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12. IL SETTIMO DISCORSO DELLA MONTAGNA NELLA SOSTA DEL SABATO: AMARE LA VOLONTA’ DI DIO (03 di 3)

12.1 Azaria: «Chi obbedisce al volere di Dio fa il bene per quanto le sue capacità comportano, e Dio è contento di quel tanto. Quel Dio che con una parola ha creati i cieli… non potrà forse, delle informi e imperfette vostre azioni, fatte con buon volere, compiere opere perfette? Dio completa e rende perfetto l’eroico buon volere dei figli…, Egli prende ciò che i suoi piccoli fanno e lo rende simile a cosa fatta da un dio, completandolo con la sua bontà».

Nella precedente seconda parte della nostra riflessione sul settimo discorso della montagna, abbiamo chiarito – in aggiunta a quanto già appreso nella prima parte – altri numerosi aspetti sull’importanza di amare la Volontà di Dio.
Citiamone solo alcuni, sempre per riprendere il ‘filo’ delle nostre riflessioni.
L’ubbidienza alla volontà di Dio può essere fatta non solo su grandi cose (basti al riguardo pensare ad esempio alla ubbidienza di Abramo che era disposto a sacrificare la vita del suo unico figlio Isacco), ma anche nelle piccole cose che ci vengono continuamente ‘presentate’ nella normalità della vita quotidiana, purché accettate senza ‘brontolare’.
Peraltro l’ubbidienza pronta, direi quasi ‘gioconda’, al Disegno di Dio è segno di formazione spirituale del nostro ‘cuore’.
Dio vede tutto in anticipo e – accettando noi la sua volontà – ci potremo in seguito rendere conto che quella tal cosa del passato alla quale non avremmo in cuor nostro voluto obbedire, ma che Dio ci aveva fatto in qualche modo capire essere una Sua Volontà magari ‘forzandoci’ a seguirla per il nostro bene, si è in seguito rivelata… provvidenziale.
L’obbedienza alla volontà di Dio può essere anche una Prova che Dio ci pone davanti per ‘saggiare’ – come fa l’orafo con l’oro – la nostra reale volontà.
Fu una Prova anche quella posta di fronte a Lucifero, una prova di obbedienza e quindi di amore: accettare cioè (come hanno anche detto gli antichi ed ispirati Padri della Chiesa) il Progetto creativo di Dio sull’uomo ed adorare un giorno il Verbo ritornato in Cielo incarnato in un essere umano.
Fu una Prova anche quella posta dinanzi ai due Progenitori che tuttavia disobbedirono volendo cogliere il frutto dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male per poter essere uguali a Dio in potenza: peccato di superbia e prevaricazione!
Le conseguenze di queste due prove fallite furono grandi.
Gli angeli ribelli precipitarono all’Inferno, quelli fedeli a Dio che accettarono la sua Volontà furono confermati nella Grazia e si salvarono per l’eternità.
I due Progenitori - già originariamente dotati di salute e intelligenza perfetta, ammaestrati inoltre dalla Divina Sapienza perché potessero essere re della Terra e con il proprio spirito in grazia ‘colloquiare con Dio nei momenti di pace spirituale’, destinati a essere in seguito assunti nel Paradiso celeste in anima e corpo, come Maria SS. - persero questa opportunità per sé e per i loro discendenti.
Furono condannati a subire le conseguenze del Peccato vivendo in terra, soggetti a lavoro, malattie, dolori e morte.
Abbiamo infine appreso dall’Angelo Custode Azaria, in quella sua precedente bellissima lezione, che l’Ubbidienza - somma Virtù che pur non fa parte delle sette virtù teologali ma che è presente in tutte - è uno dei cardini dell’Increato e del Creato.
Il Verbo incarnato – Increato - ubbidì infatti in tutto e per tutto alla Volontà di Dio Padre in merito alla sua futura incarnazione in un uomo ed alla sua susseguente crocifissione.
Il Creato (la Terra con la sua natura minerale, vegetale e animale, i pianeti, gli astri, etc.) ubbidisce da sempre alle leggi di comportamento e conduzione fissate da Dio per il bene dell’uomo.
Concludendo, già ora credo che potremmo dire che – grazie agli insegnamenti dell’Opera valtortiana e alla meditazione su cosa significhi fare la Volontà di Dio – ne potremmo sapere ormai sull’argomento quasi come… San Tomaso d’Aquino.
Vi sarete comunque certamente accorti che nel mio metodo illustrativo delle tematiche principali del Discorso della montagna, sono solito ‘completare’ gli argomenti specifici trattati da Gesù con altri brani: o Suoi, o dello Spirito Santo o dell’Angelo Custode Azaria, brani nei quali si tocca lo stesso argomento considerato però da altre ‘angolazioni’.
Inoltre, pur rimanendo nell'ambito del ‘tema’ oggetto del Discorso della montagna, cerco di arricchire e rendere possibilmente più interessante e varia la trattazione chiarendo via-via anche altri aspetti non strettamente connessi all’argomento specifico del Discorso ma che meritano a mio avviso la vostra attenzione ai fini di una miglior comprensione del Progetto creativo di Dio.
Ad esempio – nel precedente discorso di Azaria1 in merito all’ubbidienza alla Divina Volontà dell’Increato e del Creato – vi sono alcuni suoi ‘passaggi’ sui quali vorrei ancora richiamare la vostra attenzione.
In primo luogo sono interessanti i suoi chiarimenti sull’ubbidienza alla Divina Volontà del Creato.
La lezione di Azaria, a ben meditarla ed analizzarla in profondità, non faceva altro che confermare il racconto della Genesi biblica che sul Creato dice (Gn 1, 1-31):
1In principio Dio creò il cielo e la terra. 2La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
3Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. 4Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. 5Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno primo.
6Dio disse: «Sia un firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque». 7Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento. E così avvenne. 8Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno.
9Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un unico luogo e appaia l'asciutto». E così avvenne. 10Dio chiamò l'asciutto terra, mentre chiamò la massa delle acque mare. Dio vide che era cosa buona. 11Dio disse: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che fanno sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la propria specie». E così avvenne. 12E la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie, e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona. 13E fu sera e fu mattina: terzo giorno.
14Dio disse: «Ci siano fonti di luce nel firmamento del cielo, per separare il giorno dalla notte; siano segni per le feste, per i giorni e per gli anni 15e siano fonti di luce nel firmamento del cielo per illuminare la terra». E così avvenne. 16E Dio fece le due fonti di luce grandi: la fonte di luce maggiore per governare il giorno e la fonte di luce minore per governare la notte, e le stelle. 17Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra 18e per governare il giorno e la notte e per separare la luce dalle tenebre. Dio vide che era cosa buona. 19E fu sera e fu mattina: quarto giorno.
20Dio disse: «Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo». 21Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati, secondo la loro specie. Dio vide che era cosa buona. 22Dio li benedisse: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra». 23E fu sera e fu mattina: quinto giorno.
24Dio disse: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e animali selvatici, secondo la loro specie». E così avvenne. 25Dio fece gli animali selvatici, secondo la loro specie, il bestiame, secondo la propria specie, e tutti i rettili del suolo, secondo la loro specie. Dio vide che era cosa buona.
26Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».
27E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò.
28Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra».
29Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo. 30A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde». E così avvenne. 31Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno.
In questa situazione noi vediamo che il Creato ‘ubbidisce’, cioè esegue fedelmente quelli che sono i comandi di Dio.
‘L’ubbidienza – evidentemente - non significa in questo caso un adeguamento cosciente alla Volontà di Dio, perché la materia non ha coscienza né volontà, ma il concetto di ubbidienza rende l’idea che la materia creata realizzi in sé quello che è il comando espresso dalla volontà di Dio nell’imprimerle una serie di leggi fisiche e matematiche che le danno ordine, sono immutabili nel tempo e la predispongono allo scopo finale che Dio si è prefisso.
Ora appare dal testo della Genesi che quantunque le fasi specifiche della creazione siano suddivise in sei ‘giorni’ (ma io direi in sei fasi, posto che il termine tradotto in ‘giorni’ nell’antica lingua ebraica aveva anche il significato generico di ‘periodi di tempo’) la Terra risulta essere stata creata per prima, cioè prima ancora di subire la sua trasformazione in sei fasi per renderla atta ad ospitare e permettere la sopravvivenza futura dell’uomo.
