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11. IL SETTIMO DISCORSO DELLA MONTAGNA NELLA SOSTA DEL SABATO: AMARE LA VOLONTA’ DI DIO. (02 di 3)

11.1 Gesù: «... Ma Io ero l’Uomo. Essendo l’Uomo, dovevo possedere quella virtù la cui perdita aveva perduto l’uomo, e redimervi con quella. L’uomo s’era perduto per aver disubbidito al desiderio di Dio. Io, l’Uomo, vi ho dovuto salvare ubbidendo al desiderio di Dio… L’obbedienza è fatta anche di minuscole cose di ogni ora, compiute senza brontolii, man mano che vi si presentano».

Abbiamo già avuto occasione di osservare come il settimo discorso di Gesù sull’importanza di amare Dio ubbidendo alla Sua Volontà fosse scaturito quasi incidentalmente da circostanze imprevedibili.
L’incontro con il lebbroso, il conseguente ritardo e la sosta forzata del sabato, l’osservazione ‘filosofica’ dell’apostolo Tommaso sul fatto che – in ultima analisi – ‘se gli uomini fanno errori ciò viene dalla volontà di Dio’.
E’ dunque dall’osservazione di Tommaso che Gesù aveva preso lo spunto per dire che taluni hanno questa idea errata ma che non è affatto così.
Si tratta in effetti – aggiungo io – anche di una concezione ‘fatalistica’ della vita che è estranea alla visione cristiana. Il Fato pagano, inteso come una situazione predeterminata ed ineluttabile della nostra vita, non esiste. Non è Dio che preordina il nostro futuro, bello o brutto che sia.
Se il nostro futuro fosse ‘preordinato’ per ciascun singolo uomo, sarebbe frutto di una operazione che presuppone necessariamente ‘a monte’ una Mente razionale ‘Preordinatrice’ che – per essere capace di fare ciò, trasformandoci peraltro in automi – dovrebbe essere quella di Colui che noi chiamiamo ‘Dio’.
Il vero Dio, proprio perché è buono e ‘rispettoso’ della nostra dignità, rispetta invece la nostra libertà, perché questa è indispensabile al nostro equilibrio psichico e alla nostra felicità umana ed è quella che è fonte di merito o di … demerito, e quindi di premio o giusto castigo.
L’uomo ha il libero arbitrio e può dunque decidere del suo futuro. Potremmo anzi dire che il futuro se lo fabbrica da sé, insieme ovviamente alle circostanze casuali della vita che interagiscono con le sue azioni.
Approfondendo il settimo discorso di Gesù e poi anche altri aspetti sullo stesso argomento trattati più ampiamente nel resto dell’Opera valtortiana, ci siamo poi resi conto di quanto sia in effetti importante il fare – amandola – questa Volontà, tanto che avevo osservato come l’abbandono completo alla Divina Volontà, potrebbe quasi riassumere in sé la sostanza, o meglio il ‘nocciolo’, del Cristianesimo.
Ritengo dunque opportuno continuare in questo nostro approfondimento tematico, certo che – grazie all’Opera della mistica – apriremo un forziere di gemme preziose di Sapienza.
Nella precedente prima parte di questa nostra riflessione sul settimo discorso era già stato argomentato come gli errori degli uomini non vengano affatto dalla volontà di Dio perché Egli è Padre e nessun padre vorrebbe il male per un figlio.
Dio ‘consiglia’ ma non forza, perché vuole che l’uomo sia libero, e se un errore viene compiuto ciò dipende dal fatto che l’uomo anziché la volontà di Dio segue la propria, vale a dire quella del proprio ‘io’, dei propri sensi, del ‘mondo’, del demonio.
Grazie poi ad un Dettato di Gesù, ci eravamo inoltre fatti una autentica ‘cultura’ sulla tecnica che il materassaio usa per la cardatura delle lane, per la formazione dei filati tessili e quindi delle stoffe preziose.
Il ‘Materassaio’, allegoricamente parlando, rappresenta la Volontà di Dio e gli strumenti per la ‘cardatura’, dolorosi ma necessari, sono costituiti dalla Legge dei Dieci Comandamenti, che vanno rispettati dall’uomo se questi vuole la sua salvezza spirituale.
Resa dunque soffice e lavorabile la ‘lana’ del nostro spirito, ecco poi che – grazie anche ai consigli evangelici del Discorso della montagna che abbiamo fino ad ora approfondito nelle precedenti riflessioni – la ‘lana’ ben lavorata si trasforma in un ‘filato’ resistente e regolare atto a formare la buona ‘stoffa’ della vita eterna per poter divenire anche un prezioso ‘broccato’, come ad esempio nel caso delle persone che si offrono quali piccole vittime di ‘corredenzione’, in un certo qual modo ‘imitatrici’ di Gesù che si è sacrificato sulla Croce per la Redenzione dell’Umanità.
Abbiamo anche appreso che l’ubbidienza alla volontà di Dio è una virtù che l’uomo accetta difficilmente di voler praticare, e che il Peccato originale ha avuto origine proprio da una disubbidienza alla precedente volontà espressa da Dio di non cogliere – perché pericoloso – il frutto dell’Albero della conoscenza del Bene e del Male.
In effetti Adamo ed Eva, creati in Grazia ed istruiti da Dio, conoscevano già un Bene proporzionato al loro stato di esseri umani mentre – proprio in quanto tali, e cioè in quanto ‘limitati’- non avrebbero potuto governare il Male, se lo avessero conosciuto.
Abbiamo infine appreso – sempre nella precedente prima parte della riflessione – che la nostra ubbidienza attira su di noi la benevolenza di Dio che si sente così indotto ad ispirarci ed ammaestrarci, ed inoltre che l’ubbidienza è stata la virtù per eccellenza del Verbo che accettò di divenire Uomo, e Uomo-Redentore fino alla Croce, nella persona di Gesù.
Fatta questa rapida anche se sintetica ‘carrellata’ per non perdere il ‘filo’ almeno di alcuni degli insegnamenti appresi, possiamo ora continuare la nostra meditazione valtortiana sulla importanza della obbedienza alla Divina volontà.
Nel brano, qui di seguito trascritto, è sempre Gesù che – parlando alla mistica – le dice (i grassetti sono miei): 1
16 - 3 - 1944. Ebrei, cap. 5, v. 7, 8, 12, 14; cap. 6, v. 1, 4, 6, 8.
Dice Gesù:
«Voglio farti considerare, e con te a molti, una virtù dalla quale vi è venuto un gran bene. Il più grande bene, mentre dal suo contrario vi è venuto tanto male: il più grande male. Te ne ho già parlato, ma la tua sofferenza non ti ha fatto ricordare le parole. Te le ripeto perché mi preme che le abbiate.
Avendovi amato infinitamente, io volli essere il vostro Redentore. Ma non lo fui unicamente per la Sapienza, non per la Potenza, neppure per la Carità. Queste sono tre caratteristiche, tre doti divine, che agirono tutte e tre nella Redenzione del genere umano, perché vi istruirono, vi scossero coi miracoli, vi redensero col Sacrificio.
Ma Io ero l’Uomo. Essendo l’Uomo, dovevo possedere quella virtù la cui perdita aveva perduto l’uomo, e redimervi con quella.
L’uomo s’era perduto per aver disubbidito al desiderio di Dio.
Io, l’Uomo, vi ho dovuto salvare ubbidendo al desiderio di Dio.
Dice Paolo2 che io “avendo con forti grida e con lacrime offerto preghiere e suppliche, nei giorni della mia vita mortale, per salvare l’uomo da morte spirituale, fui esaudito per la mia riverenza”. E aggiunge che, giunto alla perfezione per aver imparato (ossia compiuto per obbedienza) divenni causa di eterna salute per tutti quelli che mi sono obbedienti.
Paolo, con parola che lo Spirito fa vera, dice dunque che Io, Figlio di Dio fatto Uomo, raggiunsi la perfezione con l’obbedienza e potei esser Redentore per questa.
Io, Figlio di Dio. Io raggiunsi la perfezione con l’obbedienza. Io redensi con l’obbedienza.
Se meditate profondamente questa verità, dovete provare quello che prova uno che prono su un’alta insenatura marina, guarda fissamente la profondità e la immensità del mare, e gli pare sprofondare in questo liquido abisso di cui non conosce profondità e confine.
L’obbedienza!
Mare sconfinato e abissale nel quale io mi sono tuffato prima di voi per riportare alla Luce coloro che erano naufragati nella colpa. Mare in cui devono tuffarsi i veri figli di Dio per essere redentori di se stessi e dei fratelli. Mare che non ha solo le grandi profondità e le grandi onde, ma anche le spiagge basse e le lievi ondette che sembrano scherzare con la rena del lido, così care ai bambini che giuocano con esse.
L’obbedienza non è fatta unicamente di grandi ore in cui obbedire è morire come io ho fatto, in cui obbedire è strapparsi da una Madre come io ho fatto, in cui obbedire è rinunciare alla propria dimora come io ho fatto lasciando il Cielo per voi.
L’obbedienza è fatta anche di minuscole cose di ogni ora, compiute senza brontolii, man mano che vi si presentano.
Cosa è il vento? Turbine sempre che curva le cime degli alberi secolari e li piega, li spezza, li abbatte al suolo? No. È vento anche quando, più leggero di carezza materna, pettina le erbe dei prati e i grani che incespano e li fa ondulare appena come rabbrividissero lievemente nella cima dei verdi steli per la gioia d’esser sfiorati dal vento leggero.
Le piccole cose sono il vento leggero dell’obbedienza. Ma quanto bene vi fanno!
Ora è primavera. Se il sangue3 non la bruttasse, come sarebbe dolce questa stagione! Le piante, che sanno amare e obbedire al Creatore, stanno mettendo la veste nuova fatta di smeraldo e come spose si fasciano di fiori. I prati sembrano un ricamo, un velluto trapunto di fiori, i boschi una felpa profumata sotto una volta di creste verdi e canore. Ma se non ci fossero i tenui venti d’aprile, e anche le pazze ventate di marzo, quanti fiori rimarrebbero senza fecondazione e quanti prati senza acqua! Fiori ed erbe sarebbero perciò nati per morire senza scopo. Il vento spinge le nubi e li irrora così, il vento fa baciare i fiori, porta ai lontani il bacio dei lontani e con la sua gaia corsa da ramo a ramo, da albero ad albero, da frutteto a frutteto, feconda e fa che quei fiori divengano frutto.
Anche l’obbedienza spicciola a tutte le piccole cose che Dio vi presenta attraverso gli avvenimenti del giorno, fa quello che fa il vento con le piante e l’erbe dei prati e degli orti. Di voi, fiori, fa frutti. Frutti di vita eterna.
