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7. IL QUINTO DISCORSO DELLA MONTAGNA: L’USO DELLE RICCHEZZE, L’ELEMOSINA, LA FIDUCIA IN DIO.

7.1. Gesù: «I tesori della Terra non durano. Ma i tesori del Cielo sono eterni…, fatevi delle borse in Cielo. Voi, quando fate l’elemosina, non suonate la tromba davanti a voi per attirare l’attenzione del passante ed essere onorato come gli ipocriti che vogliono l’applauso degli uomini. Non siate in pensiero per quello che mangerete per sostenervi nella vita…, sapete che il Padre sa i vostri bisogni e che vi ama. Fidate dunque in Lui».

I giorni, in quelle bellissime giornate di primavera, passano sereni.
Nel valloncello della collina del ‘Discorso della montagna’ Gesù - vista al lago, spalle al monte, in piedi su una sporgenza di roccia che consente a tutti di vederlo, alto nella sua persona maestosa, nella sua veste azzurra - parla alla folla come è sua abitudine accompagnandosi con ampi e lenti gesti delle braccia.
Certo avrete cercato di immaginarvi il volto, l’aspetto, la figura di Gesù, il suo modo di parlare, il portamento.
Quanto al modo di parlare ve ne sarete già fatti una idea leggendo i suoi discorsi fino ad ora.
Ma il resto?
Anche a costo di andare fuori tema, rispetto a quello specifico di questo 'Discorso della Montagna', vi vorrei parlare ora per qualche pagina dell'Uomo-Gesù perché ciò vi renderà più facile immaginarvelo fisicamente nella vostra mente quando Egli terrà i successivi discorsi, fatto che vi consentirà una migliore immedesimazione e 'famigliarità' con Lui.
È sempre più facile 'intendersi' con una persona di cui si conosca non solo il pensiero ma anche il volto, no?
Gesù – nelle descrizioni di Maria Valtorta - era un bell’uomo, alto, di costituzione robusta, fine nel volto e pur molto virile.
Dall’Evangelo valtortiano, si capisce da qualche piccolo particolare che – essendo virilmente bello – era ammirato anche dalle donne, che per altro Egli in quanto tali ignorava poiché la sua virilità era del tutto casta e perché Egli – privo di Peccato originale – era esente da fomiti di natura sensuale che come noto sono una conseguenza di quel Peccato.
Era insomma l’uomo perfetto, quale avrebbe dovuto essere l’Adamo originario se non avesse acconsentito al peccato.
Nell’Opera valtortiana la mistica lo descrive in più di una occasione: dalle circostanze in cui parlava e si mostrava nella sua normalità di uomo, a quelle in cui sprigionava potenza divina dal suo sguardo magnetico, uno sguardo che – quando il suo Verbo interiore desiderava manifestarsi per le esigenze della missione - esprimeva soggezione, talvolta timore, per arrivare anche a paralizzare i nemici che volevano assalirlo, tanto i suoi occhi erano folgoranti.
Aveva una bella voce dal timbro tenorile ed appariva anche molto intonato come aveva osservato una volta la mistica Valtorta quando – durante una solenne festività religiosa a Gerusalemme – lo aveva visto (e sentito) cantare dei salmi mentre era diretto al Tempio alla guida del suo gruppo di dodici apostoli tutti vestiti per l’occasione con abiti eleganti e che cantavano anch’essi.
La mistica ce lo ha descritto anche nei momenti umanamente peggiori della sua vita, come nell’ultimo anno della sua predicazione quando - esausto per i continui viaggi che duravano ormai da quasi tre anni con notevoli disagi fisici ma soprattutto stanco dell’odio che sentiva montare intorno a sé e per lo sconforto nel vedere quanto poco seguito riuscisse ad avere da parte dell’Israele che contava - le sue spalle si mostravano a momenti più curve, il suo volto più pallido, gli occhi incavati, il colorito tanto più esangue quanto più si avvicinava al momento in cui Egli sapeva nella sua preveggenza che sarebbe salito sul Calvario e su una Croce.