Ora, la spiegazione di Azaria che vi avevo trascritto in precedenza rispettava – a ben vedere - questa sequenza, anche se raccontata in modo poetico. Dunque ve la ripeto affinché ne possiate confrontare il testo con quello della Genesi biblica:
(…)
Nel Creato.
Gli elementi, che erano confusi nel caos, ubbidirono ordinandosi.
Ricordati qui le parole della Genesi, per non dire che il portavoce sente malamente: "Dio creò il cielo e la terra, e la terra era informe e vuota, e le tenebre coprivano la faccia dell'abisso, e lo Spirito di Dio si librava sulle acque e Dio disse: "Sia fatta la Luce"2.
Aria, acqua, fuoco, luce, erano dunque fatti, ma non erano separati e ordinati.
Dio comandò loro di separarsi e di ordinarsi, secondo la legge che Egli dava loro, ed essi ubbidirono, e ubbidiscono da migliaia di anni, facendo il giorno e la notte, i mari e le terre, e lavorando, il fuoco, nelle vene del globo, a preparare i minerali dei quali l'uomo necessita.
Ubbidienza nel Creato: Dio, dopo aver fatto il cielo, ossia gli strati dell'atmosfera, li sparse d'astri comandando loro di seguire una certa via immutabile, e gli astri ubbidirono.
Dio, dopo aver fatto la Terra, ossia dopo aver reso compatta e ordinata la materia, prima sparsa e confusa di polvere e di acque, creò le piante e gli animali della Terra e delle acque, e comandò loro di fruttificare e moltiplicare, ed animali e piante ubbidirono.
Poi venne l'uomo, la creatura-re del creato, e Dio diede all'uomo comando di ubbidienza.
E l'ubbidienza dell'uomo avrebbe mantenuto la Terra allo stato di un Paradiso terrestre nel quale morte, fame, guerre, sventure, malattie, fatiche, sarebbero state ignorate; un giocondo soggiorno di pace e amore nell'amicizia di Dio sarebbe stata la vita dell'uomo sino al suo passaggio alla Dimora celeste, nel modo che lo fu per Maria Ss., che non morì, ma si addormì nel Signore e si svegliò sul suo Seno, bella e glorificata col suo spirito perfetto e con le sue carni senza colpa.
E Satana non volle questa gioia dell'uomo, questa gioia di poco inferiore a quella degli angeli e con, a compenso della differenza fra gli angeli e gli uomini, la gioia dei figli avuti senza concupiscenza, che è sempre dolore, e senza dolore, frutto della concupiscenza.
(…)
La Genesi – come la spiega del resto l’Angelo Azaria - non è dunque un ‘mito’.
Quella di Azaria è infatti l’unica spiegazione logica che rende a sua volta del tutto logico il racconto sulle Origini della Genesi.
In particolare si può comprendere che in un ‘prima’ senza tempo c’era il nulla e solo dopo sono stati creati – in una dimensione spazio-temporale - gli elementi primordiali atomici e molecolari, confusi fra loro in un insieme caotico ma destinati, secondo le leggi di ‘ubbidienza alla sua Volontà’ preordinate da Dio, a formare nel corso del tempo un intero universo ordinato quale noi oggi lo conosciamo.
Dopo l’iniziale ‘punto zero’ del cosiddetto Big-bang, ‘Dio-Luce’ ha dato comando d’ordine a questi elementi primordiali che si sono aggregati fra di loro grazie a precise ‘leggi’ dando così origine alla ‘materia’.
E’ la fase in cui la Luce - sinonimo del Verbo divino che è ‘Luce’ e di cui la Genesi parla all’inizio del racconto della Creazione ma che non va confusa con l’attuale luce del Sole che nella Genesi appare come tale solamente nella quarta fase creativa - è già pienamente ‘operativa’.
Forse all’inizio - quando le nebulose stellari dei primordi avevano cominciato i loro processi di fusione atomica senza essere ancora giunte al massimo sviluppo delle loro ‘reazioni a catena’ - aveva già cominciato a diffondersi nel cielo una luminosità diffusa.
Dio avrebbe dunque fin dal principio ‘condensato’ ed aggregato - mediante precise leggi chimiche, forze elettromagnetiche e gravitazionali - gli elementi caotici in quella che sarebbe divenuta la ‘materia’ del ‘pianeta’ Terra, dando a quest’ultima, trasvolante muta e nuda negli spazi, già coperta di acque, la forma e la consistenza di un globo compatto, sia pur in un informe amalgama di acque frammiste a terra, purificando gradualmente l’atmosfera dai gas venefici che la componevano e che avrebbero altrimenti reso impossibile la vita futura.
Poi Dio ha posto ordine sul globo terraqueo, separando le acque dalla terra e dando così origine al mare e a quella che oggi viene chiamata ‘terraferma’.
È ormai scientificamente noto a molti che in origine la ‘terraferma’ era costituita da un’unica massa continentale, in sostanza un’isola colossale circondata da un oceano, un’isola che oggi viene chiamata dagli scienziati Pangea e che si sarebbe frammentata in seguito per qualche immane cataclisma dando origine alla deriva degli attuali continenti.3
Successivamente, già ordinata la Terra e purificata l’atmosfera dai gas venefici, Dio creò la vegetazione composta da tante specie diverse: una vegetazione che producesse frutti e semi che sarebbero stati utili alla sua riproduzione ed a nutrire in seguito i futuri animali e uomini.
Quindi Dio ‘accese’ il sole – forse già esistente come altre stelle ma non ancora del tutto ‘incandescente’ - portandolo alla giusta ’incandescenza’ con reazioni e fusioni atomiche a catena sempre più intense, in modo che potesse illuminare potentemente la Terra, dandole il calore necessario a un maggior sviluppo della vita vegetale e animale.
Inoltre creò la luna, satellite morto della Terra ma che – con luce solare riflessa – avrebbe illuminato le nostre notti esercitando un influsso benevolo sulle maree e quindi sul ricambio delle correnti marine e persino sulle semine oltre che essere utile per il calcolo del tempo grazie ai calendari lunari.
Dio aveva intanto messo ordine nel firmamento creando le costellazioni di stelle, compagne notturne della luna, atte a darci le nostre stupende notti stellate, ad indicare il trascorrere del tempo per i nostri calendari e ad insegnare, anche attraverso la stella polare, le rotte giuste ai naviganti.
Infine, create le condizioni ambientali e climatiche necessarie alla futura vita animale e vegetale, Dio creò gli animali del mare, dei fiumi, dei laghi e della terraferma, per terminare nella fase del sesto ‘giorno’ con la creazione dell’uomo.
Ecco l’ubbidienza del Creato alle Leggi fissate dalla volontà di Dio!
La Terra non sarebbe dunque stata una ‘tarda’ formazione forse espulsa dal Sole per forza centrifuga cinque miliardi di anni fa rispetto ad un universo che sarebbe ‘apparso’ dieci miliardi di anni ancor prima.
Queste sono solo ipotesi ‘fantascientifiche’ ipotizzate dagli astrofisici cultori dell’altrettanto fantascientifico ‘Big-bang’ per sostenere le teorie, solo teorie, di una scienza atea ed agnostica che non può credere che Dio abbia creato per prima la Terra e ricorre allora al ‘dio Tempo’ lungo miliardi di anni per dar tempo al Tempo – con il suo mero trascorrere - di arrivare a produrre da solo e intelligentemente tutto quanto appare oggi ai nostri occhi nella sua incredibile perfezione, questa sì… scientifica.
La Terra – per Azaria - é stata invece la prima realtà concreta creata da Dio ed il resto venne formato dopo con gradualità e secondo le varie fasi/giorni – queste sì durate ciascuna forse anche centinaia di migliaia di anni – previste nella Genesi.
Vi domanderete come mai la scienza atea voglia negare alla Terra questo ‘primato’ creativo.
Una spiegazione ebbe a fornirla con molta onestà intellettuale il celebre marchese Pierre Simon Laplace, ateo dichiarato, matematico, astronomo e fisico che, nel volerne negare la Creazione da parte di Dio, aveva affermato di non potere accettare che il globo terrestre fosse apparso per primo perché ciò avrebbe implicato un ‘Progetto’ privilegiato di un ‘Dio trascendente’ per il pianeta Terra, e quindi anche una missione speciale per il futuro uomo, un uomo che egli non poteva però credere dotato d’anima spirituale immortale e destinato – sol che lo avesse ‘voluto’ grazie al proprio buon comportamento – al Paradiso celeste.