Beatissimi quelli che, presi dal turbine dell’Amore, e del loro amore, consumano il sacrificio totale di sé, i piccoli redentori che mi perpetuano, i quali compiono l’obbedienza somma bevendo il mio stesso calice di dolore. Ma beati anche quelli che, non avendo ardire di dire al turbine dell’Amore: “T’amo, eccomi, prendimi”, sanno piegarsi al vento lieve dell’Amore che sa graduare le forze dell’uomo suo figlio e dare ad ognuno quel tanto di pressione che sia possibile a sopportare.
Vi pare, o figli, e mai come ora vi pare, che la prova sia tante volte superiore alla forza vostra. Ma è perché voi vi irrigidite. È perché siete superbi e diffidenti. Volete fare da voi e non vi abbandonate a Me.
Non sono un carnefice. Sono Colui che vi ama. Sono un Padre buono. E se non posso annullare la Giustizia, aumento in compenso la Misericordia. Tanto più l’aumento quanto più cresce la Giustizia per la marea di delitti, di bestemmie, di disubbidienze alla Legge che copre la Terra.
Naufragate in essa. Innocenti, quasi innocenti, colpevoli, grandi colpevoli, naufragate in essa.
Ma se per gli ultimi il fondo del naufragio sarà nel fondo di Satana (fin dalla vita col dilaniamento di una coscienza che li morde e non dà pace nonostante fingano di averla) per le altre due categorie il fondo sarà nella mia Misericordia, è in essa per i quasi innocenti, ed è nel mio Cuore per gli innocenti.
Ma Misericordia e Cuore sono già Cielo e per questi, dopo i conforti sulla Terra che non nego loro - e tu to sai - è pronto il Cielo.
(…)
Gesù ha paragonato l‘obbedienza al vento. Ci può essere un vento forte ma anche una brezza leggera.
Il vento ‘forte’ dell’obbedienza è quello che ci chiede cose altrettanto ‘forti’, ma – direi per la maggioranza dei casi – l’obbedienza è come una ‘brezza leggera’ che incontriamo nelle piccole cose della nostra normale giornata.
Bisogna dire – sempre basandoci sugli insegnamenti del Gesù valtortiano sparsi qui e là nell’Opera – che Dio, quanto all’ubbidienza alla sua Volontà, ci mette anche alla prova, ma questo fatto non ci deve spaventare perché Dio è buono e le sue non sono mai ‘prove’ superiori alle nostre forze.
Tanto per fare un esempio è come se Egli fosse un preparatore atletico che allena al salto: alza ogni volta l’asticella dell’ostacolo che l’atleta deve imparare a superare per divenire un campione, ma lo fa progressivamente in modo che quest’ultimo, allenato poco alla volta, abbia la possibilità di imparare a saltare sempre meglio senza inciampare e rovinare a terra.
Anche Satana mette alla prova con le sue tentazioni, ma alza l’asticella oltre il lecito e lo fa per indurre ad una caduta rovinosa, meglio se ‘fatale’.
Quel ‘non ci indurre in tentazione’ della preghiera del Padre nostro, frase e traduzione molto discussa dai teologi, non va dunque intesa nel senso che Dio ci ‘tenta’ al peccato, perché se così fosse non sarebbe un ‘Dio buono’, ma nel senso di chiedere a Dio di ‘aiutarci nelle tentazioni’ che il Maligno – facendo conto sulla nostra debolezza - ci presenta per farci cadere.4
Oppure – altro concetto valtortiano (poiché quella di Dio è pienezza della Parola che può avere contemporaneamente molteplici significati) quel ‘non ci indurre in tentazione’ può essere una accorata supplica dell’uomo, che si sente debole, a non sottoporci – Lui, Dio - a prove superiori alle nostre forze, cosa che Dio si guarda comunque bene dal fare, magari abbassandoci anzi ancora di più “l’asticella” per venire incontro ai nostri timori e non scoraggiarci.
Anzi, come nel caso del sacrificio di Isacco chiesto da Dio ad Abramo appunto per ‘provarlo’, Dio si accontenta spesso della nostra sola buona volontà di obbedienza e sospende la prova dandocene poi merito come se l’avessimo superata.
La prova superata è infatti fonte di accrescimento spirituale e di maggiore gloria in Cielo, perché Dio premia appunto la nostra buona volontà di obbedienza.

11.2 Dio Padre: «L’ubbidienza pronta, l’aderenza gioconda al disegno di Dio sono il segno della formazione spirituale di un cuore…». La legge della Prova.

L’ubbidienza – questo è un altro insegnamento di Gesù - è una virtù che va a braccetto con la pazienza.
Se l’ubbidiente è paziente, l’impaziente è invece un disubbidiente, un inquieto nel cui cuore non può stare Dio in quanto l’impaziente, mancando di carità, può facilmente trascendere imputando a Dio o agli altri quanto egli crede non venga fatto secondo le proprie aspettative.
Nel dire quel ‘Sia fatta la tua Volontà’ della preghiera del Padre nostro, non dobbiamo mai dimenticare che nel fare le nostre richieste a Dio dobbiamo comunque accettare la sua volontà, perché Egli è libero di concedere o non concedere - a suo insindacabile giusto giudizio - ciò che chiediamo, senza noi pretendere che per aver magari ‘rispettato’ qualche volta la sua Volontà, Egli sia obbligato ad accettare come ‘contropartita’ la nostra volontà. Dobbiamo dunque sempre accettare la volontà di Dio.
Il voler fare da parte nostra la volontà di Dio ha peraltro tale potenza che Dio poi non riesce a negarci nulla e sembra quasi che – di fronte all’ubbidienza nostra – Egli voglia superarci in prontezza esaudendo le nostre richieste, ovviamente solo in ciò che è bene.
Fare sempre la Volontà di Dio è ‘duro’, ma bisogna tenere conto del fatto che Dio-Padre è indulgente e ci viene incontro perché tiene conto delle nostre debolezze.
A proposito della ubbidienza pronta e della aderenza ‘gioconda’ al disegno di Dio, un giorno Maria Valtorta riceve un ‘paterno’ Dettato da Gesù, salvo poi accorgersi alla fine che a parlarle paternamente era stato invece Dio Padre, nei termini seguenti (i grassetti sono miei):5                                                  
12 aprile 1945
Dice Gesù:
«Scrivi questo solo. I disegni di Dio hanno una continuità ed una necessità misteriosa, santa, che solo nell’altra vita vi appariranno chiare. Sembrano talora di una incoerenza strana. Vi sembrano, perché voi guardate tutto con occhi umani.
Ma invece ogni loro succedersi è un concatenarsi armonico e giusto da cui viene la sorte umana e soprumana.
Viene la sorte perché, a seconda del corrispondere dell’anima al disegno che Dio le propone, corrisponde una sorta di beatitudine o di dannazione o anche semplicemente di purgazione dolorosa nell’altra vita, e in questa aiuti o abbandoni divini.
L’ubbidienza pronta, l’aderenza gioconda al disegno di Dio sono il segno della formazione spirituale di un cuore.
Gesù Cristo fu il perfetto in questa formazione.
Lo era come Dio. Lo fu come uomo. E se come Dio non poteva essere insidiato dal Tentatore che inocula superbia e disubbidienza per levare al bene di Dio uno spirito, come Uomo, quando fu sulla terra, fu ben potuto essere consigliato alla disubbidienza dal Tentatore.
Considera, figlia, a quale ubbidienza Egli doveva sottoporre Se stesso.
Già si era imposto il giogo avvilente, per Lui che era Dio, di una umanità. E con essa aveva dovuto sopportare tutto quanto è umanità. Ma al termine di essa umanità Egli vedeva la Croce, la morte obbrobriosa e tormentosa del crocifisso. Non lo ignorava il suo futuro. E non si sottrasse al suo futuro.
Quante volte gli uomini, pur sapendo che da quella data cosa a loro proposta da Dio viene un bene per loro e per i loro simili, non si sottraggono dicendo: “Perché devo lasciare questa cosa che mi dà utile per assumere quella che è penosa? E per chi?”.
Ma per amore, figli! Amore di Me. Non può il Padre chiedervi nulla che non sia di vostro sicuro e non labile bene.
Se procedeste con fede non dubitereste del Padre. Direste: “Se mi propone questo è certo per mio bene. Lo faccio”.
Se procedeste con amore, direste: “Egli mi ama. Lo amo”.
E se poi la cosa proposta fosse di bene al prossimo, anche essendo un sacrificio per voi, se santi foste subito la accettereste come l’accettò il Figlio mio per bene vostro. Io, poi, vi darei fulgido premio.
Perciò, quando guardi l’apparente contrasto della tua vita, anzi i molti contrasti della tua vita, e quanto hai, di’ sempre: “Quello, evento apparentemente in dissonanza col seguente e col mio attuale presente, ha preparato questo. Ed ho questo perché ho accettato quello”.
Considera come, da quando hai fatto della parola della preghiera del Figlio: “Sia fatta la tua volontà” la norma non sterile della tua vita, tu abbia non più sostato ma camminato, poi corso, poi volato verso l’alto. Si è accentuato il volere, il conoscere, il migliorare, più si è aumentata in te l’ubbidienza gioconda e pronta al disegno mio.
Altro non dico. Sta’ con la nostra benedizione.»
Credevo fosse Gesù, invece è l’Eterno Padre che mi dice stamane queste dolci parole, e con tanta pietà per il mio stato fisico.
Riflettendo…, a chi non è capitato di incontrare ostacoli nella vita e vedere che certe cose prendevano una piega diversa da quanto si sarebbe voluto, ‘rimproverandone’ poi più o meno inconsciamente il Signore?
Poi però – guardando successivamente al nostro passato come si guarda dall’alto di un monte il cammino percorso dal fondovalle alla cima – riusciamo a renderci conto che quelle cose che a prima vista ci sembravano ‘sbagliate’ rispetto ai nostri desideri, con il susseguirsi degli eventi si sono invece rivelate per noi un bene.
Avere accettato la volontà di Dio là dove ragionando umanamente non avremmo voluto accettarla, ha permesso che in seguito si potesse trasformare in bene ciò che mai avremmo potuto pensare.
L’ubbidienza alla volontà di Dio – questo lo abbiamo ormai ben compreso – è dunque la più importante delle virtù, e non per niente sappiamo che è proprio dalla Disubbidienza di Lucifero che è nato il Male.
Ho già fatto un breve accenno nelle riflessioni sulla scelta del Bene e del Male nel sesto Discorso della montagna.
