso la parola e attraverso la contemplazione.
Vieni. Fa' conto d'essere Giuseppe, che ha per guanciale il petto di Gesù ed ha per infermiera Maria. Riposa fra noi come un bambino nella cuna ».
Un quarto dolore di Maria – come accennato sopra dal Gesù che commenta l’episodio di Giuseppe per il suo ‘piccolo Giovanni’ - fu il sentirsi dire dal Figlio, qualche tempo dopo la morte di Giuseppe, che egli l’avrebbe lasciata per iniziare la propria missione.
Fu doppio dolore: quello dovuto al distacco dal suo Gesù dopo trent’anni trascorsi insieme e quello dovuto alla consapevolezza che quella missione si sarebbe conclusa con la sua morte.
Dal momento dell’inizio della missione di Gesù - con le continue persecuzioni ed umiliazioni che Egli subiva per la sua predicazione ad opera di scribi, dottori della legge, sacerdoti e farisei, notizie che le giungevano portate da conoscenti anche quando Gesù era lontano  - le ansie e le paure di Maria non si contavano più.
Lei non sapeva con precisione che Gesù avrebbe ‘resistito’ tre anni, ma sapeva come si sarebbe conclusa la storia e che ogni giorno di quel suo periodo di predicazione poteva essere quello della sua morte.
Gli unici momenti di serenità erano quelli in cui Gesù saltuariamente ritornava per brevi periodi a casa o vi si tratteneva durante le festività invernali delle Encenie, quando il maltempo ed il freddo rende difficoltosa la predicazione con quei continui viaggi a piedi del gruppo apostolico.
Più però passano i giorni e più si avvicina l’ora finale, più Maria procede nel suo personale Calvario, cammino che troverà il suo culmine, anche per lei, nel Venerdi di Passione.
Ecco come vede il ‘piccolo Giovanni, quel doppio dolore del distacco e dell’inizio della predicazione pubblica di Gesù:8

Primo anno
della vita pubblica di Gesù.
(Evangelo cap.44) L'addio alla Madre e partenza da Nazareth.
Il pianto e la preghiera della Corredentrice.
9 febbraio 1944, ore 9,30.
(iniziata durante la S. Comunione)
Vedo l'interno della casa dì Nazareth. Vedo una stanza, pare un tinello dove la Famiglia prenda i pasti e sosti nelle ore di riposo.
È una stanzetta molto piccina e con una semplice tavola rettangolare contro una specie di cassapanca, addossata ad una parete. Questo è il sedile di un lato.
Contro le altre pareti vi è un telaio e uno sgabello, e due altri sgabelli e una scansia con sopra dei lumi ad olio e altri oggetti. Una porta è aperta sull'orticello.
Deve essere verso sera, perché non c'è altro che un ricordo di sole sulla cima di un alto albero, che appena verzica con le prime foglie.
Alla tavola è seduto Gesù. Mangia e Maria lo serve andando e venendo da una porticina, che suppongo conduca al posto dove è il focolare, del quale si vede il bagliore dalla porta socchiusa.
Gesù dice due o tre volte a Maria di sedere... e dì mangiare Essa pure. Ma Lei non vuole, scuote il capo sorridendo mestamente e porta, dopo le verdure lessate, che mi pare abbiano il ruolo di minestra, dei pesci arrostiti e poi un formaggio piuttosto molle, come un pecorino fresco, di forma appallottolata come una dì quelle pietre che si vedono nei torrenti, e delle ulive piccole e scure.
Il pane, in piccole forme tonde (larghe quanto un piatto comune) e poco alto, è già sulla tavola. È piuttosto scuro, come non fosse privato del cruschello. Gesù ha davanti un'anfora con dell'acqua e una coppa. Mangia in silenzio, guardando la Mamma con doloroso amore.
Maria, lo si vede visibilmente, è in pena. Va, viene, per darsi un contegno. Accende, e vi è ancora luce sufficiente, una lucerna e la mette presso a Gesù, e nell'allungare il braccio carezza la testa del Figlio furtivamente, riapre una bisaccia, che mi pare di quelle stoffe tessute a mano di lana vergine e perciò impermeabìle, color nocciola, vi fruga dentro, esce nell'orticello e va in fondo ad esso, in una specie di ripostiglio, ne esce con delle mele piuttosto vizze, certo conservate dall'estate, e le mette nella bisaccia, poi prende un pane e una formaggella            e unisce anche questa, per quanto Gesù non voglia, dicendo che basta ciò che ha.
Poi Maria si accosta alla tavola di nuovo, dal lato più stretto, alla sinistra di Gesù, e lo guarda mangiare.
Se lo guarda con struggimento, con adorazione, con il volto ancor più pallido del solito e che la pena rende come invecchiato, con gli occhi più grandi per un'ombra che li segna, indizio di lacrime già versate.
Sembrano anche più chiari del solito, come lavati dal pianto che è già nell'occhio, pronto a cadere. Due occhi dolorosi e stanchi.
Gesù, che mangia adagio e palesemente contro voglia, tanto per fare contenta la Madre, e che è pensieroso più del solito, alza il capo e la guarda.
Incontra uno sguardo pieno di lacrime e curva il capo per lasciarla libera, limitandosi a prenderle la manina sottile che Ella tiene appoggiata all'orlo del tavolo. Gliela prende con la sinistra e se la porta alla guancia, vi appoggia sopra la guancia e ve la strofina un momento per sentire la carezza di quella povera manina che trema, e poi la bacia sul dorso con tanto amore e rispetto.
Vedo Maria che si porta la mano libera, la sinistra, alla bocca, come per soffocare un singhiozzo, e poi si asciuga con le dita un lacrimone che è traboccato dal ciglio e riga la guancia.
Gesù riprende a mangiare e Maria esce svelta svelta nell'orticello, dove è ormai poca luce, e scompare. Gesù appoggia il gomito sinistro sul tavolo, e sulla mano appoggia la fronte e si immerge nei suoi pensieri, smettendo di mangiare.
Poi ascolta e si alza. Esce anche Lui nell'orto e, dopo essersi guardato intorno, si dirige verso destra, rispetto al lato della casa, ed entra, per una spaccatura, in una parete rocciosa, dentro a quello che riconosco per il laboratorio del falegname, questa volta tutto ordinato, senza assi, senza trucioli, senza fuoco acceso. Vi è il bancone e gli utensili, tutti al loro posto, e basta.
Curva sul bancone, Maria piange. Sembra una bambina.
Ha il capo sul braccio sinistro ripiegato e piange senza rumore, ma con molto dolore. Gesù entra piano e le si accosta così leggermente che Ella capisce che è lì solo quando il Figlio le posa la mano sulla testa china, chiamandola:«Mamma!» con voce di amoroso rimprovero.
Maria alza la testa e guarda Gesù fra un velo di pianto e si appoggia a Lui, con le due mani congiunte, contro al suo braccio destro. Gesù le asciuga il volto con un lembo della sua larga manica e poi l'abbraccia, tirandosela sul cuore e baciandola sulla fronte.
Gesù è maestoso, sembra più virile del solito, e Maria sembra più bambina, fuorché nel volto che il dolore segna.
« Vieni, Mamma » le dice Gesù e, tenendola stretta a Sé col braccio destro, si incammina tornando nell'orto, dove si siede su un banco contro il muro della casa. L'orto è silenzioso e ormai oscuro. Vi è solo un bel chiaro di luna e la luce che esce dal tinello. La notte è serena.
Gesù parla a Maria. Non intendo in principio le parole appena mormorate, alle quali Maria assente col capo. Poi odo: « E fatti venire le parenti. Non rimanere sola. Sarò più tranquillo, Madre, e tu sai se ho bisogno d'esser tranquillo per compiere la mia missione. Il mio amore non ti mancherà. Io verrò sovente e ti farò avvertire quando sarò in Galilea e non potrò venire a casa. Tu verrai da Me, allora.
Mamma, quest'ora doveva venire. Si è iniziata qui, quando l'Angelo ti apparve; ora scocca e noi dobbiamo viverla, non è vero, Mamma?
Dopo verrà la pace della prova superata e la gioia. Prima bisogna valicare questo deserto come gli antichi Padri per entrare nella Terra Promessa. Ma il Signore Iddio ci aiuterà come aiutò loro. E ci darà il suo aiuto come manna spirituale per nutrire il nostro spirito nello sforzo della prova. Diciamo insieme al Padre nostro... ».
E Gesù si alza e Maria con Lui e alzano il volto al cielo. Due ostie vive che lucono nell'oscurità.
Gesù dice lentamente, ma con voce chiara e scandendo le parole, la preghiera dominicale.
Appoggia molto sulle frasi: « adveniat Regnum tuum, fiat voluntas tua» distanziando molto queste due frasi dalle altre. Prega con le braccia aperte, non proprio a croce, ma come stanno i sacerdoti quando si volgono a dire: «Dominus vobiscum». Maria tiene le mani congiunte.
Poi tornano in casa e Gesù, che non ho mai visto bere vino, versa in una coppa, da un'anfora presa sulla scansia, un poco di vino bianco e la porta sulla tavola, prende per mano Maria e la obbliga a sedersi vicino a Lui e a bere di quel vino, in cui intinge una fettina di pane che le fa mangiare.
L'insistenza è tale che Maria cede. Gesù beve il rimanente vino.
E poi si stringe la Mamma al fianco e se la tiene così, contro la persona, dalla parte del cuore. Né Gesù né Maria stanno sdraiati, ma seduti come noi. Non parlano più. Attendono. Maria carezza la mano destra di Gesù e le sue ginocchia. Gesù carezza Maria sul braccio e sul capo.
Poi Gesù si alza e Maria con Lui e si abbracciano e si baciano amorosamente più e più volte. Sembra che sempre si vogliano lasciare, ma Maria torna a stringere a sé la sua Creatura. È la Madonna, ma è una mamma infine, una mamma che si deve staccare dal suo figlio e che sa dove conduce quel distacco.
Non mi si venga più a dire che Maria non ha sofferto. Prima lo credevo poco, ora più affatto.
Gesù prende il mantello (blu scuro) e se lo drappeggia sulle spalle e sul capo a cappuccio. Poi si passa a tracolla la bisaccia, di modo che non gli ostacoli il cammino. Maria lo aiuta e mai finisce di accomodargli la veste e il manto e il cappuccio, e intanto lo carezza ancora.
Gesù va verso l'uscio dopo avere tracciato un gesto di benedizione nella stanza. Maria lo segue e sull'uscio ormai aperto si baciano ancora.
La via è silenziosa e solitaria, bianca di luna. Gesù si incammina. Si volta ancora per due volte a guardare la Mamma, che è rimasta appoggiata allo stipite, più bianca della luna e tutta lucente di pianto silenzioso. Gesù si allontana sempre più per la viuzza bianca. Maria piange sempre contro la porta. Poi Gesù scompare ad una svolta della via.
È cominciato il suo cammino di Evangelizzatore, che terminerà al Golgota.
Maria entra piangendo e chiude la porta.
Anche per Lei è cominciato il cammino che la porterà al Golgota. E per noi...
Dice Gesù:
« Questo è il quarto dolore di Maria Madre di Dio. Il primo, la presentazione al Tempio; il secondo, la fuga in Egitto; il terzo, la morte di Giuseppe; il quarto, il mio distacco da Lei.
Conoscendo il desiderio del Padre, ti ho detto ieri sera che affretterò la descrizione dei " nostri " dolori perché siano resi noti. Ma, come vedi, già ne erano stati illustrati di quelli di mia Madre. Ho spiegato prima la fuga che la presentazione, perché vi era bisogno di farlo in quel giorno. lo so. E tu comprendi e dirai il perché al Padre. A voce.
È mio disegno alternare le tue contemplazioni, e le mie conseguenti spiegazioni, coi dettati veri e propri, per sollevare te e il tuo spirito dandoti la beatitudine del vedere, e anche  perché così è palese la differenza stilistica fra il tuo comporre ed il mio.
Inoltre, davanti a tanti libri che parlano di Me e che, tocca e ritocca, muta e infronzola, sono divenuti irreali, lo ho desiderio di dare a chi in Me crede una visione riportata alla verità del mio tempo mortale.
Non ne esco diminuito, ma anzi reso più grande nella mia umiltà, che si fa pane a voi per ínsegnarvi ad essere umili e simili a Me, che fui uomo come voi e che portai nella mia veste d'uomo la perfezione di un Dio.
Dovevo essere Modello vostro, e i modelli devono essere sempre perfetti.
Non terrò nelle contemplazioni una linea cronologica corrispondente a quella dei Vangeli. Prenderò i punti che troverò più utili in quel giorno per te o per altri, seguendo una mia linea di insegnamento e di bontà.
L'insegnamento che viene dalla contemplazione del Mio distacco va specialmente ai genitori e ai figli, che la volontà di Dio chiama alla rinuncia reciproca per un più alto amore. In secondo luogo va a tutti coloro che si trovano di fronte ad una rinuncia penosa.
Quante ne trovate nella vita! Esse sono spine sulla terra e trafiggenti il cuore, lo so. Ma a chi le accoglie con rassegnazione - badate, non dico: " a chi le desidera e le accoglie con gioia " (ciò è già perfezione); dico: " con rassegnazione " - si mutano in eterne rose. Ma pochi le accolgono con rassegnazione. Come asinelli restii, recalcitrate al volere del Padre e vi impuntate, se pur non cercate colpire con spirituali calci e morsi, ossia con ribellione e bestemmie al buon Dio.
E non dite: " Ma io non avevo che questo bene e Dio me l'ha tolto. Ma io non avevo che questo affetto e Dio me l'ha strappato ".
Anche Maria, donna gentile, amorosa alla perfezione, perché nella Tutta Grazia anche le forme affettive e sensitive erano perfette, non aveva che un bene e un amore sulla terra: il Figlio suo. Non le rimaneva che Quello. I genitori morti da tempo, Giuseppe morto da qualche anno. Non c'ero che lo per amarla e farle sentire che non era sola. I parenti, per cagione di Me, di cui non sapevano l'origine divina, le erano un poco ostili, come verso una mamma che non sa imporsi al figlio che esce dal comune buon senso, che rifiuta le nozze proposte, le quali potrebbero dare lustro alla famiglia, e aiuto anche.
I parenti, voce del senso comune, del senso umano – voi lo chiamate buon senso, ma non è che senso umano, ossia egoismo - avrebbero voluto queste pratiche svolte nella mia vita.
In fondo c'era sempre la paura di dovere un giorno passare delle noie per causa mia, che già osavo mettere fuori delle idee troppo idealiste, secondo loro, le quali potevano urtare la sinagoga.
La storia ebraica era piena di insegnamenti sulla sorte dei profeti.
Non era una facile missione quella del profeta, e dava sovente morte allo stesso e noie al parentado.
In fondo c'era sempre il pensiero di dovere, un giorno, occuparsi di mia Madre.
Perciò il vedere che Ella non mi ostacolava in nulla e pareva in continua adorazione davanti al Figlio, li urtava. Questo urto sarebbe poi cresciuto nei tre anni di ministero, sino a culminare nei rimproveri aperti quando mi raggiungevano in mezzo alle folle e si vergognavano della mia, secondo loro, mania di urtare le caste potenti. Rimprovero a Me e a Lei, povera Mamma!
Eppure Maria, che sapeva l'umore dei parenti - non tutti furono come Giacomo e Giuda e Simone, né come la loro madre Maria di Cleofà - e che prevedeva l'umore futuro, Maria, che sapeva la sua sorte durante quei tre anni e quella che l'attendeva alla fine degli stessi e la sorte mia, non recalcitrò come voi fate. Pianse.
E chi non avrebbe pianto davanti ad una separazione da un figlio che l'amava come lo l'amavo, davanti alla prospettiva dei lunghi giorni, vuoti della mia presenza, nella casa solitaria, davanti al futuro del Figlio destinato a dare di cozzo contro il malanimo di chi era colpevole e che si vendicava d'esser colpevole offendendo l'Incolpevole sino ad ucciderlo?
Pianse perché era la Corredentrice e la Madre del genere umano rinato a Dio, e doveva piangere per tutte le mamme che non sanno fare, del loro dolore di madri, una corona di gloria eterna.
Quante madri nel mondo, a cui la morte svelle dalle braccia una creatura!
Quante madri a cui un soprannaturale volere strappa dal fianco un figlio! Per tutte le sue figlie, come Madre dei cristiani, per tutte le sue sorelle, nel dolore di madre orbata, ha pianto Maria. E per tutti i figli che, nati da donna, sono destinati a divenire apostoli di Dio o martiri per amore di Dio, per fedeltà a Dio, o per ferocia umana.
Il Mio Sangue e il pianto di mia Madre sono la mistura che fortifica questi segnati a eroica sorte, quella che annulla in loro le imperfezioni, o anche le colpe commesse dalla loro debolezza, dando, oltre al martirio, comunque subìto, la pace di Dio e, se sofferto per Dio, la gloria del Cielo.
Le trovano i missionari come fiamma che scalda nelle regioni dove la neve impera, le trovano come rugiada là dove il sole arde. Sono spremute dalla carità di Maria e sono sgorgate da un cuore di giglio. Hanno perciò, della carità verginale sposata all'Amore, il fuoco, e della verginale purezza la profumata frescura, simile a quella dell'acqua raccolta nel calice di un giglio dopo una notte rugiadosa.
Le trovano i consacrati in quel deserto che è la vita monastica bene intesa: deserto, perché non vive che l'unione con Dio, e ogni altro affetto cade divenendo unicamente carità soprannaturale: per i parenti, gli amici, i superiori, gli inferiori.
Le trovano i consacrati a Dio nel mondo, nel mondo che non li capisce e non li ama, deserto anche per questi, in cui essi vivono come fossero soli, tanto sono incompresi e derisi per amor mio.
Le trovano le mie care " vittime ", perché Maria è la prima delle vittime per amore di Gesù, ed alle sue seguaci Ella dà, con mano di Madre e di Medico, le sue lacrime che ristorano e inebbriano a più alto sacrificio.
Santo pianto della Madre mia!
Maria prega. Non si rifiuta di pregare perché Dio le dà un dolore.
Ricordatelo. Prega insieme a Gesù. Prega il Padre.
Nostro e vostro.
Il primo " Pater noster " è stato pronunciato nell'orto di Nazareth per consolare la pena di Maria, per offrire le " nostre " volontà all'Eterno nel momento che si iniziava per queste volontà il periodo di sempre crescente rinunzia, culminante a quella della vita per Me e della morte di un Figlio per Maria.
E, per quanto noi non avessimo nulla da farci perdonare dal Padre, pure per umiltà noi, i Senza Colpa, abbiamo chiesto il perdono del Padre per andare perdonati, assolti anche di un sospiro, incontro alla nostra missione degnamente. Per insegnarvi che più si è in grazia di Dio e più la missione è benedetta e fruttuosa. Per insegnarvi il rispetto a Dio e l'umiltà.
Davanti a Dio Padre anche le nostre due perfezioni di Uomo e di Donna si sono sentite nulla e hanno chiesto perdono. Come hanno chiesto il "pane quotidiano ".
Quale era il nostro pane? Oh! non quello impastato dalle pure mani di Maria e cotto nel piccolo forno, per il quale tante volte avevo formato fastelli e fascine.
Anche quello necessario finché si è sulla terra. Ma il " nostro " pane quotidiano era quello di fare giorno per giorno la nostra parte di missione. Che Dio ce la desse ogni giorno, perché fare la missione che Dio dà è la gioia del " nostro " giorno, non è vero, piccolo Giovanni? Non lo dici anche tu che ti par vuoto il giorno, ti pare non stato, se la bontà del Signore ti lascia un giorno senza la tua missione di dolore?
Maria prega insieme a Gesù. È Gesù che vi giustifica, figli. Sono Io che rendo accettevoli e fruttuose le vostre preghiere presso il Padre. lo l'ho detto: " Tutto quello che chiederete al Padre in mio nome, Egli ve lo concederà ", e la Chiesa avvalora le sue orazioni dicendo: "Per Gesù Cristo Signor nostro ".
Quando pregate, unitevi sempre, sempre, sempre a Me. lo pregherò a voce alta per voi, coprendo la vostra voce di uomini con la mia di Uomo-Dio. Io metterò sulle mie mani trafitte la vostra preghiera e l'eleverò al Padre. Diverrà ostia di pregio infinito. La mia voce fusa con la vostra salirà come bacio filiale al Padre, e la porpora delle mie ferite farà prezioso il vostro pregare. Siate in Me se volete avere il Padre in voi, con voi, per voi.
Hai finito la narrazione dicendo: " E per noi ... ... e volevi dire: " per noi che siamo così ingrati verso questi Due che hanno montato il Calvario per noi ".
Hai fatto bene a mettere quelle parole. Mettile ogni volta che ti farò vedere un nostro dolore. Sia come la campana che suona e che chiama a meditare e a pentirsi.
Basta, ora. Riposa. La pace sia con te ».
6.3 La Donna più bella del mondo…, l’archetipo della creazione degli uomini.
All’inizio della vita pubblica Gesù si era stabilito a Cafarnao ma – nelle visioni della nostra mistica – vedremo ancora Maria insieme a Gesù alle nozze di Cana.
La mistica la vede arrivare alla casa del matrimonio con un’altra donna.
Sulle prime non la riconosce, le due donne indossavano infatti lunghe vesti ed un manto che faceva anche da velo. Una era più anziana , sui cinquant’anni, l’altra più giovane sui trentacinque.
Ovviamente la più anziana è Maria – penseremmo noi, perché dopo l’inizio della missione di Gesù era sui quarantasette.
E invece no, Maria era la… trentacinquenne.
Nonostante i suoi quarantasette anni era infatti molto bella, snella, con un portamento pieno dignità per quanto tutta gentile e umile. Volto pallido, occhi azzurri e capelli biondi che si intravvedevano sotto il velo sulla fronte.9
Nell’opera valtortiana c’è un punto in cui si parla di questa grande bellezza sia di Gesù che di Maria, bellezza di tratti dovuta non solo a quelli genetici presi da Maria dai suoi ascendenti, e quindi ereditati da Gesù-Uomo per parte di Maria di cui era figlio di carne, ma anche al fatto di non avere entrambi tare dovute al peccato originale, fatto che li rendeva perfetti.
L’immaginarli belli non è dunque una questione di ‘psicologia’ o di pietismo popolare, ma una reale realtà.
Adesso vi spiego una cosa che ho appreso dagli insegnamenti del Gesù valtortiano che vi lascerà di stucco.
I primi due Progenitori erano perfetti sia sul piano spirituale che fisico.
Il fisico esprimeva esteriormente la loro perfezione interiore, cioè la perfezione della loro anima.
L’anima è il complesso psichico dell’uomo, ma fra anima e corpo vi è una stretta correlazione per cui i problemi ‘psichici’ finiscono spesso per riflettersi sul corpo, cioè per ‘somatizzarsi’, come dicono i medici.
Ebbene il Peccato originale, che fu un peccato dell’anima, cioè della Psiche, provocò la lacerazione del rapporto con Dio, la perdita dei doni spirituali, il ribaltamento dei valori, con l’io egoistico e carnale che prendeva il sopravvento sull’io spirituale, ed il tutto provocò un disordine anche nel corpo, un sovvertimento del metabolismo, una alterazione dei geni, sempre più pronunciata quanto più i discendenti dei Due progenitori continuarono a peccare non solo contro Dio ma contro tutti gli altri uomini.
Non ne risentì solo la salute fisica, influenzata dal disordine dell’anima, ma anche la stessa bellezza di lineamenti dovuta alla alterazione dei cromosomi originari.
Insieme ai belli cominciarono a nascere i meno belli, e poi i brutti del tutto – senza alcun riferimento alla bellezza interiore della loro anima, ovviamente – perché un brutto può essere di nobilissimo spirito mentre un bello può essere moralmente il peggio.
Belli e brutti nascono oggi dal gioco casuale della miscelazione dei cromosomi dei due sessi che si incrociano fra di loro, ma i ‘brutti’ – parlando solo dal punto di vista fisico -  sono quelli che, per loro casuale sfortuna, hanno ereditato dai loro antenati  la parte peggiori dei caratteri alterati.
L’anima interiore dell’uomo influisce sull’aspetto fisico esteriore, a cominciare da quello del volto e degli occhi.
Chissà quante volte vi sarà capitato di scoprirlo, guardando qualcuno negli occhi o studiandone i tratti del volto.
Maria e Gesù avevano dunque non solo avuto la fortuna di discendere da genitori – per parte di Maria - già di per sé geneticamente ‘belli’, ma di essere anche esteriormente ed interiormente ‘belli’, in quanto esenti dalle tare del Peccato originale, oltre a possedere per questa ragione anche in pienezza i doni dello Spirito Santo, come i Due Progenitori prima del Peccato.
Ecco, a questo proposito, una spiegazione della mia ‘Luce’10 che io avevo già ricordato parlando in un mio libro di Cesare Lombroso, il famoso esperto di antropologia criminale, che, essendo un evoluzionista e non credendo ovviamente all’anima né alla Creazione dell’uomo da parte di Dio, pensava che i caratteri morali e certi caratteri estetico-facciali di alcuni ‘delinquenti abituali’ dipendessero dal riemergere casuale, nel tempo, degli istinti ‘bestiali’ e dei caratteri somatici delle scimmie… che secondo l’evoluzionista erano sue antenate:
Luce:
Dio fece l'uomo dominatore su tutto  quanto era sulla terra, l'uomo, questo smemorato : smemorato dalla malattia provocata dal Peccato Originale.
Già ti dissi che l'uomo è una unità psico-somatica, per usare un termine che vi piace e che voi utilizzate per indicare in realtà che l'uomo è carne fatta anche di psiche e che Io intendo per dire invece che l'uomo è Psiche, psiche, cioè anima, non fatta ma rivestita di carne.
L'uomo, dicevamo, è una unità psicosomatica. E quando il corpo viene danneggiato ne può essere danneggiata, a seconda dei casi, la psiche. Ma per la stessa legge, inversa, quando viene danneggiata la psiche ne viene danneggiato anche il corpo.
Ed il peccato di origine - ti dissi - quale virus terribile danneggiò la psiche, cioè l'anima, privandola della Grazia e,  subito dopo, il corpo - dopo la psiche - ne venne compromesso.
Seguimi nel ragionamento, vieni con Me.
È un po’ quello che succede nelle vostre malattie, in certi vostri incidenti umani. Danneggiate ad esempio il cervello ( che è uno 'strumento' della Psiche, dell'Anima - ricordalo sempre -  e non un 'produttore' di psiche ), danneggiate dunque lo strumento e perdete la memoria di voi stessi, di chi siete, dell'identità vostra, da dove venite, dove andate.
Tu, nei tuoi affetti, hai toccato con mano questa tragica esperienza.
Ma poi il medico vi aiuta, vi rieduca, vi insegna a riacquistare la memoria di voi stessi, vi 'riabilita' il corpo e con esso la mente.
Dunque - dicevo - il medico vi riabilita...
Ma quale è il Medico perfetto se non il Padre vostro ?
Ed Io all'uomo malato - contagiato nella Psiche dal virus estesosi, sempre per contagio, al corpo in forza dell'unità psicosomatica, poiché ti ho già spiegato che la Psiche, ripeto: l'Anima, permea ogni atomo del corpo - ho dato la 'medicina'.
Ho fatto innanzitutto sentire la voce dei Profeti miei per fare nuovamente sapere all'uomo, caduto e imbarbarito, la sua figliolanza.
L'evoluzione, ti dissi, fu 'discendente'. Ciò rientra nel mio 'ordine' che non ama 'rotture' istantanee. La Creazione non fu 'istantanea', anche perché per me il 'tempo' non esiste. L'evoluzione 'ascendente' dell'universo fu 'ordinata', cioè 'progressiva', 'graduale'. E così l'involuzione dell'uomo, che è anch'essa una forma negativa di evoluzione.
Adamo ed Eva (ed i loro discendenti) persero subito la Grazia, per la disobbedienza, e con la Grazia le sue virtù, ma - a parte Caino - non erano ancora capaci di fare veramente il Male, non si erano ancora perfezionati nel Male.
La loro Psiche, cioè la loro Anima, era stata 'danneggiata' ma il virus, come spesso  succede in tante vostre malattie, prima 'incubò', poi si estese gradatamente, sempre di più, compromettendo sempre di più l'anima ed il corpo.
Per questo i primi uomini, come leggi nella Bibbia, vissero così a lungo.
È verità, non favola.  E la ragione è quella che ti ho spiegato. Le funzioni corporee decaddero progressivamente, col tempo. La Morte arrivò, ma ritardata nel tempo rispetto ad ora.  
Ma man a mano che il male contagioso si estendeva, mano a mano che il primo uomo ed i successivi si specializzavano nel Male, si specializzavano spiritualmente, cioè psichicamente, intellettualmente, anche il corpo decadeva e la vita si accorciava, il corpo si indeboliva e le malattie di conseguenza aumentavano.
Non selezione della specie, la robustezza dei primi uomini: ché voi tutto interpretate in termini di 'specie', cioè di animalità, ed in termini di 'selezione', cioè di evoluzione naturale, considerandovi voi per primi degli animali mentre vi dite padroni dell'universo.
Poi ho inviato il Figlio, lui stesso 'Medicina', che si è dato a voi in carne, sangue e Spirito per riscattare non la salute del vostro corpo ma quella dell'Anima affinché in Grazia (quella che deriva dalla applicazione pratica, dico pratica, della sua dottrina) essa potesse - con la ferita 'cicatrizzata': cioè con i 'fomiti' rimasti e fonte di pulsioni - sperare, grazie alla buona volontà, di tornare al Cielo, da Me.
Ma per tornare a me, l'uomo attuale, come il Primo, deve tornare ad essere dominatore dei suoi tre stati: quello spirituale, quello morale, quello animale, cioè della carne.
Come l'uomo malato e poi 'riabilitato' non sempre recupera la piena efficienza originaria se danneggiato gravemente (come voi foste dal Peccato d'Origine), così voi ora non potete ottenere, neanche con la Grazia, il pieno recupero.
E allora dovete 'dominare', nel senso che allora dovete 'conquistare' quel dominio che una volta vi fu dato gratuito, dovete conquistarlo con la vostra fatica: con la buona volontà, che è fatica.
E sempre conquista imperfetta sarà ma -  perché frutto di sforzo, di buona volontà - sarà più gradita a Me di quella di Adamo che nessuna fatica fece, che anzi rinunciò alla buona volontà, per cui mentre lui ebbe il privilegio, calpestato, di essere figlio di Dio, voi avrete il privilegio, conquistato, di essere figli miei, ma nella Gloria, quella che non avrebbe avuto Adamo avendo ricevuto in dono gratuito, quella che invece meritano i veri figli miei che si conquistano il Padre ed il suo Regno con il martirio di sé stessi, con il martirio del proprio 'io'.
Ma non ti preoccupare. Non ti preoccupi il 'martirio'. Non ti chiedo di fare l'eroe, ché troppo sarebbe. Ti chiedo solo di 'martirizzarti', questo lo chiedo a tutti, quel tanto che basta nei limiti molto limitati della vostra buona volontà.
Voi, malati siete, e Io -  buon Padre - mi accontento di questo in attesa di guarirvi del tutto quando -  stanchi di una vita ma con la retta coscienza di aver fatto tutto il possibile, il 'vostro' possibile -  vi presenterete a Me per il Giudizio: non giudizio di Giudice per voi ma abbraccio del Padre che vi è padre, del Figlio che vi è fratello, dell'Amore che vi ama.              
Ma vi fu anche un’altra ragione a motivazione della bellezza non solo interiore ma anche esteriore di Maria, una bellezza – si faccia bene attenzione – che non induceva a pensieri carnali ma che emanava al contrario una intensa spiritualità che incuteva soggezione e rispetto.
E la ragione consistette nell’archetipo al quale accenna il sottotitolo di questo libro e lo stesso testo del Retrocopertina, cioè nell’essere Lei stata il ‘modello’ ideale, perfetto, al quale Dio si ispirò nella sua mente ancor prima della Creazione.
Mentre meditavo uno dei tanti brani valtortiani  mi aveva spiegato infatti la mia ‘Luce’:11
Luce:
Maria Santissima fu presente nel Pensiero del Padre prima della Creazione, perché Lei fu il modello al quale Dio si ispirò per la creazione dell'uomo.
In funzione di questo modello Dio creò l'universo.
Dall'universo - secondo i tempi di Dio, che è fuori del tempo - venne gradualmente la terra, quindi il mondo vegetale, animale, l'uomo. E con l'uomo venne Maria SS., la Splendida, la Gemma più bella del Creato, l'Ostrica Santa degna di accogliere nelle sue valve il Frutto divino: il divino Figlio di Dio.
Solo la perfezione del Creato, solo una creatura perfetta poteva essere degna di accogliere, nutrire in sé, allevare ed educare  l'Uomo-Dio, solo una creatura perfetta poteva essere lasciata ad essere Madre della Chiesa e dell'Umanità.
Non c'è antitesi fra il culto di Maria  SS. ed il culto di Cristo-Dio, perché Maria-creata senza macchia in funzione della Redenzione - ha reso possibile con la sua libera volontà la Redenzione, perché Maria è la figlia perfetta di Dio - che ha sempre amato perfettamente - perché Ella fu sposa dello Spirito Santo, perché Ella fu madre del Cristo.
Figlia, Madre, Sposa, in Lei tutto si ricapitola e il Tutto si ricapitola in Lei. Per questo amare Lei è quasi come amare Dio, per questo amare Lei attira la benevolenza di Dio, perché Dio a Lei: l'Amata, la Perfetta, la Dolcissima, nulla può negare.
E se ti dissi un giorno che Dio è Amore, ma anche Giustizia, di Maria ti posso dire che è solo Amore. E quando tu l'ami, questa Perla preziosa, quando tu le chiedi amore e passi attraverso il suo Cuore, e Lei ti offre al Signore, il Signore non resiste alla triplice offerta e richiesta della Sposa, della Madre e della Figlia.
Essa schiaccerà il capo al Serpente - è detto nella Genesi - ed è per questo che il Serpente, livido, furioso, sibilante, si divincola e cerca di insidiarne il 'tallone', di minarne il culto, perché il Serpente 'sa' che il culto di Maria - per quello che ti ho spiegato - è l'arma più potente per la salvezza dell'anima dell'uomo.
Quando la guerra si fa dura, anche fra gli uomini, questi inventano e ricorrono alle armi più potenti. Ora che la guerra spirituale fatta da Satana all'uomo ha raggiunto uno dei suoi vertici massimi Io ho tirato fuori l'Arma segreta, quella che avevo riposto in previsione di questi tempi affinché, ora come allora, la nuova Eva continui a tenere il Serpente sotto il proprio 'tallone'.
Ama Maria, e troverai Me... sul suo Cuore!
Stavo congetturando su questo concetto non tanto facile da assimilare, dubbioso di avere capito bene, quando la mia ‘Luce’ mi chiarì ancora:
Luce:
Maria fu ‘l’archetipo’ di tutte le creature: la creatura perfetta, degna di ospitare un Dio. La Creazione fu fatta per Lei perché tutti gli uomini decaduti trovassero in Lei la perfezione, perché da questa Perfezione sarebbe nato il Redentore, il Dio Redentore, che avrebbe riscattato l’Umanità e costituito – grazie al suo Sacrificio – il popolo dei Figli di Dio a Gloria ed Onore del Padre suo.
Comprenderete adesso finalmente il perché del titolo che ho voluto dare a questo volumetto: ‘La Donna più bella del mondo’…, titolo che potrebbe apparire ‘leggero’, ma che trova in queste spiegazioni di ora una sua ben più profonda giustificazione.
Riepiloghiamo ora le tappe principali della vita di Maria.
A tre anni viene affidata al Tempio, a quindici conosce Giuseppe, a sedici si sposa e poi darà alla luce Gesù, a quarantacinque circa le muore Giuseppe, intorno ai 47 anni viene lasciata da Gesù per l’inizio della missione pubblica, tre anni dopo – a cinquanta – Gesù le muore.
Lei verrà assunta in Cielo verso i sessanta, sessantenne ma sempre bella come se per lei il tempo – dolori a parte – fosse trascorso senza lasciare segni.
Ma di quest’ultimo aspetto ne riparleremo.