In secondo luogo, sempre riflettendo sul precedente dettato di Azaria in merito al tema della ubbidienza alla Volontà di Dio, si apprende che una delle motivazioni che indussero Satana a provocare il Peccato originale – oltre a quella principale dell’odio verso Dio e quindi alla volontà di vendicarsi ostacolandone il suo Progetto Creativo – fu l’invidia per la felicità dell’uomo, felicità di poco inferiore a quella degli angeli, con in più – a compensazione della differenza fra angeli e uomini – la gioia per l’uomo di poter avere dei figli senza concupiscenza.
In terzo luogo, con riferimento a chi osserva con rammarico quanto poco si sappia dai Vangeli sulla infanzia di Gesù, sul lungo periodo di tempo di cui nulla si sa prima della sua predicazione pubblica, e infine sul perché della sua fragilità umana sempre soggetta a pericoli, Azaria indica tre motivazioni di fondo:
1) nell’infanzia era necessario nascondere la natura divina di Gesù per non destare anzitempo l’attenzione di Satana il quale - pur sapendo che il Verbo-Messia si sarebbe manifestato - non sapeva ‘esattamente’ quando, dove ed in quale forma;
2) era poi anche prudente, prima che fosse giunto il momento di iniziare la predicazione pubblica, non destare l’attenzione degli uomini di potere a Gerusalemme, sempre pronti ad avventarsi contro un ‘Messia’, visto erroneamente quale Re condottiero, e quindi potenziale avversario politico che li avrebbe potuti spodestare. Prudenza quest’ultima ben giustificata, sol che si pensi alla ‘strage degli innocenti’ ordinata da Erode - dopo l’arrivo a Gerusalemme dei tre Magi in occasione della nascita di Gesù - per liberarsi appunto del neonato Messia;
3) la nascita di Gesù nella fragilità e debolezza della natura umana era stata infine necessaria anche per dare una dimostrazione concreta della sua umanità a futura memoria dei successivi eretici negatori della vera Umanità di Gesù, Figlio di Dio, che tuttavia quale uomo era suscettibile di essere ucciso come poi del resto dimostrato dalla sua morte in Croce.
In quarto luogo emerge dal Dettato di Azaria come il racconto dei tre Re Magi non abbia nulla di ‘fiabesco’, come molti sostengono parendo loro impossibile che essi potessero seguire giorno per giorno nel firmamento il movimento di una stella che a mò di lenta cometa li avrebbe guidati al punto dove avrebbero trovato il Messia. Essi erano degli astrologi, scienziati di quel tempo, una sorta di astronomi che studiavano il movimento e percorso delle stelle e delle costellazioni, come in effetti facevano gli antichi assiri, babilonesi ed anche gli egizi.
Essi erano dei saggi, dei giusti, dei timorati di Dio. Essi non avevano alcun dubbio nell’attribuirGli la bellezza e grandiosità dell’Universo che essi studiavano, e Dio li ispirò indicando separatamente a ciascuno di loro il cammino di quella certa stella facendo loro ‘sentire’ dentro di sé – sempre per ispirazione divina – che seguendo quel percorso essi sarebbero giunti al luogo dove avrebbero trovato ed onorato – recando oro, incenso e mirra - quel famoso Messia predetto dai Profeti già molti secoli prima.
Troppo spesso si tende a non credere alle ispirazioni divine.
In quinto luogo – e qui ribadiamo il concetto - abbiamo una conferma di Azaria che dopo una vita estremamente lunga in Terra, Adamo ed Eva (e con essi i loro discendenti se non fosse stato commesso il Peccato originale) erano destinati dopo un certo tempo a salire in Cielo, in Paradiso, in anima e corpo, come avvenne per Maria dopo la sua ‘dormizione’, e come in anima e corpo ascenderanno alla fine del mondo, dopo la Resurrezione dei morti, tutti i ‘giusti’ che si saranno salvati.
Continuando però con Azaria, ecco ancora quanto Egli ci insegna in un’altra sua lezione in merito al misericordioso comportamento di Dio verso chi – pur imperfettoè ubbidiente alla Sua Volontà.
È il 6 ottobre del 1946, Domenica 17a dopo Pentecoste (i grassetti sono miei, le note a piè di pagina sono quasi tutte ‘editoriali’):4
Dice Azaria:
«Sempre ti tratta con misericordia, nelle grandi e piccole cose, con paterna misericordia esigendo da te solo l'ubbidienza.
Perché l'ubbidienza ha per conseguenza una vita senza macchia volontaria e un procedere secondo la legge del Signore e il suo volere.
Dio Ss. non può volere che il bene dei suoi figli, perciò chi ubbidisce al suo volere fa il bene per quanto le sue capacità comportano, e Dio è contento di quel tanto, perché è tutto quanto gli può dare la creatura.
E anche ha un altro frutto l'ubbidienza: quello di unire strettamente a Dio.
Beati quelli che possono dire ciò che disse Gesù Cristo a chi lo rimproverava: "Io ho sempre fatto e faccio ciò che l'Altissimo vuole"5.
L'ubbidienza, unendo strettamente a Dio, fondendo quasi a Dio, per l'uniformità del volere - Dio vuole il bene di una creatura, la stessa vuole il bene che Dio vuole da lei - fa sì che Dio scenda col suo amore ad abitare in chi lo ama6: l'ubbidienza è amore.
E allora, poiché il più forte sempre predomina - e qui il più forte è Dio - avviene anche che chi opera è Dio, possessore assoluto dello spirito fedele, e la creatura non fa più azioni proprie, ma azioni divine, tanto è persa e dominata dal Divino e nel Divino7, e azioni divine non possono che essere azioni sante, scevre di contagi diabolici, come prega invocando l'Orazione.
Questa unione assoluta, questa totale donazione a Dio, questo annullarsi in Dio, spogliandosi dell'io per essere assorbiti da Dio - l'io è materiale e con esso non si può entrare nel Signore che è puro Spirito - predispone a quella unione, donazione, umiltà, carità, pazienza e mansuetudine che Paolo dice essere essenziali per poter essere veri cristiani, uniti al Cristo, uniti a Dio, uniti allo Spirito, col vincolo della pace fra i fratelli, e della carità nei suoi due rami che si stendono, uno al Cielo ad abbracciare il trono di Dio, l'altro sulla Terra a carezzare il prossimo.
Allora realmente formate un sol corpo e un solo spirito, tutt'uni con il Signore, con una sola fede, un sol battesimo, un solo Padre che è su tutti e in tutto, e specialmente nelle membra del corpo di Cristo, viventi membra, nelle quali le grazie infuse realmente vivono e vivificano.
Essere battezzati, cresimati, assolti, comunicati, poco è, se sono inerti doni.
Tutto è, se il buon volere della creatura8 rende attivi i doni ricevuti attraverso i Sacramenti, e rende realtà eterna la speranza che allieta l'esilio dei vocati da Dio al grande popolo di Cristo.
Il buon volere! Quale arma potente per vincere!
Come dice, il Graduale, il Signore guarda dal Cielo e mira i suoi figli e li vede animati dal buon volere di servirlo, anche se incapaci di farlo perfettamente.
Ebbene, allora si sgomenterà Iddio di questa vostra incapacità di fare perfettamente?
Dirà forse: "Per quanto essi facciano non potranno entrare qui, nel mio Paradiso, dove entrano solo le cose perfette e le creature perfette, perché essi sono imperfetti e le loro azioni sono pure imperfette"?
Oh! no. Quel Dio che con una parola ha creati i cieli, radunando le molecole dei gas, e così ha creato gli astri e la Terra, adunando le diverse parti sparse nel cosmo per farne la massa solida che è il mondo vostro, quelle ardenti che sono gli astri, quelle liquide che sono i mari, tutte quelle cose che sono, da allora, l'Universo, non potrà forse, delle informi e imperfette vostre azioni, fatte con buon volere, compiere opere perfette?
Lasciatelo fare con fede, speranza e carità viva, ed Egli farà.
La santità è fatta del buon volere eroico dei figli di Dio e del potere di Dio che completa e rende perfetto l'eroico buon volere dei figli.
Ed è tanto bello, o uomini, che il vostro Padre, che è Dio, sia Colui che prende ciò che i suoi piccoli fanno e lo rende simile a cosa fatta da un dio, completandolo con la sua bontà.