Ora mi spiego meglio, sempre valtortianamente parlando, magari riassumendo qualche concetto che ho in precedenza già sviluppato.
La Legge della Prova è una Legge divina che tutti, per meritare la piena visione beatifica di Dio in Cielo, devono superare.
Il Guaio per eccellenza, che dette origine al Male, nacque proprio da un atto di disubbidienza alla Volontà di Dio da parte di Lucifero, Angelo perfettissimo ma libero nella sua volontà.
Ai primordi della Creazione spirituale, tutti gli angeli erano nella Grazia ma dovevano anche meritarsela per cui Dio li sottopose a prova, una prova di obbedienza, la quale è sempre prova d'amore.
La prova posta davanti a Lucifero fu quella di accettare di adorare un giorno il Verbo divino umanato che si sarebbe incarnato per redimere e salvare l’Umanità che Dio avrebbe in seguito creato.
L’angelo ribelle, elevatissimo spirito che aveva però lasciato condensare in sé un ‘fumus’ iniziale di orgoglio e superbia senza combatterlo, non ritenne che per lui - sublime spirito, il più bello degli angeli, il più potente che si sentiva quasi Dio – fosse confacente e dignitoso accettare di abbassarsi ad adorare un giorno un Dio che si fosse incarnato in vile ‘materia’, anzi in un animale, appunto l’uomo.
Un Dio-Verbo-Uomo che sarebbe un giorno salito al Cielo proprio con la carne materiale di un Uomo!
Altri angeli condivisero il suo ‘Non serviam!’ e lo seguirono nella ribellione, ma - privati della potenza della Grazia - rimasero sconfitti dalle legioni degli angeli fedeli a Dio, guidati dall’Arcangelo Michele. E per Lucifero fu l’Inferno e così fu per tutti gli altri angeli ribelli.
Il seguito drammatico di tale atto di iniziale di disubbidienza e ribellione alla volontà di Dio ebbe a ripetersi – in odio a Dio - una volta che Dio ebbe creato l’uomo.
Anche Adamo ed Eva erano infatti destinati ad una prova da superare per dimostrare a Dio di ‘meritare’ – con la loro ubbidienza - una vita felice ed immortale nel Paradiso terrestre e successivamente la Gloria eterna nel Paradiso celeste.
Anche essi disobbedirono tuttavia alla Volontà di Dio, cioè al semplice e, notare, unico comando di Dio – per essi che avevano già tutto ed erano i re della Terra con il dominio su tutte le cose ed animali ai quali ‘davano il nome’ – di non cogliere i frutti dell’Albero della conoscenza del Bene e del Male.
Ci si potrebbe domandare come mai essi - che avevano compiuto lo stesso peccato di disubbidienza, orgoglio, superbia e ribellione di Lucifero – non vennero condannati all’Inferno.
La spiegazione che si ricava dalle rivelazioni valtortiane è semplice ed anche ‘giusta’.
I due progenitori erano solo esseri ‘umani’. Essi non erano cioè ‘puri spiriti’ come gli Angeli, ma semplicemente ‘spiriti’ in carne umana. Essi non possedevano la smisurata intelligenza degli Angeli e furono quindi circuiti ed ingannati dal potentissimo Lucifero divenuto nel frattempo ‘Satana’.
In altre parole essi ebbero delle attenuanti che meritarono loro la Misericordia di Dio.
Infatti - contrariamente a Lucifero che disubbidì volontariamente e senza istigazione alcuna e per pura superbia - essi furono tentati. Se l’uomo non fosse stato tentato da un essere a lui superiore e avesse fatto tutto da solo, è possibile immaginare che non ci sarebbe stata Redenzione neanche per lui.
Alla Legge della Prova, comunque, vennero sottoposti nella loro umanità persino Gesù e Maria Santissima, come del resto ne siamo sottoposti noi stessi nella nostra vita terrena.
A proposito della Prova di ubbidienza alla Volontà di Dio - posta davanti ai due Progenitori – ecco cosa spiega lo Spirito Santo che parla alla mistica con riferimento al Peccato originale (i grassetti sono miei):6
(…)
La prova.
Quando l’uomo si destò dal suo primo sonno e trovò al suo fianco la compagna, sentì che la sua felicità era stata resa da Dio completa.7
Era già tanto grande anche prima. Tutto in Adamo ed intorno ad Adamo era stato fatto perché egli godesse una felicità completa, sana e santa, e la delizia, ossia l’Eden, non era soltanto intorno ma anche dentro all’Adamo.
Lo circondava il giardino pieno di bellezze vegetali, animali ed equoree, ma entro di lui un giardino di bellezze spirituali fioriva con virtù d’ogni genere, pronte a maturarsi in frutti di santità perfetta; e vi era l’albero della scienza adatto al suo stato, e quello della vita soprannaturale: la Grazia; né vi mancavano le acque preziose della divina fonte che si divideva in quattro rami e irrorava di sempre nuova onda le virtù dell’uomo, onde crescessero giganti, a farlo sempre più specchio fedele di Dio.
Come creatura naturale godeva di ciò che vedeva: la bellezza di un mondo vergine, testé uscito dal volere di Dio; godeva di ciò che poteva: la sua signoria sulle creature inferiori. Tutto era stato messo da Dio al servizio dell’uomo: dal sole all’insetto, perché tutto gli fosse delizia.
Come creatura soprannaturale godeva ‑ un’estasi ragionante e soavissima ‑ della comprensione della Essenza di Dio: l’Amore; dei rapporti d’amore fra l’Immenso che si donava e la creatura che lo amava adorando.
La Genesi adombra questa facoltà dell’uomo e questo comunicarsi a lui di Dio, nella frase: “avendo udito la voce di Dio che passeggiava nell’Eden nel fresco della sera”8.
Per quanto il Padre avesse dato ai figli adottivi una scienza proporzionata al loro stato, pure ancora li ammaestrava. Perché infinito è l’amore di Dio, e dopo aver dato anela a nuovamente dare, e tanto più dà quanto più la creatura gli è figlia.
Dio si dà sempre a chi a Lui si dà generosamente.
Quando, dunque, l’uomo si svegliò e vide la donna sua simile9, sentì che la sua felicità di creatura era completa avendo il tutto umano e avendo il Tutto soprumano, essendosi l’Amore dato all’amor dell’uomo.
Unica limitazione messa da Dio all’immenso possedere dello uomo era il divieto di cogliere i frutti dell’Albero della Scienza del bene e del male. Raccolto inutile, ingiustificato, sarebbe stato questo, avendo l’uomo già quella scienza che gli era necessaria, e una misura superiore a quella stabilita da Dio non poteva che causare danno.
Considerate: Dio non proibisce di cogliere i frutti dell’albero della Vita, perché di essi l’uomo aveva natural bisogno per vivere una esistenza sana e longeva, sino a che un più vivo desiderio divino di svelarsi totalmente al figlio d’adozione non facesse pronunciare a Dio il: “Figlio, ascendi alla mia dimora e inabìssati nel tuo Dio”, la chiamata, senza sofferenza di morte, al celeste Paradiso.
L’Albero della Vita che si incontra al principio del Libro della Grande Rivelazione (Genesi c. II v. 9 e c. III v. 22), e che si ritrova nuovamente alla fine del Libro della Grande Rivelazione: la Bibbia (Apocalisse di Giovanni c. XXII v. 2 e v. 14), è figura del Verbo Incarnato ‑ il cui frutto, la Redenzione, pendé dal legno della croce ‑ di quel Gesù Cristo che è Pane di Vita, Fonte d’Acqua Viva, Grazia, e che vi ha reso la Vita con la sua Morte, e sempre potete mangiare e bere di Lui, per vivere la vita dei giusti e giungere alla Vita eterna.
Dio non proibisce ad Adamo di cogliere i frutti dell’Albero della Vita, ma vieta di cogliere quelli, inutili, dell’Albero della Scienza.
Perché un eccesso di sapere avrebbe svegliato la superbia nell’uomo, che si sarebbe creduto uguale a Dio per la nuova scienza acquisita e stoltamente creduto capace di poterla possedere senza pericolo, con il conseguente sorgere di un abusivo diritto di auto‑giudizio delle azioni proprie, e dell’agire, di conseguenza, calpestando ogni dovere di filiale ubbidienza verso il suo Creatore ‑ dato che ormai gli era simile in scienza – del suo Creatore che gli aveva amorosamente indicato il lecito e l’illecito, direttamente o per grazia e scienza infuse.
La misura data da Dio è sempre giusta.
Chi vuole più di quanto Dio gli ha dato, è concupiscente, imprudente, irriverente.
Offende l’amore.
Chi prende abusivamente è un ladro e un violento.
Offende l’amore.
Chi vuol agire indipendentemente da ogni ossequio alla Legge soprannaturale e naturale è un ribelle.
Offende l’amore.
Davanti al comando divino i Progenitori dovevano ubbidire, senza porsi dei perché che sono sempre il naufragio dell’amore, della fede, della speranza. Quando Dio ordina, o agisce, si deve ubbidire e fare la sua volontà, senza chiedere perché ordina o agisce in quel dato modo. Ogni sua azione è buona, anche se non sembra tale alla creatura limitata nel suo sapere.
Perché non dovevano andare a quell’albero, cogliere quei frutti, mangiare di quei frutti?
Inutile saperlo. Ubbidire è utile, e non altro. E accontentarsi del molto avuto.
L’ubbidienza è amore e rispetto, ed è misura di amore e rispetto. Tanto più si ama e si venera una persona e tanto più la si ubbidisce.
Ora qui, essendo Colui che ordinava Dio ‑ l’infinitamente Grande, il Buono, il Benefattore munifico dell’uomo ‑ l’uomo, e per rispetto e per riconoscenza, doveva dare a Dio non “molto” amore, ma “tutto” l’amore adorante di cui era capace, e perciò tutta l’ubbidienza, senza analizzare le ragioni del divino divieto.
Le discussioni presuppongono un autogiudizio e una critica all’ordine od azione altrui.
Giudicare è difficile cosa e raramente il giudizio è giusto; ma non lo è mai quando giudica inutile, errato, o ingiusto, un ordine divino.
L’uomo doveva ubbidire. La prova di questa sua capacità, che è misura d’amore e rispetto, era nel modo con cui avrebbe o non avrebbe saputo ubbidire.
(…)
Ritengo interessante – al di là delle complete spiegazioni fornite dallo Spirito Santo – attirare l’attenzione sul fatto che quando la Genesi biblica dice che nel Paradiso terrestre vi era l’albero della vita, quest’ultimopur essendo ‘figura’ di Gesù Cristo, Albero di Vita eterna – era in realtà un normalissimo albero che tuttavia produceva frutti con proprietà salutari del tutto eccezionali atte ad assicurare vita longeva e sana.