Ecco comunque come ce lo descrive la nostra mistica, facendo anche qualche raffronto con Maria SS. (i grassetti sono miei):1
«… Capelli divisi alla metà del capo e ricadenti in lunghe ciocche sino alle spalle.
Ondulati per un buon palmo, poi terminanti in vero ricciolo.
Lucidi, sottili, ben ravviati, di un colore biondo acceso che specie nel ricciolo finale ha decise tonalità di rame.
Fronte molto alta, bellissima, liscia come una fascia, dalle tempie lievemente incavate sulle quali le vene azzurrine mettono lievi ombre d’indaco trasparendo sotto la pelle bianchissima, di quel bianco speciale di certi individui di capelli rosso-biondi: un bianco di latte di una sfumatura appena tendente all’avorio ma con un “che” lievissimo di azzurrino, pelle delicatissima che pare di petalo di camelia candida, così fina che ne traspare la più lieve venuzza e così sensibile che ogni emozione vi si disegna con pallori più intensi e rossori vivi.
Ma Gesù io l’ho veduto sempre pallido, appena un poco tinto dal sole, preso liberamente nel suo treenne andare per la Palestina. Maria invece è più bianca perché è stata più ritirata in casa, ed è di un bianco più rosato. Gesù è di un bianco avorio con quel lieve riflesso all’azzurro.
Naso lungo e dritto, con appena una lieve curva in alto, verso gli occhi, un bellissimo naso sottile e ben modellato.
Occhi incassati, bellissimi, del colore che ho tante volte descritto di zaffiro molto scuro.
Sopracciglia e ciglia folte, ma non troppo, lunghe, belle, lucide, castano scure ma con una microscopica scintilla d’oro al vertice di ogni peluzzo.
Quelle di Maria sono invece di un castano chiarissimo, più sottili e rade. Forse appaiono tali perché tanto più chiare, così chiare da esser quasi bionde.
Bocca regolare, tendente al piccolo, ben modellata, somigliantissima a quella della Madre, dalle labbra giuste di grossezza, né troppo sottili da parere serpentine, né troppo pronunciate. Al centro sono tonde e accentuate in bella curva, ai lati quasi scompaiono facendo apparire più piccola che non sia la bocca bellissima di un rosso sano che si apre sulla dentatura regolare, forte, dai denti piuttosto lunghi e bianchissimi.
Quelli di Maria sono invece piccini ma regolari e uniti ugualmente. Guance magre ma non scarne. Un ovale molto stretto e lungo ma bellissimo, dagli zigomi né troppo salienti né troppo sfuggenti.
La barba, folta sul mento e bipartita in due punte crespute, circonda, ma non copre, la bocca sino al labbro inferiore… e sale sempre più corta verso le guance dove, all’altezza degli angoli della bocca, diviene corta corta, limitandosi a mettere un’ombra come di spolveratura di rame sul pallore delle guance.
Essa è, dove è folta, di un color rame scuro: un biondo-rosso scuro.
E così sono i baffi non molto folti e tenuti corti, di modo che coprono appena il labbro superiore fra il naso e il labbro e si limitano agli angoli della bocca.
Orecchie piccole ben modellate e molto unite al capo. Non sporgono affatto…».
Insomma, riassumendo i tratti del volto di Gesù come più estesamente li descrive la mistica potremmo ora fare il seguente ‘identikit’:
Capelli divisi alla metà del capo, in lunghe ciocche sino alle spalle, ondulati per un buon palmo, terminanti in un vero ricciolo.
Colore dei capelli biondo acceso tendenti al ramato verso il ricciolo finale.
Fronte molto alta, bellissima.
Carnagione bianca appena tendente all’avorio, colorito sempre pallido, appena un poco tinto dal sole.
Naso lungo e diritto.
Occhi incassati, bellissimi, color zaffiro molto scuro.