1  Libro di Daniele: Dn 9,20-27   
2  G.L.:‘I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I, Capp. 10 e 11 - Ed. Segno, 2001
3  G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 51 – Ed. Segno, 1997
4  G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. 1, Cap. 5 – Ed. Segno 2001
5  G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I, Cap. 5 – Ed. Segno
6  G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luce e del ‘piccolo’ Giovanni’ – Vol. I, Cap. 10 – Ed. Segno
7  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. I, Cap. 42 – Centro Ed. Valtortiano
8  M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. I, Cap. 44 – Centro Ed. Valtortiano
9  G.L. ‘Il Vangelo del grande e del ‘piccolo’ Giovanni – Vol. I, Cap. 3 – Ed. Segno, 2000
10  G.L.: “I Vangeli di Matteo…’ – Vol. II, Cap. 5: ‘L’evoluzione discendente  e…l’uomo delinquente di Cesare Lombroso’ – Ed. Segno, 2002
11  G.L. “I Vangeli di Matteo…’ – Vol. IV, Cap. 20.2 – Ed. Segno 2004

      
7. Vorrei che, quando pensate a Maria, meditaste questa sua agonia durata trentatré anni e culminata ai piedi della Croce.
Ella l'ha sofferta per voi.
7.1 Entusiasmi pericolosi per Gesù: un tentativo di farlo re.
Nel capitolo precedente abbiamo dunque fatto un grande balzo nel tempo – dal fidanzamento di lei Maria quindicenne con Giuseppe al Tempio, alla nascita di Gesù, lei circa diciassettenne, fino al distacco di Maria quarantasettenne da Gesù per l’inizio della sua missione pubblica. Ma Maria, che ha già tanto sofferto, dovrà soffrire ancora molto di più.
Ora siamo infatti già nel pieno del terzo anno della missione. È passata la Pentecoste, che ricorre cinquanta giorni dopo la Pasqua e dunque – alla latitudine in cui si trova Israele – siamo già in estate.
Assistiamo a questo punto, nell’Opera valtortiana, ad un altro momento di incontro ed intimità fra Gesù e sua Mamma.
Mancano ancora circa nove mesi alla Passione finale dell’anno successivo e Gesù è in viaggio con il gruppo apostolico, diretto verso Cafarnao, la sua ‘base’ sul lago di Tiberiade.
La predicazione del Regno dà soddisfazioni ma anche tante amarezze quando viene respinta.
Con il gruppo vi sono questa volta anche delle discepole e fra di esse vi è Maria.
Gli apostoli erano soliti dormire o in case ospitali - che li accoglievano lungo i percorsi della loro predicazione, quando avevano la fortuna di trovarne - o all’aperto, stesi sull’erba, avvolti nei loro larghi mantelli.
In questa circostanza trovano cammin facendo una grotta, circondata da un bel prato.
Il clima è mite, le donne potranno dormire al riparo nella grotta e gli uomini…all’aperto.
All’alba Gesù si sveglia, scavalca ed evita i corpi degli apostoli ancora addormentati e si allontana nella radura in cerca d’acqua…:1
Gesù cerca dell'acqua. Ma non ne trova. Si rassegna a tornare verso gli apostoli, ma gli uccelli gli insegnano dove trovarla. A frotte scendono verso dei larghissimi fiori a calice, i quali sono altrettante piccole coppe contenenti acqua, oppure si posano su foglie larghe, pelose, che ad ogni pelo hanno rattenuto una stilla di guazza, e là si dissetano o fanno le loro abluzioni.
Gesù li imita. Raccoglie nel cavo delle mani l'acqua dei calici e se ne rinfresca il volto, coglie le larghe foglie pelose e con esse si leva la polvere dai piedi scalzi, si netta i sandali, se li allaccia, con altre si lava le mani finché le vede monde e sorride mormorando: «Le divine perfezioni del Creatore!».
Ora è rinfrescato, ordinato, perché con la mano umida si è ravviato anche i capelli e la barba e, mentre il primo raggio di sole fa del prato una stuoia diamantata, va a destare gli apostoli e le donne.
Le une e gli altri stentano a destarsi, stanchi come sono. Ma Maria è desta, tenuta immobile soltanto dal bambino che le dorme avviticchiato al petto, con la testolina sotto il mento di Maria. E la Madre, vedendo apparire sulla soglia dell'antro il suo Gesù, gli sorride coi suoi dolci occhi celesti, colorandosi di rosa per la gioia di vederlo. E si libera del bambino, che frigna un poco nel sentirsi mosso, e si rizza e va da Gesù col suo tacito passo lievemente ondeggiante di colomba pudica.
«Dio ti benedica, Figlio mio, in questo giorno».
«Dio sia con te, Mamma. Ti è stata rigida la notte?».
«Affatto. Anzi, ben felice. Mi pareva di aver Te piccino fra le braccia... E ho sognato che come un fiume d'oro ti uscisse dalla bocca, suonando un suono di una dolcezza che non si dice, e una voce dicesse, ... oh! che voce!, "Questa è la Parola che arricchisce il mondo e dà beatitudine a chi l'ascolta e l'obbedisce. Senza limite nella potenza, nel tempo e nello spazio, Essa salverà".
Oh! Figlio mio! E sei Tu, la mia Creatura, questa Parola! Come farò a viver tanto e a fare tanto da poter ringraziare l'Eterno di avermi fatta Madre tua?».
«Non ti metter pensiero di ciò, Mamma. Ogni battito del tuo cuore appaga Dio. Tu sei la vivente lode a Dio, e sempre lo sarai, Mamma. Tu lo ringrazi da quando sei ... ».
«Non mi pare di farlo a sufficienza, Gesù. E così grande! Così grande ciò che Dio mi ha fatto! Che faccio io, infine, di più di quello che facciano tutte quelle buone che sono come Me tue discepole? Diglielo Tu, Figlio mio, al Padre nostro che mi dia modo di ringraziarlo come il dono merita».
«Madre mia! E credi che il Padre abbia bisogno che Io chieda questo per te? Egli ti ha già preparato il sacrificio che tu dovrai consumare per questa lode perfetta. E perfetta sarai quando lo avrai compiuto ...».
«Gesù mio!... Comprendo ciò che vuoi dire... Ma sarò capace di pensare in quell'ora?... La tua povera Mamma ... ».
«La beata Sposa dell'Amore eterno! Mamma, questo sei. E l'Amore penserà in te».
«Tu lo dici, Figlio, e io mi riposo sulla tua parola. Ma Tu prega per me, in quell'ora che nessuno di questi capisce... e che è già imminente... Non è vero? Non è forse vero?».
Dire l'espressione del volto di Maria mentre ha questo dialogo è impossibile. Non c'è scrittore che possa tradurla in parola senza sciuparla con sdolcinature o tinte indecise. Solo chi ha cuore, e cuore buono, pur essendo cuore virile, può dare mentalmente al volto di Maria l'espressione reale che ha in questo momento.
Gesù la guarda... Altra espressione intraducibile in povera parola. E le risponde: «E tu prega per Me nell'ora della morte... Sì. Nessuno di questi capisce... Non è colpa loro. È Satana che crea i fumi perché non vedano, e siano come ebbri e non intendano, e perciò impreparati... e più facili ad essere piegati...
Ma Io e te li salveremo nonostante l'insidia di Satana.
Sin da ora te li affido, Madre mia. Ricordati queste mie parole: te li affido.
Ti do la mia eredità.
Non ho nulla sulla terra fuorché una Madre, e questa l'offro a Dio: Ostia con l'Ostia; e la mia Chiesa, e questa l'affido a te.
Siile Nutrice. Poco fa pensavo in quanti, nei secoli, sarà rivivente l'uomo di Keriot con tutte le sue tare. E pensavo che uno che non fosse Gesù lo respingerebbe, questo essere tarato. Ma Io non lo respingerò. Sono Gesù.
Tu, nel tempo che resterai sulla terra, seconda a Pietro come gerarchia ecclesiastica, egli capo e tu fedele, prima a tutti come Madre della Chiesa avendo partorito Me, Capo di questo Corpo mistico, tu non respingere i molti Giuda, ma soccorri e insegna a Pietro, ai fratelli, a Giovanni, Giacomo, Simone, Filippo, Bartolomeo, Andrea, Toma e Matteo a non respingere e a soccorrere.
Difendimi nei miei seguaci, e difendimi contro coloro che vorranno disperdere e smembrare la nascente Chiesa.
E nei secoli, o Madre, sempre tu sii Colei che intercede e protegge, difende, aiuta la mia Chiesa, i miei sacerdoti, i miei fedeli, dal Male e dal Castigo, da loro stessi...
Quanti Giuda, o Madre, nei secoli! E quanti simili a deficienti che non sanno capire, o a ciechi e sordi che non sanno vedere e udire, o a storpi e paralitici che non sanno venire...
Madre, tutti sotto il tuo manto! Tu sola puoi e potrai mutare i decreti di castigo dell'Eterno per uno o per molti. Perché nulla la Triade potrà mai negare al suo Fiore».
«Così farò, Figlio. Per quanto sta in me, va' in pace alla tua mèta. La tua Mamma è qui per difendere Te nella tua Chiesa, sempre».
«Dio ti benedica, Mamma. Vieni! Ti coglierò dei calici di fiori pieni di rugiada profumata e te ne rinfrescherai il volto come ho fatto Io. Ce li ha preparati il Padre nostro Ss., e gli uccelli me li hanno indicati. Guarda come tutto serve nella ordinata Creazione di Dio! Questo pianoro sopraelevato e prossimo al lago, così fertile per le nebbie che salgono dal mar galileo e per le alte piante che attirano le rugiade, permettendo questo rigoglio di erbe e fiori, anche fra l'arsione dell'estate. Questo piovere abbondante di rugiade per empire questi calici perché i suoi figli diletti possano lavarsi il volto... Ecco quanto il Padre ha predisposto per chi lo ama. Tieni. Acqua di Dio, in calici di Dio, per rinfrescare l'Eva del nuovo Paradiso».
E Gesù coglie questi larghissimi fiori, non so come si chiamano, e versa nelle mani di Maria l'acqua raccolta nel fondo...
Gesù incontrava difficoltà nella missione ma a volte anche entusiasmi pericolosi.
È di questo periodo – nell’opera valtortiana – un episodio visto dalla mistica in una splendida visione ma che l’evangelista Giovanni racchiude in due righe: un tentativo di alcuni uomini potenti che – attirato Gesù in una riunione segreta in una casa di campagna – cercano di convincerlo a farsi ‘ungere’ ed eleggere Re.2
Gesù aveva fatto i due miracoli della moltiplicazione dei pani per parecchie migliaia di persone e quegli uomini – alcuni in buona fede altri meno ma che ragionavano tutti ‘umanamente’ – avevano concluso che chi era capace di fare miracoli così strepitosi doveva essere per forza il Messia e doveva anche essere capace di liberare Israele da Roma dando inizio al Regno di Israele in terra.
Gesù parteciperà da solo  - cioè senza la presenza degli apostoli – a quella riunione e terrà uno stupendo discorso, spiegando ai presenti – fra i quali vi erano anche delle spie infiltrate dal Tempio nella speranza che Gesù accettando la proposta si compromettesse di fronte a Roma - che il Regno del Messia non è un regno di questo mondo come Israele lo aveva sempre inteso, ma un Regno spirituale che – in quanto spirituale – durerà in eterno.
Gesù – che legge nei cuori – svelerà ai presenti le interne non giuste passioni di gloria terrena che li muovono, compreso il tentativo di alcuni di compromettere lui e gli altri facendo la spia al Tempio e a Roma.
Scoppierà fra di essi una lite furibonda mentre Gesù – vedendo tanta cecità di fronte alla sua predicazione spirituale - fuggirà deluso e soprattutto addolorato.
Egli si ritirerà su un promontorio isolato seguito a distanza dal suo Giovanni che non si era fidato di lasciarlo andare da solo e, per prudenza, lo aveva pedinato e spiato in segreto rimanendo nascosto all’esterno della casa.
Giovanni lo raggiungerà e lo troverà piangente ed allora Gesù gli narrerà quanto gli era successo dicendogli di tenere il segreto su quell’episodio, salvo raccontarlo quando vi sarebbe stato chi avrebbe voluto considerare Gesù alla stregua di un ‘capopopolo’.
Gesù dirà infatti a Giovanni:3
« Non lo dirai altro che quando gli uomini vorranno mostrarmi come un comune capopopolo. Un giorno questo verrà. Tu ci sarai. E dirai: ‘Egli non fu re di questa terra perché non volle. Perché il suo Regno non era di questo mondo. Egli era il Figlio di Dio, il Verbo incarnato, e non poteva accettare ciò che è terreno. Volle venire nel mondo e vestire una carne per redimere le carni e le anime e il mondo, ma non soggiacque alle pompe del mondo e ai fomiti del peccato, e nulla di carnale e mondano fu in Lui. La Luce non si fasciò di Tenebre, l’Infinito non accolse cose finite, ma delle creature, limitate per la carne e il peccato, fece delle creature che più gli fossero uguali, portando i credenti in Lui alla regalità vera e instaurando il suo Regno nei cuori, avanti di instaurarlo nei Cieli, dove sarà completo ed eterno con tutti i salvati”.
Questo tu dirai, Giovanni, a chi mi vorrà tutto uomo, a chi mi vorrà tutto spirito, a chi negherà che io abbia subito tentazione….e dolore. Dirai agli uomini che il Redentore ha pianto…e che essi, gli uomini, sono stati redenti anche dal mio pianto…».
Sono parole bellissime che rieccheggiano le celebri note ‘musicali’ del Prologo del Vangelo che  l’apostolo Giovanni scriverà in tarda età.
Spinto ad una riflessione da queste ultime parole di Gesù a Giovanni – devo però aprire a questo punto una piccola parentesi.
Dal Vangelo di Giovanni emergono situazioni dalle quali si manifesta grandiosa la spiritualità e la divinità di Gesù, insieme agli alti contenuti dottrinari che l‘evangelista fa risaltare negli episodi che racconta.4
Gli episodi dei tre Vangeli ‘sinottici’ di Matteo, Marco e Luca, riflettono invece di più l’umanità di Gesù  - non il Dio-Uomo di Giovanni quanto invece l’Uomo-Dio - ma non perché in questi episodi si manifestasse un altro Gesù  quanto perché i tre evangelisti ne hanno colto principalmente gli aspetti in un certo senso più umani.
In realtà Gesù fu Uomo e Dio contemporaneamente, dove il Verbo che era in Lui decideva di manifestarsi esteriormente di più o di meno a seconda del momento e delle esigenze della missione, e dove peraltro il coglierne un aspetto più che un altro dipendeva in sostanza anche dalla ‘sensibilità’ dell’evangelista.
In ogni caso solo Matteo e Giovanni – in quanto apostoli - furono ‘testimoni diretti’.
Marco e Luca dovettero invece basarsi su racconti altrui, se non addirittura sulla  stessa struttura narrativa del testo precedente di Matteo, per cui tutti e tre hanno finito per essere definiti ‘sinottici’.
Ora voi noterete che il Gesù che emerge da questo mio libro di commento è un Gesù ‘poco Dio’ e ‘molto uomo’, non perché la mia indubbia ‘umanità’ e la mia mancanza di ‘sensibilità’, nel caso specifico, mi impediscano di cogliere – nel complesso del racconto valtortiano – il Gesù-Dio, quanto perché questo è il Gesù sofferente dei colloqui intimi con la sua Mamma, il Gesù che soffre moralmente  e umanamente – cioè come figlio e come uomo – la sua Passione fra l’incomprensione del ‘mondo’ e degli stessi apostoli.
Durante i discorsi degli ultimi giorni a Gerusalemme – quelli della ‘settimana santa’ del Vangelo di Giovanni – risentiremo il ‘Dio’ nella sua potenza, per rivederlo invece ‘Uomo’ nella sua Passione.
Lo ritroveremo Dio-Uomo anche nel colloquio che avrà con la Madre nel momento del suo ‘addio’, immediatamente prima dell’inizio dell’Ultima Cena, nonché in quello in cui – con il suo Corpo glorificato - si materializzerà splendente e maestoso davanti alla Madre chiusa in preghiera nella sua stanza all’alba della Domenica di Resurrezione.
Lo ritroveremo invece Dio potente, con linguaggio potente, nelle visioni valtortiane della sua Resurrezione ed in quelle successive, per ‘esplodere’ infine nella visione della sua Ascensione al Cielo.5
Ma per ritornare all’episodio della fuga dal convito ed al colloquio fra Gesù ed il suo apostolo preferito, Giovanni terrà il segreto, ma la notizia di quella riunione trapelerà  comunque, finendo per giungere alle orecchie di molti e perfino di Giuseppe e Simone, cugini di Gesù.
Essi lo verranno a sapere da alcuni personaggi che vi avevano partecipato e che, irati a causa di quel rifiuto da parte di Gesù, avevano cercato di indurre con le cattive maniere loro, in quanto parenti stretti, a convincere a loro volta Gesù.