La cosa non deve meravigliare per chi ammetta il miracolo della Creazione divina.
La scienza ha del resto scoperto che sono innumerevoli, in natura, frutti ed erbe che hanno proprietà nutritive e medicamentose insospettabili.
E’ quindi del tutto comprensibile che dopo la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre Dio abbia loro impedito l’accesso ad un albero i cui frutti avevano siffatte proprietà, in quanto i due Progenitori erano stati condannati – come conseguenza della loro Colpa – a sperimentare non solo fatiche per procurarsi di che vivere ma anche malattie e morte.
L’albero della vita di cui parla Genesi (Gn 3, 20-24) non è dunque un albero ‘metaforico’ né tantomeno un albero mitico, come asseriscono gli atei - che non ammettendo la creazione da parte di Dio - sostengono che tutta la Genesi non è altro che un racconto leggendario che riflette credenze cosmogoniche e creative caratteristiche di una Umanità delle origini ‘semplice e credulona’ in quanto… preistorica.

11.3 Azaria: «Il Verbo ha sempre ubbidito. Il Padre gli disse: "Tu sarai Uomo perché Tu solo puoi istruire l'Umanità". Il Verbo disse: "Sarò Uomo. La tua Volontà sia fatta"10. Il Padre disse: "Tu morrai perché solo il tuo Sacrificio potrà redimere l'Umanità". Il Verbo disse: "Io morrò. La tua Volontà sia fatta"11. Il Padre disse: "E morrai sulla Croce perché per redimere il mondo non mi è sufficiente il sacrificio della tua vita fra ì dolori della morte per malattia". Il Verbo disse: "E morirò sulla Croce. La tua Volontà sia fatta…».

Molto sovente è lo stesso uomo che si procura da sé il dolore ribellandosi alle leggi d’ordine poste da Dio.
Azaria – l’Angelo custode di Maria Valtorta - esordisce infatti così in una sua lezione12 facendo osservare che l’uomo, colpito dal dolore, spesso ne fa accusa a Dio ma non riflette sul fatto che molte volte il dolore è provocato dall’uomo stesso che si ribella alla volontà di Dio e che nella sua superbia si crede ‘dio’ andando contro le leggi buone che Dio per suo utile e salvaguardia ha fissato, e creandosi anzi leggi proprie che tuttavia arrecano disordine.
Dal disordine proviene dunque il dolore per cui l‘uomo, anziché essere castigato da Dio come meriterebbe, finisce per castigarsi da se stesso non di rado in una misura e con una ferocia a cui Dio – che è giusto - non giungerebbe mai anche nei castighi più severi.
Il responsabile vero di tutto ciò è però Satana che suggestiona e sobilla gli uomini spingendoli a fare quel male che essi – da soli – non sarebbero capaci di fare.
Satana protegge - in vita - questi suoi servi, che tuttavia – in morte – riceveranno da Dio una punizione tremenda: e questa è anche la soddisfazione di Satana, sapendo che saranno condannati alle sue stesse pene.
Poco sopra vi ho sintetizzato con parole mie un passo di una ‘lezione’ di Azaria, che in verità tratta anche altri profondi aspetti, ma non mi posso discostare dall’argomento oggetto di questa nostra riflessione, concernente il ‘fare la volontà di Dio’, ubbidendogli sempre.
Peraltro – quanto al fare io delle sintesi o parafrasi sia dei concetti espressi da Gesù che dallo Spirito Santo o, in questo caso, dello stesso Azaria - mi devo scusare per la povertà del mio linguaggio, lontano dal loro modo di parlare e fraseggiare molto ‘elevato’.
Ci si può chiedere come mai Gesù, lo Spirito Santo e lo stesso Azaria usino con noi un linguaggio così ricco di espressioni, immagini e anche poesia, per non parlare della Sapienza.
Una spiegazione plausibile è che Essi desiderano farci capire e ‘toccare con mano’ che quelle espressioni, quei loro concetti, quella poesia, quella Sapienza non possono venire che da Dio.
Dio potrebbe in realtà utilizzare anche concetti più elevati e sublimi, ma è obbligato a tener conto delle nostre limitate capacità intellettive e spirituali per cui ci dà quel tanto di Sapienza che noi riusciamo a comprendere.
Per la stessa ragione – e cioè far comprendere la sua divinità - Gesù compiva miracoli e parlava ‘con sapienza’ - come dicevano gli ebrei del suo tempo nei Vangeli canonici – cosicché ognuno potesse convincersi che quanto Lui diceva e faceva veniva senza ombra di dubbio proprio da Dio.
È stata questa la grande colpa della Casta sacerdotale e politica ebraica di allora: aver volontariamente rifiutato di riconoscere la sua natura divina, pur dimostrata da una sapienza chiaramente soprannaturale e da così tante prove e miracoli dal valore inoppugnabile: è il classico peccato contro lo Spirito Santo.
Per ritornare però al nostro argomento principale, e cioè a quanto sia importante fare sempre la Divina Volontà, ciò lo si poteva già capire anche dalle nostre riflessioni sul quarto discorso della Montagna concernenti il giuramento, la preghiera ed il digiuno, dove – parlando della preghiera - avevamo analizzato la preghiera perfetta, quella insegnata da Gesù agli apostoli: la Preghiera del ‘Padre nostro’.
Vi era infatti riportata una spiegazione di Gesù che illustrava agli apostoli il senso delle varie invocazioni di quella Preghiera.
Egli - arrivato a spiegare l’invocazione “Sia fatta la tua Volontà come in Cielo così in terra” - così continuava a questo riguardo (i grassetti sono miei): 13
(…)
Il Regno del Cielo sarà di chi ha fatto la Volontà del Padre, non di chi avrà accumulato parole su parole, e poi si è ribellato al volere del Padre, mentendo alle parole anzidette.
Anche qui vi unite a tutto il Paradiso che fa la Volontà del Padre. E se tale Volontà la fanno gli abitanti del Regno, non la farete voi per divenire, a vostra volta, abitanti di lassù?
Oh! gioia che vi è stata preparata dall’amore uno e trino di Dio! Come potete voi non adoperarvi con perseverante volontà a conquistarla?
Chi fa la Volontà del Padre vive in Dio.
Vivendo in Dio non può errare, non può peccare, non può perdere la sua dimora in Cielo, poiché il Padre non vi fa fare altro che ciò che è Bene, e che, essendo Bene, salva dal peccare, e conduce al Cielo.
Chi fa sua la Volontà del Padre, annullando la propria, conosce e gusta dalla Terra la Pace che è dote dei beati.
Chi fa la Volontà del Padre, uccidendo la propria volontà perversa e pervertita, non è più un uomo: è già uno spirito mosso dall’amore e vivente nell’amore.
Dovete, con buona vo1ontà, svellere dal cuore vostro la volontà vostra e mettere al suo posto la Volontà del Padre.
(…)
Del resto lo ‘svellere dal cuore la propria volontà per accettare quella di Dio’, come ha detto poco sopra Gesù, a Lui è costato nel Getsemani sudore di sangue, come infatti conferma l’evangelista Luca14 nel descrivere la Sua Passione (i grassetti sono miei):
39Uscì e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. 40Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione».
41Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: 42«Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà».
43Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo.
44Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra.
45Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza.
46E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione».
Il Gesù valtortiano, in una sua rivelazione riportata in una nostra precedente riflessione, aveva detto15: ‘… ma l’ubbidienza è mia, esclusivamente mia. Ho ubbidito nell’incarnarmi, nel farmi povero, nello stare sottomesso agli uomini nel compiere la mia missione di evangelizzatore, nel morire…’.
Ecco allora – con riguardo all’ubbidienza totale di Gesù alla Volontà di Dio Padre - quanto l’Angelo Custode Azaria ha voluto spiegare in una sua Lezione alla mistica (i grassetti sono miei, le note a piè di pagina sono per la maggior parte editoriali): 16
5 gennaio 1947
Ss. Nome di Gesù e Vigilia dell'Epifania
Dice Azaria:
«Le S. Messe di oggi: Domenica celebrativa del S. Nome di Gesù e Vigilia dell'Epifania, sono il poema dell'ubbidienza, di questa grande virtù che, dopo le tre virtù teologali17, andrebbe amata e seguita alla perfezione, e che all'opposto passa quasi inosservata, o osservata male e amata meno ancora.
Eppure essa è uno dei cardini dell'Increato e del Creato, ed è indispensabile cardine per sorreggere l'edifizio della santità.
Contempliamola insieme, anima mia, e vedrai che essa è, dovunque è, cosa buona.
Ubbidienza nell'Increato:
Il Verbo ubbidisce al desiderio del Padre. Sempre.
Non si rifiuta mai di essere Colui per la cui Parola i voleri del Padre si fanno.
Del Verbo Divino si sanno le perfette ubbidienze. Brillano, a voi mortali, dalle prime parole della Genesi: "Dio disse: 'Sia fatta la luce"18.
Ecco che subito il Verbo espresse il comando che il Padre aveva pensato, e la luce fu.
Fu la luce, e il Verbo prese presso gli uomini Carne dichiarandosi più volte "Luce", e Luce è detto dalla bocca ispirata di Giovanni Apostolo: "In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Questi era in principio presso Dio. Tutte le cose sono state fatte per mezzo di Lui, e senza di Lui nessuna delle cose create è stata fatta. In Lui era la Vita e la Vita era la Luce degli uomini. E la Luce splendé nelle tenebre, ma le tenebre non la compresero. Ci fu un uomo mandato da Dio. Il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone, per attestare la Luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la Luce, ma venne per rendere testimonianza alla Luce. Era la vera Luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo"19.
Questa pagina serafica del serafico che aveva conosciuto Dio, e non soltanto Dio-Uomo, Salvatore e Maestro, ma Dio, l'Inconoscibile20, e ne aveva compreso la Natura, è veramente un canto, il canto della verità sulla Natura del Verbo e mette ali all'anima di chi lo sa ascoltare, ali per salire a contemplare il Verbo che si fece Uomo per dare la Vita e la Luce agli uomini. Il Verbo ha voluto a sua caratteristica il nome di "Luce"21. Ha quasi battezzato Sé stesso di questo nome che è stato detto da Lui nel primo suo atto di ubbidienza al Padre: "La Luce sia!".
Il Verbo ha sempre ubbidito.
Il Padre gli disse: "Tu sarai Uomo perché Tu solo puoi istruire l'Umanità".