Sopracciglia e ciglia folte, ma non troppo lunghe, castano scure.
Bocca regolare e labbra di giusta grossezza, denti regolari e bianchissimi.
Barba folta sul mento, di color rame scuro, bipartita in due punte crespute, sempre più corta salendo verso le guance e che diviene corta-corta all’altezza degli angoli della bocca.
Baffi color rame scuro non molto folti e tenuti corti.
Orecchie piccole e ben modellate.
Avete ora per caso presente l’immagine del Gesù della Divina Misericordia visto in visione da Santa Faustina Kowalska, immagine descritta e fatta dipingere ad un pittore negli anni ’30 del Novecento?
Mi sembra che questa immagine del volto, umanamente dipinta e quindi certamente molto imperfetta rispetto alla sua effettiva bellezza vista in visione dalla mistica Faustina, abbia delle forti analogie con la descrizione di Gesù che ne ha fatto la Valtorta.
L’espressione dello sguardo nel dipinto esprime in questo caso l’idea di un ‘Gesù misericordioso’, ma non credo sia specificatamente l’immagine del Gesù che 2000 anni fa era solito parlare al popolo e – non di rado in maniera imperiosa e folgorante - a scribi e farisei.
I singoli tratti somatici sembrano tuttavia proprio gli stessi.
Ma oltre al Gesù-Uomo-Dio sopra descritto, ne ‘L’Evangelo’ abbiamo ‘visto’ apparire il Gesù ‘glorioso’, il Dio-Uomo, quando – dopo la sua Resurrezione – si presenta all’alba di fronte a sua Mamma - nella sua stanza - con il suo corpo glorificato ma solido di una umana corporeità: sempre con una fisionomia simile a quanto visto nel sopracitato dipinto della Kowalska che riproduciamo qui sotto nella sua interezza:
Ecco come ce lo descrive Maria Valtorta all’alba della Domenica di Resurrezione (i grassetti sono miei):2  
[21 febbraio 1944]
Maria ora è prostrata col volto a terra. Pare una povera cosa abbattuta. Pare quel fiore morto di sete di cui Ella ha parlato. La finestra chiusa si apre con un impetuoso sbattimento delle pesanti imposte e, col raggio del primo sole, entra Gesù.
Maria, che s’è scossa al rumore e che alza il capo per vedere che vento abbia aperto le imposte, vede il suo raggiante Figlio: bello, infinitamente più bello di quando ancora non aveva patito, sorridente, vivo, luminoso più del sole, vestito di un bianco che par luce tessuta, e che si avanza verso di Lei.
Ella si raddrizza sui ginocchi e, congiungendo le mani sul petto, in croce, dice con un singhiozzo che è riso e pianto: «Signore, mio Dio».
E resta così rapita nel contemplarlo, col viso tutto lavato di lacrime ma fatto sereno, pacificato dal sorriso e dall'estasi. Ma Egli non la vuole vedere, la sua Mamma, in ginocchio come una serva. E la chiama, tendendole le Mani dalle cui ferita escono raggi che fanno ancor più luminosa la sua Carne gloriosa: «Mamma!».
Ma non è la parola accorata dei colloqui e degli addii avanti la Passione, né il lamento straziato dell'incontro sul Calvario e dell'agonia. É un grido di trionfo, di gioia, di liberazione, di festa, di amore, di gratitudine. E si curva sulla sua Mamma, che non osa toccarlo, e le mette le sue Mani sotto i gomiti piegati, e la alza in piedi e la stringe al Cuore e la bacia. Oh! allora Maria comprende che non è una visione, che è il Figlio realmente risorto, che è il suo Gesù, il Figlio che l'ama da Figlio ancora. E con un grido gli si getta al collo e lo abbraccia e lo bacia3, ridendo nel pianto.
Lo bacia sulla Fronte dove non sono più ferite, sulla Testa non più spettinata e sanguinosa, sugli Occhi fulgidi, sulle Guance risanate, sulla Bocca non più enfiata.