7.2 Il dolore di Gesù e Maria per l’incredulità ed ostilità dei parenti e degli abitanti di Nazareth.
Ne ho già parlato più ampiamente altrove ma Gesù aveva avuto i primi ‘nemici’ della sua missione nella propria famiglia.6
San Giuseppe aveva un fratello, di nome Alfeo, e questi aveva a sua volta moglie (Maria d’Alfeo, che ritroveremo nei Vangeli) e quattro figli di nome Giuseppe, Simone, Giacomo e Giuda.
Giuseppe era il più anziano, Simone il secondogenito e gli ultimi due erano i più giovani, prima compagni di giochi e poi apostoli di Gesù.
Tutti erano dunque cugini di Gesù per parte di San Giuseppe.
Quando Gesù aveva deciso di lasciare la madre a Nazaret per l’inizio della sua missione di predicazione, la famiglia l’aveva contrastato sia perché lasciava la sua attività di falegname (e quindi Maria sarebbe stata costretta a guadagnarsi da vivere lavorando, credo di cucito), sia perché lasciava senza alcun sostegno morale la madre vedova.
Quando poi cominciarono a sentire quel che veniva loro riportato in merito alla sua predicazione, ai suoi miracoli e soprattutto a quel suo dichiararsi Messia – lui che era stato falegname, figlio del loro zio Giuseppe – erano rimasti allibiti ed increduli.
Stessa reazione, anzi più negativa, da parte dei paesani di Nazaret che – avendolo visto crescere nel nascondimento come figlio del falegname e poi semplice falegname egli stesso, faranno onore al motto ‘nemo propheta in patria’ e gli saranno sempre ostili, come emerge anche dal racconto dei Vangeli.
I parenti non sapevano nulla della Annunciazione e di quel concepimento e parto verginale.7
Per essi Gesù era solo un loro cugino al quale doveva aver dato di volta il cervello. La sua predicazione lo metteva contro i sacerdoti, in un paese sostanzialmente governato dalle classi sacerdotali.
I due cugini maggiori vedevano lo spettro della persecuzione, temevano per le loro famiglie, e - nel migliore dei casi - temevano di divenire lo zimbello dei paesani.
Giuseppe, figlio di Alfeo, dopo la morte del padre, si sentiva investito del ruolo di ‘capofamiglia’.
Egli voleva bene a Gesù, ed a Maria, ma a Gesù rimproverava quelle scelte ‘scapestrate’ ed a Maria la debolezza di consentire al figlio di fare tutto quanto Egli voleva, anzi di incoraggiarlo.
I due più giovani avevano saltuariamente degli scontri con i fratelli maggiori – a causa del loro essersi fatti apostoli – e Giacomo, dal carattere forte, si era ‘preso’ una volta in particolare con Giuseppe.
Quando però giunge all’orecchio di Giuseppe e Simone che dei ‘potenti’ avevano cercato di convincere Gesù a farsi Re, essi rimangono impressionati, riflettono e cominciano a pensare che, se Gesù veniva davvero considerato ‘Messia’, quella avrebbe potuto essere per loro una grande opportunità dalla quale sarebbe potuto derivare anche un vantaggio materiale.
In fin dei conti – pensavano - la loro famiglia, e con essa anche Gesù, per parte di San Giuseppe, discendeva dalla stirpe di Davide, dalla quale i profeti avevano indicato che sarebbe venuto il Messia.
Successivamente i due cugini – convinti dalla Madonna che spiegherà loro le Scritture - cambieranno idea su Gesù, prima considerandolo veramente il Messia predetto nelle Scritture e poi arrivando a valutare la sua missione in chiave non terrena ma spirituale, senza tuttavia considerarlo ancora ‘Figlio di Dio’ come giungeranno invece a fare qualche tempo prima della Passione quando la loro mente si aprirà alla Verità.
Questo graduale cambiamento, per cui i cugini cominciano a considerarlo Messia (ma non ancora ‘figlio di Dio’), si intuisce anche dal brano del Vangelo di  Giovanni (Gv 7, 1-9) quando l’Evangelista – dopo il colloquio di Gesù con i parenti che lo invitano ad andare con loro a Gerusalemme per la Festa dei Tabernacoli perché era là che c’era la gente che politicamente contava, era là che si manovravano le leve del potere – commenta che comunque  ‘nemmeno i suoi fratelli credevano in lui’…, cioè “in Lui come ‘Dio’ ”.8
Gesù risponderà ai cugini che non era sua intenzione andare questa volta a Gerusalemme a mostrarsi ‘Messia’ come essi volevano, perché non era ancora giunto il ‘suo tempo’, e Giovanni concluderà poi il brano dicendo che Gesù decise poi di andarci, non in ‘pompa magna’, ma quasi di nascosto…
È dunque prossima la Festa dei Tabernacoli, detta anche delle Capanne, che si teneva alla fine dei raccolti, in autunno.
È trascorso poco tempo da quel convito segreto che si era tenuto nella casa di campagna di Cusa, Intendente del Re Erode, marito della discepola Giovanna di Cusa di cui parlano i Vangeli e sostenitore di Gesù. Gesù aveva da poco convertito due criminali che erano diventati lebbrosi ed ai quali – pentitisi - promette una futura prossima guarigione lasciando che nel frattempo meditino ancora un poco sulle loro colpe passate.
Siamo in autunno e si avvicina la stagione fredda e siamo anche nelle vicinanze di Nazaret dove Gesù non vuol farsi vedere, ed allora Egli invia l’apostolo Giovanni dalla Madre a prendere del vestiario pesante chiedendole però di venire da lui, che l’attende fra i boschi su un colle.
Vediamo insieme alla nostra mistica questo episodio, che avviene immediatamente prima di quello sopra citato del Vangelo di Giovanni in merito al colloquio di Gesù con i suoi cugini Giuseppe e Simone che si accingevano a partire l’indomani per partecipare alla Festa dei tabernacoli a Gerusalemme:9
(Evangelo cap.477) A colloquio con la Madre nel bosco di Matatia.
Le sofferenze morali di Gesù e di Maria.
21 agosto 1946.
Gesù è solo. Solo su un pianoro un poco fatto a conca, che con una lieve e pur continua ondulazione sale per il versante dei colli che cingono certo il lago di Galilea, perché lo vedo in basso, a destra, incupire il suo azzurro bellissimo per il sopraggiungere del tramonto, che ritira da molta parte di lago il folgorante saettare dei raggi solari. Dietro alla conca, a nord, le montagne di Arbela e oltre, più alte, quelle di oltre lago dove sorgono Meieron e Giscala, e a nord est, lontano, ma potente e regale sempre da qualunque parte lo si veda, il Grande Ermon, che il sole al tramonto percuote bizzarramente nel picco maggiore, facendolo di un topazio rosa ad occidente, e lasciandolo al suo colore opalino, tendente a quell'indefinibile sfumatura di un niveo azzurrino che ho visto qualche volta sulle vette delle            nostre Alpi di confine.
lo guardo a nord, e questo vedo, come vedo senza fatica a destra, in basso, il lago, a sinistra e più alti i colli che impediscono di vedere la pianura della costa. Ma se mi volgo a mezzo giorno vedo il Tabor oltre dolci colline, che sono certo quelle che cingono Nazaret. Una cittadina è giù, in basso, presso una via di grande transito, dove la gente si affretta per raggiungere i luoghi di tappa.
Gesù non guarda nulla di ciò che guardo io. Cerca soltanto un posto per sedere e lo elegge ai piedi di un poderosissimo leccio, che con le sue fronde ha riparato le erbe del suolo dal solleone, per cui esse sono ancora fresche e folte come se l'estate non fosse passata bruciando. Gesù ha così di fronte il lago, al fianco il sentiero fra le piante per il quale è salito, all'altro lato le ondulazioni che recingono a nord la conca prativa e boschiva dove si trova, e tutta verde, perché le piante sono per lo più lecci e altre, ossia piante perenni, che l'autunno non tocca. Soltanto qua e là mostrano un punto rosso sangue per una foglia che trascolora prima di cadere, cedendo il posto a quella embrionale che già nasce vicina a quella che muore.
Gesù, molto stanco, sì appoggia al tronco potente e sta qualche tempo ad occhi chiusi, come per riposare. Ma poi prende la sua posa abituale, staccandosi dal tronco, piegandosi un poco in avanti, con i gomiti sui ginocchi, gli avambracci sporti in avanti, le mani unite con le dita intrecciate. E pensa. E prega certo.
Ogni tanto, per qualche rumore che avviene vicino a Lui - uccelli che rissano cercando il posto per la notte, qualche animale fra l'erba che fa precipitare un sasso per la china, un ramo che urta contro un altro per un soffio solitario di vento - alza gli occhi, e con uno sguardo assorto che certo non vede, li volge in direzione del rumore, specie se è in direzione della stradina che sale fra i lecci. Poi li riabbassa di nuovo concentrandosi in Se stesso. Due volte guarda con attenzione il lago che ora è già in ombra, e poi volge il capo a guardare ad occidente, dove il sole è scomparso dietro i colli boscosi, e la seconda volta si alza e va proprio sul sentiero e guarda se sale qualcuno, poi torna al suo posto.
Infine ecco un rumore di passi e due figure che spuntano: Maria vestita di azzurro cupo e Giovanni carico di sacche. E Giovanni chiama due volte: «Maestro!», e appena Gesù si volge dice: «Ecco tua Madre», e l'aiuta a valicare un piccolo rio e alcuni ciottoloni, messi sul sentiero con l'intenzione di rassodarlo e renderlo comodo a chi sale o scende, in realtà con l'utile di farne dei veri trabocchetti per il piede semiscalzo.
Gesù si alza subito per venire incontro alla Madre e l'aiuta con Giovanni a salire la macia franata, che dovrebbe trattenere il pianoro. In realtà solo i radiconi dei lecci fanno questo ufficio.
Ora Maria è sorretta dal Figlio che l'osserva e le chiede: «Sei stanca?».
«No, Gesù», e gli sorride.
«Mi sembra invece che tu lo sia. Mi spiace averti fatta venire. Ma non potevo venire Io ... ».
«Oh! non è nulla, Figlio mio. Un poco accaldata sono. Ma qui si sta bene... Tu piuttosto sei tanto stanco e anche il povero Giovanni ... ».
Ma Giovanni scuote il capo ridendo e deponendo la sacca, nuova e ben gonfia, di Gesù e la sua sull'erba, ai piedi del leccio, e si ritira dicendo: «Vado giù. Ho visto una fonticella. Mi rinfresco un poco in quell'acqua. Ma sentirò se mi chiamate», e si ritira lasciando liberi i Due.
Maria si allenta il manto e si leva il velo asciugandosi il sudore che le imperla la fronte. E guarda Gesù e gli sorride e ne beve il sorriso, perché Egli pure le sorride mentre le carezza la mano e se la appoggia sulla guancia per averne la carezza. Così «figlio» in quell'atto che gli ho visto fare altre volte! Maria libera la mano e gli ravvia i capelli, levandone un pezzettino di corteccia d'albero rimasta fra le ciocche, ed ogni mossa delle dita è una carezza tanto è l'amore con cui è fatta. E parla: «Sei tutto sudato, Gesù. Il manto sulle spalle è umido come ti fosse piovuto addosso. Ma ora potrai prenderne un altro. Questo lo ritiro io. È stinto dal sole e dalla polvere. Avevo tutto pronto, e… Aspetta! So che hai appena mangiato e una crosta di vecchio pane con un pugno di ulive, salate tanto da morderti le fauci.
Me lo ha detto Giovanni, che non faceva che bere appena arrivato. Ma io ti ho portato pane fresco. L'avevo appena sfornato, e un favo di miele che avevo tolto ieri dall'alveare per darlo ai bambini di Simone. Ma per loro ne ho altri favi. Prendilo, Figlio mio. È della nostra casa ... », e si curva ad aprire la sacca che ha, sopra a tutte le cose che contiene, un basso cestino di vimini con delle frutta e, sopra a queste, un favo avvolto in lunghe foglie di vite, e offre tutto al Figlio con del pane fresco e croccante.
E, mentre Gesù mangia, Ella leva dalla sacca gli indumenti che ha preparato per i mesi invernali, solidi, caldi, atti a riparare dal freddo e dall'acqua, e li mostra a Gesù che le dice: «Quanto lavoro, Mamma! Avevo ancora quelli dello scorso inverno ... ».
«Gli uomini, quando stanno lontani dalle donne loro, devono avere tutto di nuovo per non avere bisogno di riparare niente per essere ordinati. Ma non ho sciupato nulla. Questo mio mantello è il tuo accorciato e ritinto. Per me va bene ancora. Ma per Te non andava più. Tu sei Gesù ... ».
Dire cosa c'è in questa frase è impossibile. «Tu sei Gesù». Una frase semplice. Ma tutto l'amore della Madre, della discepola, dell'ebrea antica per il Promesso Messia e dell'ebrea del tempo benedetto che possiede Gesù, è in quelle poche parole.
Se la Madre si fosse prostrata adorando suo Figlio come Dio, non avrebbe avuto che una forma ancor limitata nella sua forma venerabonda. Ma in queste parole è più di un'adorazione formale delle ginocchia che si piegano, della schiena che si curva, della fronte che tocca il suolo: qui è tutto l'essere di Maria, la sua carne, il suo sangue, la sua mente, il suo cuore, il suo spirito, il suo amore, che adora totalmente, perfettamente il Dio-Uomo.
lo non ho mai visto cosa più grande, più assoluta, di queste adorazioni di Maria al Verbo di Dio che le è Figlio, ma che Ella sempre ricorda che le è Dio.
Nessuna delle creature che, guarite o convertite da Gesù, vedo adorare il loro Salvatore, neppure le più ardenti, neppure quelle inavvertitamente teatrali sotto l'impeto dell'amore, hanno un "che" che assomigli a questo.
Esse amano totalmente, ma sempre da creature alle quali manca sempre qualcosa per essere perfette.
Maria ama, oso dire, divinamente. Ama più che creatura. Oh! è proprio la figlia di Dio immune da colpa! Per questo può amare così!... E penso a cosa ha perduto l'uomo col Peccato d'origine... Penso a cosa ci ha rubato Satana col suo travolgere i Progenitori.
Ci ha levato questa potenza di amare Dio come lo ha amato Maria... Ci ha levato la potenza di amare bene.
Intanto che io considero queste cose guardando la Coppia perfetta, Gesù, finito il suo pasto, è scivolato a sedere sull'erba ai piedi della Madre, posandole il capo sui ginocchi come un fanciullo stanco e anche triste che si rifugia dall'unica che lo può confortare. E Maria lo carezza sui capelli, sfiora la fronte liscia del suo Gesù. Sembra che voglia fugare tutte le stanchezze e tutte le pene che sono in quel suo Figlio, con quella carezza. Gesù chiude gli occhi e Maria sospende la carezza, rimanendo con la mano posata sui capelli, guardando davanti a Lei, pensosa, immobile. Crede forse che Gesù si addormenti. È tanto stanco...
Ma Gesù riapre gli occhi quasi subito, vede che la sera viene, vede che non è concesso prolungare quell'ora di conforto e allora alza il capo, rimanendo seduto dov’è, e parla.
«Lo sai, Mamma, da dove vengo?».
«Lo so. Me lo ha detto Giovanni. Due anime che tornano a Dio. Una gioia per Te e per me».
«Sì. Scendo a Gerusalemme con questa gioia».
«A conforto della delusione che hai avuta lo stesso giorno che ci siamo lasciati».
«Come lo sai? Te lo ha detto Giovanni? Egli solo sa ... ».
«No. Io gliene ho chiesto. Ma Giovanni ha risposto: `Madre, fra poco tu lo vedrai. Chiedine a Lui"».
Gesù sorride dicendo: «Giovanni è fedele sino allo scrupolo».
Una sosta. Poi Gesù chiede: «Chi dunque te ne ha parlato?».
«Non a me. Sono venuti dei... degli uomini da Giuseppe tuo fratello. E... egli è venuto da me. Era ancora un poco... Sì, Figlio mio. È sempre meglio dire la verità. Un poco inquieto dopo il tuo incontro con lui a Cafarnao, e specialmente dopo il discorso che fu tra Giuseppe e Giuda e Giacomo. Si sono visti in tua assenza e anche Giacomo, anzi, soprattutto Giacomo fu severo... Molto... Direi troppo. Però l'Eterno, sempre buono, ha tratto da questo dissapore un bene.
Certo perché è stato un dissapore venuto da due fonti d'amore. Diverse, è vero, ma sempre amore. Imperfette, è vero. Perché, se fossero perfette, se almeno una fosse perfetta, non sarebbe trascesa all'ira... Dire ira forse è troppo forte per dare un nome allo stato d'animo di Giacomo, ma certo egli fu molto, molto severo... Tu lo avresti certamente richiamato alla carità. Io... non ho approvato, ma ho compatito perché ho compreso ciò che rendeva così inquieto il sempre paziente Giacomo. Non si può pretendere che sia perfetto... È un uomo. È ancora molto uomo lui pure. Oh! ce ne è della via da percorrere ancora perché Giacomo giunga ad essere un giusto come era il mio Giuseppe! Egli... sapeva dominarsi sempre... ed essere sempre buono...
Ma io divago! Dicevo che l'amore imperfetto dei due per Te - perché ti amano, oh! tanto. Anche Giuseppe, benché non sembri a prima vista. Ma è proprio amore per Te tutte le cure che si prende anche per questa povera donna. Ed è amore per Te il suo modo di pensare, da vecchio israelita fisso nelle sue idee come suo padre. Cosa darebbe per vederti amato da tutti! A modo suo... Certo...-. Ma, venendo al fatto, ti devo dire che Giuseppe, al quale non ha fatto male il contegno sicuro di Giacomo, si è messo a venire da me ogni giorno, e sai perché? Perché gli spieghi le Scritture "come tu e tuo Figlio le capite" ha detto. Spiegare le Scritture alla luce della Verità!...
È difficile quando chi ci ascolta è un Giuseppe d'Alfeo, ossia uno che crede fermamente al regno temporale del Messia, alla sua nascita regale e a tante altre cose!
Ma a fargli accettare l'idea che il Re d'Israele deve essere di stirpe regale, dì Davide sì, ma non occorre che sia nato in una reggia, mi ha servito l'orgoglio suo stesso.
Egli... oh! come ci tiene ad esser della stirpe di Davide! Gli ho detto dolcemente tante cose... e questa idea l'ho raddrizzata in lui.
Egli ammette, ora, per concordanza con le profezie, che Tu sei il profetizzato.
Ma non sarei riuscita, oh! non sarei, a farlo convinto che Tu, che la tua grandezza vera è proprio nell'essere Re nello spirito, unica cosa che ti possa fare Re universale ed eterno, se non fosse venuta in due riprese della gente a cercarlo...
I primi, ancora quelli di Cafarnao e altri con loro, dopo averlo nuovamente sedotto con abbacinanti promesse di grandezza per tutta la casa, vedendolo meno propenso a cedere in loro favore - essi pretendevano che egli ti forzasse e mi forzasse a farti accettare una corona - si sono traditi passando a minacce...
Le solite velate minacce che essi usano. Coltelli taglienti avvolti in morbida lana per farli parere innocui...
E Giuseppe ha reagito dicendo: "Io sono il più vecchio, ma Egli è maggiorenne e nella nostra famiglia non mi risulta siano mai stati degli stolti o dei pazzi. Come maggiorenne già da quattro lustri, Egli sa ciò che si fa. Andate dunque e interrogatelo, e se Egli ricusa lasciatelo stare. È responsabile delle sue azioni".
Ma poi, e proprio la vigilia del sabato, sono venuti dei tuoi discepoli...
Mi guardi, Figlio? Lascia che io non ti dica il loro nome, ma lascia che ti dica di perdonarli... Un figlio che avesse alzato le mani sulla canizie del padre, un levita che avesse profanato l'altare e temesse l'ira di Jeové, non sarebbero come essi erano...
Venivano da Cafarnao dove ti avevano cercato... Avevano fatto le vie del lago da Cafarnao a Magdala e poi a Tiberiade sperando trovarti. E si erano incontrati con Erma e Stefano, che scendevano con altri a Gerusalemme dopo essere stati ospiti di Gamaliele qualche giorno. lo non voglio dire ciò che essi hanno detto, ciò che ti vogliono dire, e ardono di dirtelo. Ma le loro parole avevano aumentato ancor più il dolore dei discepoli che furono traviati tanto da unirsi a chi ti voleva tradire con una bugiarda unzione.
Quando vennero era da me Giuseppe. E bene fu. Oh! Giuseppe non è ancora giunto alla Luce, ma già nel crepuscolo della sua aurora. Giuseppe ha capito l'insidia e... ti ama molto, ora, Giuseppe nostro. Ti ama, non oso dire giustamente, ma almeno da parente anziano che soffre del tuo soffrire, che veglia sulla tua incolumità, che conosce i tuoi nemici...
Ecco perché so cosa ti hanno fatto, Figlio mio. Un dolore... E una gioia, perché in più di uno ti ha riconosciuto per ciò che sei. Per Te e per me, questo dolore e questa gioia. E perdoniamo a tutti, non è vero? lo ho già perdonato i pentiti, per quanto mi era concesso».
«Mamma, potevi dare ogni perdono anche per Me. Perché Io avevo già perdonato vedendo il loro cuore. Sono uomini... Hai detto bene tu!... Ma Io ho anche la gioia di vedere Giuseppe procedere verso l'aurora della vera Luce ... ».
«Sì. Egli sperava vederti. Era bene che lo vedessi. Oggi era assente sino al tramonto. E avrà dolore a non vederti. Ma lo potrà fare a Gerusalemme».
«No, Madre. Io non starò a Gerusalemme in modo da esser visto. Ho bisogno di evangelizzare la città e i posti ad essa vicini, e ne sarei subito cacciato se mi scoprissero. Dovrò dunque agire come uno che fa il male, mentre voglio fare solo del bene... Ma così è».
«Allora non vedrai Giuseppe? Egli parte domani per i Tabernacoli. Potevate fare il viaggio insieme ... ».
«Non posso ... ».
«Tanto ti perseguitano già, Figlio mio?». Che affanno è nella voce della Madre!
«No, Madre. No. Non più di prima. Rassicurati. Anzi... Spiriti buoni vengono a Me. Altri, che buoni non sono, si arrestano meditando mentre prima colpivano senza ragione, i discepoli aumentano, quelli anziani sempre più si formano, gli apostoli si perfezionano. Non dico di Giovanni, egli è stato sempre una grazia che il Padre mi ha fatta; ma dico di Simone di Giona e degli altri. Simone, che posso dire giorno per giorno si muta da uomo qual era in apostolo, e tu sai ciò che voglio dire. E mi dà tanta gioia. E Natanaele e Filippo che si sciolgono dai legami delle loro idee. E Tommaso e... Ma che dico! Tutti. Sì, credilo. Tutti in quest'ora sono buoni: la mia gioia. Tu devi stare quieta sapendomi con loro: amici, consolatori, difensori del tuo Figlio. Fossi tu così difesa e amata!».
«Oh! io ho Maria, ho le mogli di Giuseppe e Simone e loro stessi e i bambini. Ho il buon Alfeo. E poi chi non vuol bene a Maria di Nazaret, a Nazaret? Tu devi stare tranquillo... Un intero paese ama la tua Mamma».
«Ma non mi ama ancora, meno pochi. Lo so, e so che il loro amore per te è intriso della compassione che si ha per la madre di un folle e di un vagabondo. Ma tu sai che non lo sono e che ti amo. Tu sai che il separarmi da te è l'ubbidienza, non dico più grande, ma più amorosamente dolorosa che il Padre mi chiede ... ».
«Sì, Figlio mio! Sì. Lo so. lo non mi rammarico di nulla. Certo vorrei essere, preferirei essere con Te, fra il fango, nel vento, all'addiaccìo, perseguitata, stanca, senza tetto e fuoco, senza pane, come Te tante volte, anziché nella mia casa, mentre Tu sei lontano e non so come sei mentre ti penso. Tu con me, e io con Te, soffriresti meno, ed io meno soffrirei... Perché sei mio Figlio e ti potrei sempre tenere fra le braccia e difenderti dal freddo, dal duro delle pietre e soprattutto dal duro dei cuori col mio amore, col mio petto, con le mie braccia. Sei mio Figlio. Ti ho tenuto tanto sul cuore nella grotta, nel viaggio in Egitto e al ritorno, sempre, quando le insidie della stagione e degli uomini potevano nuocerti. Perché non potrei farlo ora? Non sono forse più tua Madre perché ora Tu sei l'Uomo? Non può dunque più una madre essere tutto per il figlio perché egli non è più piccino? lo penso che se sarò con Te non potranno farti male... perché nessuno... No. Sono stolta... Tu sei il Redentore... e gli uomini, l'ho visto, non hanno pietà neppure della loro stessa madre... Ma lasciami venirti vicino. Tutto è meglio per me ad esserti lontana».
«Se gli uomini fossero più buoni sarei tornato a Nazaret ancora. Ma anche Nazaret... Non importa. Verranno a Me. Per ora Io vado ad altri... E non posso portarti con Me. Non tornerò qui che quando essi sapranno chi sono. Ora vado in Giudea... Salgo al Tempio... Poi resterò per quelle contrade... Percorrerò ancora una volta la Samaria. Lavorerò dove c'è più da lavorare.
Per questo, o Madre, ti consiglio a prepararti a raggiungermi al principio di primavera e a stabilirti presso Gerusalemme.
Ci vedremo con più facilità. lo risalirò sino alla Decapoli ancora qualche volta e ci vedremo ancora... Lo spero. Ma generalmente resterò in Giudea. Gerusalemme è la pecora più bisognosa di cure, perché in verità è più cocciuta di un vecchio montone e più rissosa di un capro inselvatichito. Vado ad effondervi la Parola come rugiada che non si stanca di cadere sulla sua aridità...».
Gesù si alza in piedi, si arresta, guarda sua Madre che lo fissa attenta. Apre la bocca, poi scuote il capo dicendo: «C'è ancor questo da dire prima dell'ultima cosa... Madre, se Giuseppe vuole parlarmi, sia verso l'alba di dopodomani sulla strada che da Nazaret per il Tabor va a Jezrael. Vi sarò solo o con Giovanni».
«Lo dirò, Figlio mio».
Un silenzio, un alto silenzio, perché gli uccelli hanno finito di rissare fra le fronde e anche il vento tace mentre il crepuscolo infittisce. Poi Gesù, che pare avere cercato a fatica le parole da dire per ultime, dice: «Mamma, la sosta è finita... Un bacio, Mamma. E la tua benedizione».
Si baciano e benedicono a vicenda.
Poi Gesù, chinandosi a raccogliere il velo di sua Madre e chiamando Giovanni come per rendere meno gravi le parole, dice: «Quando verrai in Giudea portami la mia veste più bella. Quella che mi hai tessuta per le feste solenni. A Gerusalemme devo essere "Maestro" nel senso più vasto, e anche più sensibilmente umano, poiché quegli spiriti chiusi e ipocriti guardano più l'esterno, la veste, che l'interno, la dottrina. E così anche Giuda di Keriot sarà contento... e contento Giuseppe che mi vedrà proprio in veste regale. Oh! sarà un trionfo! E la veste tessuta da te vi contribuirà ... », e sorride, scuotendo il capo per smorzare la verità tagliente che celano quelle parole.
Ma Maria non si inganna. Sorge in piedi e si appoggia al braccio di Gesù esclamando: «Figlio!», e con uno strazio che mi fa soffrire.
Gesù la raccoglie sul cuore ed Ella gli piange sul cuore...
«Mammina, ti ho voluto parlare in quest'ora di pace per questo... Ti affido il mio segreto e quanto ho di caro quaggiù. Nessuno dei discepoli sa che non torneremo da queste parti altro che quando tutto sarà compiuto. Ma tu... Per te non ci sono segreti... Te lo avevo promesso, Mamma. Non piangere. Ancora molte ore abbiamo da stare insieme. Per questo ti dico: "Vieni in Giudea". L'averti vicina mi compenserà della fatica della più difficile evangelizzazione a quei duri di cuore che fanno ostacolo alla Parola di Dio. Vieni con le discepole galilee. Mi sarete tanto utili. Giovanni provvederà all'asilo per te e per loro. Ora, prima che egli torni, preghiamo insieme. Poi tu tornerai al paese, ed Io pure verrò nella notte ... ».
Pregano insieme, e sono alle ultime parole del Pater quando appare Giovanni che alla semiluce, quando è vicino, vede e resta stupito per il segno del pianto sul volto di Maria. Ma non dice nulla in merito. Saluta il Maestro e gli dice: «Sarò all'aurora sulla via fuori Nazaret... Vieni, Madre. Fuori dal bosco c'è ancora luce, e giù la strada è luminosa affatto per le lanterne messe ai carri in cammino ... ».
Maria bacia ancora Gesù, piangendo nel suo velo, e poi, sorretta da Giovanni che la tiene per il gomito, scende sul sentiero, e poi giù, verso la valle.
Gesù resta solo, a pregare, a pensare, a piangere. Perché piange Gesù guardando scendere sua Madre. E poi torna dove era prima e riprende la posizione di prima, mentre l'ombra e il silenzio si fanno sempre più folti intorno a Lui.
14 febbraio 1944.
Dice Gesù:            
«Anche questo non ho dimenticato dei dolori di Maria, mia Madre. L'avere dovuto straziarla con l'attesa del mio soffrire, l'avere dovuto vederla piangere.
È per questo che non le nego nulla. Ella mi ha dato tutto. lo le do tutto. Ella ha sofferto tutto il dolore. Io le do tutta la gioia.
Vorrei che, quando pensate a Maria, meditaste questa sua agonia durata trentatré anni e culminata ai piedi della Croce. Ella l'ha sofferta per voi.
Per voi le derisioni della folla che la giudicava madre di un pazzo.
Per voi i rimproveri dei parenti e delle persone d'importanza.
Per voi la mia apparente sconfessione: "Mia Madre ed i miei fratelli sono coloro che fanno la volontà di Dio". E chi più di Lei la faceva, ed una Volontà tremenda, che le imponeva la tortura di vedere suppliziare il Figlio?
Per voi le fatiche di raggiungermi qua e là.
Per voi i sacrifici, da quello di lasciare la sua casetta e mescolarsi alle folle, a quello di lasciare la sua piccola patria per il tumulto di Gerusalemme.
Per voi il dovere essere a contatto con colui che covava in cuore il tradimento.
Per voi il dolore di sentirmi accusato di possessione diabolica, di eresia.
Tutto, tutto per voi.
Voi non sapete quanto l'ho amata la Madre mia. Voi non riflettete come il cuore del Figlio di Maria fosse sensibile agli affetti. E credete che la mia tortura sia stata puramente fisica, al massimo vi aggiungete la tortura spirituale dell'abbandono finale del Padre.
No, figli. Anche le passioni dell'uomo Io le ho provate.
Ho sofferto di veder soffrire mia Madre, di doverla condurre, come agnella mansueta, al supplizio, di doverla straziare coi successivi addii, a Nazareth prima dell'evangelizzazione, in questo che vi ho mostrato e che precede la mia imminente Passione, in quello - quando già essa è in atto col tradimento dell'Iscariota - prima della Cena, in quello atroce sul Calvario.
Ho sofferto di vedermi schernito, odiato, calunniato, circuito da curiosità malsane che non evolvevano in bene ma anzi in male.
Ho sofferto di tutte le menzogne che ho dovuto udire o vedere agenti al mio fianco. Quelle dei farisei ipocriti, che mi chiamavano maestro e mi facevano domande non per fede nella mia intelligenza ma per tendermi tranelli; quelle dei beneficati da Me e che mi si volsero in accusatori nel Sinedrio e nel Pretorio; quella, quella premeditata, lunga, sottile di Giuda, che m'ha venduto ed ha continuato a fingersi discepolo, che m'ha indicato ai carnefici col segno dell'amore. Ho sofferto della menzogna di Pietro, preso da paura umana.
Quanta menzogna, e tanto rivoltante per Me che sono Verità! Quanta, anche ora, ve ne è rispetto a Me! Dite di amarmi, ma non mi amate. Avete il mio Nome sulle labbra, e in cuore adorate Satana e seguite una legge contraria alla mia.
Ho sofferto pensando che davanti al valore infinito del mio Sacrificio - il Sacrificio di un Dio - troppo pochi si sarebbero salvati.
Tutti, dico: tutti coloro che nei secoli dei secoli della terra avrebbero preferito la morte alla vita eterna, rendendo vano il mio Sacrificio, Io li ho avuti presenti. E con questa cognizione sono andato incontro alla morte.
Vedi, piccolo Giovanni, che il tuo Gesù e la Madre sua hanno sofferto acutamente nel loro io morale. E lungamente.
Pazienza, dunque, se dovrai soffrire. "Nessun discepolo è da più del Maestro". Io l'ho detto.
Domani parlerò dei dolori dello spirito. Ora riposa. La pace sia con te».