Noi non abbiamo questo. Ed è giusto. Giusto sempre. Ma come è bello, come vi deve far pieni di gioia riconoscente, pensare che per servirlo ed aiutarlo nella Redenzione e nell'apostolato Egli si serva di uomini9 e non di angeli, e che per fare degli uomini degli dèi, suoi figli10, Egli si serva della sua potenza tutta amore!
Tutto potete, sol che viviate da figli, sul Padre vostro che è Dio Altissimo; anche parlargli così come a paterno amico, anche a chiedere di stornare la già pronta punizione sui fedifraghi che lo offendono11, anche ad ottenere il compimento dei desideri audaci che vi sorgono in cuore nell'impeto dell'amore acceso.
I desideri! I santi desideri! Sai cosa sono, Maria? Sono il desiderio stesso di Dio - ispirato da Lui nei cuori dei figli, e specie dei più amanti, e tanto più sono desideri audaci quanto più il figlio di Dio è amante di Dio; il desiderio di Dio, ispirato da Lui, raccolto dalla creatura amante e lanciato come freccia d'oro ai piedi di Dio, e lo spirito sale dietro allo strale prezioso, per chiedere le cose che all'umanità sembrano follie, le azioni dell'amore - di poter compire queste azioni a Sua gloria.
Oh! voi amanti che fate vostri i desideri di Dio per voi, siete i sublimi folli al seguito del Divino Gesù, folle per amore sino alla morte di Croce.
Voi siete i folli della sublime follia dell'amore e del sacrificio. Lanciatevi! Non temete! Il mondo ha bisogno di voi, santi folli, per ottenere misericordia ancora. E di voi hanno bisogno le anime per essere ancora salvate. Esse, le più, non sanno più farlo di salvare se stesse. Sono con le ali spezzate, strappate, bruciate. Strisciano e si avviliscono a terra. Il vostro sacrificio, la vostra follia d'amore, ridà loro ali e pupille, e risuscita il desiderio dell'alto, ed esse risorgono, cercano Dio, aprono le ali...
È la vostra sete di amore, è il vostro inesausto desiderare ciò che Dio vuole e compiere ciò che Dio desidera che le trascina al Cielo.
La carne, il mondo, il demonio sono il laccio che le trattengono. Voi ardete quel laccio pesante, mettete al loro collo l'aureo filo della carità e le trascinate con voi, in alto, in alto, al Cielo, a Dio.
Sia lode all'Amore che ispira. Sia lode all'Amore che opera. Sia lode all'Amore che salva.
Sia lode a Dio ispiratore delle azioni dei santi. Sia lode ai santi che operano con Cristo.
Sia lode all'Amore, all'Amore, all'Amore!
Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo».

12.2 Gesù: «Ho risposto… Maria, ho risposto radunando le forze, bevendo pianto e sangue che colavano dagli occhi e dai pori, ho risposto: “Non ho più madre. Non ho più vita. Non ho più divinità. Non ho più missione. Nulla ho più. Fuorché fare la Volontà del Signore mio Dio… e il Cuore si è franto nello sforzo. Il sudore è divenuto non più stille ma rivoli di sangue. Non importa. Ho vinto. Io ho vinto la Morte. Io. Non Satana. La Morte si vince accettando la morte».

Ricorderete che Gesù aveva finito il suo Discorso della Montagna già il sesto giorno, nel pomeriggio del quale Egli aveva iniziato la discesa dal Monte delle Beatitudini insieme agli apostoli ed alla folla per raggiungere i villaggi vicini prima che iniziasse il tramonto e quindi la sosta obbligatoria del sabato ebraico.
I discorsi - secondo l’originario programma - avrebbero dunque dovuto essere solo sei.
Il settimo discorso sull’amare e sul fare la Divina Volontà - discorso che abbiamo trattato in modo particolarmente ampio in questa nostra ultima lunga riflessione - non sembrava quindi rientrare nel ‘Programma’ iniziale di Gesù, come non rientrava del resto nel ‘mio’ programma il trattenervi così a lungo su questo argomento della cui importanza mi sono reso conto solo sviluppandolo.
La Provvidenza di Dio – nel caso del Discorso della montagna - aveva però diversamente disposto, credo ad insaputa dello stesso ‘Uomo-Gesù’, grazie all’incidente di percorso causato dalla apparizione di quel lebbroso che Egli aveva guarito e del ritardo che ne era conseguito.
Obbligato ormai alla sosta, il mattino dopo Gesù – dopo una notte in preghiera – aveva detto agli apostoli che una Voce venuta dai Cieli aveva chiesto preghiera per i buoni e per i malvagi, e anche per Se stesso.
Lo sguardo di Gesù – parlando – si era posato pensieroso su Giuda Iscariote ad una cui domanda sul perché di quello sguardo Egli aveva cercato di evadere la risposta dicendo genericamente che stava solo contemplando altre cose, ed in particolare tutto il bene e tutto il male che un discepolo può dare e che può anche fare per il suo Maestro.
Dovete sapere che Pietro era molto diffidente nei confronti di Giuda perché non ne apprezzava i comportamenti, non consoni a quelli di un vero discepolo.
Gli apostoli - che vivevano tutti comunitariamente nelle loro continue peregrinazioni che duravano tutto l’anno, salvo un poco rarefarsi nei più rigidi mesi invernali quando il tempo era inclemente e le strade fangose erano poco praticabili - avevano finito per intuire che Giuda era non solo un ambizioso, ma anche lussurioso e bugiardo, amico per di più della Casta del Tempio con la quale continuava saltuariamente a mantenere contatti anche di nascosto.
Ogni volta che Gesù accennava appena al fatto che qualcuno di loro lo avrebbe tradito, subito ognuno di loro si faceva preoccupato un esame di coscienza domandandosi costernato se il traditore potesse mai essere lui, poi i loro sguardi si incrociavano di sfuggita per cercare di capire chi altri di loro potesse essere, ma gli occhi sospettosi di Pietro correvano istintivamente a Giuda.
Anche in questo caso parrebbe essere stato così, perché Gesù – notando il ‘parlottare’ di Pietro con Bartolomeo e Filippo – lo invita a ‘deporre il sospetto’ chiedendo a tutti di essere buoni, volersi reciprocamente bene, non farsi sedurre da chi lo odiava, e volere soprattutto bene alla volontà di Dio.
E’ da queste ultime parole - che la ‘Provvidenza’ mette forse sulle labbra di Gesù - che Egli trae lo spunto, l’Incipit del suo ultimo discorso circa appunto la grande importanza di fare la volontà di Dio.
A quest’ultimo riguardo Gesù, in precedenza, aveva detto che il Regno del Cielo sarebbe stato di chi avrebbe fatto la volontà del Padre, non di chi avrebbe accumulato parole su parole per poi ribellarsi al volere del Padre, mentendo alle sue stesse parole.
Niente ci può allora far comprendere cosa gli sia costato ubbidire a questa Volontà di Dio se non il brano seguente che io avevo già proposto in una mia precedente serie di riflessioni sul CREDO e che riporto ancora una volta qui.
Si tratta infatti di una ‘testimonianza’ straordinaria che andrebbe meditata e rimeditata più volte profondamente, una testimonianza straordinaria anche perché del tuttopersonale’, resa dallo stesso Gesù in merito a quanto da Lui vissuto e patito nel Getsemani, sul monte degli Ulivi, di cui parla anche il Vangelo di Luca12, immediatamente prima della sua cattura e successiva condanna a morte da parte del Sinedrio (i grassetti sono miei):
L’ora del Getsemani
6 luglio 1944
Dice Gesù:13
«Vedi, anima mia, che avevo molta ragione di dire: “La conoscenza del mio tormento del Getsemani non sarebbe capita e diverrebbe scandalo”?
La gente non ammette il Demonio. Quelli che l’ammettono non ammettono che il Demonio abbia potuto vessare l’anima di Cristo sino al punto di far sudare sangue. Ma tu, che hai avuto un briciolo di questa tentazione, puoi comprendere.
Parliamo dunque insieme.
Mi hai chiesto: “Quante sono le agonie del Getsemani che mi dai?”.
Oh! tante! Non per piacere di tormentarti. Unicamente per bontà di Maestro e Sposo.