Il Verbo disse: "Sarò Uomo. La tua Volontà sia fatta"22.
Il Padre disse: "Tu morrai perché solo il tuo Sacrificio potrà redimere l'Umanità".
Il Verbo disse: "Io morrò. La tua Volontà sia fatta"23.
Il Padre disse: "E morrai sulla Croce perché per redimere il mondo non mi è sufficiente il sacrificio della tua vita fra ì dolori della morte per malattia".
Il Verbo disse: "E morirò sulla Croce. La tua Volontà sia fatta"24.
Passarono i secoli, e il Verbo, venuta la sua ora, si incarnò nel Seno della Vergine e nacque come tutti i nati d'uomo25; piccino, debole, incapace di parlare e di camminare; e crebbe lentamente come tutti i figli degli uomini, ubbidendo anche in questo al Padre che lo voleva soggetto alle leggi comuni26 per preservarlo dalle insidie di Satana e degli uomini, guatanti feroci in attesa del temuto Messia, e per prevenire le future obbiezioni dei negatori e degli eretici sulla vera Umanità del Figlio di Dio27.
Crebbe in sapienza e grazia, ubbidendo28.
Si fece uomo e operaio, ubbidendo. A Dio Padre, e ai parenti29.
Giunto al 30° anno divenne il Maestro per istruire l'Umanità, ubbidendo.
Passati tre anni e tre mesi, e giunta l'ora del morire, e di morte di Croce, ubbidì ripetendo: "La tua Volontà sia fatta"30.
E ubbidire sinché l'ubbidienza è soltanto di pensiero è facile ancora. Dire: "Tu farai..." E rispondere: "Io farò", avendo davanti anni fra l'ordine e l'esecuzione del medesimo - nel caso di Cristo: secoli - è ancora facile. Ma ripetere: "Sia fatta la tua Volontà" quando la Vittima ha già davanti tutti gli strumenti della Passione ed è l'ora di abbracciarli per compiere la volontà di Dio, è molto più difficile31.
Tutto ripugna alla creatura umana: il dolore, le offese, la morte. Nel caso di Cristo, anche il peso dei peccati degli uomini che si accalcavano su Lui, Redentore prossimo alla Redenzione. Ma Gesù ubbidì dicendo: "Sia fatta la tua Volontà" e morì sulla Croce dopo aver tutto sofferto e consumato32.
Questa l'ubbidienza nell'Increato.
Nel Creato33.
Gli elementi, che erano confusi nel caos, ubbidirono ordinandosi.
Ricordati qui le parole della Genesi, per non dire che il portavoce sente malamente34: " Dio creò il cielo e la terra, e la terra era informe e vuota, e le tenebre coprivano la faccia dell'abisso, e lo Spirito di Dio si librava sulle acque e Dio disse: "Sia fatta la Luce"35.
Aria, acqua, fuoco, luce, erano dunque fatti, ma non erano separati e ordinati.
Dio comandò loro di separarsi e di ordinarsi, secondo la legge che Egli dava loro, ed essi ubbidirono, e ubbidiscono da migliaia di anni, facendo il giorno e la notte, i mari e le terre, e lavorando, il fuoco, nelle vene del globo, a preparare i minerali dei quali l'uomo necessita.36
Ubbidienza nel Creato: Dio, dopo aver fatto il cielo, ossia gli strati dell'atmosfera, li sparse d'astri comandando loro di seguire una certa via immutabile, e gli astri ubbidirono.
Dio, dopo aver fatto la Terra, ossia dopo aver reso compatta e ordinata la materia, prima sparsa e confusa di polvere e di acque, creò le piante e gli animali della Terra e delle acque, e comandò loro di fruttificare e moltiplicare, ed animali e piante ubbidirono.
Poi venne l'uomo37, la creatura-re del creato, e Dio diede all'uomo comando di ubbidienza.
E l'ubbidienza dell'uomo avrebbe mantenuto la Terra allo stato di un Paradiso terrestre nel quale morte, fame, guerre, sventure, malattie, fatiche, sarebbero state ignorate; un giocondo soggiorno di pace e amore nell'amicizia di Dio sarebbe stata la vita dell'uomo sino al suo passaggio alla Dimora celeste, nel modo che lo fu per Maria Ss., che non morì, ma si addormì nel Signore e si svegliò sul suo Seno, bella e glorificata col suo spirito perfetto e con le sue carni senza colpa38.
E Satana non volle questa gioia dell'uomo, questa gioia di poco inferiore a quella degli angeli39 e con, a compenso della differenza fra gli angeli e gli uomini, la gioia dei figli avuti senza concupiscenza, che è sempre dolore, e senza dolore, frutto della concupiscenza40.
E l'uomo secondò il desiderio di Lucifero e disubbidì, portando a sé e ai suoi discendenti tutte le conseguenze della disubbidienza che non è mai buona e che crea sempre delle rovine41.
Da allora, da quando lo spirito dell'uomo si è inquinato con la disubbidienza, caratteristica di Satana, soltanto gli amanti di Dio sanno ubbidire42 e, su questo cardine che è lo spirito di ubbidienza, santificarsi.
L'ubbidienza, che sembra inferiore alle tre teologali virtù43, soltanto perché non è nominata neppure nelle quattro virtù cardinali44, è in realtà presente in tutte, inscindibile da tutte le virtù. Essa è come il sostegno su cui esse si appoggiano per crescere in voi.
Medita.
Come potete avere la Fede?
Ubbidendo a Dio che vi dice e propone di credere nelle sue verità e misteri, e ubbidendo a ciò che vi dice la S. Chiesa: Voce delle voci di Dio45.
Come potete avere la Speranza?
Anche qui ubbidendo a Dio il quale vi infonde questa virtù dicendovi che dovete sperare in Lui che vi darà gli aiuti e le misericordie sue per giungere alla Vita eterna e al suo possesso.
Come potete avere la Carità?
Ubbidendo al precetto dell'amore verso Dio e verso il prossimo.
Come potete avere la Prudenza?
Stando ubbidienti ai precetti di Dio e ai suoi consigli46 che hanno lo scopo di indirizzare ogni azione dell'uomo al suo giusto fine.
E come la Giustizia?
Ubbidendo alla Legge della morale soprannaturale la quale vi insegna a non fare agli altri, ciò che non si vorrebbe fatto a sé stessi47.
E come la Fortezza?
Ubbidendo eroicamente a Dio che sapete più grande di tutte le cose create, e per il Quale dovete essere disposti a tutto patire per conservarvi fedeli a Lui e possederlo per l'eternità; ubbidendo eroicamente con la sua promessa nel cuore: "Io sarò con voi nelle ore delle prove"48. Perché questo è ciò che promettono tutte le parole della Verità che bisogna saper capire nel loro spirito. Fare, e non temere. Dio è49 con gli ubbidienti al suo volere. I persecutori restano quaggiù. Oltre vita non vi raggiungono, o ubbidienti di Dio. E un giorno verrà in cui vi rivedranno e stupiranno vedendovi fra i benedetti.
E come potete avere la Temperanza?
Ancora per l'ubbidienza ai divieti santi di Dio e ai limiti messi a vostra salvezza per usare senza pericolo delle cose temporali.
Voi vedete che l'Ubbidienza, virtù taciuta, è in tutte le virtù. In tutte.
Ed ora che abbiamo fatto l'elogio dell'ubbidienza, meditiamo la S. Messa del Ss. Nome di Gesù.
Gesù ubbidì anche nell'assumere il Nome che il Padre voleva portato da Lui.
Non obbiettino gli uomini: "Certo che prese quel Nome, posto che era il Salvatore!"50.
Diranno forse anche: "Salvatore lo avevano già chiamato i profeti"51.
Gli uomini vogliono sempre sminuire le eroicità delle virtù dei santi, e perciò anche la perfetta eroicità del Santo dei Santi: Gesù, Figlio di Dio e di Maria.
Molti nomi erano nella lingua di Israele che avrebbero potuto servire a significare chi era il figlio di Maria. Poteva chiamarsi Eliseo, Joab, Gionata, Malachia, Mattia e Matatia, Zaccheo e Zebedeo, Natanaele e Uria, e Gioachino anche, perché il Signore Iddio innalzò il suo Verbo e sulla Croce e sul mondo e su tutte le creature52. E vi erano i nomi usati dai Profeti, sotto l'impulso dello Spirito Santo, per indicare il Verbo Incarnato53.
Perciò non è da dirsi che unicamente quel Nome Egli doveva assumere. Ma lo assunse perché così lo voleva il Padre suo. E Maria e Giuseppe, altri eroici ubbidienti, lo imposero al Bambino perché così "l'angelo lo aveva chiamato prima che Egli fosse concepito nel seno materno".
Cosa voglia dire "Gesù" già te l'ho spiegato, e con più ampia spiegazione di quella data comunemente dai dotti54. Ma alla potenza e giustizia di questo Nome tu ora puoi unire anche la cognizione di quale virtù cela. La santa ubbidienza presa a sua fedele compagna nelle grandi e piccole cose, e anche nel prendere il Nome da portare in eterno come Dio-Uomo.
Quel Nome davanti al quale si deve piegare ogni ginocchio in Terra, in Cielo, e nell'Inferno, ed ogni lingua deve confessare che il divino Signor Gesù Cristo è nella gloria del Padre.
Quel Nome che è ammirabile più di ogni altro portato da creatura55.
Quel Nome che opera miracoli e libera dai demoni col solo nominarlo, perché è il Potente nome dell'Onnipotente56. E che e quanto onnipotente sia, e che miracoli operi ad averlo fra voi, tu più volte ne hai esperimentato la verità e misura57.
Dire "Gesù" è già dire preghiera e supplica che il Padre dei Cieli non respinge mai.
Dire "Gesù" è vincere le forze avverse, quali che siano. Satana e i suoi neri ministri non possono tenere la preda se essa, o chi per essa, grida: "Gesù".
Lodiamolo, io e te, questo Nome, e lodiamo Gesù di dirlo e di volerlo re nelle case per ristabilire pace e gioia, ordine e amore là dove Lucifero ha sconvolto. Lo dice il Principe degli Apostoli, fatto ormai vero apostolo e maestro dal battesimo pentecostale: "Sia noto a voi tutti e a tutto il popolo d'Israele come in nome di Gesù Cristo Nazareno,... in virtù di questo Nome costui è sano davanti a voi... Non c'è altra salvezza. E non c'è altro Nome sotto il Cielo... in virtù del quale possiamo salvarci".
Il Nome dell'Ubbidiente sino alla morte, e morte di Croce58, è il nome vittorioso su tutto e sempre.