1  M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VII, Cap. 455.3 – Centro Ed. Valtortiano
2  “Il Vangelo del grande e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I, Cap. 15 – Ed. Segno, 2000
   (Gv 6,15)
3  M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VII, Cap. 464.16 – Centro Ed. Valtortiano
4  G.L.: “Il Vangelo del grande e del ‘piccolo’ Giovanni – Voll. I, II, III – Ed. Segno
5  G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco e Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. IV, Cap. 20 – Ed. Segno, 2004
6  G.L.: “I Vangeli di Matteo….’ – Vol. II, Cap. 5.2 – Ed. Segno, 2002
7  G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I, Capp. 5 e 9 – Ed. Segno, 2001
8  Vedi al riguardo lo splendido colloquio fra Gesù ed i due cugini in M.V., ‘L’Evangelo…’, Vol. VII, Cap. 478 – Centro Ed. Valtortiano
9  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VII – Cap. 477 – Centro Ed. Valtortiano

8. L’addio di Gesù alla Madre: « Mamma, sono venuto per prendere forza e conforto da te. Sono come un piccolo bambino, Mamma, che ha bisogno del cuore della madre per il suo dolore e del seno della madre per sua forza».
8.1 La Passione di Gesù e di Maria è ormai imminente: il clima di Gerusalemme nei giorni precedenti la ‘settimana santa’.
Nei suoi tre anni di missione pubblica Gesù aveva predicato per ogni dove l’avvento del Regno di Dio nel cuore degli uomini, presentandosi come il Messia predetto dai profeti.
Ma come dice Giovanni nel Prologo del suo Vangelo, il suo popolo non lo riconobbe, anzi il ‘mondo’ non lo riconobbe.
Ma a quelli che vollero credere in Lui ed in quel che Egli insegnava, Egli dette il potere di diventare ‘figli di Dio’.
Troppo lontano ormai Israele dallo spirito dei Patriarchi, troppo diversa da quella reale – a causa della scarsa spiritualità che rendeva ciechi gli interpreti delle Scritture – l’idea ‘guerresca’ che si erano fatti del Messia, visto come colui che avrebbe conquistato gli altri popoli dando ad Israele il Regno sul mondo che a quel tempo era di Roma.
La predicazione d’amore di Gesù – se pur veniva in parte accettata fra la gente più semplice o nelle cittadine e paesi di campagna – era rifiutata nella città di Gerusalemme, sede del potere politico-religioso.
I Capi dei Giudei vedevano una insidia nella predicazione del Messia e proprio non riuscivano ad accettare l’idea che un semplice falegname, figlio di falegname, cioè uno di basso lignaggio, potesse pretendere di insegnare loro come dovessero essere interpretate le Scritture.
Essi però soprattutto non potevano comprendere come potesse Gesù ambire a diventare il Messia, cioè il Re dei re, che essi attendevano da secoli e che nell’immaginario collettivo - per come era stato interpretato nelle descrizioni dei Profeti che parlavano del Figlio dell’Uomo che sarebbe venuto nella gloria - era pensato come una sorta di personaggio ‘celeste’, una specie di ‘angelo’ in veste umana o quanto meno un grande personaggio con dignità ed apparenza regale.
In Israele erano numerose le feste religiose, e molti -  per quelle ricorrenze – partivano dai loro paesi e anche dalle altre nazioni per partecipare ai riti del Tempio ed ascoltare sotto i suoi colonnati i discorsi sapienti dei grandi scribi e dottori della legge.
Anche Gesù vi predicava, e sempre con grande seguito, ma quello che diceva suonava sgradito ai sacerdoti che – sentendosi in colpa - si sentivano sempre più sotto accusa.
I suoi continui miracoli, ed in particolare quello strepitoso del notissimo Lazzaro - resuscitato dopo quattro giorni nella tomba, pochi mesi prima dell’ultima Pasqua - avevano suscitato stupore enorme ed entusiasmo incontenibile presso il popolo che credeva ormai che Gesù fosse davvero il Messia, sia pur ‘terreno’.
Ma all’entusiasmo del popolo ora corrispondevano in proporzione anche grandi preoccupazioni a livello ‘politico’.
Gli ‘erodiani, cioè quelli del partito di Erode, vedevano Gesù come un agitatore politico che avrebbe potuto soppiantare nel potere Erode Antipa.
Questi, figlio di Erode ‘il grande’, non era più un Re dotato di vera autonomia, ma era pur sempre un ‘tetrarca’ – una sorta di governatore - nominato da Roma con giurisdizione sulla Galilea, una delle quattro province in cui era stata suddivisa l’antica Palestina.
Nel Sinedrio, l’organo di governo amministrativo di Israele che era una sorta di Parlamentino, c’erano sacerdoti, farisei, ma anche erodiani, e  sadducei, contigui politicamente, per convenienza, al potere romano.
Un Gesù ‘Messia’ – per quanto in realtà apparisse loro poco credibile come ‘uomo d’azione’, visto quanto andava predicando a proposito dell’Amore - stava scomodo anche a loro in quanto possibile avversario politico potenzialmente suscettibile – per loro – di destare esaltazione nel popolo e creare disordini, con una Roma che – quanto a tagliar teste, a cominciare dai ‘capi’ – non ci pensava due volte, pur di mantenere l’ordine pubblico nei territori conquistati.
Ma vi erano soprattutto i Capi dei sacerdoti, come Anna e Caifa, che vedevano in Gesù un pericolo ben maggiore, e cioè un ‘agitatore religioso’,.
Non tanto un ‘eretico’ che creava una nuova setta suscettibile di mettere in pericolo la religione ufficiale – a parte quel suo dichiararsi Messia e Figlio di Dio - quanto uno che metteva in discussione la loro autorità, incrinata gravemente dalla sua predicazione di verità, nei confronti del popolo che non risparmiava frizzi e lazzi alla classe sacerdotale del Tempio per il cattivo esempio che essa dava.
Insomma nei mesi che vanno dalla Festa dei tabernacoli del terzo anno di vita pubblica alla successiva Pasqua, al cui termine vi sarà la Passione di Gesù e di Maria, Gerusalemme bolliva come una pentola a pressione.
I Capi religiosi – più che i politici - non aspettavano altro che Gesù si facesse vivo, per arrestarlo nottetempo prima che potesse essere difeso dai suoi seguaci, processarlo, farlo condannare dal Procuratore romano della Giudea Ponzio Pilato - l’unico, secondo la legislazione imposta da Roma, che potesse comminare una condanna a morte – spingendolo ad accettare di adeguarsi alla condanna che essi avevano deciso di comminare nel loro Sinedrio.1
Sono di quest’ultimo periodo le famose invettive di Gesù contro scribi, dottori della Legge e farisei2 che cercavano in tutti i modi di provocarlo e comprometterlo per poterlo far condannare.
È in questo clima che i Capi dei Giudei rompono gli indugi e – grazie al tradimento di Giuda che svela dove Gesù avrebbe potuto essere catturato più agevolmente, perché senza seguito di popolo – danno il via alla sua cattura ed alla successiva eliminazione fisica, prima che egli divenga tanto potente presso il popolo da risultare ‘intoccabile’.
L’Evangelista Giovanni racconta che la decisione era stata presa segretamente sin dalla resurrezione di Lazzaro, anche se presentata dai Capi agli altri membri del Sinedrio come una decisione ‘necessaria’ per evitare il rischio di un intervento militare dei romani nei confronti del Re-Messia e quindi del popolo di Israele.3
Siamo ormai alla vigilia della Pasqua di Passione. Il Gruppo apostolico (apostoli e discepole inclusa la Madonna) era giunto da una settimana circa a Gerusalemme per partecipare alle festività, come a suo tempo richiesto da Gesù alla Madre durante quel colloquio nel bosco.
La Maria di questi ultimi tempi non ha però più la bellezza limpida e fiorente di prima.
La consapevolezza del Sacrificio sempre più imminente  pare l’abbia invecchiata nel volto, marcato ora nei tratti da una sofferenza che si intuisce latente, da un dolore inespresso ma che si indovina profondo nel suo sguardo muto.
Il gruppo apostolico era tutto sistemato a Betania in casa dell’apostolo Simone lo Zelote, grande amico del potente  Lazzaro, il quale ultimo aveva la propria dimora adiacente a quella di Simone.
Era stato grazie a Simone che Lazzaro era divenuto prima ammiratore, poi amico ed infine discepolo e protettore politico di Gesù, che egli sosteneva economicamente, anche ospitandolo nelle sue numerose proprietà sparse in Israele quando Gesù aveva bisogno di tranquillità e rifugio dalle insidie e persecuzioni del Sinedrio.

8.2 La mia precedente mentalità solo…‘Cristocentrica’ e quella di certi ‘teologi’ che contestano sprezzantemente il ‘madonnismo’ del Papa.
Dopo la cena del sabato precedente alla Passione4 di cui parlano i Vangeli, in casa di Lazzaro a Betania, Gesù ed il gruppo apostolico si erano diretti l’indomani a Gerusalemme, distante pochi chilometri, accolti trionfalmente da una folla di discepoli e di popolo, sempre entusiasta per i suoi miracoli, in quella che sarebbe stata chiamata la Domenica delle Palme.
Gli apostoli – nel sentire quelle grida di ‘Osanna al Figlio di Davide’ - si erano ‘caricati’ al massimo e assaporavamo finalmente il trionfo del ‘loro’ Messia.
Nonostante le ripetute e anche recenti conferme di Gesù sull’imminenza della sua cattura e condanna a morte da parte dei Capi giudei, essi le interpretavano come visioni pessimistiche di un Gesù un poco affaticato e depresso.
Persino loro stentavano a credere che il suo Regno fosse solo spirituale, come ne fa fede l’episodio evangelico che narra della richiesta – appena pochi giorni prima – della mamma di Giovanni e Giacomo di riservare ai suoi figli un posto alla destra e uno alla sinistra nel suo Regno.
Ma quello della Domenica delle Palme era stato un trionfo che solo pochi giorni dopo si rivelerà ben effimero.
Nei giorni fra il Lunedì ed il Giovedi di quella che noi chiamiamo la ‘settimana santa’, Gesù aveva predicato al Tempio, mentre è il giovedì sera che – in una ulteriore visione della nostra mistica – lo vediamo nella casa del Cenacolo dove si sta per dare inizio al rito della consumazione dell’agnello ebraico in quella che verrà chiamata ‘Ultima Cena’.
Ho dedicato sette libri ai tre anni di predicazione di Gesù, e quindi anche a questi ultimi giorni, ma sono sempre stato solo ‘Cristocentrico’, trascurando il ruolo centrale della Madonna.
Non avevo ben capito – in quel suo tenersi sempre in disparte, in quel suo essere sempre umile e ‘umana’ per non dire del suo dolore sempre sopportato in maniera discreta  – la reale dimensione della sua figura di Corredentrice.
Gli evangelisti - maschilisti come tutti gli ebrei ‘maschi’, a parte Luca che parla della Madonna ma limitatamente all’infanzia di Gesù – non ne mettono certo in evidenza la figura, anch’essi solo ‘Cristocentrici’.
Una mentalità ‘Cristocentrica  pervade ancora una parte della  Chiesa cattolica di oggi, al punto che alcuni – anche fra i sacerdoti, e subendo forse una influenza protestante – vedono con un certo fastidio il culto mariano, che taluni arrivano a chiamare sprezzantemente ‘madonnismo’, come aveva fatto un certo sacerdote cattolico citato in quell’Opera ‘Pro e contro Maria Valtorta’ (pagg. 155/164) edita dal Centro Editoriale Valtortiano. 5
Cosa dovrebbero costoro dire di Papa Wojtila il cui motto è ‘Totus tuus, Mariae’?
Ma a noi – più che Gesù - interessa qui Maria, perché questo è il libro di Maria, ed è per questo che ci mettiamo ora a guardarla in presa diretta insieme alla nostra mistica durante l’ultimo commiato fra Lei e Gesù, prima della Cena e della cattura sul Getsemani che avverrà di lì a poche ore.
È una scena struggente, nella sua semplicità ed umanità, una scena per capire la quale bisogna mettersi nei panni di un padre o di una madre verso il proprio figlio di cui essi sanno che sta per morire  o di un figlio - che sapendo di dover presto morire – si rivolge alla propria madre.
È anche una scena di dolore profondo e composto, di rassegnazione sofferta ma fiduciosa alla volontà di Dio, in funzione della Corredenzione dell’Umanità.
Maria rivedrà ancora Gesù poco dopo questo saluto - dopo l’istituzione dell’Eucarestia nel corso dell’Ultima Cena - quando Egli ritornerà nella sua stanzetta di preghiera con un pezzo di pane ed il calice del vino per comunicarla.
Dopo lo rivedrà solamente all’indomani sulla strada del Calvario e sulla Croce, e non potrà più avere con lui un colloquio materno se non all’alba della sua Resurrezione, quando apparirà a lei per prima e in gran segreto6 nella sua cameretta, segreto al punto che gli evangelisti menzioneranno come prima apparizione di Gesù risorto solo quella a Maria Maddalena.
Potreste però mai pensare che questo Gesù, che ora avete conosciuto meglio, non fosse apparso prima di tutti a sua Madre, la Corredentrice, anche se i Vangeli non ne parlano?
599. L'arrivo al Cenacolo e l'addio di Gesù alla Madre.7
17 febbraio 1944.
Vedo il cenacolo dove deve consumarsi la Pasqua. Lo vedo distintamente.
Potrei enumerare tutte le rugosità del muro e le crepe del pavimento.
È uno stanzone non perfettamente quadrato, ma anche poco rettangolare. Vi sarà la differenza di un metro o poco più, al massimo, fra il lato più lungo e quello più corto. È basso di soffitto. Forse appare tale anche per la sua grandezza, alla quale non corrisponde l'altezza. È lievemente a volta, ossia i due lati più corti non finiscono ad angolo retto col soffitto, ma con un angolo smusso…
In questi due lati più corti vi sono due larghe finestre, larghe e basse, prospicienti. Non vedo dove guardano, se su un cortile o su una via, perché ora hanno le impannate, che le chiudono, chiuse. Ho detto: impannate. Non so se sia giusto il termine. Sono delle imposte di tavoloni ben serrate in grazia di una sbarra di ferro che le traversa.
Il pavimento è a larghi mattoni di terracotta, che il tempo ha reso pallida, quadrati.
Dal centro del soffitto pende un lume ad olio a più becchi.
Nelle due pareti più lunghe, una è tutta senza aperture. Nell'altra, invece, vi è una porticina in un angolo, alla quale si accede per una scaletta senza ringhiera di sei scalini, terminanti in un ripiano di un metro quadro. Su questo vi è, contro la parete, un altro gradino, sul quale si apre la porta a filo del gradino. Non so se mi sono spiegata. Mi sforzo a fare il grafico…
Le pareti sono semplicemente imbiancate, senza fregi o righe.
Al centro della stanza, un tavolone rettangolare, molto lungo rispetto alla larghezza, messo parallelo alla parete più lunga, di legno semplicissimo.
Contro le pareti lunghe, quelli che saranno i sedili.
Alle pareti corte, sotto la finestra di un lato, una specie di cassapanca con su dei bacili e delle anfore, e sotto l'altra finestra una credenza bassa e lunga, sul cui piano per ora non c'è nulla.
È questa è la descrizione della stanza dove si consumerà la Pasqua.
È tutt'oggi che la vedo distintamente, tanto che ho potuto contare i gradini ed osservare tutti i particolari. Ora, poi, che viene la notte, il mio Gesù mi conduce al resto della contemplazione.
Vedo che lo stanzone conduce, per la scaletta dai sei gradini, in un andito scuro che a sinistra, rispetto a me, si apre sulla via con una porta larga, bassa e molto massiccia, rinforzata di borchie e strisce di ferro.
Di fronte alla porticina, che dal cenacolo conduce nell'andito, vi è un'altra porta che conduce ad un’altra stanza, meno vasta.
Direi che il cenacolo è stato ricavato da un dislivello del suolo rispetto al resto della casa e della via, è come un seminterrato, una mezza cantina ripulita od aggiustata, ma sempre infossata per un buon metro nel suolo, forse per farlo più alto e proporzionato alla sua vastità.
Nella stanza che vedo ora vi è Maria con altre donne. Riconosco Maddalena e Maria madre di Giacomo, Giuda e Simone.
Sembra che siano appena arrivate, condotte da Giovanni, perché si levano i manti e li posano piegati sugli sgabelli sparsi per la stanza, mentre salutano l'apostolo che se ne va e una donna e un uomo accorsi al loro arrivo, che ho l'impressione siano i padroni di casa e discepoli o simpatizzanti per il Nazareno, perché sono pieni di premure e di rispettosa confidenza per Maria. Questa è vestita di celeste cupo, un azzurro di indaco scurissimo. Ha sul capo il velo bianco, che appare quando si leva il manto che le copre anche il capo.
È molto sciupata in volto. Pare invecchiata. Molto triste, per quanto sorrida con dolcezza. Molto pallida. Anche i movimenti sono stanchi e incerti, come quelli di persona assorta in un suo pensiero.
Dalla porta socchiusa vedo che il proprietario va e viene nell'andito e nel cenacolo, che illumina completamente accendendo i restanti becchi della lumiera.
Poi va alla porta di strada e la apre, ed entra Gesù con gli apostoli. Vedo che è sera, perché le ombre della notte scendono già nella via stretta fra case alte.
È con tutti gli apostoli. Saluta il proprietario col suo abituale saluto: «La pace sia a questa casa», e poi, mentre gli apostoli scendono nel cenacolo, Egli entra nella stanza dove è Maria.
Le pie donne salutano con profondo rispetto e se ne vanno, chiudendo la porta e lasciando liberi la Madre e il Figlio.
Gesù abbraccia sua Madre e la bacia in fronte. Maria bacia prima la mano al Figlio e poi la guancia destra. Gesù fa sedere Maria e si siede al suo fianco, su due sgabelli vicini. La fa sedere, accompagnandola ad essi per mano, e continua a tenere la mano anche quando Ella è seduta.
Anche Gesù è assorto, pensieroso, triste, per quanto si sforzi a sorridere.
Maria ne studia con ansia l'espressione. Povera Mamma, che per la grazia e per l'amore comprende che ora sia questa! Delle contrazioni di dolore scorrono sul viso di Maria, ed i suoi occhi, si dilatano ad un'interna visione di spasimo. Ma non fa scene. È maestosa come il Figlio.
Egli le parla. La saluta e si raccomanda alle sue preghiere.
«Mamma, sono venuto per prendere forza e conforto da te. Sono come un piccolo bambino, Mamma, che ha bisogno del cuore della madre per il suo dolore e del seno della madre per sua forza.
Sono tornato, in quest'ora, il tuo piccolo Gesù di un tempo. Non sono il Maestro, Mamma. Sono unicamente il Figlio tuo, come a Nazareth quando ero piccino, come a Nazareth prima di lasciare la vita privata.
Non ho che te. Gli uomini, in questo momento, non sono amici, e leali, del tuo Gesù. Non sono neppure coraggiosi nel bene. Solo i malvagi sanno essere costanti e forti nell'operare il male. Ma tu mi sei fedele e sei la mia forza, Mamma, in quest'ora. Sostienimi col tuo amore e col tuo orare. Non ci sei che tu che in quest'ora sai pregare, fra chi più o meno mi ama. Pregare e comprendere.
Gli altri sono in festa, assorbiti da pensieri di festa o da pensieri di delitto, mentre lo soffro di tante cose.
Molte cose moriranno dopo quest'ora. E fra queste la loro umanità, e sapranno essere degni di Me, tutti meno colui che s'è perduto e che nessuna forza vale a ricondurre almeno al pentimento.
Ma per ora sono ancora uomini tardi che non mi sentono morire, mentre essi giubilano credendo più che mai prossimo il mio trionfo.
Gli osanna di pochi giorni sono li hanno ubriacati.
Mamma, sono venuto per quest'ora e soprannaturalmente la vedo giungere con gioia. Ma il mio Io anche la teme, perché questo calice ha nome tradimento, rinnegamento, ferocia, bestemmia, abbandono. Sostienimi, Mamma. Come quando col tuo pregare hai attirato su te lo Spirito di Dio, dando per Esso al mondo l'Aspettato delle genti, attira ora sul Figlio tuo la forza che mi aiuti a compiere l'opera per cui venni. Mamma, addio. Benedicimi, Mamma; anche per il Padre. E perdona a tutti. Perdoniamo insieme, da ora perdoniamo a chi ci tortura».
Gesù è scivolato, parlando, ai piedi della Madre, in ginocchio, e la guarda tenendola abbracciata alla vita.
Maria piange senza gemiti, col volto lievemente alzato per una interna preghiera a Dio. Le lacrime rotolano sulle guance pallide e cadono sul suo grembo e sul capo che Gesù le appoggia alla fine sul cuore.
Poi Maria mette la sua mano sul capo di Gesù come per benedirlo e poi si china, lo bacia fra i capelli, glieli carezza, gli carezza le spalle, le braccia, gli prende il volto fra le mani e lo volge verso di Lei, se lo serra al cuore. Lo bacia ancora fra le lacrime, sulla fronte, sulle guance, sugli occhi dolorosi, se lo ninna, quel povero capo stanco, come fosse un bambino, come l'ho vista ninnare nella Grotta il Neonato divino.
Ma non canta, ora. Dice solo: «Figlio! Figlio! Gesù! Gesù mio!».
Ma con una tal voce che mi strazia.
Poi Gesù si rialza. Si aggiusta il manto, resta in piedi di fronte alla Madre, che piange ancora, e a sua volta la benedice.
Poi si dirige alla porta. Prima di uscire le dice: «Mamma, verrò ancora prima di consumare la mia Pasqua. Prega attendendomi». Ed esce.