Non potrei su te, piccola sposa, abbattere tutto insieme il cumulo di desolazione che mi accasciò quella sera e che nessuno intuì, che nessuno comprese fuorché mia Madre e il mio Angelo. Ne morresti pazza. E allora ti do adesso un briciolo, domani un altro, di modo da farti gustare tutto il mio cibo e di ottenere dal tuo soffrire il massimo di compassione per il tuo dolente Sposo e di redenzione per i tuoi fratelli.
Ecco perché ti do tante ore di Getsemani. Uniscile e, come il mosaicista unendo le tessere piano piano vede formarsi il quadro completo, tu, riunendo nel tuo pensiero il ricordo delle diverse ore, vedrai l’Agonia vera del tuo Signore.
Rifletti come ti amo.
La prima volta ti ho dato soltanto la vista della mia smania fisica.
E tu, soltanto per vedermi col Volto straziato, andare e venire, alzare le braccia, torcermi le mani, piangere e abbattermi, ne hai avuta tanta pena che per poco non mi moristi.
Ti ho presentato quella tortura visibile più e più volte sinché l’hai conosciuta e l’hai potuta sopportare.
Poi, volta per volta, ti ho svelato le mie tristezze. Le mie tristezze. Di uomo.
Tutte le passioni dell’uomo si sono drizzate come serpi irritate, fischiando i loro diritti d’essere, ed Io le ho dovute strozzare una per una per essere libero di salire il mio Calvario.
Non tutte le passioni sono malvagie. Te l’ho già spiegato. Io dò a questo nome il senso filosofico, non quello che voi gli date scambiando il senso col sentimento.
E le passioni buone il tuo Gesù-Uomo le aveva come tutti gli uomini giusti. Ma anche le passioni buone possono divenire nemiche in certe ore, quando con la loro voce fanno catena, e catena di durissimo, fortissimo, annodatissimo acciaio, per impedirvi di compiere la volontà di Dio.
Amare la vita, dono di Dio, è dovere, tanto che chi si uccide è colpevole come e più di chi uccide, perché colui che uccide manca alla carità di prossimo ma può avere l’attenuante di una provocazione che lo dissenna, mentre chi si uccide manca contro sé stesso e contro Dio, che gli ha dato la vita perché egli la viva sino al suo richiamo.
Uccidersi è strapparsi di dosso il dono di Dio e gettarlo con urlo di maledizione sul Volto di Dio. Chi si uccide dispera di avere un Padre, un Amico, un Buono.
Chi si uccide nega ogni dogma di fede e ogni asserzione di fede. Chi si uccide nega Dio.
Dunque occorre aver cara la vita.
Ma come cara? Facendosi schiavi di essa? No. Amica buona la vita. Amica dell’Altra. Della Vita vera. Questa è la grande Vita. Quella è la piccola vita. Ma come un’ancella serve e procura cibo alla sua signora, così la piccola vita serve e nutre la grande Vita, la quale raggiunge l’età perfetta attraverso le cure che la piccola vita le dà.
E’ proprio questa piccola vita che vi procura la veste ornata da indossare quando divenite le Signore del Regno di Vita.
È proprio questa piccola vita che vi fortifica col pane amaro, intriso di forte aceto, delle cose di ogni giorno, e vi fa adulti e perfetti per possedere la Vita che non termina. Ecco perché occorre chiamare “cara” questa triste esistenza d’esilio e di dolore. E’ la banca in cui maturano i frutti delle ricchezze eterne.
È passabilmente buona? Lodarne il signore.
È cosparsa di pene? Dir “grazie” al Signore.
È triste oltre misura? Non dir mai: “È troppo”. Non dir mai: “Dio è cattivo”.
L’ho detto mille volte: “il male – e le tristezze che sono se non frutto del male? - il male non viene da Dio. E’ l’uomo il malvagio che fa soffrire”.
L’ho detto mille volte: “Dio sa finché potete soffrire e, se vede che è troppo ciò che il prossimo vi procura, interviene non soltanto aumentando la vostra forza di sopportazione, ma con conforti celesti; e quando è l’ora con spezzare i malvagi, perché non è lecito torturare oltre misura il prossimo migliore.
La vita è cara per le oneste soddisfazioni che procura: Dio non le biasima. Il lavoro Egli l’ha messo. Per punizione, ma anche per svago all’uomo colpevole.
Guai se aveste a vivere nell’ozio. Da secoli la Terra sarebbe un enorme manicomio di furenti che si sbranerebbero l’un coll’altro. Lo fate già, perché ancor troppo oziate.
L’onesta fatica rasserena e dà gioia e riposo sereno.
La vita è ancor più cara per gli affetti santi di cui si infiora. Dio non li biasima. Potrebbe Dio, che è Amore, biasimare un amore onesto? O gioia d’esser figli! E gioia d’esser padri! O gioia di trovare una compagna che genera figli al proprio nome e figli a Dio! O gioia di avere una dolce sorella, un buon fratello, e amici sinceri! No, che queste oneste dolcezze Dio non le biasima.
L’amore lo ha messo Lui, e non sulla Terra, come il lavoro, per punizione e svago del colpevole. Ma nel Terrestre Paradiso per base alla grande gioia di esser figli di Dio.
“Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen. 2,18) ha detto. Re del creato, l’uomo sarebbe stato in un deserto senza una compagna. Buoni gli animali tutti col loro re, ma troppo, sempre troppo inferiori al figlio di Dio. Buono, infinitamente buono Dio col suo figlio, ma sempre troppo superiore ad esso.
L’uomo avrebbe patito la solitudine di essere ugualmente distante dal divino e dall’animale. E Dio gli diede la compagna.
Non solo. Ma dal casto amore con la stessa gli avrebbe concesso i dolci figli, perché l’uomo e la donna potessero dire la parola più dolce dopo il Nome di Dio; “Figlio mio!”, e i figli potessero dire la parola più santa dopo il nome di Dio: “Mamma!”.
Mamma! Chi dice: “mamma” prega già.
Dire: “mamma” vuol dire ringraziare Dio della sua Provvidenza, che dà una madre ai figli dell’uomo e fino ai piccoli figli delle fiere e dei domestici animali o dei volanti uccelli e fin dei muti pesci, perché l’uomo non conoscesse l’orrore di crescere solo e non cadesse per mancanza di sostegno quando ancora è troppo debole per conoscere il Bene e il Male.
Dire: “mamma” vuol dire benedire Iddio che ci fa conoscere cosa sia l’amore attraverso il bacio di una madre e le parole delle sue labbra.
Dire: “mamma” vuol dire conoscere Iddio che ci dà un riflesso del suo principale attributo, la Bontà, attraverso l’indulgenza di una madre. E conoscere Iddio vuol dire sperare, credere e amare. Vuol dire salvarsi.
Avere un fratello non è come avere, per una pianta, la pianta gemella che sostiene nelle ore di burrasca, intrecciando i rami, e che nelle ore di gioia aumenta la fioritura di essa col polline del suo amore?
Per questo ho voluto che i cristiani si chiamassero l’un l’altro fratelli, perché è giusto, dato che venite tutti da un Dio e da un sangue d’uomo, e perché è santo, perché è confortevole per coloro che non hanno fratelli di carne poter dire al vicino: “Fratello, io ti amo. Amami!”.
Avere un amico sincero non è come avere un compagno nel cammino? Andare soli è troppo triste. Quando Dio elegge alla solitudine di anima vittima, allora gli si fa compagno perché soli non si può stare senza flettere.
La vita è una strada scoscesa, sassosa, spesso interrotta da crepacci e correnti vorticose.
Aspidi e spine lacerano e mordono sull’irto sentiero. Esser soli sarebbe perire. Dio ha creato l’amicizia per questo. In due cresce la forza e il coraggio. Anche un eroe ha attimi di debolezza. Se è solo dove si appoggia? Ai rovi? Dove si afferra? Agli aspidi? Dove si adagia? Nel torrente vorticoso o nell’orrido oscuro? Ovunque troverebbe nuove ferite e nuovo pericolo. Ma ecco l’amico. Il suo petto è appoggio, il suo braccio sostegno, il suo affetto riposo. E l’eroe riprende forza. Il camminatore cammina di nuovo sicuro.
Per valorizzare l’amicizia Io ho voluto chiamare “amici” i miei apostoli, e tanto ho apprezzato questo affetto che nell’ora del dolore ho voluto i tre più cari con Me nel Getsemani.