E poi gli prende le Mani e ne bacia il dorso e la palma, sulle raggianti ferite, e d'un subito si curva ai suoi Piedi e li scopre da sotto la veste splendente e li bacia. Poi si alza, lo guarda, non osa. Ma Egli sorride e capisce. Socchiude la veste sul petto e dice: «E questa, Mamma, non la baci questa che t'ha fatto tanto male e che tu sola sei degna di baciare? Baciami sul Cuore, Mamma. Il tuo bacio mi leverà l'ultimo ricordo di tutto quanto è dolore, e mi darà quella gioia che ancora manca alla mia Gioia di Risorto».
E prende fra le sue Mani il volto della Madre e ne appoggia le labbra sulle labbra della ferita del Costato, da cui escono fiotti di luce vivissima.
Il viso di Maria è aureolato da quella luce, tuffato come è nel suo raggio. Ella bacia, bacia, mentre Gesù la carezza. Non si stanca di baciare. Pare un assetato che abbia attaccato la bocca alla fonte e ne beva la vita che gli sfuggiva.
Ora Gesù parla.
«Tutto è finito, Mamma. Ora non hai più da piangere per il tuo Figlio. La prova è compiuta. La Redenzione è avvenuta. Mamma, grazie di avermi concepito, allevato, aiutato in vita e in morte.
Ho sentito venire a Me le tue preghiere. Esse sono state la mia forza nel dolore, le mie compagne nel mio viaggio sulla Terra ed oltre la Terra. Esse sono venute meco sulla Croce e nel Limbo.4 Erano l'incenso che precedeva il Pontefice, che andava a chiamare i suoi servi per portarli nel Tempio che non muore: nel mio Cielo. Esse sono venute meco in Paradiso, precedendo come voce angelica il corteo dei redenti guidati dal Redentore, perché gli angeli fossero pronti a salutare il Vincitore che tornava al suo Regno.
Esse sono state udite e viste dal Padre e dallo Spirito, che ne hanno sorriso come del fiore più bello e del canto più dolce nati in Paradiso. Esse sono state conosciute dai Patriarchi e dai nuovi Santi, dai nuovi, primi cittadini della mia Gerusalemme, ed Io ti porto il loro grazie, Mamma, insieme al bacio dei parenti e alla loro benedizione e a quella del tuo sposo d'anima, Giuseppe.
Tutto il Cielo canta il suo osanna a te, Madre mia, Mamma santa! Un osanna che non muore, che non è bugiardo come quello dato a Me pochi giorni or sono.
Ora Io vado al Padre con la mia veste umana. Il Paradiso deve vedere il Vincitore nella sua veste d'Uomo con cui ha vinto il Peccato dell'Uomo.
Ma poi verrò ancora. Devo confermare nella Fede chi non crede ancora ed ha bisogno di credere per portare altri a credere, devo fortificare i pusilli che avranno bisogno di tanta fortezza per resistere al mondo.
Poi salirò al Cielo. Ma non ti lascerò sola. Mamma, lo vedi quel velo?5 Ho, nel mio annichilimento, sprigionato ancora potenza di miracolo per te, per darti quel conforto. Ma per te compio un altro miracolo. Tu mi avrai, nel Sacramento, reale come ero quando mi portavi.6
Non sarai mai sola. In questi giorni lo sei stata. Ma alla mia Redenzione occorreva anche questo tuo dolore.7 Molto va continuamente aggiunto alla Redenzione, perché molto sarà continuamente creato di Peccato. 8
Chiamerò tutti i miei servi a questa compartecipazione redentrice. Tu sei quella che da sola farai più di tutti i santi insieme. Perciò ci voleva anche questo lungo abbandono.
Ora non più. Io non sono più diviso dal Padre. Tu non sarai più divisa dal Figlio. E, avendo il Figlio, hai la Trinità nostra. Cielo vivente, tu porterai sulla Terra la Trinità fra gli uomini e santificherai la Chiesa, tu, Regina del Sacerdozio e Madre dei Cristiani.