1  Il tema delle motivazioni della condanna a morte di Gesù e delle conseguenze sulla Nazione di Israele sono state trattate in maniera approfondita dall’autore nel terzo volume de “Il Vangelo del grande e del ‘piccolo’ Giovanni”, Ed. Segno 2000, e nel quarto volume de “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo Giovanni” – Ed. Segno, 2004. Vedi anche sito internet dell’autore: www.ilcatecumeno.net
2  G.L. “I Vangeli di Matteo…’ – Vol. IV - Cap. 7 – Ed. Segno, 2004
3  Vedi: Gv 11, 45-54
4  G.L.: “Il Vangelo del grande e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. III, Capp. 3 e 4 – Ed. Segno, 2000
5  Pier Angelo Gramaglia: ‘Maria Valtorta. Una moderna manipolazione dei Vangeli’ – ‘Ed. Piemme di Pietro Marietto Spa’ di Casale Monferrato (Al).
6  G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. IV, Cap. 16 – Ed. Segno, 2004
7  M.V.:’L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. IX, Cap. 599 – Centro Ed. Valtortiano

9. Satana è!
Satana che dice: «Non risorgerà. Nessun profeta l’ha detto».

9.1 La logica della «Croce».
Medito sulle sofferenze di Maria e sul suo ruolo di Corredentrice.
Gesù amò la Croce non perché fosse un masochista ma perché solo con quel gesto sublime di amore, un amore di Uomo-Dio, avrebbe potuto riscattare l’Umanità dalle conseguenze del Peccato originale che le avevano precluso il Cielo ma più ancora le avevano aperto le porte dell’Inferno.
Dunque, perché la Croce abbia valore redentivo bisogna amarla, o quanto meno accettarla e offrirla.
Stiamo toccando un punto molto difficile della dottrina cristiana che sarebbe umanamente inaccettabile se non fosse visto in un’ottica di mistica assoluta, cioè nell’ottica di Gesù… e di Maria.
Io ho sempre temuto la ‘croce’, non quella di Gesù Cristo - che fu tutta sua – quanto quella degli uomini.
Avevo sempre provato una repulsione istintiva per questo concetto, lo consideravo frutto di una ideologia malata.
In effetti come può, una persona ‘normale’, amare la ‘croce’?
L’uomo moderno ragiona in maniera diversa, non vuole la ‘croce’, vuole il benessere, il successo, i soldi. Non vuol sentir parlare di penitenze ed espiazioni: roba da Medioevo!
Però ogni uomo ha dentro di sé, innato, il senso di Dio ed allora -  più la società ed il sistema di valori in cui viviamo ci allontanano da Dio - più l’uomo avverte una forza eguale e contraria, come nella legge della idrodinamica dei corpi immersi nei liquidi, che lo spinge verso l’alto a ‘galleggiare’ ed a prendere una boccata d’aria pura.
Il Cristianesimo è tuttavia una religione ‘tosta’, specie con la sua dottrina della morale che fa a pugni con quella che noi viviamo, ed ecco che allora l’uomo moderno, sostanzialmente edonista e consumista, cerca dei surrogati che non disturbino troppo la sua vita ma che soddisfino in qualche modo il suo bisogno interiore di ‘religiosità’, cioè di Dio.
Fioriscono le religioni ‘New age’, le ‘religioni dei fiori’, e sono sempre più in auge quelle forme di filosofia-religiosa che, con tecniche di rilassamento di vario genere,  mirano a darti una certa ‘serenità’ e gioia di vita.
Aumentano i seguaci delle religioni che ti offrono una ‘reincarnazione’, dottrina che ha il vantaggio di farti sperare che anche se non ti comporti bene in questa vita ne hai sempre davanti cento altre  dove ti andrà ancora meglio perché poi tutti alla fine si ‘salvano’ comunque, anche se magari ti accorgerai – giunto dall’altra parte la prima volta – che non si può più tornare indietro per ricominciare di nuovo e che hai sprecato quell’unica cartuccia che avevi a disposizione.
La religione cristiana insegna invece che di vita ce ne è una sola, che dolore e odio sono conseguenza del Peccato originale e che solo imparando ad amare si può risalire la china della purificazione’ interiore che ci consentirà – nell’altra vita – una sorte migliore in Cielo
Questo non significa che il cristiano debba vivere da ‘asceta’, ma certamente che per ‘amare’ esso debba in una certa misura percorrere un sentiero stretto che cozza contro i nostri costanti egoismi, contro le nostre ambizioni, contro i valori correnti.
Amare è insomma ‘faticoso’ e molto ‘impopolare’.
Quando però – parlando di Gesù e di Maria – parliamo di riscatto dell’uomo dal Peccato Originale e di salvezza eterna  dalle sue conseguenze, dobbiamo essere consapevoli del fatto che si tratta di una battaglia contro uno spirito Tentatore che in odio a Dio vuole la dannazione dell’uomo.
Per combattere più efficacemente questa battaglia ci vogliono mezzi sovraumani che Gesù Cristo ci ha indicato per primo suggerendoci – non per tutti ma solo per chi viene chiamato a questa speciale vocazione, quella di anima-vittima – la strada da percorrere per essere corredentori con Lui nel suo Corpo Mistico.
La vita normale offre ad ognuno di noi – nel suo corso – una serie lunga di croci, più o meno grandi.
Non si tratta di volere la croce, perché le croci vengono senza che Dio ce le mandi.
Può essere un problema di salute, una disgrazia improvvisa, una sofferenza economica, la perdita del lavoro, di un figlio, di un genitore, lutti per guerre, fame e così via.
Se potessimo scandagliare il cuore di una persona di una certa età e le chiedessimo di scavare nel suo passato, chissà quante croci troveremmo che la vita le ha elargito gratuitamente.
Le croci dunque le subiamo e in quanto subìte hanno un valore relativo anche se il Padre buono ne terrà conto quando peserà sulla sua bilancia le buone e le cattive azioni, mettendo sul piatto delle buone anche il peso delle sofferenze che la vita ci ha dato e che sono servite di espiazione.
Ma la mia ‘Luce’, una volta, aveva cercato di insegnarmi – anche senza successo – come sarebbe stato possibile trasformare una normale croce della vita, che comunque subiamo, in qualcosa d’altro che abbia un valore soprannaturale che serva a noi e…agli altri:1
Luce:
Amare la Croce...
La vita dell'uomo è una serie ininterrotta di piccole e grandi 'croci', comunque croci.
'Amare la Croce' significa accettarle per quello che sono.
Te l'ho detto, non è Dio che le 'manda'... sono una conseguenza del comportamento 'consapevole' dell'uomo sia dal punto di vista del 'Peccato Primo' che da quello dei 'peccati altri'.
La Terra, vestibolo dell'Inferno e feudo di Satana, è 'tempio' d'espiazione. Sono gli uomini che si danno dolore, con il loro libero arbitrio. E Dio lo consente, lascia fare. Rispetta la loro libera volontà sapendo che il Regno vero è quello dei Cieli. E allora permette la sofferenza perché con questa si riscattano le proprie colpe, e anche quelle degli altri, e - nell'economia mondiale della Comunione dei Santi -  si guadagna la felicità eterna.
Ma  come nelle cose umane e come nel lavoro  non sono le cose 'subìte' e fatte di malavoglia quelle che danno merito, ma quelle fatte con entusiasmo sono quelle che attirano la benevolenza dei superiori, così - applicato allo spirito - l'entusiasmo per la 'croce', cioè l'amore, cioè la buona volontà, la volontà di farsi animo ed accettarla, sono tutte - queste - cose che ti concedono la benevolenza di Dio, cioè la salvezza.
Ma poiché l'Io è forte, poiché l'umanità dell'uomo è forte, opporsi violentemente vorrebbe dire per te 'spezzarsi', fallire. Allora ti devi flettere come giunco, cioè 'abbandonarti'. Come? Vivendo alla giornata le tue sconfitte e vittorie spirituali, senza porti traguardi ambiziosi, che ti scoraggerebbero, ma facendo alla sera il rendiconto della giornata con l'unico proponimento di migliorare il bilancio il giorno dopo.
Ti troverai sulla Croce senza essertene neanche accorto... Capito?
Non vi è altro da aggiungere, per oggi.
Bene, Maria non avrebbe voluto la Croce, perché mai una madre avrebbe potuto volere di sua iniziativa quella tragica Passione del Figlio, ma – per fare la volontà di Dio che la chiamava a speciale missione di anima-vittima, anzi di Madre dell’Anima-vittima per eccellenza e di tutte le altre anime-vittime che sarebbero seguite – Maria la volle accettare in anticipo con piena consapevolezza e…la offerse per la salvezza dell’Umanità: fu dunque Corredentrice.
Nella nostra narrazione siamo giunti al punto in cui Gesù affronta il culmine della ‘sua’ Passione.
Non parleremo però di questa, quanto invece della Passione di Maria.
Il parlarne ora non è una questione di eccesso di ‘madonnismo’, come certuni potrebbero dire, ma un fatto di semplice coerenza con il tema che mi sono proposto di svolgere con questo libro.
Il capitolo precedente si era concluso – la sera del Giovedì santo – con l’addio di Gesù alla Mamma in quello che entrambi sapevano che stava diventando il Prologo della Passione.
Finita la Cena, il Gruppo apostolico lascerà la Casa del Cenacolo per recarsi al Getsemani dove Gesù voleva prepararsi nella preghiera a quanto stava per accadere.
Aveva forse bisogno il Verbo di Dio - che è Dio e che è sempre unito a Dio – di pregare Dio che è uno e Trino, cioè di pregare Se stesso?
Non sono un teologo di fine sapienza, ma ‘a occhio e croce’ - visto che siamo in tema di croce -  direi di no.
Chi ne aveva bisogno era la natura umana di Gesù, cioè la sua anima, che - dall’unione con Dio data dalla preghiera - avrebbe dovuto trarre forza per affrontare la prova finale.
Maria era rimasta in preghiera nella sua stanzetta per ‘sostenerlo’.
È il concetto della Comunione dei Santi.
Gesù e Maria erano il Nuovo Adamo e la Nuova Eva, venuti per riscattare la Colpa dei Primi Due.
Anch’essi erano senza Macchia d’origine ed erano ricolmi della pienezza  dei doni dello Spirito Santo.
Uno di questi era quello – come esseri umani – di sentire molto meglio la Voce di Dio, un altro era quello della introspezione dei cuori, cioè del saper intuire spiritualmente bene quanto passava nell’animo degli altri.
Gesù come Uomo perfetto aveva questo Dono, ma – quando in Lui per l’esigenza della missione si manifestava il Verbo – allora aveva anche l’Onniscenza.
Ma in questo momento Gesù è ‘uomo’, per giunta ‘abbandonato’ da Dio affinché nella sensazione di abbandono Egli soffra ancora di più e ancor più profondamente Egli espii per i peccati dell’Umanità passata, presente e futura.
E anche Maria si sentirà abbandonata senza che le Voci del Cielo giungano a darle conforto.
I doni mistici sono una cosa molto misteriosa.
Mentre Lei pregava e al Getsemani iniziava la tragedia, Lei non ‘vedeva’ quanto stava accadendo ma – con il suo Cuore unito a quello di Gesù – lo ‘sentiva’, e soffriva, e pregava ancora di più per dare forza a Lui.
Quando il mattino del Venerdì Giovanni bussa forte alla sua porta, Lei apre ma ‘sa’ già tutto, persino della condanna alla Croce.
Non sa però dove è Gesù che Lei non riesce a ‘vedere’.
Glielo dice Giovanni, reduce dalla conclusione del processo in piazza: Gesù è davanti al Pretorio, condannato a morte, e si prepara a salire il Calvario con la sua Croce sulle spalle.
Le altre discepole che erano nella casa – casa di proprietà di Lazzaro – sentendo il trambusto di Giovanni piangente, accorrono, capiscono e scoppiano tutte in lacrime.
Maria – accasciata – si erge, prende in mano la situazione, ordina loro di prepararsi e di seguirla.
9.2 Ma non vedete che non credete alla sua Resurrezione? Lo credete? No.
Qui comincerà il Calvario delle ‘donne’ di cui raccontano i Vangeli, e soprattutto quello di Maria.
Tutti gli altri apostoli erano fuggiti la notte precedente al momento della cattura.
Anche Pietro – dopo quella sua triplice negazione di conoscere Gesù – è fuggito via spaventato, forse per paura che qualcun altro lo riconoscesse, ma anche affranto dal dolore e dalla vergogna per aver rinnegato il suo Maestro.
Solo le donne seguiranno dunque Gesù in quella mattinata lungo il percorso, le donne con Giovanni,  e con lui resteranno sotto la croce in quelle interminabili ore di agonia da mezzogiorno alle tre del pomeriggio.
La morte per crocifissione – quella con i chiodi, non quella di ‘legatura’ che nell’opera valtortiana era stata impartita ai due ‘ladroni’ contigui - è più rapida ma molto più atroce, ed infatti veniva riservata a coloro che dovevano essere particolarmente puniti.
I chiodi sigillano i buchi delle ferite, il dissanguamento e la morte sono dunque più lenti, ma il dolore è atroce, mentre il respiro – con il torace stirato dal peso del corpo appeso per le mani ai bracci alti della Croce – si fa sempre più corto, affannoso, come pure il senso di soffocazione e asfissia.
Se poi per prendere respiro si fa forza sui piedi inchiodati per risollevarsi un poco, allora sono altri dolori lancinanti.
Se le donne vedono ‘tutto’, e piangono, Maria vive quella Passione di Gesù nelle proprie carni di ‘madre’.
Lei ‘sente’ fisicamente nel proprio corpo la ferocia straziante di quei chiodi, mentre per compartecipazione vive nel proprio ‘cuore’ la sofferenza morale del Figlio.
Una doppia sofferenza, dunque.
La morte di Gesù, se pur le deve essere stata terribile perché rappresentava per Lei il distacco definitivo, deve essere stata anche una sorta di liberazione, penso.
Maria sapeva bene che Gesù era Figlio di Dio e aveva creduto dunque fermamente alle parole del Figlio quando Questi aveva annunciato più volte – oltre che la propria morte - anche la sua successiva Resurrezione, al terzo giorno.
Ma in quel momento Lei non capiva più nulla, accecata dal dolore.
Vedeva solo suo Figlio torturato e ben morto, definitivamente cadavere.
Suo figlio era lì, morto, morto, morto!
Gesù viene deposto dalla croce, avvolto in un telo a sua volta posato su dei mantelli che servono da improvvisata portantina.
Giovanni, Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea – seguiti dal corteo di donne - lo trasportano giù, ai piedi del Golgota, in un campo di proprietà di Giuseppe dove questi si era fatto costruire la tomba di famiglia, una cosa ‘lussuosa’ ma ancora inutilizzata, scavata dentro la roccia calcarea.
Gesù era morto alle tre del pomeriggio ma per Giuseppe c’era voluto del tempo per tornare al Pretorio, e – con la sua autorità di membro del Sinedrio – farsi ricevere da Pilato ed ottenere l’autorizzazione al rilascio del cadavere, tornare indietro sul Calvario, staccare il Corpo dalla Croce e portarselo via per inumarlo  nella propria tomba.
Si stava già quindi avvicinando il tramonto del ‘Venerdi’, tramonto con il quale sarebbe iniziato il sabato ebraico quando ogni attività sarebbe stata assolutamente vietata dalla Legge, senza che ci si potesse neanche allontanare più di qualche centinaio di metri dal luogo in cui ci si trovava quando si veniva sorpresi dal tramonto.
Dovevano quindi far presto, preparare sommariamente il corpo di Gesù con degli unguenti di imbalsamazione, una sorta di prima preparazione, che avrebbero terminata il giorno successivo al sabato quando avrebbero potuto riprendere quel compito pietoso.
Se lo volevano imbalsamare era perché evidentemente i tre uomini non credevano alla sua Risurrezione.
Una sua Risurrezione – anche se ci avessero creduto - doveva sembrare in effetti impossibile con un cadavere così ridotto e con il cuore spaccato dal colpo di lancia che i soldati - come prescrivevano le norme militari - avevano inferto mentre Gesù era ancora sulla Croce, per essere sicuri che fosse effettivamente morto prima che i discepoli se lo portassero via.
Del resto gli stessi apostoli – lo si capisce bene leggendo il Vangelo di Marco che lo ripete più volte in differenti versetti2non credettero ai racconti delle varie donne che – andate la Domenica all’alba al Sepolcro per completare l’imbalsamazione – erano tornate di corsa riferendo che Gesù era risorto.
Essi, maschilisti, avevano pensato che le loro fossero allucinazioni da ‘femmine’.
Gli apostoli (che dopo la fuga del Giovedì notte, alla sera della Domenica si erano nuovamente riuniti insieme nel Cenacolo, tranne Tommaso, ancora alla macchia, e Giuda, impiccatosi nel frattempo) non credettero però nemmeno ai due uomini di Emmaus. 3
Costoro, percorrendo la strada da Gerusalemme ad Emmaus - discorrendo di Gesù e della sua crocifissione e dubitando perciò che Egli fosse stato il Messia che avrebbe dovuto liberare Israele, nonostante delle discepole avessero detto quel mattino che era risorto - se lo erano visto arrivare al proprio fianco sotto l’aspetto di un comune viandante.
Questi – discutendo dei fatti accaduti ed illustrando loro con sapienza le Scritture – li aveva convinti che quel Gesù crocifisso era proprio il Messia profetizzato.
Israele aveva sbagliato a concepire la ‘regalità’ di Gesù, che sarebbe stato invece non re di umana e caduca gloria ma Re di un Regno spirituale, eterno nel tempo. Un Re che era effettivamente risorto.
Giunti ad Emmaus sul far della sera i due – riconoscenti e rinfrancati dai suoi insegnamenti sapienti – gli chiedono di fermarsi a cena e, quale ospite d’onore, lo invitano a spezzare e ‘offrire’ al Cielo il pane.
Mentre il Viandante compie questo gesto in maniera solenne, ripetizione dell’Eucarestia, si trasfigura in volto e appare loro divinamente maestoso quale Egli è, il Risorto, scomparendo alla loro vista subito dopo.
Quando i due uomini ritornano trafelati ed emozionati da Emmaus, giungendo a Gerusalemme a notte tarda, per dare agli apostoli ancora riuniti nel Cenacolo la notizia che Gesù era effettivamente risorto, come avevano detto le ‘donne’ quello stesso mattino, gli apostoli non credono nemmeno a loro.4
Sarà poco dopo questo annuncio dei due di Emmaus nel Cenacolo che Gesù - apparso in quel giorno praticamente a tutte le donne tranne che agli apostoli colpevoli di viltà – attraverserà i muri delle pareti del Cenacolo e si materializzerà davanti ai loro occhi, in carne ed ossa, lasciandoli attoniti e…atterriti al punto che li inviterà a dargli qualcosa da mangiare per convincerli di non essere un fantasma.
Ma per tornare alla Croce, la nostra mistica vede tutto nei minimi particolari e descrive in pagine e pagine quanto avviene durante la Crocifissione, le sofferenze di Gesù, la folla che urlava, irrideva e lo sfidava a scendere dalla Croce se era vero che era Figlio di Dio.
Vede la morte, la deposizione dalla Croce, il trasporto di Gesù fin nella tomba, nonché i gesti e la disperazione di Maria che – sia pur Madre di Dio, ma pur sempre Mamma e di cultura e mentalità orientale – reagisce con quelle manifestazioni di dolore e di disperazione che vediamo avvenire in televisione anche ai giorni nostri e che sono estranee alla maggior contenutezza della nostra ‘cultura’ occidentale.
Qui mi limito a dire solo l’essenziale.
Il sepolcro è composto da due stanze, una sorta di anticamera con un tavolo di pietra che serve per la composizione del corpo, ed una stanza successiva, la vera e propria camera sepolcrale nelle cui pareti vi sono tutta una serie di loculi vuoti in attesa – suppongo – degli altri ‘ospiti’ futuri.
Gesù viene deposto sul tavolo dell’anticamera e viene sommariamente pulito, Maria gli sta accanto, piange, gli parla, lo chiama, se lo abbraccia serrandoselo al petto…:5
Nicodemo e Giuseppe si avvicinano, appoggiando ad una specie di sedile, che è all'altra parte della pietra, vasi e bende, e la sindone monda e un catino con acqua, mi pare, e batuffoli di filacce, mi pare.
Maria vede e chiede, forte: «Che fate voi? Che volete? Prepararlo? A che?
Lasciatelo in grembo alla sua Mamma. Se riesco a scaldarlo, prima risorge. Se riesco a consolare il Padre e a consolare Lui dell'odio deicida, il Padre perdona prima, e Lui prima torna».
La Dolorosa è quasi delirante.
«No, non ve lo do! L'ho dato una volta, una volta l'ho dato al mondo, e il mondo non lo ha voluto. L'ha ucciso per non volerlo. Ora non lo do più! Che dite? Che lo amate? Già! Ma perché allora non l'avete difeso? Avete atteso, a dirlo che lo amavate, quando non era più che uno che non poteva più udirvi. Che povero amore il vostro! Ma se eravate così paurosi del mondo, al punto di non osare di difendere un innocente, almeno lo dovevate rendere a me, alla Madre, perché difendesse il suo Nato. Lei sapeva chi era e che meritava. Voi!... Voi lo avete avuto a Maestro, ma non avete nulla imparato. Non è vero forse? Mento forse? Ma non vedete che non credete alla sua Risurrezione? Ci credete? No.
Perché state là, preparando bende e aromi? Perché lo giudicate un povero morto, oggi gelido, domani corrotto, e lo volete imbalsamare per questo. Lasciate le vostre manteche. Venite ad adorare il Salvatore col cuore puro dei pastori betlemmiti. Guardate: nel suo sonno non è che uno stanco che riposa. Quanto ha faticato nella vita! Sempre più ha faticato! E in queste ultime ore, poi!... Ora riposa. Per me, per la Mamma sua non è che un grande Bambino stanco che dorme. Ben misero il letto e la stanza! Ma anche il suo primo giaciglio non fu più bello, né più allegra la sua prima dimora. I pastori adorarono il Salvatore nel suo sonno di Infante. Voi adorate il Salvatore nel suo sonno di Trionfatore di Satana. E poi, come i pastori, andate a dire al mondo: "Gloria a Dio! Il Peccato è morto! Satana è vinto! Pace sia in Terra e in Cielo fra Dio e l'uomo!". Preparate le vie al suo ritorno.
Io vi mando. Io che la Maternità fa Sacerdotessa del rito. Andate. Ho detto che non voglio. Io l'ho lavato col mio pianto. E basta. Il resto non occorre. E non vi pensate di porlo su di Lui.
Più facile sarà per Lui il risorgere se libero da quelle funebri, inutili bende.
Perché mi guardi così, Giuseppe? E tu perché, Nicodemo? Ma l'orrore di questa giornata ebeti vi ha fatto? Smemorati?
Non ricordate? 'A questa generazione malvagia e adultera, che cerca un segno, non sarà dato che il segno di Giona... Così il Figlio dell'uomo starà tre giorni e tre notti nel cuore della Terra". Non ricordate? ‘Il Figlio dell'uomo sta per essere dato in mano agli uomini che l'uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà". Non ricordate? "Distruggete questo Tempio del Dio vero ed in tre giorni Io lo risusciterò". Il Tempio era il suo Corpo, o uomini. Scuoti il capo? Mi compiangi? Folle mi credi? Ma come? Ha risuscitato i morti e non potrà risuscitare Se stesso? Giovanni?».
«Madre!».
«SI, chiamami "madre". Non posso vivere pensando che non sarò chiamata così! Giovanni, tu eri presente quando risuscitò la figlioletta di Giairo e il giovinetto di Naim. Erano ben morti, quelli, vero? Non era solo un pesante sopore? Rispondi».
«Morti erano. La bambina da due ore, il giovinetto da un giorno e mezzo».
«E sorsero al suo comando?».
«E sorsero al suo comando».
«Avete udito? Voi due, avete udito? Ma perché scuotete il capo? Ah! forse volete dire che la vita torna più presto in chi è innocente e giovinetto. Ma il mio Bambino è l'Innocente! Ed è il sempre Giovane. È Dio, mio Figlio! ... ».
La Madre guarda con occhi di strazio e di follia i due preparatori che, accasciati ma inesorabili, dispongono i rotoli delle bende inzuppate ormai negli aromi.
Maria fa due passi. Ha rideposto il Figlio sulla pietra con la delicatezza di chi depone un neonato nella cuna. Fa due passi, si curva ai piedi del letto funebre, dove in ginocchio piange la Maddalena, e l'afferra per una spalla, la scuote, la chiama: «Maria. Rispondi. Costoro pensano che Gesù non possa risorgere perché uomo e morto di ferite. Ma tuo fratello non è più vecchio di Lui?».
«Non era tutto una piaga?».
«Sì».
«Non era già putrido prima di scendere nel sepolcro?».
«Sì».
«E non risorse dopo quattro giorni di asfissia e di putrefazione?».
«Sì».
«E allora?».
Un silenzio grave e lungo.
Poi un urlo inumano.
Maria vacilla portandosi una mano sul cuore. La sostengono. Ma Lei li respinge. Pare respinga i pietosi.
In realtà respinge ciò che Lei sola vede. E urla: «Indietro! Indietro, crudele! Non questa vendetta! Taci! Non ti voglio udire! Taci! Ah! mi morde il cuore!».
«Chi, Madre?».
«O Giovanni! Satana è! Satana che dice: 'Non risorgerà. Nessun profeta l'ha detto".
O Dio altissimo! Aiutatemi tutti, o voi, spiriti buoni, o voi, uomini pietosi! La mia ragione vacilla! Non ricordo più nulla. Che dicono i profeti? Che dice il salmo? Oh! chi mi ripete i passi che parlano del mio Gesù?».
È la Maddalena che con la sua voce d'organo dice il salmo davidico sulla Passione del Messia.
La Madre piange più forte, sorretta da Giovanni, e il pianto cade sul Figlio morto che ne è tutto bagnato. Maria vede, e lo asciuga, e dice a voce bassa: «Tanto pianto! E quando avevi tanta sete neppure una stilla te ne ho potuto dare. E ora... tutto ti bagno! Sembri un arbusto sotto una pesante rugiada. Qui, che la Mamma ti asciuga, Figlio! Tanto amaro hai gustato! Sul tuo labbro ferito non cada anche l'amaro e il sale del materno pianto! ... ».
Poi chiama forte: «Maria. Davide non dice... Sai Isaia? Di' Ie sue parole ... ».
La Maddalena dice il brano sulla Passione e termina con un singhiozzo: «... consegnò la sua vita alla morte e fu annoverato tra i malfattori, Egli che tolse i peccati del mondo e pregò per i peccatori».
«Oh! Taci! Morte no! Non consegnato alla morte!
No! No! Oh! che il vostro non credere, alleandosi alla tentazione di Satana, mi mette il dubbio nel cuore!
E dovrei non crederti, o Figlio? Non credere alla tua santa parola?!
Oh! dilla all'anima mia! Parla. Dalle sponde lontane, dove sei andato a liberare gli attendenti la tua venuta, getta la tua voce d'anima alla mia anima protesa, alla mia che è qui, tutta aperta a ricevere la tua voce. Dillo a tua Madre che torni! Di': 'Al terzo giorno risorgerò".
Te ne supplico, Figlio e Dio!
Aiutami a proteggere la mia fede. Satana la attorciglia nelle spire per strozzarla. Satana ha levato la sua bocca di serpe dalla carne dell'uomo perché Tu gli hai strappato questa preda, e ora ha confitto l'uncino dei suoi denti velenosi nella carne del mio cuore e me ne paralizza i palpiti, e la forza, e il calore.
Dio! Dio! Dio! Non permettere che io diffidi! Non lasciare che il dubbio mi agghiacci!
Non dare libertà a Satana di portarmi a disperare!
Figlio! Figlio! Mettimi la mano sul cuore. Caccerà Satana. Mettimela sul capo. Vi riporterà la luce. Santifica con una carezza le mie labbra, perché si fortifichino a dire: "Credo" anche contro tutto un mondo che non crede.
Oh! che dolore è non credere! Padre! Molto bisogna perdonare a chi non crede. Perché, quando non si crede più... quando non si crede più... ogni orrore diviene facile. Io te lo dico... io che provo questa tortura. Padre, pietà dei senza fede! Da' loro, Padre santo, da' loro, per questa Ostia consumata e per me, ostia che si consuma ancora, da' la tua Fede ai senza fede!».
Un lungo silenzio.
Nicodemo e Giuseppe fanno un cenno a Giovanni e alla Maddalena.
«Vieni, Madre». È la Maddalena che parla, cercando di allontanare Maria dal Figlio e di dividere le dita di Gesù intrecciate fra quelle di Maria, che le bacia piangendo.
La Mamma si raddrizza.
È solenne. Stende un'ultima volta le povere dita esangui, conduce la mano inerte a fianco del Corpo. Poi abbassa le braccia verso terra e, ben dritta, colla testa lievemente riversa, prega e offre.
Non si ode parola. Ma si capisce che prega da tutto l'aspetto.
È veramente la Sacerdotessa all'altare, la Sacerdotessa nell'attimo dell'offerta. «Offerimus praeclarae majestati tuae de tuis donis, ac datis, hostiam puram, hostiam sanctam, hostiam immaculatam ... ».
Poi si volge: «Fate pure. Ma Egli risorgerà. Inutilmente voi diffidate della mia ragione e siete ciechi alla verità che Egli vi disse. Inutilmente tenta Satana di insidiare la mia fede.
A redimere il mondo manca anche la tortura data al mio cuore da Satana vinto. La subisco e la offro per i futuri.
Addio, Figlio! Addio, mia Creatura!
Addio, bambino mio! Addio…Addio…Addio…Santo…Buono…Amatissimo e amabile…Bellezza…Gioia…Fonte di salute…Addio…Sui tuoi occhi…sulle tue labbra…sui tuoi capelli d’oro…sulle tue membra gelide…sul tuo Cuore trafitto…oh! sul tuo Cuore trafitto…il mio bacio…il mio bacio…il mio bacio…Addio…Addio…Signore! Pietà di me! ».
(19 febbraio 1944)
I due preparatori hanno finito la preparazione delle bende.
Vengono alla tavola e denudano Gesù anche del suo velo. Passano una spugna, mi pare, o un batuffolo di lino sulle membra in una molto frettolosa preparazione delle membra goccianti da mille parti.
Poi spalmano tutto il Corpo di unguenti. Lo seppelliscono addirittura sotto una crosta di manteca. Prima lo hanno sollevato, nettando anche la tavola di pietra su cui posano la sindone, che pende per oltre la metà dal capo del letto. Lo riadagiano sul petto e spalmano tutto il dorso, le cosce, le gambe. Tutta la parte posteriore. Poi delicatamente lo girano, osservando che non venga asportata la manteca degli aromi, e lo ungono anche dalla parte anteriore. Prima il tronco, poi le membra. Prima i piedi, per ultime le mani, che uniscono sul basso ventre.
La mistura degli aromi deve essere appiccicosa come gomma, perché vedo che le mani restano a posto, mentre prima scivolavano sempre per il loro peso di membra morte. I piedi no. Conservano la loro posizione: uno più dritto, l'altro più steso.
Per ultimo, il capo. Dopo averlo spalmato accuratamente, di modo che le fattezze scompaiono sotto lo strato di unguento, lo legano con la fascia mentoniera per mantenere chiusa la bocca.
Maria geme più forte.
Poi alzano il lato pendente della sindone e la ripiegano sopra a Gesù.
Egli scompare sotto la grossa tela della sindone. Non è più che una forma coperta da un telo.
Giuseppe osserva che tutto sia bene a posto e appoggia ancora sul viso un sudario di lino e altri panni, simili a corte e larghe strisce rettangolari, che passano da destra a sinistra, al disopra del Corpo, e tengono a posto la sindone, bene aderente al Corpo. Non è la caratteristica fasciatura che si vede nelle mummie e neppure nella risurrezione di Lazzaro. È un embrione di fasciatura.
Gesù ormai è annullato. Anche la forma si confonde sotto i lini. Sembra un lungo mucchio di tela, più stretto ai vertici e più largo al centro, appoggiato sul grigio della pietra.
Maria piange più forte.
(4 ottobre 1944)
Dice Gesù: «E la tortura continuò con assalti periodici sino all'alba della Domenica. Io ho avuto, nella Passione, una sola tentazione.
Ma la Madre, la Donna, espiò per la donna, colpevole di ogni male, più e più volte. E Satana sulla Vincitrice infierì con centuplicata ferocia.
Maria l'aveva vinto. Su Maria la più atroce tentazione. Tentazione alla carne della Madre. Tentazione al cuore della Madre. Tentazione allo spirito della Madre.
Il mondo crede che la Redenzione ebbe fine col mio ultimo anelito. No. La compì la Madre, aggiungendo la sua triplice tortura per redimere la triplice concupiscenza, lottando per tre giorni contro Satana che la voleva portare a negare la mia Parola e non credere nella mia Risurrezione. Maria fu l'unica che continuò a credere.
Grande e beata è anche per questa fede.
Hai conosciuto anche questo. Tormento che fa riscontro al tormento del mio Getsemani.
Il mondo non capirà questa pagina. Ma "coloro che sono nel mondo senza essere del mondo" la comprenderanno e aumentato amore avranno per la Madre Dolorosa. Per questo l'ho data.
Va' in pace con la nostra benedizione».
9.3 «Il mondo non capirà questa pagina…». Ed io allora vi spiego meglio la Tentazione finale di Maria.
Vi invito a riflettere su quelle parole di Gesù quando dice che nella sua Passione del Getsemani Egli subì – come uomo - una sola Tentazione, mentre la Madre, la Donna, espiò più e più volte per la donna, ‘colpevole di ogni male’, perché Satana infierì su di Lei sapendo che sarebbe stata la  Vincitrice.
Non sorridete, voi uomini, al pensare alla donna come ‘colpevole di ogni male’ e non arrabbiatevi voi donne.
Gesù non si riferisce infatti alla donna di oggi, ma alla prima di allora, Eva, perché fu a causa della sua disobbedienza che il Male, ogni male, è entrato nel mondo.
Satana ‘sapeva’ – come dice Gesù - che Maria sarebbe stata la Vincitrice perché il Dio della Genesi aveva predetto a lui ‘Serpente’, scacciandolo dal Paradiso terrestre, che un’altra Donna con il suo Calcagno gli avrebbe un giorno schiacciato il capo.
Per questo egli infierì. Per vendetta… e nella speranza, sempre ultima a morire, che anche la seconda Donna potesse ‘cadere’ come la prima.
Sarete però forse un poco curiosi di conoscere quale sia stata la Tentazione di Satana che subì Gesù.
È quella per cui Gesù finì per sudare sangue.
Una tentazione allucinante, di cui parlo in un capitolo di venti pagine di un altro libro ma che - per spiegarvela bene - dovrei qui ritrascrivere per intero. Andrei fuori tema.6
Avete invece qui ben compreso in cosa consistette l’estrema Tentazione di Satana a Maria: insinuarle il dubbio sulla sua Risurrezione!
Gesù, nel ‘dettato’ di cui sopra, spiega quale fu la ‘Tentazione’ di Maria ma non ne illustra le sottili implicazioni, lasciandole forse al nostro intuito.
Ci proverò io.
A prima vista non sembrerebbe neppure che il perdere la fede nella Risurrezione di Gesù fosse poi stata una gran ‘Tentazione’…
Se ci pensate però bene, vi accorgerete che Satana è stato invece di una astuzia… luciferina.
Egli non si era limitato a dirle nella mente che Gesù non sarebbe risorto, perché la sua ‘parola’ valeva meno della Fede di Maria, ma molto più sottilmente aveva chiamato a testimonianza l’autorità degli stessi Profeti che avevano parlato di Gesù, facendole notare che essi non avevano mai parlato di alcuna Risurrezione.
La finezza della Tentazione, se ben riflettete e guardate alla capacità psicologica di Satana, non consistette però solo nel chiamare a testimoni i profeti del fatto che Gesù non sarebbe risorto, bensì nell’indurre implicitamente Maria a pensare che – essendosi Gesù ingannato sulla propria risurrezione – Egli si era anche sbagliato sulla propria Divinità.
La Risurrezione, anzi la ‘auto-risurrezione’, avrebbe infatti dovuto essere la prova ‘inoppugnabile’, che Gesù aveva promesso a quegli scribi e farisei che in segno di sfida gli chiedevano appunto un ‘segno’ della sua Divinità.
Gesù aveva risposto che avrebbe dato loro il ‘segno’ di Giona,.
Essi – che pur conoscevano il racconto del profeta Giona, ‘restituito’ alla vita dopo essere stato per tre giorni nel ventre del pesce che lo aveva inghiottito – non avevano però compreso il significato dell’episodio applicato a Gesù.7
Gesù lo aveva poi chiaramente spiegato agli apostoli, anche se quelli rifiutavano di credere ai suoi annunci di morte, parendo loro impossibile.
Se però Gesù non fosse risorto, che senso avrebbe avuto per Maria tutta quella sua vita di tribolazioni? Che senso quella tragedia finale sulla croce?
Che pagliacciata era mai stata quella storia della Redenzione?
Ingannata da quell’Angelo dell’Annunciazione.
Ingannata da Dio!
Una vita di triboli, sacrifici e sofferenze del tutto vana. Il figlio ucciso.
Il figlio!
Che Dio era mai quello che aveva permesso tutto questo?
Che Dio era mai quello che li aveva così ingannati?
Ecco cosa voleva Satana.
Voleva la disperazione di Maria, facendo leva sul suo amore di Madre sofferente ed ingannata, per indurla a dubitare di Dio, a diffidarne.
Non solo, però, perché Satana nel Male è un Grande.
Satana – tocco d’artista, se gli fosse andata bene – voleva che Lei, la Tutta Bella, la Figlia Diletta nella quale Dio si era compiaciuto ancor prima della Creazione, maledicesse il suo Dio.
Contento, finalmente?
Nemmeno questo bastava a Satana.
Non gli bastava umiliare Dio, egli voleva anche la dannazione dell’Umanità intera.
Gesù e Maria, come ‘uomini’, dovevano redimere in due, Gesù per le colpe di Adamo, Maria per quelle di Eva.
Gesù e Maria, due Cuori uniti.
Sarebbe mai stata possibile la Redenzione se uno di questi due, avesse mai – nella disperazione dell’inganno satanico – maledetto Dio?
Neanche Adamo ed Eva, pur disobbedendo e peccando, lo avevano fatto!
La Redenzione, il salvataggio dell’Umanità, sarebbe fallita?
Io, che scrivo da ‘uomo della strada’ e sono solo un ‘catecumeno’, cioè un ‘apprendista’, non saprei come rispondervi. Bisognerebbe chiederlo ad un ‘teologo’, specie a certuni di quelli ‘moderni’.
Dico solo che Dio avrebbe potuto riaprire le porte dei Cieli all’Umanità con un semplice atto del suo volere.
Bastava Dio, ovviamente, a ‘redimere’ l’uomo, ma Dio-Verbo – incarnandosi in una Donna e nascendo come Uomo - aveva voluto la collaborazione della Donna e dell’Uomo.
Alla Redenzione dell’Uomo-Dio – così come pensata da Dio – era necessario il dolore, l’ubbidienza e la fede fino in fondo anche da parte della Donna.
Maria però, che è la Tutta Pura, intuisce che a farle girare nelle mente quel pensiero tremendo di dubbio sulla risurrezione non poteva essere che Satana, respinge l’idea e nel suo Amore si aggrappa invece a Dio, rifiutando di dubitare della sua Bontà, e supererà la Prova delle prove, vincendo – senza saperlo - la sua battaglia finale per la Redenzione.
Come già detto - all’alba della Domenica di Risurrezione, prima ancora che alla Maddalena - il Gesù valtortiano apparirà alla Mamma in segreto - in carne ed ossa - materializzandosi all’improvviso davanti a Lei nella sua stanzetta del Cenacolo, così:8
618. Gesù risorto appare alla Madre.
[21 febbraio 1944]
Maria ora è prostrata col volto a terra. Pare una povera cosa abbattuta. Pare quel fiore morto di sete di cui Ella ha parlato.
La finestra chiusa si apre con un impetuoso sbattimento delle pesanti imposte e, col raggio del primo sole, entra Gesù.
Maria, che s'è scossa al rumore e che alza il capo per vedere che vento abbia aperto le imposte, vede il suo raggiante Figlio: bello, infinitamente più bello di quando ancora non aveva patito, sorridente, vivo, luminoso più del sole, vestito di un bianco che par luce tessuta, e che si avanza verso di Lei.
Ella si raddrizza sui ginocchi e, congiungendo le mani sul petto, in croce, dice con un singhiozzo che è riso e pianto: «Signore, mio Dio». E resta così rapita nel contemplarlo, col viso tutto lavato di lacrime ma fatto sereno, pacificato dal sorriso e dall'estasi.
Ma Egli non la vuole vedere, la sua Mamma, in ginocchio come una serva. E la chiama, tendendole le Mani dalle cui ferita escono raggi che fanno ancor più luminosa la sua Carne gloriosa: «Mamma!». Ma non è la parola accorata dei colloqui e degli addii avanti la Passione, né il lamento straziato dell'incontro sul Calvario e dell'agonia. È un grido di trionfo, di gioia, di liberazione, di festa, di amore, di gratitudine. E si curva sulla sua Mamma, che non osa toccarlo, e le mette le sue Mani sotto i gomiti piegati, e la alza in piedi e la stringe al Cuore e la bacia.
Oh! allora Maria comprende che non è una visione, che è il Figlio realmente risorto, che è il suo Gesù, il Figlio che l'ama da Figlio ancora. E con un grido gli si getta al collo e lo abbraccia e lo bacia, ridendo nel pianto. Lo bacia sulla Fronte dove non sono più ferite, sulla Testa non più spettinata e sanguinosa, sugli Occhi fulgidi, sulle Guance risanate, sulla Bocca non più enfiata. E poi gli prende le Mani e ne bacia il dorso e la palma, sulle raggianti ferite, e d'un subito si curva ai suoi Piedi e li scopre da sotto la veste splendente e li bacia.
Poi si alza, lo guarda, non osa.
Ma Egli sorride e capisce. Socchiude la veste sul petto e dice: «E questa, Mamma, non la baci questa che t'ha fatto tanto male e che tu sola sei degna di baciare? Baciami sul Cuore, Mamma. Il tuo bacio mi leverà l'ultimo ricordo di tutto quanto è dolore, e mi darà quella gioia che ancora manca alla mia Gioia di Risorto».
E prende fra le sue Mani il volto della Madre e ne appoggia le labbra sulle labbra della ferita del Costato, da cui escono fiotti di luce vivissima. Il viso di Maria è aureolato da quella luce, tuffato come è nel suo raggio. Ella bacia, bacia, mentre Gesù la carezza. Non si stanca di baciare. Pare un assetato che abbia attaccato la bocca alla fonte e ne beva la vita che gli sfuggiva.
Ora Gesù parla.
«Tutto è finito, Mamma. Ora non hai più da piangere per il tuo Figlio.
La prova è compiuta. La Redenzione è avvenuta.
Mamma, grazie di avermi concepito, allevato, aiutato in vita e in morte. Ho sentito venire a Me le tue preghiere. Esse sono state la mia forza nel dolore, le mie compagne nel mio viaggio sulla Terra ed oltre la Terra.
Esse sono venute meco sulla Croce e nel Limbo.
Erano l'incenso che precedeva il Pontefice, che andava a chiamare i suoi servi per portarli nel Tempio che non muore: nel mio Cielo.
Esse sono venute meco in Paradiso, precedendo come voce angelica il corteo dei redenti guidati dal Redentore, perché gli angeli fossero pronti a salutare il Vincitore che tornava al suo Regno.
Esse sono state udite e viste dal Padre e dallo Spirito, che ne hanno sorriso come del fiore più bello e del canto più dolce nati in Paradiso.
Esse sono state conosciute dai Patriarchi e dai nuovi Santi, dai nuovi, primi cittadini della mia Gerusalemme, ed lo ti porto il loro grazie, Mamma, insieme al bacio dei parenti e alla loro benedizione e a quella del tuo sposo d'anima, Giuseppe.
Tutto il Cielo canta il suo osanna a te, Madre mia, Mamma santa! Un osanna che non muore, che non è bugiardo come quello dato a Me pochi giorni or sono.
Ora Io vado al Padre con la mia veste umana.
Il Paradiso deve vedere il Vincitore nella sua veste d'Uomo con cui ha vinto il Peccato dell'Uomo. Ma poi verrò ancora.
Devo confermare nella Fede chi non crede ancora ed ha bisogno di credere per portare altri a credere, devo fortificare i pusilli che avranno bisogno di tanta fortezza per resistere al mondo.
Poi salirò al Cielo. Ma non ti lascerò sola. Mamma, lo vedi quel velo? 9
Ho, nel mio annichilimento, sprigionato ancora potenza di miracolo per te, per darti quel conforto.
Ma per te compio un altro miracolo. Tu mi avrai, nel Sacramento, reale come ero quando mi portavi.
Non sarai mai sola. In questi giorni lo sei stata. Ma alla mia Redenzione occorreva anche questo tuo dolore.
Molto va continuamente aggiunto alla Redenzione, perché molto sarà continuamente creato di Peccato. Chiamerò tutti i miei servi a questa compartecipazione redentrice. Tu sei quella che da sola farai più di tutti i santi insieme. Perciò ci voleva anche questo lungo abbandono.
Ora non più. Io non sono più diviso dal Padre. Tu non sarai più divisa dal Figlio. E, avendo il Figlio, hai la Trinità nostra. Cielo vivente, tu porterai sulla Terra la Trinità fra gli uomini e santificherai la Chiesa, tu, Regina del Sacerdozio e Madre dei Cristiani.
Poi lo verrò a prenderti. E non sarò più Io in te, ma tu in Me, nel mio Regno, a far più bello il Paradiso.
Ora vado, Mamma. Vado a fare felice l'altra Maria. Poi salgo al Padre. Indi verrò a chi non crede.
Mamma. Il tuo bacio per benedizione. E la mia Pace a te per compagna. Addio».
E Gesù scompare nel sole che scende a fiotti dal cielo mattutino e sereno.