Li ho pregati di vegliare e pregare con Me, per me… e di vederli incapaci di farlo ne ho tanto sofferto da uscirne indebolito, e perciò più suscettibile alle seduzioni sataniche.
Una parola, avessi potuto scambiare una parola con degli amici desti e comprensivi del mio stato, non sarei giunto a svenarmi, prima della Tortura, nella lotta per respingere Satana.
Ma vita e affezioni non devono divenire nemiche. Mai. Se tali divengono, occorre spezzarle.
Le ho spezzate. Una per una.
Avevo già spezzato l’umano fermento di sdegno verso il Traditore. E un nervo del mio cuore s’era lacerato nello sforzo.
Ora ecco che sorgeva la paura di perdere la vita. La vita!
Avevo trentatré anni. Ero uomo in quell’ora. Ero l’Uomo. Avevo perciò l’amore vergine della vita come lo aveva Adamo nel Paradiso Terrestre. Una gioia d’esser vivo, d’esser sano, d’esser forte, bello, intelligente, amato, rispettato. Una gioia di vedere, di intendere, di poter esprimere. Una gioia di respirare l’aria pura e profumata, di udire l’arpa del vento fra gli ulivi, vedere il rio fra i sassi, e il flauto di un usignolo innamorato; di vedere splendere le stelle in cielo, tanti occhi di fuoco che guardavano Me con amore; di vedere farsi d’argento la terra per la luna così bianca e lucente che riverginizza ogni sera il mondo, e pare impossibile che sotto la sua onda di candida pace possa agire il Delitto.
E tutto questo Io dovevo perdere. Non più vedere, non più udire, non più muovermi, non più essere sano, non più essere rispettato. Divenire l’aborto marcioso che si scansa col piede torcendo il capo con disgusto, l’aborto espulso dalla società che mi condannava per essere libera di darsi ai suoi sozzi amori.
Gli amici!... Uno mi aveva tradito. E mentre Io attendevo la morte, egli si affrettava a portarmela. Vedeva di darsi gioia con la mia morte…
Gli altri dormivano. Eppure li amavo. Avrei potuto destarli, fuggire con loro, altrove, lontano, e salvare vita e amicizia. E invece dovevo tacere e restare. Restare voleva dire perdere amici e vita. Essere un reietto, voleva dire.
La Mamma! O amore della Mamma! Invocato amore curvo sul mio dolore! Respinto amore per non farti morire del mio dolore! Amore della mia Mamma!
Sì, lo so. Ogni mio singhiozzo ti giungeva, o Santa. Ogni mio chiamarti valicava lo spazio e penetrava come spirito nella chiusa stanza dove tu, come sempre, passavi la tua notte orando, e in quella notte orando non con estasi ma con tortura d’anima. E mi interdivo di chiamarti per non farti giungere il lamento del tuo Figlio, o Madre martire che iniziavi la tua Passione, solitaria come Io solitario, nella notte del Giovedì pasquale.
Il figlio che muore fra le braccia di sua madre non muore: solo si addormenta cullato dalla ninna nanna di baci, che continuano gli angeli fino al momento che la visione di Dio smemora del desiderio di sua madre.
Ma Io dovevo morire fra le braccia dei carnefici e di un patibolo, e chiudere vista e udito su schiamazzi di maledizione e gesti di minaccia.
Come ti ho amata, Madre. In quell’ora del Getsemani!
Tutto l’amore che ti avevo dato e che mi avevi dato in trentatré anni di vita erano davanti a Me e peroravano la loro causa e mi imploravano di avere pietà di essi, ricordando ogni bacio tuo, ogni tua cura, le stille di latte che mi avevi dato, il cavo tiepido delle tue mani per i miei piedini freddi d’infante povero, le canzoni della tua bocca, la leggerezza delle tue dita sui miei riccioli fitti, e il tuo sorriso e il tuo sguardo e le tue parole e i tuoi silenzi e il tuo passo di colomba che posa i piedi rosei al suolo ma tiene le ali già socchiuse al volo, e non piega stelo tanto il suo andare è leggero, poiché tu eri sulla Terra per mia gioia, o Madre, ma tu avevi l’ali sempre trepide di Cielo, o santa, santa, santa e innamorata!
Tutte le lacrime che ti ero costato, e tutte quelle che ora cadevano dal tuo ciglio e quelle che sarebbero cadute nei tre giorni avvenire, ecco che le udivo cadere come pioggia di lamento. O lacrime di mia Mamma!
Ma chi può vedere piangere e udire piangere sua mamma e non avere poi, finché vita gli dura, lo strazio presente di quel pianto?
Io ho dovuto sperdere, strozzare l’amore umano per te, Mamma, e calpestare il tuo e il mio amore per camminare sulla via della Volontà di Dio.
Ed ero Solo. Solo! Solo! Terra e Cielo non avevano più abitanti per Me. Ero l’Uomo carico dei peccati del mondo.
Odiato perciò da Dio. Dovevo pagare per redimermi ed essere di nuovo amato. Ero l’Uomo carico della Bontà del Cielo. Odiato perciò dagli uomini a cui la Bontà è ripugnante. Dovevo essere ucciso per punizione d’esser buono.
E anche voi, oneste gioie del lavoro compiuto per dare il pane quotidiano a Me stesso prima, per dare il pane spirituale poi agli uomini, mi siete venuti avanti a dirmi: “Perché ci lasci?”.
Nostalgia della quieta casa fatta santa da tante orazioni di giusti, fatta Tempio per aver accolto gli sponsali di Dio, fatta Cielo per aver ospitato fra le sue mura la Trinità chiusa nell’anima del Cristo di Dio!
Nostalgia delle folle umili e schiette alle quali davo luce e grazie, e dalle quali mi veniva amore! Voci di bambini che mi chiamavano con un sorriso, voci di madri che mi chiamavano con un singhiozzo, voci di malati che mi chiamavano con un gemito, voci di peccatori che mi chiamavano con un tremito! Tutte le udivo e mi dicevano: “Perché ci abbandoni? Non ci vuoi più accarezzare? Chi ci darà carezze, sui ricci biondi o bruni, simili alle tue”. “Non vuoi più renderci le creature estinte, guarirci le morenti? Chi avrà pietà delle madri come Tu, Figlio santo?”.
“Non vuoi più sanarci? Chi ci guarirà se Tu scompari?”.
“Non vuoi più redimerci? Non ci sei che Tu che sei Redenzione. Ogni tua parola è forza che schianta una corda di peccato nel nostro buio cuore. Noi siamo più malati dei lebbrosi, perché per loro la malattia cessa con la morte, per noi si accresce. E Tu te ne vai? Chi ci capirà? Chi sarà giusto e pietoso? Chi ci rialzerà? Resta, Signore!”.
“Resta! Resta! Rimani!” urlava la folla buona.
“Figlio!”, urlava mia Madre.
“Salvati!”, urlava la vita.
Ho dovuto spezzare queste gole che urlavano, strozzarle per non farle più urlare, per aver forza di spezzarmi il cuore, strappando uno per uno i suoi nervi per compiere la Volontà di Dio.
Ed ero solo.
Cioè: ero con Satana.
La prima parte dell’orazione era stata penosa, ma ancora potevo sentire lo sguardo di Dio e sperare nell’amore degli amici.
La seconda fu più penosa perché Dio si ritirava e gli amici dormivano.
Riconfermavano il sibilo di Satana e la voce della vita: “Ti sacrifichi per nulla. Gli uomini non ti ameranno per il tuo sacrificio. Gli uomini non comprendono”.
La terza… la terza fu la demenza, fu la disperazione, fu l’agonia, fu la morte. La morte dell’anima mia. Non è risorto soltanto il corpo mio. Anche la mia anima ha dovuto risorgere. Poiché conobbe la Morte.
Non vi paia eresia. Cosa è la morte dello spirito? La separazione eterna da Dio. Ebbene Io ero separato da Dio. Il mio spirito era morto.
È la vera ora di eternità che Io concedo ai miei prediletti. Quella che tu, piccola sposa, ti sei chiesta che fosse da quando ti hanno detto che tu hai sorte simile a Veronica Giuliani, che al termine dell’esistenza conobbe questo strazio superiore a tutti gli strazi sovrumani.
Noi conosciamo la morte dello spirito, senza averla meritata, per comprendere l’orrore della dannazione che è il tormento dei peccatori impenitenti.