Anche oggi tu hai visto come in virtù dell'amore e del Nome di Gesù, colui che sai è sano davanti a chi prima lo sapeva malato. É liberato. Il Nome di Cristo tenga lontano da lui i ritorni del Male che odia coloro che vogliono vivere nella Legge di Dio59.
Che odia. Come ha odiato Maria e Giuseppe, aizzando tutto quanto poteva nuocere loro e dare loro dolore perché essi erano ubbidienti al Signore.
Che odia. Come ha odiato i tre Savi60, tanto da tentare che il loro ossequio si mutasse in danno al Fanciullo Divino e a loro stessi, ricercati da Erode, deluso e irritato del loro sfuggirgli.
Anche essi erano degli ubbidienti.
Hanno ubbidito alle voci dell'alto. Sempre. Sia quando queste voci dicevano loro: "Partite per adorare il nato Re dei Giudei", sia quando esse dicevano: "Non ripassate da Erode".
Hanno ubbidito e hanno meritato di piegare il ginocchio, primizie dei popoli tutti61, davanti al Cristo, davanti al Figlio di Dio e di Maria: Gesù.
Tutta ubbidienza è la vita di Cristo, e dei parenti e amici di Cristo.
L'ubbidienza pavimenta la via del Signore, e su essa Egli è passato, con sua Madre e con Giuseppe, dai primi attimi della sua vita terrena. Anzi, Pargolo incapace, su essa lo hanno portato coloro che per volere di Dio rappresentavano per Lui e presso di Lui Iddio: il Padre putativo e la Madre Vergine.
E se la Madre sapeva, per la Grazia onde era piena62, che non c'era da insegnare al Fanciullo le vie della Giustizia, Giuseppe, che non sapeva tutti i misteri che Maria serbava nel suo cuore63 ricorda qui la spiegazione avuta nel libro dell'Infanzia di Gesù Signor Nostro - da giusto qual era volle insegnare al Fanciullo sin dai primi bagliori dell'intelligenza che ubbidire si deve agli ordini di Dio, anche se questi ordini vogliono dire esilio, maggior povertà, dolore64.
E Maria, Sposa umile e prudente, secondò lo sposo, facendosi simile a lui presso il Fanciullo che, a sviare Satana, andava trattato come ogni altro piccolo figlio di uomo.
Che profondità di virtù in queste parole dette dopo le altre inerenti all'ubbidienza del nome da imporsi al Fanciullo! "E Giuseppe, alzatosi nella notte, prese il Bambino e la Madre e si ritirò in Egitto dove stette..." 65e nelle altre: "Ed egli, alzatosi, prese il Bambino e la Madre e tornò in terra di Israele... e avvertito in sogno si ritirò in Galilea..."66.
Ubbidienza pronta e assoluta, tanto da non rispondere parola per discutere, tanto da neppur attendere il mattino per metterla in pratica. E ciò non solo la prima volta, quando il ritardo di un'ora poteva dire anche "morte" per il Bambino, ma anche la seconda volta, quando meno urgente era la partenza, quando, anzi, lasciare la città ospitale voleva dire perdere nuovamente i clienti, e perciò gli utili e quel minimo che col lavoro si era nuovamente rifatto. Giuseppe non sapeva cosa avrebbe trovato tornando in patria. Ma parte, perché Dio lo vuole, e va dove Dio lo vuole.
Aveva dubitato una sola volta Giuseppe, e di una creatura67. Mai di Dio.
Ora, progredito nella virtù per la vicinanza di Maria68, non dubiterebbe, non dubita, anzi, più neppure delle creature. Accetta tutto. E dice a sé stesso: "Mi fido dell'Altissimo. Egli conosce i cuori degli uomini e salverà me dalle insidie dei mentitori e degli empi".
Riguardo alle voci del Cielo non ha mai dubitato e non dubita69. E va.
Imitate l'ubbidienza degli eletti e dei Prediletti che appare luminosa dalle due sante Messe di oggi e dalla ricorrenza di domani.
Chi sa ubbidire regnerà70. Perché se la carità è Dio, l'ubbidienza è segno di figliolanza da Dio71.
Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo».
Bene, avete ora conosciuto meglio Azaria72, l’Angelo custode di Maria Valtorta che l’ha assistita in tutta la sua missione integrando gli insegnamenti che la mistica già riceveva da Gesù, dallo Spirito Santo, dalla stessa Maria SS., nonché da santi come San Paolo, San Giovanni ed altri ancora.
Di Azaria – alla conclusione di un mio studio durato molti mesi sulle sue ‘lezioni’73 - mi aveva colpito una sua frase conclusiva: ‘Non è sufficiente avere il Battesimo e gli altri divini aiuti per essere salvi e gloriosi, ma ci vuole la buona volontà. Perché il possesso del Regno eterno non è dono gratuito ma è conquista individuale mediante lotta continua. Dio aiuta… ma è l’uomo che deve volere il Cielo. Il libero arbitrio non è lasciato per la rovina dell’uomo; se lo fosse, solo per questo Dio avrebbe fatto un dono non buono all’uomo, e Dio non fa cose non buone. Ma è stato lasciato anche e soprattutto per volere la salvezza, ossia il Cielo, ossia Dio.’
La prossima riflessione sarà dedicata a:
12. IL SETTIMO DISCORSO DELLA MONTAGNA NELLA SOSTA DEL SABATO:
AMARE LA VOLONTA’ DI DIO (03 di 3)

1  M.V.: ‘I Quaderni del 1944’ – Dettato 16 marzo 1944 – Centro Editoriale Valtortiano
2  Nota Editore: ‘Dice Paolo’ in Ebrei 5, 7-9, accanto alla data la scrittrice aggiunge il rinvio a Ebrei
5, 7.8.12.14; 6, 1.4.6.8.
3  Nota dell’Editore: Il sangue, quello sparso a causa della seconda guerra mondiale, allora in corso.
4  N.d.A.: A chi anzi interessasse una interpretazione autentica del significato di quel ‘non ci indurre in tentazione’ – vi cito quanto Gesù ebbe a chiarire agli apostoli quando in occasione della seconda Pasqua della sua vita pubblica insegnò loro la preghiera del Padre Nostro, soffermandosi su ogni frase dello stesso.
Al riguardo – dopo aver chiarito il senso esatto del ‘Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori’, Gesù (riferendosi ad una precedente domanda di Giuda Iscariote il cui nome però non menziona) - continuò…: «“Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal Maligno”. L'uomo che non ha sentito il bisogno di spartire con noi la cena di Pasqua mi ha chiesto, or è men di un anno: “Come? Tu hai chiesto di non essere tentato e di essere aiutato, nella tentazione, contro la stessa?”. Eravamo noi due soli... e ho riposto. Eravamo poi in quattro, in una solitaria plaga, ed ho risposto ancora. Ma non è ancora servito, perché in uno spirito tetragono occorre fare breccia demolendo la mala fortezza della sua caparbietà. E perciò lo dirò ancora una, dieci, cento volte, fino a che tutto sarà compiuto. Ma voi, non corazzati di infelici dottrine e di ancora più infelici passioni, vogliate pregare così. Pregate con umiltà perché Dio impedisca le tentazioni. Oh! l'umiltà! Conoscersi per quello che si è! Senza avvilirsi, ma conoscersi. Dire: "Potrei cedere anche se non mi sembra poterlo fare, perché io sono un giudice imperfetto di me stesso. Perciò, Padre mio, dammi, possibilmente, libertà dalle tentazioni col tenermi tanto vicino a Te da non permettere al Maligno di nuocermi". Perché, ricordatelo, non è Dio che tenta al Male, ma è il Male che tenta. Pregate il Padre perché sorregga la vostra debolezza al punto che essa non possa essere indotta in tentazione dal Maligno…’.
5  M.V.: ‘I Quaderni del 1945-1950’ – 12.4.45 – pag. 315 - Centro Editoriale Valtortiano
N.d.A.: Una curiosità: nel caso specifico la mistica sentendo nel suo spirito le prime parole ha iniziato a trascriverle dicendo ‘Dice Gesù’, salvo poi accorgersi ad un certo punto dal contenuto che a parlare era il Padre. Anche in altre occasioni si era verificato il caso che Gesù iniziasse a parlare e che poi il discorso venisse continuato senza soluzione di continuità dal Padre o dallo Spirito Santo, il che si comprendeva - come in questo caso - dal senso del Dettato. Non bisogna infatti dimenticare che Padre, Figlio e Spirito Santo sono tre diverse Persone che costituiscono una ‘Unità’ per cui dove è Uno sono presenti anche gli Altri.
6  M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – 21/28.5.1948 – Ai Romani c. VII v. 14-25 – C.E.V.
7  Gn 2, 18-25. Gesù conferma qui il racconto della Genesi, realtà storica e non racconto mitologico.
8  Genesi 3, 8
9  N.d.A.: Gesù riconferma qui il racconto della Genesi, Gn 2, 18-25
10  vedi: Ebrei 10, 5-7.
11  vedi: Filippesi 2, 5-11.
12  M.V.: ‘Libro di Azaria’ – Cap. 38 – 3 novembre 1946 – Centro Editoriale Valtortiano
13  M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – 7.7.43 – Centro Editoriale Valtortiano
14  Lc 22, 39-46
15  N.d.A.: M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – Dettato 3.11.43 – Centro Editoriale Valtortiano
16  M.V.: ‘Libro di Azaria’ – Cap. 47 – 5 gennaio 1947 – Centro Editoriale Valtortiano
17  Cioè fede, speranza, carità; vedi: Ia Corinti 13.
18  vedi: Genesi 1, 1-5. Raduniamo qui, per illuminare il contesto, ciò che si riferisce al Figlio di Dio fatto Uomo, chiamato Luce: Matteo 4, 12-17; Giovanni 1, 1-9; 3, 19-21; 8, 12; 9, 1-5; 12, 35-46; Ia Timoteo 6, 11-16; Ia Giovanni 1, 5 - 2, 11; Apocalisse 21, 22 - 22, 5.
19  vedi: Giovanni 1, 1-9.
20  Dio è l'Inconoscibile; vedi: Esodo 33, 18-23; Giovanni 1, 18; 6, 44-46; Ia Giovanni 4, 12. Tuttavia egli parla, si è manifestato, si manifesta nei suoi servi, ad essi, per mezzo di essi; vedi, per esempio, a riguardo di Mosè: Esodo 34, 29-35, Deuteronomio 34, 10-12; Ecclesiastico 44, 27 - 45, 6 (LXX: 45, 1-5); specialmente nel suo Cristo, a Lui, per mezzo di Lui, vedi: Matteo 11, 25-27; Giovanni 1, 18; 14, 8-10; Atti 17, 22-31; Colossesi 1, 13-20; Ebrei 1, 14; ecc.; e sino alla fine del mondo, nella sua Chiesa, ad essa, e per mezzo di essa: soprattutto in quanto essa è sacramento, cioè segno e strumento di salvezza, e si esprime attraverso il suo consenso universale, manifestato in tanti modi e specialmente mediante il Papa definiente da solo o con il Concilio Ecumenico, vedi n. 22 (p. 371).