1  G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 123 – Ed. Segno, 1997
2  Mc 15,9-11  ///  Mc 15,14
3  G.L.: ‘Il Vangelo del grande e del ‘piccolo’ Giovanni’ – Vol. III, Cap. 12 – Ed. Segno, 2000
 G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. IV, Cap. 17 – Ed.       
           Segno, 2004
4  Mc 15, 12-13
5  M.V. ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. X, Cap. 610.11/610.16 – Centro Ed. Valtortiano
6  G.L.: ‘I Vangeli di Matteo…’ – Vol. IV, Cap. 14 – Ed. Segno, 2004
7  G.L.: ‘I Vangeli di Matteo…’ – Vol. III, Cap. 12 – Ed. Segno, 2003
8  G.L.: “I Vangeli di Matteo…” – Vol. IV – Cap. 16,2 – Ed. Segno
9  G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. IV – Cap. 20.1: ‘Il   
           velo della Veronica’ – Ed. Segno, 2004
10. Ecco l’opera perfetta del Creatore.
Ecco ciò che Io creai a mia più vera immagine e somiglianza fra tutti i figli dell’uomo, frutto di un capolavoro divino e creativo…
Ecco la testimonianza del mio amore per l’uomo…
Ecco la testimonianza del mio perdono all’uomo…
Questa è la mistica pietra di paragone, questa è l’anello di congiunzione fra l’uomo e Dio…
10.1 L’anima, lo spirito dell’anima ed il Progetto creativo di Dio.
Quasi senza accorgercene siamo arrivati in fondo al libro avendo ragionatamente spiegato le ragioni per cui possiamo permetterci di insistere perché Maria SS. venga a tutti gli effetti considerata Corredentrice.
Ora però stiamo per affrontare un tema che richiede la vostra massima attenzione ed applicazione di intelligenza.
La Assunzione al Cielo di Maria  in anima e corpo, è già stata stabilita per Dogma nel 1950.
Quando avevo terminato il mio libro precedente, cioè l’ultimo dei quattro volumi di commento ai Vangeli dei tre sinottici - dopo l’Ascensione di Gesù al Cielo (un Gesù sfolgorante davanti a varie centinaia di discepoli che adoravano, sulle falde del Monte degli Ulivi, mentre Lui lentamente ascendeva a braccia aperte regalando un ultimo splendido indescrivibile divino sorriso a sua Mamma che dal basso lo guardava in estasi) – avevo ‘chiuso’ con un mio commento ad una ulteriore visione della mistica Valtorta in merito alla discesa dello Spirito Santo sugli apostoli nel Cenacolo, commento che cercava di rispondere al quesito su chi sia, cosa faccia, che personalità abbia in realtà questo ‘misterioso’ Spirito Santo.
Non potete immaginare il mio rammarico nel non poter commentare la Assunzione al Cielo della Madonna, ma il ciclo messianico terminava con la Pentecoste, ed io non potevo fare un balzo in avanti nel tempo, parlando del periodo successivo.
Ora però ne ho l’opportunità senza paura di uscire dal ‘tema’, perché l’Assunzione di Maria è stato il realtà il degno coronamento e premio del suo ruolo di…Corredentrice.
Dall’Opera della nostra mistica si desume che dalla Ascensione al Cielo di Gesù all’Assunzione di Maria erano trascorsi una decina di anni.
Dunque la Madonna – che ne aveva cinquanta alla Ascensione di Gesù – doveva essere sulla sessantina.
Affidata da Gesù sulla croce a Giovanni, ella viveva con l’apostolo in una casetta sul Monte degli Ulivi, vicina al poggio da cui era avvenuta l’Ascensione, casetta che Lazzaro – proprietario – aveva generosamente messo a loro disposizione.
Gli altri apostoli – anche sulla spinta della prime persecuzioni giudee che si evincono dagli Atti degli Apostoli - avevano già cominciato ad allontanarsi da Gerusalemme  e dalla Palestina secondo il comando che era stato loro dato da Gesù: ‘Andate ed evangelizzate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare quanto vi ho comandato’.
Al martirio di Santo Stefano, presente il giovane Saulo che poi diventerà San Paolo – seguirà qualche anno dopo quello di Giacomo, cugino di Gesù e primo vescovo di Gerusalemme.
Anche Pietro – anni dopo – se ne sarebbe andato, trasferendosi a Roma dove avrebbe continuato la sua attività di Capo della Chiesa.
Sarebbero partiti anche Lazzaro di Betania e le sue sorelle Marta e Maria Maddalena.
La Tradizione narra di Lazzaro vescovo nelle terre pagane della Francia con la Maddalena che vi si era pure ritirata per vivere asceticamente in una grotta una vita fatta di contemplazione e di espiazione, anima-vittima con sofferenza di amore, dono e missione che lei aveva chiesto a Gesù che glielo aveva accordato.
Negli altri miei libri di commento ai Vangeli parlo in più occasioni della bellissima Maddalena, Maria di Magdala, peccatrice ardente e scandalo della famiglia Lazzaro.
Venne poi convertita da Gesù, in adempimento ad una promessa fatta a Lazzaro e Marta che soffrivano tantissimo per la sorella bella ma…scapestrata.
Avvenne durante uno stupendo discorso (valtortiano) dove Egli – intravedendola nascosta fra la folla che ascoltava la sua predicazione  sapiente – raccontò in modo magistrale, tutta per lei presente ‘in incognito, la parabola della ‘pecorella smarrita’ per dimostrare l’amore particolare del Padre verso i propri figli ‘peccatori’
La Maddalena la sentì in effetti proprio come ‘applicata a sé’ quella meravigliosa parabola raccontata da Gesù con parole toccanti, si commosse ed iniziò da quel momento un cammino doloroso di conversione che l’avrebbe portata qualche mese dopo – lavata dal pianto – a farsi non solo discepola di Gesù ma anche sua coraggiosa e devota sostenitrice, anche dal punto di vista economico, insieme al fratello Lazzaro.
Sarà forte e indomita nei momenti difficili, appassionata del suo Dio che l’aveva convertita e redenta, in quelli più dolorosi.
Non a caso Gesù apparirà – prima fra tutti i discepoli – proprio a Lei che se lo vedrà davanti nella Gloria di Risorto mentre ancora stava piangendo disperata davanti a quel Sepolcro vuoto, convinta che qualcuno avesse rubato il corpo di Gesù per fare un ultimo sfregio ai suoi discepoli.
Gesù, anche dal Cielo, non dimenticherà mai la sua Maddalena penitente,  quella che pochi giorni prima della sua Passione lo aveva unto di unguenti regali ed asciugato con i propri capelli, ultimo omaggio al Re che stava per salire sul suo ‘Trono’.
Quando nella grotta la sempre bella Maddalena - di una bellezza ancora visibile anche se sfiorita per gli anni e le privazioni - sentirà avvicinarsi il languore della morte, Gesù le si materializzerà davanti stupendo nella sua figura di Uomo-Dio glorificato, la ringrazierà per tutto quanto lei gli aveva donato d’amore in vita, e in ricordo di quell’ultima sua Unzione prima della Morte di Croce Egli le dirà che era venuto a prenderla per accoglierla nel Suo regno celeste prima della sua morte, che in realtà era Vita.
Maria è felice e radiosa, e mentre Gesù scompare per andarla ad attendere dall’altra parte, appare un Angelo che le dona l’Eucarestia mentre Maria si accascia sul suo pagliericcio e – in estasi – si abbandona e muore.
Questo avverrà però molti anni dopo. 1
Ritornando tuttavia a Maria SS., è in quella casetta del Getsemani che la mistica Valtorta la vede - nelle sue visioni - con Giovanni, negli ultimi colloqui prima dell’Assunzione.
Non sto qui a raccontarvi se non per sommi capi come avvenne il ‘transito’, comunque in maniera straordinaria, con la Madonna che – addormentasi in estasi durante una delle sue solite contemplazioni mistiche – veniva fisicamente ‘sollevata di peso’ dal suo letto di dormizione da uno stuolo di Angeli comparso all’improvviso, mentre Giovanni – esausto per averla a lungo vegliata  in quell’estasi che non era morte ma non sembrava neppure vita – si era addormentato su uno sgabello, colto infine dalla stanchezza.
L’apostolo verrà svegliato dal suono armonico che emanava dagli angeli, e dal soffio dell’aria che entrava in casa dal tetto scoperchiato da dove gli angeli erano già usciti portandosi sempre più in alto il corpo addormentato di Maria che Giovanni riuscirà ancora a vedere, sempre più su, sempre più in alto, sorretta sempre dagli angeli che la portavano verso il Cielo.
Troppo tardi per cercare magari di impedirlo, troppo bella quella visione concessagli dal Padreterno per sua consolazione e speranza futura.
Dio – che tutto può – concederà infatti subito dopo al nuovo ‘figlio’ della Diletta un ultimo miracolo, il dono della visione del risveglio di Maria durante l’ascesa dell’Assunzione con l’incontro con suo Figlio che era sceso veloce dal Cielo per stringersi la Mamma al cuore per poi continuare a salire insieme a Lei verso le profondità celesti da dove Gesù era venuto.
Anche qui non so se il parlare dell’Assunzione di Maria e della sua incoronazione in Cielo come Regina degli Angeli e dei Santi sia fare ancora di più del ‘madonnismo’ come diceva quel certo ‘prete-teologo’ al quale ho accennato in una delle ‘note’, quando commentavo l’addio di Gesù alla Madre nel Cap.8.
Mi terrò allora saldamente ancorato a quanto ci insegna non la teologia d’assalto, quella dei ‘teologi-sociologhi’ o ‘rivoluzionari’, e neppure quella modernista e ‘demitizzante’ dei teologi alla ‘Bultmann’, ma la sana e bimillenaria Tradizione della Chiesa.
Dal ‘Dizionario del Cristianesimo’ di Padre Enrico Zoffoli, alla voce ‘Assunzione di Maria SS.MA’, leggo:
Transito prodigioso della Vergine da questa vita a quella beata dell’eternità in anima e corpo. Dogma di ‘fede-cattolica’, definito da Pio XII nel 1950, fondato sulla divina maternità di Maria, partecipe più di ogni altra creatura umana al mistero della Passione Redentrice, meritevole della stessa gloria del Figlio crocifisso e risorto…
Dunque il fatto che Maria sia stata assunta in anima e corpo è stato stabilito per Dogma.
Potrebbe sembrare una cosa impossibile. Si può ancora capire l’anima, ma il corpo?
Dall’Opera valtortiana, in una lezione fondamentale sulla Genesi dove lo Spirito Santo ammaestra la mistica, si evince che il destino originario dell’uomo - prima che questi fosse corrotto nell’anima, nella psiche e nel corpo dal Peccato originale - era quello di vivere una vita lunghissima senza malattie e morte in senso proprio, per poi trapassare senza morire dal Paradiso terrestre a quello celeste e là godervi della perfetta conoscenza di Dio. 2
In ciò sarebbe consistita l’immortalità dell’uomo.
È un ‘miracolo’ che se può apparire incredibile ad un razionalista che valuta l’uomo per quello che è oggi, non lo deve almeno sembrare a chi ha fede e riesce a credere nella Creazione dell’universo, della natura e dell’uomo da parte di Dio, ed in altre Verità quali quella della Resurrezione ed Ascensione al Cielo di Gesù od alla Resurrezione finale dei morti con i loro corpi al momento del Giudizio universale.
Se – come insegna la Dottrina cristiana - alla fine del mondo le anime riacquisteranno ad un comando divino i loro corpi per essere giudicate, premiate o punite, in anima e corpo, vi deve essere un qualche aspetto della realtà soprannaturale che ci è sconosciuto.
La presenza dei corpi – sia pur glorificati per le anime dei ‘giusti’ e quindi con proprietà diverse da quelle attuali, affrancate dalle leggi fisiche  della attuale materia, proprietà diverse come lo furono quelle del Gesù Risorto che si materializzava e si smaterializzava comparendo contemporaneamente in posti diversi con la velocità del pensiero – presuppone una qualche forma di spazio e luogo, magari con un significato diverso da quello che gli diamo noi oggi, un ‘luogo’ dove la presenza di un corpo sia pur glorificato abbia un senso, in un’altra dimensione spazio-temporale, per usare un paragone ed un linguaggio moderno.
Se il primo uomo fosse rimasto integro, il suo trapasso dal Paradiso Terreste a questa nuova realtà, , avrebbe potuto forse essere simile a quello di Maria: un’estasi ed il transito da questa vita terrena a quella di un’altra dimensione: quella del Cielo.
La natura con tutte le sue varietà di vita vegetale ed animale, il macrocosmo dell’universo ed il microcosmo dell’atomo con tutte le loro leggi ordinate non ci mostrano forse che ci sono ‘miracoli’ ancora maggiori?
Dunque – verità di Fede – Maria SS. fu assunta in Cielo, transitò da questa vita all’altra?
Se c’è una cosa che da fastidio ai ‘laici’ agnostici è il sentirsi dire che una verità di fede viene stabilita ‘per dogma’, dove questo termine viene da essi interpretato come una imposizione di violenza, come a dire ‘O così o così’, se ti va…, bene! Altrimenti sei fuori…’.
Mi capite?
Io ragiono ancora da ‘laico razionalista’ e certe cose le capisco perché le avevo vissute in questa maniera, e provocavano in me una sorta di ribellione intellettuale.
Non accettavo le imposizioni, specie se ‘fideistiche’, perché mi sembravano un ‘lavaggio di cervello’, un imporre la fede per…decreto.
La mia era però solo ignoranza, anche se della ignoranza delle ‘pecore’ una parte della responsabilità è di quei ‘pastori’ che non sanno ‘insegnare’.
Per dirvela in parole povere – come io, da ‘catecumeno’, e cioè da ‘apprendista’, l’ho capito - il Dogma non è altro che una Verità rivelata da Dio attraverso Gesù Cristo nei suoi Vangeli.
È una Verità, tuttavia, i cui contenuti più o meno espliciti possono essere approfonditi e sviluppati con la scoperta di nuovi aspetti tali da confermare e arricchire la Verità già precedentemente insegnata.
È una Verità chiarita e definita dal Magistero della Chiesa in maniera ritenuta ‘infallibile’ perché – in tema di verità di fede – la Chiesa, nella massima espressione papale, viene considerata direttamente ispirata dallo Spirito Santo che su certe cose non consente errori.
Il Dogma, in buona sostanza, non va confuso con il dogmatismo, che è la tendenza ad accettare o imporre come assolutamente certa e indiscutibile una qualsiasi tesi non debitamente dimostrata.
L’elaborazione di un ‘Dogma’ non piomba sulla testa degli uomini come un fulmine a ciel sereno, ma nella Chiesa è invece frutto di meditazioni e discussioni teologiche che durano anche secoli prima che si giunga a concordare su quella certa cosa che solo a quel punto viene definita Verità dogmatica.
Il Dogma non è il punto di partenza ma quello di arrivo, è insomma il frutto di un lungo ragionamento, una cosa da ‘razionalisti’, a modo suo.
È stato così – in discussioni durate quasi duemila anni - per il Dogma della Immacolata Concezione di Maria, riconosciuto come tale solo a metà dell’Ottocento, e spero ora - come si augurava anche il ‘Papa Wojtila’ di quel mio sogno iniziale - che non si debbano aspettare altri duemila anni per quello di Maria Corredentrice.
Ma il ‘razionalista’ vorrebbe capirlo bene questo ‘dogma’ dell’Assunzione in anima e corpo, così legato a quello della Corredenzione,  e allora cosa di meglio se non qualche ulteriore spiegazione tratta ancora dalla Valtorta e – nel mio piccolo – dalla ‘Luce’ del mio ‘Subconscio…creativo’?
Padre Enrico Zoffoli spiegava dunque che Maria fu assunta in Cielo in anima e corpo.
Anche Gesù  ascese in anima e corpo, ma Lui era Verbo di Dio, Dio, ed il suo Corpo era ormai un corpo glorificato, un Corpo cioè che grazie ai meriti della Passione aveva acquistato la ‘Gloria’ e quindi delle proprietà superiori alle comuni leggi conosciute della natura.
Stabiliamo dunque un primo principio, e cioè che il corpo di Maria che viene assunto in Cielo - almeno all’inizio dell’Assunzione, cioè prima di arrivare in Cielo – era un corpo normale, come il nostro, cioè non ancora un ‘corpo glorificato’.
Però ci viene detto che Maria è stata assunta anche ‘in anima’ e qui si deve aprire una lunga parentesi perché dobbiamo capire bene cosa si debba intendere per anima.
Ecco allora – a proposito dell’anima, tema fondamentale al quale ho dedicato nei miei vari libri quasi una trentina di capitoli – quanto mi aveva sintetizzato una volta la mia ‘Luce’ a conclusione di tutta una serie di spiegazioni :3
Luce:
Ricapitoliamo:
. L'Anima è un insieme complesso: un poliedro dalle molte sfaccettature, per confermarti una immagine che ti renda più famigliare il concetto.
. Le varie sfaccettature - parlo di quelle che è sufficiente tu ora conosca - sono costituite dall'Io (inteso come "ego" affermatore della propria personalità ), dalla capacità volitiva, da quella intellettiva, dagli "istinti" (chiamiamoli così ...) buoni e cattivi (fra i quali l'Io sceglierà quali seguire con il suo libero arbitrio che è un'altra sfaccettatura).
. L'anima, per questi aspetti, è quella che abbiamo chiamato "anima vitale" , perché è quella che alimenta la vita dell'uomo-animale e degli animali in genere con diversa gradazione a seconda del loro diverso livello intellettivo: intellettivo e non spirituale.
. Ma l'uomo, in più, ha l'anima nell'anima, l'anima nell'anima vitale, cioè lo spirito dell'anima, una quintessenza dell'anima, un germe meraviglioso che è tutto di Dio, che fa differente l'uomo da tutti gli altri esseri viventi: lo spirito dell'anima che è quello capace di congiungervi con Dio. Capisci?
Ecco, la vostra vita serve a valorizzare questo spirito, a riportarlo - dopo che è stato coperto e soffocato dall'umanità -  al suo splendore originario, perché solo con lo spirito splendente della luce della Grazia potete intrecciare con Dio colloqui divini in una sinfonia d'amore che è anticipazione del concerto eterno nel quale un giorno, ‘il giorno’, vi perderete beati in un'estasi che non avrà fine.
Ecco perché ti viene data tanta forza nel leggere: sono tanti doni di grazia per aiutarti a fare crescere nuovamente la tua anima resa rachitica, anchilosata - più ancora: paralitica, quasi morta - dalla troppa umanità.
Non ti preoccupi l'essere perfetto né santo: non sarai né l'uno né l'altro se proprio non lo vuoi.
Accontentati di salire ogni giorno il tuo piccolo gradino, senza pensare al domani e alla cima della scala (ché ciò ti darebbe solo vertigine) e ti ritroverai in cima senza essertene neanche accorto - in cima alla scala celeste che è croce senza esserlo - senza essertene neanche accorto!
E allora mi ringrazierai, perché finalmente ‘capirai’.