La conosciamo per ottenere di salvarli. Lo so. Il cuore si spezza. Lo so. La ragione vacilla. So tutto, anima diletta. L’ho provato prima di te. E’ l’orrore infernale. Siamo in balia del Demonio perché siamo separati da Dio.
Credi tu che Marta, che vinse il dragone, abbia tremato più di noi? No. La sofferenza è più grande in noi. La belva vinta da Marta era una spaventosa belva, ma sempre una belva della Terra. 14
Noi vinciamo la belva-Lucifero. Oh, non c’è confronto! E la Belva-Lucifero viene sempre più vicino quanto più tutto, in Cielo e in Terra, da noi si allontana.
Ero già stato tentato nel deserto. Una fola di tentazione poiché allora avevo solo la debolezza del cibo materiale. Ora ero affamato di cibo spirituale e affamato di cibo morale, e non c’era pane per il mio spirito e pane per il mio cuore. Non più Dio per lo spirito mio. Non più affetti per il cuore mio.
Ecco, allora, esile come lama di vento, penetrante come pungiglione d’ape, irritante come veleno di colubro, la voce di Lucifero. Un flauto che suona in sordina, così piano, così piano che non desta la nostra vigile attenzione. Penetra con la seduzione della sua magica armonia, ci fa sonnecchiare, sembra un conforto, ha aspetto di conforto soprannaturale.
Oh! Ingannatore eterno, come sei sottile! L’io non chiede che di essere aiutato. E pare che quel suono aiuti. Parole di compassione e di comprensione, dolci come carezze su una fonte febbrile, calmanti come unguento su una bruciatura, stordenti come vino generoso versato a chi è a digiuno. L’anima stanca si addormenta.
Se non fosse più che vigile col suo subcosciente, il quale è vigile soltanto in coloro che nutrono sé stessi di costante unione coll’Amore, finirebbe col cadere in un letargo che la darebbe in balìa totale di Satana, in un ipnotico sonno durante il quale Lucifero le farebbe compiere qualsiasi azione. Ma l’anima che ha nutrito sé stessa costantemente di Amore non perde l’integrità del suo subcosciente, neppure nelle ore che uomini e Dio pare si uniscano per fare di lei una demente. E il subcosciente sveglia l’anima. Le grida: “Agisci. Sorgi. Satana ti è alle spalle”.
La lotta tremenda ha inizio. Il veleno è già in noi. Occorre perciò lottare coi suoi effetti e contro le ondate accelerate, sempre più veementi e accelerate, del nuovo veleno della parola satanica che si versa su noi.
Il frastuono cresce. Non è più suono di flauto in sordina, non è più carezza e unguento.
E’ clangore di strumenti pieni, è percossa, è ferita di gladio, è fiamma che soffoca ed arde. E nella fiamma ecco la vita che passa davanti allo sguardo spirituale. Già c’era passata col suo rassegnato aspetto di cosa sacrificata. Ora torna con veste di prepotente regina e dice: “Adorami! Io son che regno! Questi son i miei doni. I doni che ti ho dato e più belli ti darò se tu mi sarai fedele”.
E nel suono degli strumenti tornano le voci delle cose e delle persone. Non pregano più.
Comandano, imprecano, insultano, maledicono, perché le abbandoniamo. Tutto torna per tormentarci. Tutto. E l’anima sbalordita lotta sempre più debolmente.
Quando vacilla come guerriero svenato e cerca un appoggio in Cielo o in Terra per non procombere, ecco che Lucifero le dà la sua spalla. Non c’è che lui… Si chiama al soccorso… Non risponde che lui… Si cerca uno sguardo di pietà… Non si trova che il suo…
Guai a illudersi della sua sincerità! Col resto di energia che sopravvive bisogna scostarsi da quell’appoggio, rientrare nella solitudine, chiudere gli occhi e contemplare l’orrore del nostro destino piuttosto che il suo subdolo aspetto, alzare le mani che tremano e stringerle sulle orecchie per fare ostacolo alla voce che inganna.
Cade ogni arma nel fare così. Non si è più che una povera cosa morente e sola. Non si riesce neppure a pregare con la parola, perché l’acre del fiato di Satana ci strozza le fauci.
Solo il subcosciente prega. Prega. Prega. 15
Come il batter confuso di farfalla trafitta esso agita le sue ali nell’agonia, ed ogni colpo d’ali dice: “Credo, spero, amo”. Credo ugualmente, spero ugualmente, ti amo ugualmente!”.
Non dice: “Dio”. Non osa più pronunciare il suo Nome. Si sente troppo insozzato dalla presenza di Satana. Ma quel Nome lo tracciano le lacrime di sangue del cuore sulle ali angeliche dello spirito, che voi chiamate subcosciente mentre in realtà è il supercosciente, e ad ogni colpo d’ala quel Nome sfavilla come rubino percosso dal sole, e Dio lo vede, e le lacrime di pietà di Dio circondano di perle il rubino del vostro sangue che goccia in pianto eroico…
Oh! Anime che salite a Dio con quel Nome scritto così in rubini e perle!... Fiori del mio Paradiso!
Satana mi diceva, poiché la voce entrava nonostante ogni mio riparo: “Tu vedi. Ancora non sei morto e già sei abbandonato. Tu vedi. Hai beneficato e sei odiato. Tu vedi. Lo stesso Dio non ti soccorre. Se non ti ama Dio, di cui sei Figlio, puoi mai sperare ti siano grati gli uomini del tuo sacrificio?
Sai cosa occorre per loro? La Vendetta, non l’Amore come Tu credi.
Vendicati, o Cristo, di tutti questi stolti, di tutti questi crudeli.
Vendicati. Colpisci con un miracolo che li fulmini.
Appari quale sei: Dio. Il Dio terribile del Sinai. Il Dio terribile che mi ha fulminato e che ha cacciato Adamo dal Paradiso.
Fino ad ora hai detto parole di bontà. I tuoi rari rimproveri erano sempre troppo dolci per queste belve dalla pelle spessa più del cuoio dell’ippopotamo. Il tuo sguardo medicava le tue parole. Non sai che amare. Odia. E regnerai. L’odio tiene curve le schiene sotto la sua sferza e passa trionfante su queste schiene servili. Le schiaccia. E sono felici d’esserlo.
Non sono che dei sadici, e la tortura è l’unica carezza che apprezzano e che ricordano.
È tardi? No, che non è tardi.
Già gli armati vengono a questa volta? Non importa.
Lo so che Tu ti appresti ad esser mite. Sei in errore. Una volta ti avevo insegnato a trionfare nella vita. Non hai voluto ascoltarmi e Tu vedi che sei un vinto.16 Ora ascoltami. Ora che ti insegno a trionfare dalla Morte.
Sii Re e Dio. Non hai armi? Non milizie? Non ricchezze?
Te l’ho detto già una volta che un resto di amore, quel poco che può essermi rimasto dal tesoro d’amore che era la mia vita angelica, è in me per Te che sei buono. Ti amo, mio Signore, e ti voglio servire.
Sei il Redentore degli uomini. Perché non vuoi esserlo del tuo angelo decaduto?
Ero il tuo prediletto perché il più luminoso e Tu sei la Luce. Ora sono la Tenebra. Ma le lacrime del mio tormento hanno empito l’Inferno di liquido fuoco tanto sono numerose.
Lascia che io mi redima. Un poco soltanto. Che da demone divenga uomo. L’uomo è sempre tanto inferiore agli angeli. Ma quanto superiore a me, demonio!
Fa’ che io divenga uomo. Dammi una vita d’uomo tribolata, torturata, angosciosa quanto ti pare. Sarà sempre un Paradiso rispetto al mio tormento demonico. E potrò viverla in modo da espiare per dei millenni e giungere infine di nuovo alla Luce; a Te.
Lascia che io ti serva in cambio di questo che ti chiedo. Nessun arma vince le mie. Né nessun esercito è più numeroso del mio. Le ricchezze di cui dispongo non hanno misura, perché ti farò re del mondo se Tu accetti il mio aiuto, e tutti i ricchi saranno gli schiavi tuoi.
Guarda: i tuoi angeli, gli angeli del Padre tuo sono assenti. Ma i miei sono pronti a vestirsi di angelici aspetti per farti corona e stupire la plebe ignorante e malvagia.
Non sai dire parole di imperio? Io te le suggerirò. Sono qui per questo. Tuona e minaccia.