21  vedi: Giovanni 1, 9; 8, 12; 12, 46.
22  vedi: Ebrei 10, 5-7.
23  vedi: Filippesi 2, 5-11.
24  vedi: Filippesi 2, 5-11; Ebrei 10, 5-10, ecc.
25  Come è chiaro dal contesto, la formula «nacque come tutti i nati di uomo», non si riferisce al modo del parto, ma alla condizione del partorito: cioè non afferma che Maria, partorendo Gesù, abbia perduto la sua verginale integrità, ma afferma che il Bambino Gesù, una volta nato, si è comportato «come tutti i figli degli uomini». Vedi: Romani 8, 14; Galati 4, 1-7; Ebrei 4, 14-16.
26  vedi n. 9; e inoltre: Luca 2, 1-7, 22-24, 39-40, 51-52.
27  Allusione alle eresie, protrattesi per secoli, degli gnostici, dei manichei, dei cátari, di varie specie, ma tutti concordi nel negare la realtà della carne di Cristo e nel riconoscergli un corpo soltanto fantastico, apparente. Ritenevano, infatti, che la materia, e perciò anche la carne umana, non provenisse da Dio o comunque da un principio buono, ma provenisse da Satana o comunque da un principio cattivo.
28  come la n. 10.
29  vedi: Luca 2, 51-52.
30  vedi: Matteo 26, 36-46; Marco 14, 32-42; Luca 22, 39-46; Ebrei 5, 7-10.
31  Rileggere i brani evangelici indicati nella precedente nota, e riflettere che Gesù, nell'orto degli ulivi, prossimo ormai a morire, grondò sangue: Luca 22, 44.
32  vedi: Matteo 27, 45-50; Marco 15, 33-39; Luca 23, 44-46; Giovanni 19, 28-30.
33  Nessuno si meravigli se questo scritto valtortiano segue con molta fedeltà, e prende molto alla lettera, il testo biblico della Genesi. Non differentemente, secondo i Santi Evangeli, si comportò Gesù, Divino Maestro; vedi: Matteo 12, 38-42; 16, 1-4; 19, 1-9; Marco 10, 1-12; Luca 11, 29-32, ecc.; vedi inoltre: Poema I, p. 175, n. 4; pp. 290-291, nn. 17-21; Il, p. 119, n. 11; p. 164, n. 3; p..238, n. 3; p. 432, n. 4; p. 502, n. 5; 111, p. 24, n. 3; p. 115, n. 3; IV, p. 625, n. 10; p. 659, n. 1; p. 778, n. 3; p. 1113, n. 1; VIII, p. 90, n. 23; p. 192, n. 22; p. 195, n. 32; p. 196, n. 33; IX, p. 192, n. 7; X, p. 313, n. 4.
34  vedi: 7 aprile 1946, n. 31 (p. 52).
35  vedi: Genesi 1, 1-5.
36  N.d.A.: Il calcolo matematico-probabilistico dice che è praticamente nulla la probabilità che l’universo si sia formato ‘da solo’ e ‘per caso’. L’Angelo Azaria nel dire qui che Dio ‘comandò agli elementi separati e confusi delle origini di separarsi e ordinarsi secondo le Leggi che Egli dava loro’, esprime in maniera semplice e poetico-letteraria il concetto di un Universo governato da Leggi immutabili, scientifiche ed intelligentissime. A questo riguardo ricordo che Grichka Bogdanov - in ‘Dio e la scienza’, (J. Guitton- G. Bogdanov - I. Bogdanov, Bompiani Editore) aveva fatto una riflessione che mi aveva molto colpito perché, su di un piano di calcolo matematico-probabilistico, aveva confutato la tesi sulla quale hanno bazzicato per anni molti 'atei' materialisti i quali, non volendo spiegare la creazione dell'universo con un atto 'creativo', che significa appunto ammettere Dio, l'hanno attribuita - senza peraltro sostenerla con alcuna prova se non con la sicurezza della loro asserzione - ad un fatto 'casuale'.
'...Qui - osservava appunto Grichka Bogdanov - tocchiamo un mistero profondo. Non dimentichiamo che l'intera realtà si fonda su un numero molto piccolo di costanti cosmologiche: sono meno di quindici, la costante gravitazionale, la velocità della luce, lo zero assoluto, la costante di Planck, ecc. Noi conosciamo il valore di ognuna di queste costanti con precisione notevole. Ora se una sola di queste costanti fosse modificata anche di poco, allora l'universo - almeno quale noi lo conosciamo - non avrebbe potuto apparire. Un esempio significativo è costituito dalla densità iniziale dell'universo: se questa densità si fosse allontanata anche di pochissimo dal valore critico che ha assunto a partire da 10 -35 secondi dopo il Big-Bang, l'universo non si sarebbe potuto formare'. 'Un altro esempio - continuava poi Grichka - di questa fantastica regolazione: se aumentassimo dell'uno per cento appena l'intensità della forza nucleare che controlla la coesione del nucleo atomico, elimineremmo la possibilità che i nuclei di idrogeno hanno di restare liberi: questi si combinerebbero con altri protoni e neutroni per formare dei nuclei pesanti. A partire da tale momento, visto che l'idrogeno non esisterebbe più, non potrebbe nemmeno combinarsi con gli atomi di ossigeno per formare l'acqua che è indispensabile alla nascita della vita. Se al contrario diminuiamo leggermente la forza nucleare, allora è la fusione dei nuclei di idrogeno a diventare impossibile. E senza fusione nucleare non ci sono più soli, fonti di energia, vita'.
Igor Bogdanov aggiungeva da parte sua che lo stesso ragionamento vale anche modificando i parametri della forza elettromagnetica che squilibrerebbero i rapporti fra gli elettroni ed il loro nucleo come pure le reazioni chimiche che risultano dal trasferimento degli elettroni verso altri nuclei, impedendo la formazione di una grande quantità di elementi per cui, in un universo siffatto, le molecole stesse del 'Dna' non avrebbero alcuna possibilità di comparire. Infine la forza di gravità: 'se questa fosse stata appena un po’ più debole al momento della formazione dell'universo, le nubi primitive di idrogeno non avrebbero mai potuto condensarsi per raggiungere la soglia critica della fusione nucleare: le stelle non si sarebbero mai accese...
Igor concludeva: 'In realtà, quali che siano i parametri considerati la conclusione è sempre la stessa: se si modifica anche di poco il loro valore, si preclude ogni possibilità allo sbocciare della vita. Le costanti fondamentali della natura e le condizioni iniziali che hanno permesso l'apparizione della vita sembrano quindi regolate con una straordinaria precisione. Ancora un'ultima cifra: se il tasso di espansione dell'universo all'inizio avesse subito uno scarto dell'ordine di 10-40 la materia iniziale si sarebbe sparpagliata nel vuoto. L'universo non avrebbe potuto dare origine alle galassie, alle stelle, alla vita. Per dare un'idea della precisione incredibile con la quale sembra che l'universo sia stato regolato, basta immaginare la prodezza che dovrebbe compiere un giocatore di golf per riuscire, tirando dalla Terra, a far entrare la palla in una buca situata da qualche parte sul pianeta Marte...'
'E allora - continuava Jean Guitton - queste cifre non possono che rafforzare la mia convinzione: né le galassie e i loro miliardi di stelle, né i pianeti e le loro forme di vita che contengono, sono un accidente o una semplice 'fluttuazione del caso'. Noi non siamo comparsi 'così', un bel giorno piuttosto che un altro, perché una coppia di dadi cosmici sono rotolati sul lato giusto. Lasciamo queste considerazioni a coloro che non vogliono aver nulla a che fare con la verità dei numeri...'
‘E' un fatto - concludeva Igor - che il calcolo delle probabilità depone a favore di un universo ordinato, minuziosamente regolato, la cui esistenza non può essere generata dal caso... la probabilità matematica che l'universo sia stato generato dal caso è praticamente nulla'.
37  N.d.A.: vedi: Genesi 1, 26 - 2, 25.
38  Secondo questo scritto valtortiano, Maria SS.ma non morì, poiché temporaneamente l'anima di Lei si separò dal corpo, non però per morte, ma per altissima estasi (vedi: IIa Corinti 12, 14), e quindi si riunì al corpo: e così la Vergine Madre e socia del Redentore fu simile a Lui nella piena e sollecita glorificazione di tutta la sua persona, cioè in anima e corpo, e senza attendere la fine del tempo. Vedi: Poema X, p. 338, n. 71; p. 347, n. 1.
39  Allusione a: Salmo 8
40  Per capir bene queste affermazioni è opportuno notare quanto segue:
a) La parola «concupiscenza» è anche biblica, e denota un movimento, una attrattiva, una tendenza, una spinta della persona, considerata anche o soprattutto nel suo elemento sensibile, verso un bene dilettevole: per esempio, Dio, la sapienza la virtù, l'arte, il cibo, il senso, altri beni.
b) Se questa concupiscenza è guidata, regolata, dalla retta ragione, e molto più dalla carità diffusa nel cuore dallo Spirito Santo (Romani 5, 3-5; 8, 5-10), allora è buona, e magari santa e meritoria del premio eterno; vedi, per esempio: Salmo 83 (ebraico 84), 2-3; Sapienza 6, 18-22 (LXX: 17-21); Ia Pietro 2, 1-3.
c) Se, invece, la concupiscenza non è guidata, regolata dalla retta ragione, e molto più dalla carità diffusa nel cuore dallo Spirito Santo, allora non è meritoria del premio eterno, non è santa, non è buona, ma è cattiva, peccaminosa, demeritoria; vedi, per esempio: Esodo 20, 17; Deuteronomio 7, 25; Sapienza 15, 4-6; Ecclesiastico 23, 4-6; Daniele 13; Matteo 5, 27-30; Ia Corinti 10, 1-13; Colossesi 3, 5-9; Giacomo 1, 13-15; Ia Giovanni 2, 15-17.
d) In italiano, che è la lingua di questo scritto valtortiano, per « concupiscenza » s'intende non quella buona ma quella cattiva, cioè non quella regolata ma quella sregolata: e così l'intende anche, scrivendo in latino, S. Tommaso quando annovera la « concupiscenza » tra le quattro ferite inferte dal peccato alla natura umana; vedi: Summa theologica, Prima secundae, quaestio 85, articulus 3: « Utrum convenienter ponantur vulnera naturae ex peccato consequentia, infirmitas, ignorantia, malitia et concupiscentia ».
e) Alla luce di tutto ciò, si capisce il senso e l'esattezza di quanto si legge in questo scritto valtortiano: « E satana non volle questa gioia dell'uomo, ... la gioia dei figli avuti senza concupiscenza che è sempre dolore, e senza dolore frutto della concupiscenza ». Satana, infatti, indusse l'uomo e la donna al peccato; e dal peccato procedette la concupiscenza (cattiva): l'uomo e la donna, prima dei peccato (= in stato di innocenza originale) avrebbero concepito e generato i figli nello stesso modo in cui li concepiscono e generano anche oggi, ma senza concupiscenza (= libidine) e senza dolore.