Ma, a quel punto, sorgeva per me ancora una domanda: in quale maniera questo discorso sull’anima si inseriva nel Progetto creativo di Dio?
La ‘Luce’ del mio ‘Subconscio creativo’ ci ha già dato una spiegazione nella sua ‘Presentazione’ nelle prime pagine di questo libro, ma eccone ora un’altra che la rende più completa:4
Luce:
Il Progetto creativo di Dio:
Dio volle un popolo di figli, li fece a sua immagine e somiglianza, Satana li rovinò, Dio - con il Cristo - li salvò perché, martiri del proprio 'Io', ritornassero a Dio, onde averne la 'Gloria' e per Gloria di Dio.
Perché il Santo voleva un popolo di 'santi': i figli di Dio.
Dio era 'Gloria', si fece uomo, patì nel 'Tempo', atrocemente, completamente, per salvare l'uomo. Poi è risalito al Cielo e la sua Gloria originaria, già di per sé grande e già aumentata per il suo orribile patimento, è continuamente aumentata da ogni giusto, ogni 'santo', che sale in Cielo, come chi, dopo tanto lavoro, coglie ogni frutto del proprio raccolto.
È stata dunque la sofferenza nel 'tempo' quella che fa ora rifulgere sempre più la gloria di 'Dio-Cristo' - per ogni 'santo' in Cielo, in Cristo - nel suo Corpo glorificato.
Lo scopo della 'Creazione' è stato dunque quello di accrescere la Gloria di Dio dandola anche all'uomo.
Ma quale uomo ?
A quello demeritevole? No! A quello meritevole.
Per questo Dio, che non volle il 'Male' provocato dal libero arbitrio di Lucifero né quello provocato luciferinamente dal libero arbitrio dei primi due, consentì il 'male' perché l'uomo decaduto, e poi 'potenzialmente' salvato dalle sofferenze del Cristo, compartecipasse alle Sue sofferenze 'guadagnandosi' - per giustizia - con pieno merito, con proprio personale merito, il Regno dei Cieli: quindi non dono 'gratuito' ma dono 'guadagnato'.
Alla fine del mondo il mosaico della 'Creazione' si comporrà: la tessera costituita da ogni anima salvata, così come questa si è volontariamente 'formata', concorrerà a comporre il quadro generale della Creazione, per l'Eternità.
D'altra parte la caduta dell'uomo, con la sua conseguente umiliazione, fu in tutti i sensi 'provvidenziale' perché altrimenti il suo smisurato orgoglio lo avrebbe portato a peccare come Lucifero che, per essere stato senza colpa, finì per credersi simile a Dio.
Per l'uomo non vi sarebbe stata più redenzione perché, senza Lucifero e la sua tentazione, avrebbe finito per credersi simile a Dio da sé, quindi senza 'attenuanti', ed avrebbe perciò meritato l' inferno-eterno.
Per questo persino la 'colpa' fu provvidenziale.
La 'materia' serve - come dal fiore viene il frutto e dalla crisalide la farfalla - a partorire il ‘figlio di Dio’.
È una 'autogenesi' nel senso che il figlio della carne si fa figlio di Dio con la propria volontà grazie all'aver sottomesso la materia allo spirito.
Dio non è egoista e voleva condividere la sua gloria con gli uomini meritevoli, con i veri figli di Dio, i Figli dello Spirito e non della Carne.

10.2 L’anima spirituale è come il «software» di un computer…
Ma se la mia ‘Luce’ non fosse stata sufficientemente chiara, ve la spiegherò allora io meglio, la storia dell’anima animale e di quella spirituale, così come la spiegai più o meno un’altra volta mentre contestavo le teorie ‘moderniste’ del famoso teologo Bultmann e commentavo la teoria de ‘L’Uomo delinquente’ di Cesare Lombroso il quale non ammetteva – come già vi accennai – il Peccato originale pensando che l’uomo fosse ‘delinquente’ non a causa delle tare ereditate a seguito del Peccato dei Primi Due ma perché esprimeva istinti brutali in quanto discendente di un ‘bruto’, cioè di una scimmia:5
5.7 Le stimmate psicologiche, l’anima animale, quella spirituale, il software del computer, il virus informatico e…il peccato originale
Ma avendo ora spiegato quel concetto del Gesù valtortiano per cui il peccato fa malati nello spirito e…nel corpo, proseguiamo ora nell’approfondimento ‘tecnico-scientifico’ cercando di far meglio capire con degli esempi come abbia potuto avvenire ‘tecnicamente’ che i discendenti di Adamo ed Eva abbiano subito le conseguenze del loro peccato iniziale.
Cesare Lombroso (1835-1905), medico, psichiatra, professore di medicina legale, fu il fondatore della disciplina scientifica di antropologia criminale, che ebbe grande influenza sugli sviluppi della criminologia.
Non tutte le sue conclusioni sono state condivise dagli scienziati successivi, ma egli ebbe comunque delle geniali intuizioni.
Egli aveva studiato le personalità criminali e nella sua opera, L’uomo delinquente (1875-1876), aveva dato una identificazione clinica dei diversi tipi, in particolare anche dei delinquenti nati, che – secondo i suoi studi – erano caratterizzati da stimmate anatomiche, fisiologiche e psicologiche.
Quella delle stimmate ‘psicologiche’ può sembrare una novità e allora merita una digressione.
Nella trasmissione dei caratteri ereditari, il discendente non riceve dall’ascendente (in tutto o in parte a seconda della combinazione dei caratteri) solo le caratteristiche fisiologiche del cosiddetto Dna, come ad esempio il colore dei capelli, o degli occhi, o la struttura corporea, ma anche - come ben sanno anche coloro che selezionano le razze animali - quelle ‘psicologiche’, caratteriali, attitudinali, quelle che attengono cioè alla sfera della ‘psiche’, al ‘pensiero’ o, meglio, al ‘complesso psichico’, come ben si può rilevare quando in un bambino scopriamo ad esempio lo stesso carattere e attitudini di uno dei genitori o di un suo nonno.
Cercherò allora di spiegarmi ricorrendo a dei paragoni non magari perfettamente calzanti ma che aiutano a comprendere meglio il concetto che vorrei esprimere.
Il ‘complesso psichico’ dell’uomo non è altro che quello che noi chiamiamo, genericamente, ‘anima’.
Ma la parola ‘anima’ è un termine inteso nei sensi più disparati, secondo le diverse concezioni filosofiche relative al mondo e all’uomo.
Anima si dice ad esempio ogni principio vitale, comune alle piante ed agli animali (=  anima vegetativa e anima sensitiva).
Anima si dice soprattutto parlando dell’uomo, la quale, stando alla grande tradizione cattolica e tomistica, è ritenuta ‘forma sostanziale del corpo’, essenzialmente immateriale ed incorruttibile, creata da Dio, ricca di una personalità che, maturando attraverso le esperienze della vita temporale, è destinata a realizzare la sua definitiva perfezione nel possesso intellettuale di Dio.6
L’anima dell’uomo non va quindi confusa con quella dell’animale.
Anche l’uomo – bene inteso -  ha un anima ‘animale’, e cioè un principio vitale  intelligente che gli consente di condursi e riprodursi in quanto ‘essere animale’.
Anche l’uomo, come tutti gli altri animali, trasmette questa sorta di anima, o meglio di principio vitale intelligente, per via naturale, e cioè con la riproduzione della specie, insieme ai propri geni.
Ma l’uomo, per la missione specifica che Dio ha previsto per lui, riceve al momento del concepimento dell’embrione un ‘quid’ in più, un ulteriore ‘principio vitale intelligente’, che è tuttavia un principio ‘vitale’ a carattere spirituale che dà una vita spirituale che non cessa con la morte del corpo come avviene per il principio vitale dell’anima animale.
Questo secondo ‘principio vitale’ viene come ‘inserito’ nell’anima animale  e finisce per costituirne la parte più sosfisticata, una sorta di anima dell’anima, la parte più profonda, intelligentissima, destinata a vivere in eterno e, soprattutto, a comunicare con Dio.
Dio è purissimo spirito, gli angeli sono puri spiriti, gli uomini sono semplici spiriti che sono stati in qualche modo ‘incarnati’ in un embrione umano.
Mi sarebbe piaciuto vivere ai tempi di San Paolo non solo per conoscere Gesù ma anche per chiedere a quel suo ‘apostolo’ ispirato qualche maggior chiarimento proprio sull’anima.
Egli infatti – parlando ripetutamente nelle sue lettere dell’uomo, inteso nella sua interezza - ha indicato in lui tre distinte realtà  parlando specificatamente di corpo, anima e … spirito.
Ma lo spirito dell’uomo, che noi chiamiamo anche ‘anima’, altro non è che quel ‘soffio di Dio’ di cui parla la Genesi e che viene ‘insufflato’ nell’anima animale dell’uomo per renderlo diverso dagli altri animali, dandogli cioè un ‘quid’ che gli consentirà dopo la morte del corpo una vita spirituale, eterna.
Ma allora, vi domanderete, come può succedere che questa ‘anima spirituale’, questo spirito dell’anima, questa quint’essenza così perfetta, data direttamente da Dio, finisca per contrarre il Peccato Originale, cioè le sue conseguenze?
Oggi viviamo in una società tecnologica, anzi informatica, dove anche i bambini ormai imparano all’asilo a familiarizzarsi nell’uso del computer.
Ed allora - non tanto per i nipotini di Bultmann, che tanto non credono nell’anima a meno che non sia quella ‘animale’, ma per voi - spiegherò l’apparente mistero servendomi di una analogia presa dal mondo dei computers.
In casa avrete certamente un membro della famiglia che conosce l’uso di queste macchine ed al quale potrete magari poi chiedere qualche chiarimento.
Il computer lo potete immaginare come un corpo umano inanimato, come una macchina insensibile, un macchinario che di per sé non risponderebbe a nessun comando.
Ma se nel computer il fabbricante introduce il suo software di base  (e cioè, per analogia, l’anima animale) ecco che il computer come per incanto si ‘anima’, si accende, comincia a girare ed al primo comando di Avvio comincia ad aprire uno dopo l’altro tutti i suoi programmi di base che servono al suo funzionamento operativo.
Ma il costruttore (e cioè Dio) non è ancora soddisfatto di un programma software di quel genere, perché quel programma ce l’hanno – più o meno – anche tutti gli altri animali, e persino i vegetali, a modo loro.
Dio vuole che quel particolare ‘computer’, cioè l’uomo, possa collegarsi attraverso un’Internet spirituale con Sé, perché Egli vuole donarsi all’uomo e vorrebbe che l’uomo si donasse a lui, amarlo ed essere amato, per l’eternità, come un figlio.
Ed ecco che allora, dopo che i due genitori concepiscono nell’amore quell’embrione d’uomo, ecco che Dio – premuroso e tempestivo – lo munisce di un software ancora più sofisticato di quello dell’anima ‘animale’ già di per sé meraviglioso di cui l’uomo in quanto ‘animale’ viene normalmente dotato al pari degli altri esseri viventi.
Un software intelligentissimo, di natura sofisticatamente spirituale, destinato a non morire mai, neanche distruggendo il computer.
Ma questo software aggiuntivo, cioè lo spirito dell’anima, per funzionare ha bisogno del software di base del computer, e cioè dell’anima animale.
Se quest’ultimo gira bene, anche l’altro software funzionerà al meglio.
Questa era la situazione di Adamo ed Eva prima del Peccato originale.
Ma dopo, dopo che il Peccato spirituale (dovuto non ad un difetto costruttivo del Fabbricante ma ad una imprudenza degli operatori, Adamo ed Eva) ebbe danneggiato quel software sofisticatissimo del loro spirito trasmesso direttamente da Dio, perdendo il contatto con Dio, ecco che andò in cortocircuito anche l’altro software di base, e cioè quell’anima animale che si trasmette per via naturale, cioè con la riproduzione fisica, di padre in figlio.
Ora – dopo quel Peccato - i programmi ‘cortocircuitati’ del software di base del nostro computer umano non sono più perfetti come quando erano stati progettati, anzi sono tarati e vengono trasmessi geneticamente tarati di padre in figlio.
È come se essi fossero stati attaccati da un virus informatico al quale incautamente o involontariamente – magari entrando o scaricandoci qualcosa da Internet - abbiamo aperto la porta, e adesso non girano più tanto bene, con conseguenze ora lievi, ora più gravi, ora irreparabili.
E anche quel software aggiuntivo, lo spirito dell’anima, anche se introdotto perfetto da Dio in ogni nuovo embrione umano che viene concepito, una volta dentro, subisce le conseguenze del ‘virus’ telematico che aveva già contagiato gli altri programmi di base del computer. Esso subisce cioè le conseguenze del Peccato originale che non gli consentono più di girare secondo le aspettative di chi lo aveva creato.
Comunicare con Dio e salvarsi l’anima diventerà sempre più difficile.
Entrato per una grave imprudenza, il ‘virus’ ha arrecato al ‘computer’ delle conseguenze irreparabili che pur permettendogli ancora di funzionare ora danno continuamente quelli che in gergo vengono chiamati ‘errori’.
L’uomo non è più perfetto, i suoi programmi ‘girano’ ancora ma solo al minimo della loro potenza, con oscuramenti, inceppamenti, inconvenienti di vario tipo.
Nell’uomo la fecondazione è l’effetto costituito dalla fusione dei due gameti, maschile e femminile, dalla quale risulta la ‘cellula germinale’ o zigote, dotato del codice genetico del nascituro.
Secondo il dogma del Peccato originale, quest’ultimo (consistente nella privazione della grazia, seguita alla ribellione a Dio dei capostipiti della famiglia umana) si trasmettecon la natura’ – cioè attraverso la generazione umana di padre in figlio - venendosi così a contrarre dal primo momento in cui ogni individuo viene concepito.
Dio introduce un’anima perfetta in un embrione umano concepito dai genitori, ma questa l’istante dopo non funzionerà più in maniera perfetta non perché avrà contratto il ‘Peccato originale’, ma perché sarà condizionata delle conseguenze di danneggiamento dovute al Peccato originale compiuto dai progenitori.
L’anima spirituale dell’uomo – sempre capace però di ‘condursi’ in base alla propria volontà e libero arbitrio - si ritrova dunque a fare i conti  con una situazione preesistente, diciamo ereditaria.
Ecco quello che Bultmann, non voleva capire.
Ma Lombroso? Non avevamo cominciato prima a parlare di lui e del suo ‘uomo delinquente’, e delle stimmate, ecc. ecc.?
Lombroso - influenzato da Darwin, primo degli evoluzionisti – nei suoi studi di antropologia criminale partiva dal presupposto che ‘l’uomo delinquente’ di quel suo libro famoso fosse in realtà tale perché - disceso dalla scimmia – era rimasto psicologicamente allo stato primordiale di bruto - e quindi non era in grado di comprendere il significato di leggi penali promulgate per individui ad uno stadio di sviluppo più avanzato.
Non entro nel merito del fatto che l’uomo delinquente sia tale perché rimasto psicologicamente allo stato primordiale di un essere disceso per procreazione dai bruti, come è caro ‘credere’ ai sacerdoti dell’evoluzionismo, ma certo Lombroso sbagliò nel ritenere che quello odierno dell’uomo sia uno sviluppo ‘psicologicamente’ più avanzato, perché l’evoluzione spirituale dell’uomo, come ho già spiegato, è purtroppo per ora discendente, a causa del peccato.
Tuttavia - pur sbagliando in questo – Lombroso colse nel segno nell’intuire che tali individui fossero come ‘vittime di un male oscuro trasmesso dagli antenati per via genetica’, anche se certe caratteristiche possono non manifestarsi, o manifestarsi solo parzialmente, per più generazioni.
Solo che se Lombroso, anziché essere evoluzionista, avesse avuto fede e avesse creduto nella Bibbia, Parola di Dio, il fenomeno non lo avrebbe attribuito ad un male oscuro ma al…Peccato originale, o meglio alle sue conseguenze che, laddove casualmente si presentano con caratteristiche più gravi, producono il ‘criminale’, cioè l’uomo delinquente.
Peccato imputabile alla Mente dell’uomo, e cioè a carattere ‘psichico’, psicologico, spirituale, ma che – per l’interazione psicosomatica di cui vi ho già parlato – finisce per lasciare, sempre per usare le parole di Lombroso, le sue ‘stimmate’ non solo nella psiche e talvolta sul volto ma anche  sul corpo e sulla salute dell’uomo, di generazione in generazione.
10.3 E il Cielo si richiuse sulla gioia di avermi, di avere la sua Regina, la cui carne, unica fra tutte le carni mortali, conosceva la glorificazione avanti la resurrezione finale e l’ultimo giudizio.
Bene, ora che sappiamo quasi tutto sull’anima, sullo spirito dell’anima, sul Progetto creativo di Dio, nonché sul…software dei computers, possiamo anche avventurarci nella lettura dei commenti valtortiani fatti direttamente da Maria SS.ma e da Gesù, che parlano dell’anima e dello spirito di Maria al momento del suo ‘transito’ verso il Cielo nonché delle parole di Dio Padre Onnipotente al momento della Incoronazione di Maria Corredentrice, Capolavoro della Creazione, Archetipo perfetto del progetto creativo di Dio.
Ritorniamo con ciò – a chiusura - al tema che ho voluto sviluppare fin dall’inizio con il titolo di questo libro: ‘La Donna più bella del mondo’, lasciando per deferente rispetto a Gesù l’ultima conclusiva parola:

651. Sul transito, sull'assunzione e sulla regalità di Maria Ss.7
18 aprile 1948.           
Dice Maria:
«Io morii?
, se si vuol chiamare morte la separazione della parte eletta dello spirito dal corpo.
No, se per morte si intende la separazione dell'anima vivificante dal corpo, la corruzione della materia non più vivificata dall'anima e, prima, la lugubrità del sepolcro e, per prima tra tutte queste cose, lo spasimo della morte.
Come morii, o meglio, come trapassai dalla Terra al Cielo, prima con la parte immortale, poscia con quella peribile?
Come era giusto per Colei che non conobbe macchia di colpa.
Quella sera, già s'era iniziato il riposo sabatico, parlavo con Giovanni. Di Gesù. Delle cose sue. L'ora vespertina era piena di pace. Il sabato aveva spento ogni rumore di opere umane.
E l'ora spegneva ogni voce d'uomo o di uccello. Soltanto gli ulivi intorno alla casa frusciavano al vento della sera, e sembrava che un volo d'angeli sfiorasse le mura della casetta solitaria.
Parlavamo di Gesù, del Padre, del Regno dei Cieli. Parlare della Carità e del Regno della Carità è accendersi del fuoco vivo, consumare i serrami della materia per liberare lo spirito ai suoi voli mistici. E se il fuoco è contenuto nei limiti che Dio mette per conservare le creature sulla Terra, al suo servizio, vivere ed ardere si può, trovando nell'ardore non consumazione ma completamento di vita.
Ma quando Dio toglie i limiti e lascia libertà al Fuoco divino di investire e attirare a Sé lo spirito senza più misura, allora lo spirito, a sua volta rispondendo senza misura            all'Amore, si stacca dalla materia e vola là dove l'Amore lo sprona ed invita. Ed è la fine dell'esilio e il ritorno alla Patria.
Quella sera, all'ardore incontenibile, alla vitalità senza misura del mio spirito, si unì un dolce languore, un misterioso senso di allontanamento della materia da quanto la circondava, come se il corpo si addormentasse, stanco, mentre l'intelletto, ancor più vivo nel suo ragionare, si inabissava nei divini splendori.
Giovanni, amoroso e prudente testimone di ogni mio atto da quando mi era divenuto figlio d'adozione, secondo il volere del mio Unigenito, dolcemente mi persuase a trovare riposo sul lettuccio e mi vegliò pregando.
L'ultimo suono che sentii sulla Terra fu il mormorio delle parole del vergine Giovanni. Mi furono come la ninna-nanna di una madre presso la cuna. E accompagnarono il mio spirito nell'ultima estasi, troppo sublime per esser detta. Me lo accompagnarono sino al Cielo.
Giovanni, unico testimone di questo mistero soave, da solo mi compose, avvolgendomi nel manto bianco, senza mutarmi veste e velo, senza lavacri e imbalsamazioni.
Lo spirito di Giovanni, come appare chiaro dalle sue parole del secondo episodio di questo ciclo che va dalla Pentecoste alla mia Assunzione, già sapeva che non mi sarei corrotta, ed istruì l'apostolo sul da farsi.
Ed egli, casto, amoroso, prudente verso i misteri di Dio e i compagni lontani, pensò di custodire il segreto e di attendere gli altri servi di Dio, perché mi vedessero ancora e, da quella vista, trarre conforto e aiuto per le pene e le fatiche della loro missione. Attese, come fosse sicuro della loro venuta.
Ma diverso era il decreto di Dio.
Buono come sempre per il Prediletto. Giusto come sempre per tutti i credenti.
Appesantì al primo le palpebre, perché il sonno gli risparmiasse lo strazio di vedersi rapire anche il mio corpo.
Donò ai credenti una verità di più che li confortasse a credere nella risurrezione della carne, nel premio di una vita eterna e beata concessa ai giusti, nelle verità più potenti e dolci del Nuovo Testamento: la mia immacolata Concezione, la mia divina Maternità verginale, nella Natura divina e umana del Figlio mio, vero Dio e vero Uomo, nato non per voler carnale ma per sponsale divino e per divino seme deposto nel mio seno; e infine perché credessero che nel Cielo è il mio Cuore di Madre degli uomini, palpitante di trepido amore per tutti, giusti e peccatori, desideroso di avervi tutti seco nella Patria beata, per l'eternità.
Quando dagli angeli fui tratta dalla casetta, già il mio spirito era tornato in me?
No. Lo spirito non doveva più ridiscendere sulla Terra.
Era, adorante, davanti al trono di Dio.
Ma quando la Terra, l'esilio, il tempo e il luogo della separazione dal mio Uno e Trino Signore furono per sempre lasciati, lo spirito mi tornò a splendere al centro dell'anima, traendo la carne dalla sua dormizione, onde è giusto dire che fui assunta in Cielo in anima e corpo, non per capacità mia propria, come avvenne per Gesù, ma per aiuto angelico.
Mi destai da quella misteriosa e mistica dormizione, sorsi, volai infine, perché ormai la mia carne aveva conseguito la perfezione dei corpi glorificati. E amai.
Amai il mio ritrovato Figlio e mio Signore, Uno e Trino, lo amai come è destino di tutti gli eterni viventi».
5 gennaio 1944.
Dice Gesù:                                
«Venuta la sua ultima ora, come un giglio stanco che, dopo aver esalato tutti i suoi profumi, si curva sotto le stelle e chiude il suo calice di candore, Maria, mia Madre, si raccolse sul suo giaciglio e chiuse gli occhi a tutto quanto la circondava per raccogliersi in un'ultima serena contemplazione di Dio.
Curvo sul suo riposo, l'angelo di Maria attendeva trepido che l'urgere dell'estasi separasse quello spirito dalla carne, per il tempo segnato dal decreto di Dio, e lo separasse per sempre dalla Terra, mentre già dai Cieli scendeva il dolce e invitante comando di Dio.
Curvo, a sua volta, su quel misterioso riposo, Giovanni, angelo terreno, vegliava a sua volta la Madre che stava per lasciarlo. E quando la vide spenta vegliò ancora, perché inviolata da sguardi profani e curiosi rimanesse, anche oltre la morte, l'immacolata Sposa e Madre di Dio, che dormiva così placida e bella.
Una tradizione dice che nell'urna di Maria, riaperta da Tommaso, vi furono trovati solo dei fiori. Pura leggenda. Nessun sepolcro inghiottì la salma di Maria, perché non vi fu mai una salma di Maria, secondo il senso umano, dato che Maria non morì come muore chiunque ebbe vita.
Ella si era soltanto, per decreto divino, separata dallo spirito, e con lo stesso, che l'aveva preceduta, si ricongiunse la sua carne santissima.
Invertendo le leggi abituali, per le quali l'estasi finisce quando cessa il rapimento, ossia quando lo spirito torna allo stato normale, fu il corpo di Maria che tornò a riunirsi allo spirito, dopo la lunga sosta sul letto funebre.
Tutto è possibile a Dio.
Io sono uscito dal Sepolcro senz'altro aiuto che il mio potere.
Maria venne a Me, a Dio, al Cielo, senza conoscere il sepolcro col suo orrore di putredine e di lugubrità.
È uno dei più fulgidi miracoli di Dio. Non unico, in verità, se si ricordano Enoc ed Elia, che, perché cari al Signore, furono rapiti alla Terra senza conoscere la morte e trasportati altrove, in un luogo noto a Dio solo e ai celesti abitanti dei Cieli.
Giusti erano, ma sempre un nulla rispetto a mia Madre, inferiore, in santità, solo a Dio.
Per questo non ci sono reliquie del corpo e del sepolcro di Maria. Perché Maria non ebbe sepolcro, e il suo corpo fu assunto in Cielo».

8 e 15 luglio 1944.
Dice Maria:
«Un'estasi fu il concepimento del Figlio mio. Una più grande estasi il darlo alla luce. L'estasi delle estasi il mio transito dalla Terra al Cielo.
Soltanto durante la Passione nessuna estasi rese sopportabile l'atroce mio soffrire.
La casa, da dove fui assunta al Cielo, era una delle innumerevoli generosità di Lazzaro per Gesù e la Madre sua. La piccola casa del Getsemani, presso il luogo della sua Ascensione.
Inutile cercarne i resti. Nella distruzione di Gerusalemme ad opera dei romani fu devastata e le sue rovine furono disperse nel corso dei secoli».
18 dicembre 1943.
Dice Maria:
«Come mi fu estasi la nascita del Figlio e, dal rapimento in Dio, che mi prese in quell'ora, tornai presente a me stessa e alla Terra col mio Bambino fra le braccia, così la mia impropriamente detta "morte" fu un rapimento in Dio.
Fidando nella promessa avuta nello splendore del mattino di Pentecoste, io pensavo che l'avvicinarsi del momento della venuta ultima dell'Amore, per rapirmi con Sé, dovesse manifestarsi con un aumento del fuoco d'amore che sempre m'ardeva.
Né feci errore.
Da parte mia, più la vita passava, più aumentava in me il desiderio di fondermi all'eterna Carità.
Mi spronava a ciò il desiderio di riunirmi al Figlio mio e la certezza che mai avrei fatto tanto per gli uomini come quando fossi stata, orante e operante per essi, ai piedi del trono di Dio. E con moto sempre più acceso e accelerato, con tutte le forze dell'anima mia, gridavo al Cielo: "Vieni, Signore Gesù! Vieni, eterno Amore!".
L'Eucarestia, che era per me come una rugiada per un fiore assetato, era, sì, vita, ma più il tempo passava e più diveniva insufficiente a soddisfare l'incontenibile ansia del mio cuore. Non mi bastava più ricevere in me la mia divina Creatura e portarla nel mio interno nelle sacre Specie, come l'avevo portata nella mia carne verginale.
Tutta me stessa voleva il Dio uno e trino, ma non sotto i veli scelti dal mio Gesù per nascondere l'ineffabile mistero della Fede, ma quale era, è e sarà nel centro del Cielo.
Lo stesso mio Figlio, nei suoi trasporti eucaristici, mi ardeva con abbracci di desiderio infinito, e ogni volta che a me veniva, con la potenza del suo amore, quasi svelleva l'anima mia nel primo impeto, poi rimaneva, con tenerezza infinita, chiamandomi “Mamma!” ed io lo sentivo ansioso di avermi con Sé.
Non desideravo più altro. Neppure il desiderio di tutelare la nascente Chiesa era più in me, negli ultimi tempi del mio vivere mortale.
Tutto era annullato nel desiderio di possedere Dio, per la persuasione che avevo di tutto potere quando lo si possiede.
Giungete, o cristiani, a questo totale amore. Tutto quanto è terreno perda valore. Mirate solo Dio. Quando sarete ricchi di questa povertà di desiderio, che è immisurabile ricchezza, Dio si chinerà sul vostro spirito per istruirlo prima, per prenderlo poi, e voi ascenderete con esso al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo, per conoscerli ed amarli per la beata eternità e per possedere le loro ricchezze di grazie per i fratelli.
Non si è mai tanto attivi per i fratelli come quando non si è più tra di essi, ma si è luci ricongiunte alla divina Luce.
L'avvicinarsi dell'Amore eterno ebbe il segno che pensavo.
Tutto perse luce e colore, voce e presenza sotto il fulgore e la Voce che, scendendo dai Cieli, aperti al mio sguardo spirituale, si abbassavano su me per cogliere l'anima mia.
Suol dirsi che io avrei giubilato d'essere assistita, in quell'ora, dal Figlio mio.
Ma il mio dolce Gesù era ben presente col Padre quando l'Amore, ossia lo Spirito Santo, terza Persona della Trinità eterna, mi dette il suo terzo bacio nella mia vita, quel bacio così potentemente divino che in esso l'anima mia si esalò, perdendosi nella contemplazione come goccia di rugiada aspirata dal sole nel calice di un giglio.
Ed io ascesi col mio spirito osannante ai piedi dei Tre che avevo sempre adorato.
Poi, al giusto momento, come perla in castone di fuoco, aiutata prima, seguita poi dalla teoria degli spiriti angelici venuti ad assistermi nel mio eterno celeste natale, attesa già prima delle soglie dei Cieli dal mio Gesù, e sulle soglie di essi dal mio giusto sposo terreno, dai Re e Patriarchi della mia stirpe, dai primi santi e martiri, entrai Regina, dopo tanto dolore e tanta umiltà di povera ancella di Dio, nel regno del gaudio senza limite.
E il Cielo si rinchiuse sulla gioia di avermi, di avere la sua Regina, la cui carne, unica tra tutte le carni mortali, conosceva la glorificazione avanti la risurrezione finale e l'ultimo giudizio».
Dicembre 1943.
Dice Maria:
«La mia umiltà non poteva farmi permettere di pensare che tanta gloria mi fosse riserbata in Cielo. Nel mio pensiero era la  quasi certezza che la mia umana carne, fatta santa dall'aver portato Dio, non avrebbe conosciuto la corruzione, poiché Dio è Vita e, quando di Sé stesso satura ed empie una creatura, questa sua azione è come aroma preservatore da corruzione di morte.
Io non soltanto ero rimasta immacolata, non solo ero stata unita a Dio con un casto e fecondo abbraccio, ma m'ero saturata, sin nelle mie più profonde latebre, delle emanazioni della Divinità nascosta nel mio seno e intenta a velarsi di carni mortali.
Ma che la bontà dell'Eterno avesse riserbato alla sua ancella il gaudio di risentire sulle sue membra il tocco della mano del Figlio mio, il suo abbraccio, il suo bacio, e di riudire con le mie orecchie la sua voce, di vedere col mio occhio il suo volto, questo non potevo pensare che mi venisse concesso, né lo desideravo.
Mi sarebbe bastato che queste beatitudini venissero concesse al mio spirito, e di ciò sarebbe stato già pieno di felicità beata il mio io.
Ma, a testimonianza del suo primo pensiero creativo a riguardo dell'uomo, da Lui, Creatore, destinato a vivere, trapassando senza morte dal Paradiso terrestre a quello celeste, nel Regno eterno, Dio volle me, Immacolata, in Cielo in anima e corpo. Subito che fosse cessata la mia vita terrena.8
Io sono la testimonianza certa di ciò che Dio aveva pensato e voluto per l'uomo: una vita innocente e ignara di colpe, un placido passaggio da questa vita alla Vita eterna, per cui, come uno che passa la soglia di una casa per entrare in un reggia, l'uomo, col suo essere completo, fatto di corpo materiale e di anima spirituale, sarebbe passato dalla Terra al Paradiso, aumentando la perfezione del suo io, a lui data da Dio, con la perfezione completa, e della carne e dello spirito, che era, nel pensiero divino, destinata ad ogni creatura che fosse rimasta fedele a Dio e alla Grazia.
Perfezione che sarebbe stata raggiunta nella luce piena che è nei Cieli, e li empie, venendo da Dio, Sole eterno che li illumina.
Davanti ai Patriarchi, Profeti e Santi, davanti agli Angeli e ai Martiri, Dio pose Me, assunta in anima e corpo alla gloria del Cielo, e disse:
Ecco l'opera perfetta del Creatore.
Ecco ciò che Io creai a mia più vera immagine e somiglianza fra tutti i figli dell'uomo, frutto di un capolavoro divino e creativo, meraviglia dell'universo, che vede chiuso in un solo essere il divino nello spirito eterno come Dio e come Lui spirituale, intelligente, libero, santo, e la creatura materiale nella più innocente e santa delle carni, alla quale ogni altro vivente, nei tre regni del creato, è costretto ad inchinarsi.
Ecco la testimonianza del mio amore per l'uomo, per il quale volli un organismo perfetto e una beata sorte di eterna vita nel mio Regno.
Ecco la testimonianza del mio perdono all'uomo al quale, per la volontà di un Trino Amore, ho concesso riabilitazione e ricreazione agli occhi miei.
Questa è la mistica pietra di paragone, questa è l'anello di congiunzione tra l'uomo e Dio, questa è Colei che riporta i tempi ai giorni primi e dà ai miei occhi divini la gioia di contemplare un'Eva quale Io la creai, ed ora fatta ancor più bella e santa, perché Madre del mio Verbo e perché Martire del più gran perdono.
Per il suo Cuore immacolato che non conobbe mai macchia alcuna, neanche la più lieve, Io apro i tesori del Cielo, e per il suo Capo che mai conobbe superbia, del mio fulgore faccio un serto e l'incorono, poiché mi è santissima, perché sia vostra Regina .
Nel Cielo non vi sono lacrime. Ma in luogo del gioioso pianto, che avrebbero avuto gli spiriti se ad essi fosse concesso il pianto - umore che stilla spremuto da un'emozione - vi fu, dopo queste divine parole, uno sfavillare di luci, un trascolorare di splendori in più vividi splendori, un ardere di incendi caritativi in un più ardente fuoco, un insuperabile ed indescrivibile suonare di celesti armonie, alle quali si unì la voce del Figlio mio, in laude a Dio Padre e alla sua Ancella in eterno beata».
1 maggio 1946.
Dice Gesù:
«Vi è differenza tra la separazione dell'anima dal corpo per morte vera, e momentanea separazione dello spirito dal corpo e dall'anima vivificante per estasi o rapimento contemplativo.
Mentre il distacco dell'anima dal corpo provoca la vera morte, la contemplazione estatica, ossia la temporanea evasione dello spirito fuor dalle barriere dei sensi e della materia, non provoca la morte.
E questo perché l'anima non si distacca e separa totalmente dal corpo, ma lo fa solo con la sua parte migliore, che si immerge nei fuochi della contemplazione.
Tutti gli uomini, finché sono in vita, hanno in sé l'anima, morta o viva che sia, per peccato o per giustizia; ma soltanto i grandi amanti di Dio raggiungono la contemplazione vera.
Questo sta a dimostrare che l'anima, conservante l'esistenza sinché è unita al corpo - e questa particolarità è in tutti gli uomini uguale - ha in se stessa una parte più eletta: l'anima dell'anima, o spirito dello spirito, che nei giusti sono fortissimi, mentre in coloro che disamano Dio e la sua Legge, anche solo con la loro tiepidezza e i peccati veniali, si fanno deboli, privando la creatura della capacità di contemplare e conoscere, per quanto lo può fare un'umana creatura, a seconda del grado di perfezione raggiunta, Dio ed i suoi eterni veri.
Più la creatura ama e serve Dio con tutte le sue forze e possibilità, e più la parte più eletta del suo spirito aumenta la sua capacità di conoscere, di contemplare, di penetrare le eterne verità.
L'uomo, dotato d’anima razionale, è una capacità che Dio empie di Sé.
Maria, essendo la più santa d'ogni creatura dopo il Cristo, fu una capacità colma - sino a traboccare sui fratelli in Cristo di tutti i secoli, e per i secoli dei secoli - di Dio, delle sue grazie, carità e misericordie.
Trapassò sommersa dalle onde dell'amore.
Ora, nel Cielo, fatta oceano d'amore, trabocca sui figli a Lei fedeli, e anche sui figli prodighi, le sue onde di carità per la salvezza universale, Lei che è Madre universale di tutti gli uomini».


1  G.L.: ‘I Vangeli di Matteo…’ – Vol. II, Cap. 4.5 – Ed. Segno, 2002
2  M.V.: ‘Lezioni sull’epistola di Paolo ai romani’ (Cap. 7, v.1-13) – Dettato del 28.2, pag.113 –
 Centro Ed. Valrtortiano
3  G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 50 – Ed. Segno, 1997
4  G.L.: ‘Alla ricerca del Paradiso perduto’ – Cap. 18 – Ed. Segno, 1997
5  G.L.: “I Vangeli di Matteo….’ – Vol. II, Cap. 5.7  Ed. Segno, 2002
6  p. Enrico Zoffoli: ‘Dizionario del Cristianesimo’ – Ed. Sinopsis, Iniziative culturali
7  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. X, Cap. 651 – Centro Edit. Valtortiano
8  Nota:
Sul tema della risurrezione dei corpi al Giudizio universale con l’ingresso in Paradiso delle anime di  
tutti i ‘giusti’ della terra con il loro corpo ‘glorificato’,  vedi, dell’autore:
- “Il Vangelo del grande Giovanni e del ‘piccolo’ Giovanni’ – Vol. III, Cap. 15: ‘Il Paradiso è un luogo o uno stato? Alla scoperta del Paradiso perduto’ – Ed. Segno , 2000 – Vedi anche suo sito Internet www.ilcatecumeno.net
- “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. III, Capp. 1 e 2 - Ed. Segno, 2003
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