Poi Io verrò a prenderti.9 E non sarò più Io in te, ma tu in Me, nel mio Regno, a far più bello il Paradiso. Ora vado, Mamma. Vado a fare felice l'altra Maria10.
Poi salgo al Padre. Indi verrò a chi non crede. Mamma. Il tuo bacio per benedizione. E la mia Pace a te per compagna. Addio».
E Gesù scompare nel sole che scende a fiotti dal cielo mattutino e sereno.
Da questo brano – a ben meditare – emerge la ‘cronologia’, cioè la immediata successione degli avvenimenti fra la morte in croce di Gesù e l’apparizione serale agli apostoli nel Cenacolo.
Egli – in spirito, mentre il suo Corpo giaceva inerte sulla pietra della tomba che Giuseppe di Arimatea aveva messo a disposizione – discende agli ‘Inferi’, e cioè nel Limbo, e libera - come si evince dall’Opera valtortiana - le anime dei giusti che vi attendevano in attesa della Redenzione. Dall’Opera della mistica si apprende un piccolo particolare molto significativo: Egli libera anche una parte di coloro che erano in Purgatorio.
Quindi – sempre in spirito – il Verbo-Gesù conduce il suo primo esercito di ‘liberati’ in Paradiso le cui ‘porte’ erano rimaste chiuse dopo il Peccato originale: è il suo primo corteo trionfale di Redentore!
Poi Egli ‘ridiscende’ in terra, si ‘riappropria’ del Suo Corpo nel quale Egli infonde nuovamente la Vita come già l’aveva infusa alcuni mesi prima nel corpo di Lazzaro di Betania che era morto da ben quattro giorni.
Risorgendo appare, trasfigurato, innanzitutto alla Mamma: non in visione ma materializzato con il nuovo Corpo glorificato, corpo di carne vera ma glorificata, vestito di tessuti ‘di luce’, cioè tessuti ‘glorificati’.
Si mostrerà quindi a Maria Maddalena che si trovava in lacrime presso la tomba vuota, avendo creduto che i nemici ne avessero rubato in spregio il corpo.
Dopo essersi mostrato alla Maddalena, Gesù ascende al Cielo per presentarsi a Dio Padre con il suo corpo umano perché alla Mamma aveva detto:
«Ora Io vado al Padre con la mia veste umana. Il Paradiso deve vedere il Vincitore nella sua veste d'Uomo con cui ha vinto il Peccato dell'Uomo».
Successivamente Gesù ritornerà sulla Terra per apparire agli apostoli e ad altre persone che – avendolo saputo morto, e di quella morte - avrebbero avuto bisogno di vederlo risorto per uscirne confortati e rafforzati nella fede.
Attiro ora l’attenzione su un particolare piccolo ma significativo.
Nel Vangelo di Giovanni, tradotto dal greco, quando Gesù appare a Maria Maddalena e lei fa il gesto di toccarlo, il testo dice: ‘Non trattenermi, perché non sono ancora asceso al Padre…’.
Nel brano valtortiano della Resurrezione, invece, Maria Maddalena fa per gettarsi ai piedi di Gesù perché li vorrebbe baciare, ma Gesù la scosta toccandola appena con il sommo delle dita presso la fronte e le dice: «Non mi toccare! Non sono ancora salito al Padre mio con questa veste. Va’ dai miei fratelli e amici, e dì loro che Io salgo al Padre mio e vostro, al Dio mio e vostro. E poi verrò da loro».
Dopodiché Gesù si smaterializza e scompare.
A ben riflettere Gesù non permette alla Maddalena di toccarlo mentre Maria SS. lo aveva potuto abbracciare e baciare: Lei era infatti la Mamma che lo aveva tenuto in grembo, priva della Macchia del Peccato originale e quindi la ‘Tutta Pura’ e – infine – era anche la ‘Corredentrice’.