Questa è dottrina di S. Tommaso d'Aquino, Summa theologica, Pars prima, quaestio 98, articulus 2: « Utrum in statu innocentiae fuisset generatio per coitum »; e S. Tommaso si basa sull'altro grande Dottore della Chiesa S. Agostino, di cui riporta vari brani appartenenti al De Civitate Dei, liber XIV, cap. 26. L'articolo di S. Tommaso è un modello di dignità, solidità, e chiarezza.
41  vedi: Genesi 3; Sapienza 2, 23-24; Romani 5, 12-21.
42  vedi, per esempio: Genesi 22 (Abramo); Matteo 2 (Giuseppe, Magi): Luca 1, 26-38 (Maria SS.ma); Atti 5, 17-33 (Apostoli); Romani 5, 12-21; Filippesi 2, 5-11; Ebrei 10, 1-10 (Gesù); e, in genere, tutte le biografie autentiche dei Santi.
43  Cioè della fede, speranza, carità; vedi: Ia Corinti 13.
44  Cioè: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza.
45  Che la S. Chiesa sia «Voce delle voci di Dio», è espressione chiarissima ed esattissima, sia che per Chiesa s'intenda:
a) l'universalità dei pastori e dei fedeli, di un tempo o di tutti i tempi; vedi: CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica su la Chiesa, Lumen gentium, n. 12;
b) il Papa, bocca della Chiesa universale; vedi: PIUS XI, Litterae encyclicae Casti Connubii, 1931, in DENZINGER-SCHÖNMETZER, Enchiridion symbolorum..., n. 3717: «... Ecclesia catholica, cui ipse Deus morum integritatem honestatemque docendam et defendendam commisit, ... altam per os nostrum extollit vocem atque denuo promulgat...»;
c) il Papa con il Concilio ecumenico, espressione della fede e dottrina della Chiesa universale; vedi: PIUS IX, Constitutio dogmatica I de Ecclesia Christi, Pastor aeternus, in DENZINGER-SCHÖNMETZER, op. cit., n. 3069: « Romani ... Pontifices, prout temporum et rerum condicio suadebat, nunc convocatis oecumenicis Conciliis aut explorata Ecclesiae per orbem dispersae sententia, nunc per Synodos particulares, nunc aliis, quae divina suppeditabat providentia, adhibitis auxiliis, ea tenenda definiverunt, quae Sacris Scripturis et Apostolicis Traditionibus consentanea, Deo adiutore, cognoverant».
Riportiamo qui, a conclusione, un brano dell'ispirato discorso pronunciato dal grande Pio XII, subito dopo la definizione dogmatica dell'Assunzione di Maria SS.ma, in anima e corpo, alla gloria celeste: forse nessun altro testo dimostra così bene come la Chiesa sia «Voce delle voci di Dio». Riprendiamo il testo da A. TONDINI, Le Encicliche Mariane, 2a ed. Roma, Belardetti, 1954, pp. 640-641; conforme a quello di Acta Apostolicae Sedis, vol. 42 (1950), pp. 780:
«... Da lungo tempo invocato, questo giorno è finalmente Nostro; è fìnalmente vostro. Voce dei secoli - anzi, diremmo, voce della eternità - è la Nostra, che, con l'assistenza dello Spirito Santo, ha solennemente definito l'insigne privilegio della Madre celeste. E grido dei secoli è il vostro, che oggi prorompe nella vastità di questo venerando luogo, già sacro alle glorie cristiane, approdo spirituale di tutte le genti, ed ora fatto altare e tempio per la vostra traboccante pietà. Come scosse dai palpiti dei vostri cuori e dalla commozione delle vostre labbra, vibrano le pietre stesse di questa patriarcale Basilica, e insieme con esse pare che esultino con arcani fremiti gl'innumerevoli e vetusti templi, innalzati per ogni dove in onore dell'Assunta, monumenti di un'unica fede e piedistalli terrestri del trono celeste di gloria della Regina dell'universo. In questo giorno di letizia, da questo squarcio di cielo, insieme con l'onda dell'angelica esultanza, che si accorda con quella di tutta la Chiesa militante, non può non discendere sulle anime un torrente di grazie e d'insegnamenti, suscitatori fecondi di rinnovata santità...».
Da questo brano, manifestamente scritto sotto ispirazione, appare davvero come la Chiesa sia «Voce delle Voci di Dio»: Voce dell'eternità (= Voce di Dio), onda dell'angelica esultanza, che si accorda con quella di tutta la Chiesa militante, voce o grido dei secoli, di questa Basilica, di tutti i templi dedicati all'Assunta ...: la voce della Chiesa è voce di Dio e di tutto il Suo popolo.
46  Sui consigli evangelici, vedi: CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica su la Chiesa, Lumen gentium, cap. VI, 1 Religiosi, nn. 43-47; Decreto sul rinnovamento della vita religiosa, Perfectae caritatis, con le fonti bibliche ecc. ivi indicate.
47  vedi: Matteo 7, 12; Luca 6, 31; (e anche: Matteo 5, 38-48; Luca 6, 27-35); Romani 13, 8-10.
48  Probabile allusione a quanto si dice nei seguenti contesti: Matteo 28, 16-20; Luca 22, 28-30; (Giovanni 14, 15-18).
49  vedi: Sapienza 1, 16 - 5, 23; in particolare: 5, 1-5; Matteo 25, 31-46.
50  vedi: Matteo 1, 18-25; Atti 4, 5-12; il nome di Gesù significa « Jahvé salva o, che è lo stesso, « Dio salva ».
51  vedi: Poema VI, p. 718, n. 1; VII, p. 1672, n. 4; p. 1861, n. 9; VIII, p. 278, n. 3; IX, p. 225, n. 93; p. 228, n. 104; p. 308, n. 15; p. 368, n. 54.
52  vedi: Giovanni 3, 14-18; 12, 28-32; Filippesi 2, 5-11.
53  Probabile allusione a: Isaia 9, 6-7 (originale: 5-6); (Zaccaria 9, 9-10).
54  vedi nn. 33 e 34
55  vedi: Filippesi 2, 5-11.
56  vedi: Marco 16, 14-20; Atti 3, 1 - 4, 22.
57  Nel nome di Gesù, secondo la promessa di Lui ai veri credenti (vedi: Marco 16, 14-18), Maria Valtorta si oppose più volte al nemico di Dio e suo, ed ottenne segnalati favori; vedi: Autobiografia, passim.
58  vedi: Filippesi 2, 5-11.
59  Questa allusione forse diverrà più chiara con la pubblicazione del copioso Epistolario.
60  Si riferisce ai Magi; vedi: Matteo 2, 1-18.
61  Anche S. Agostino chiama i Magi nello stesso modo, dicendo: «... Magi ... erant primitiae Gentium, nos populus Gentium»; vedi: MIGNE, Patrologia Latina, tom. 38, col. 1028; dove vien presentato come Sermo CC, In Epiphania Domini, II; alias de Tempore 30. Il Corpus Christianorum non ha ancora (1970) edito criticamente i Sermoni sul Nuovo Testamento, scritti dallo stesso Agostino.
62  vedi: Luca 1, 26-38.
63  vedi: Matteo 1, 18-25; Luca 2, 15-20, 51-52.
64  vedi: Matteo 2, 13-23; Luca 2, 33-35.
65  vedi: Matteo 2, 13-18.
66  vedi: Matteo 2, 19-23.
67  vedi: Matteo 1, 18-25.
68  Identico concetto in: LEO XIII, Litterae encyclicae Quamquam pluries, 1889, in. A. TONDINI, Le Encicliche Mariane, 2a ed. Roma, Belardetti, 1954, pp. 114-116: «... quia intercessit Iosepho cum Virgine beatissima maritale vinculum, ad illam praestantissimam dignitatem, qua naturis creatis omnibus longissime Deipara antecellit, non est dubium quin accesserit ipse, ut nemo magis ». E dal contesto appare che tale «dignitas» è collegata con la «gratia, sanctitas». Perciò, essendo padre putativo di Gesù e sposo della Vergine Madre di Dio, Giuseppe progredì in grazia, santità e dignità, fino a diventare inferiore soltanto a Maria (vedi: Ia Corinti 7, 14, quanto al concetto che la donna santa santifica, con il suo contatto, il marito).
69  Bastava, infatti, che un Angelo parlasse, sia pure in sogno, a Giuseppe, perché lui prontamente ubbidisse; vedi: Matteo 1, 18-2,23.
70  Può darsi che questa asserzione alluda a Proverbi 21, 28 secondo il suono delle parole della Volgata (cioè della versione latina della Bibbia, curata da S. Girolamo). Ma, sicuramente, si può rimandare a: Romani 5, 12-21; Filippesi 2, 5-11; Ebrei 5, 5-10, testi dai quali appare che Gesù, perché obbediente, è stato glorificato ed è divenuto, per tutti coloro che gli obbediscono, principio di eterna salvezza, e perciò di conglorificazione: glorificazione e conglorificazione che, appunto, significa regnare e corregnare; vedi: IIa Timoteo 2, 8-13.
71  vedi, per la carità che è Dio: la Giovanni 4, 7-16; per l'ubbidienza segno di figliolanza di Dio, vedi, quanto ad alcuni elementi: Galati 4, 1-11; Efesini 6, 19; Colossesi 3, 18 - 4, 1: Ia Pietro 3, 1-7.
72  N.d.A.: Su Azaria, vedere le splendide ‘lezioni’ – cinquantuno per la regola – che Egli impartisce alla mistica contenute editorialmente nel ‘Libro di Azaria’ del Centro Editoriale Valtoriano
73  N.d.A.: M.V.: ‘Il libro di Azaria’ – Centro Editoriale Valtortiano.
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