Ascoltami. Di’ parole di menzogna. Ma trionfa. Di’ parole di maledizione. Di’ che te le suggerisce il Padre. Vuoi che simuli la voce dell’Eterno? Lo farò. Tutto posso fare. Sono il re del mondo e dell’Inferno. Tu non sei che il Re del Cielo. Io sono più grande perciò di Te. Ma metto tutto ai tuoi piedi se Tu lo vuoi.
La Volontà del Padre tuo?
Ma come puoi pensare che Egli voglia la morte del suo Figlio? Pensi che possa illudersi dell’utilità della stessa? Tu fai torto all’Intelligenza di Dio. Già hai redento coloro che sono suscettibili di redenzione con la tua santa Parola. Non occorre di più.
Credi che chi non muta per la Parola non muta per il tuo Sacrificio.
Credi che il Padre ti ha voluto provare. Ma gli basta la tua obbedienza. Non vuole di più. Quanto lo servirai di più vivendo!
Puoi percorrere il mondo. Evangelizzare. Guarire. Elevare. O sorte felice!
La Terra abitata da Dio! Ecco la vera redenzione.
Rifare della Terra il Paradiso terrestre dove l’uomo torna a vivere in santa amicizia con Dio e ne ode la voce e ne vede l’aspetto. Più ancora felice della sorte dei due Primi, perché vedrebbero Te; vero Dio, vero Uomo.
La Morte! La tua Morte! Lo strazio di tua Madre! Lo scherno del mondo!
Perché? Vuoi essere fedele a Dio?
Perché? Ti è fedele Lui? No. Dove sono i suoi angeli? Dov’è il suo sorriso? Cosa hai per anima, adesso? Un cencio lacero, afflosciato, abbandonato.
Deciditi. Dimmi: “Sì”. Senti? Escono dal Tempio i sicari. Deciditi. Liberati. Sii degno della tua Natura.
Tu sei un sacrilego, perché permetti che mani sozze di sangue e libidine tocchino Te: il Santo dei santi. Sei il primo sacrilego del mondo. Dai la Parola di Dio in mano ai porci, in bocca ai porci. Deciditi. Sai che morte ti attende. Io ti offro la vita, la gioia. La Madre ti riporto. Povera Madre! Non ha che Te! Guarda come agonizza… e Tu ti appresti a farla agonizzare più ancora. Che figlio sei? Che rispetto porti alla Legge? Non rispetti Dio-Te. Non rispetti la genitrice. Tua Madre… Tua Madre… Tua Madre…”.
Ho risposto… Maria, ho risposto radunando le forze, bevendo pianto e sangue che colavano dagli occhi e dai pori, ho risposto: “Non ho più madre. Non ho più vita. Non ho più divinità. Non ho più missione. Nulla ho più. Fuorché fare la Volontà del Signore mio Dio.
Va’ indietro, Satana! L’ho detto la prima e la seconda volta. Lo ridico per la terza: Padre, se è possibile passi da Me questo calice. Ma però non la mia; la tua Volontà sia fatta’. Va’ indietro, Satana. Io son di Dio!”.
Maria, ho risposto così… E il Cuore si è franto nello sforzo. Il sudore è divenuto non più stille ma rivoli di sangue. Non importa. Ho vinto.
Io ho vinto la Morte. Io. Non Satana. La Morte si vince accettando la morte.
Ti avevo promesso un grande regalo. Come a pochi l’ho concesso. Te l’ho dato.
Hai conosciuto l’estrema tentazione del tuo Gesù. Te l’avevo già svelata. Ma eri ancora immatura per conoscerla in pieno. Ora lo puoi fare. Vedi che ho ragione di dire che non sarebbe compresa e ammessa da quei piccoli cristiani che sono larve di cristiani e non cristiani formati? Va’ in pace, ché Io sono con te». FINE

1  M.V.: ‘Libro di Azaria’ – Lezione 47 del 5.1.47 – Centro Editoriale Valtortiano (N.d.A.: vedi la parte seconda di           questa riflessione sul settimo discorso)
2  vedi: Genesi 1, 1-5.
3  N.d.A.: Osserviamo al riguardo che ricomponendo l’originaria Pangea facendo fare un cammino a ritroso dei vari continenti fino a ricostituire la forma dell’iniziale isola colossale, si nota che la città di Gerusalemme si trova esattamente al centro. Sarà un caso o questa 'centralità' ha un significato 'spirituale' perché Gerusalemme sarebbe stata in futuro - con la Croce di Gesù sul Calvario - il centro redentivo della salvezza della Terra?
4  M.V.: ‘Libro di Azaria’ – Dettato 6.10.46 – Lezione n. 34 – Centro Editoriale Valtortiano
5  vedi: Giovanni 8, 25-30; vedi anche: Poema V, p. 198, n. 3; p. 336, n. 3; VII p. 1726, n. 3.
6  Viene spontaneo di pensare a Maria SS.ma; vedi: Luca 1, 26-38.
7  vedi: Atti 19, 11-12; Galati 2, 19-20. Questa spiegazione collima perfettamente con quella da noi fornita per illustrare il fenomeno degli Scritti valtortiani; vedi: 7 aprile 1946, n. 31 (p. 52).
8  vedi: .V.: ‘Libro di Azaria’ Lezione n. 6 del 31 marzo 1946, pag. 43, nota n. 37 – entro Ed. Valtortiano
9  Di Maria SS.ma, tutta dedicata a servizio dell'opera della redenzione, scrive così il Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, numero 56: «... semetipsam ut Domini ancillam per et operi Filii sui totaliter devovit, sub Ipso et cum Ipso, omnipotentis Dei gratia, mysterio redemptionis inserviens». Noi uomini siamo detti «aiutanti di Dio» in: Ia Corinti 3, 5-9; Colossesi 4, 7-9.
10  Se noi, in Gesù Cristo Figlio di Dio, diveniamo partecipi della filiazione divina, è chiaro che diveniamo partecipi anche della divinità di Lui, e quindi possiamo, in tal senso, esser detti «dèi». Anche nel Messale Romano nuovissimo, di Papa Paolo VI, all'offertorio si recita questa preghiera: «Per huius aquae et vini mysterium, eius efficiamur divinitatis consortes, qui humanitatis nostrae fieri dignatus est particeps».
11  Un brano biblico, classico in tale senso, è: Genesi 18, 16-33. Vedi anche: Geremia 5, 1; Ezechiele 22.
12  Lc 22, 39-46: «39Uscì e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. 40Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione». 41Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: 42«Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». 43Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. 44Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra. 45Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. 46E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione».
13  M.V.: ‘Preghiere’ – ‘L’Ora del Getsemani’ – Pag. 89 e segg. – Centro Editoriale Valtortiano
14  N.d.A.. Riferimento ad una antica tradizione francese che narra che Marta – la quale, come si apprende dall’Opera valtortiana, aveva un autentico terrore dei coccodrilli, anche piccoli come li aveva incontrati una volta in Palestina al seguito del Gruppo apostolico – divenne, una volta emigrata in Francia insieme a Lazzaro e Maria Maddalena, a tal punto coraggiosa da catturare una sorta di ‘dragone’ o piccolo coccodrillo anche in Francia: una bestia pericolosa che terrorizzava le campagne sbranando animali e mettendo in pericolo anche gli uomini. Il Gesù valtortiano conferma indirettamente in tal modo in questo Dettato che la ‘leggenda’ che riguarda Marta in Francia non sarebbe una leggenda!
15  N.d.A.: Emerge da tutto questo brano un aspetto molto interessante e cioè il legame stretto che esiste fra anima spirituale ed anima animale e fra anima animale e subconscio. Se ne accenna anche in altri passi dell’Opera valtortiana. Pare di capire che Subconscio, Inconscio, Superconscio, Anima spirituale ed animale facciano parte in un qualche modo misterioso di un unico ‘complesso psichico-spirituale’, come le varie facce di uno stesso poliedro piramidale. In sostanza quello che noi chiamiamo comunemente Subconscio, senza che poi la Psicologia neanche sappia esattamente di cosa si tratti pur avendone intuito la presenza misteriosa dentro di noi, in realtà parrebbe un ‘Superconscio’: lo spirito immortale infuso da Dio!
16  N.d.A.: Satana fa qui riferimento alle famose tentazioni da lui ispirate a Gesù alla fine dei quaranta giorni nel Deserto.
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