Ora però – durante il discorso della montagna – siamo ancora di fronte non al Dio-Uomo glorificato della Resurrezione, ma all’Uomo-Dio che deve ancora completare la sua missione. La ‘glorificazione’ del Suo Corpo sarà infatti il ‘serto’ posto sul Capo del Liberatore e Vincitore del Peccato e di Satana.
Potrete quindi cercare di ‘visualizzarlo’ ed immaginarvelo sulla base della descrizione fatta da Maria Valtorta.
Ciò che qui affascina di più la folla non è solo la sua sapienza e il suo particolare modo di parlare, ma è il ‘sentire d’anima’ di coloro che ascoltano e vedono, fatto che li rende convinti di trovarsi veramente di fronte al più grande dei Profeti che parla in nome di Dio, oppure a ‘Dio stesso’ incarnato in Lui, come del resto la folla sente ripetere continuamente dagli apostoli.
In questi giorni Gesù ha parlato nel primo giorno ai soli apostoli e discepoli spiegando loro l’importanza della missione sacerdotale e quindi del loro dover essere Luce del mondo e Sale della terra.
Nel secondo giorno Egli ha parlato alla folla del dono della Grazia e delle Beatitudini.
Nel terzo giorno ha impartito i ‘Consigli evangelici’ che perfezionano la Legge.
Nel quarto giorno, ha affrontato i temi del giuramento, della preghiera e del digiuno.
Il giuramento, vale a dire chiamare Dio a testimonio di quanto si dice, non va mai fatto per principio, ma quando è falso diventa una vera blasfemia che grida vendetta agli occhi di Dio che – chiamato ad essere testimonio di un falso - si vede anche irriso.
La preghiera, poi, non deve essere una meccanica ‘tiritera’ mnemonica, ma un sentimento di amore che sgorga dal profondo del cuore: anche poche parole, ma dette con sentimento, rivolgendoci al Padre al quale possiamo confidare filialmente i nostri pensieri.
Molti degli ascoltatori devono aver sorriso nell’ascoltare quei due paragoni portati come esempio da Gesù forse con un sottile filo di ironia. Il primo a proposito di coloro che sprecano più e più ore in monologhi ripetuti solo con le labbra, dei veri soliloqui che neppure il loro Angelo custode ascolta, essendo ‘rumore’ vano al quale l’Angelo cerca di rimediare sprofondandosi lui in una ardente preghiera a favore del suo ‘stolto’ custodito. Il secondo paragone a proposito di quello immerso nella preghiera ‘meccanica’ che non smetterebbe di pregare in quel modo neppure se Dio in persona gli apparisse davanti dicendogli che la salvezza del mondo dipende dal suo lasciare quella preghiera senz’anima per andare semplicemente a trarre acqua da un pozzo per spargerla a terra per amor di Dio e degli altri uomini.
Eccoci però ora giunti – con una nuova visione della mistica - al quinto giorno ed al quinto discorso, avente come tema quello dell’uso delle ricchezze, dell’elemosina e della fiducia in Dio (i grassetti sono miei): 11
27 maggio 1945.
Lo stesso discorso della Montagna.
La folla aumenta sempre, più i giorni passano. Vi sono uomini, donne, vecchi, bambini, ricchi, poveri. E' sempre presente la coppia Stefano-Erma, per quanto ancora non aggregata e fusa ai vecchi discepoli capitanati da Isacco.
E ancora vi è la nuova coppia, costituita ieri, del vecchione e della donna.
Sono ben davanti, vicino al loro Consolatore, e i loro aspetti sono molto più sollevati di ieri. Il vecchio, quasi per rifarsi dei molti mesi o anni che fu trascurato dalla figlia, ha messo la sua mano rugosa sulle ginocchia della donna, e questa gliela carezza per quel bisogno innato della donna, moralmente sana, di essere materna.
Gesù passa loro vicino per salire al suo rustico pulpito e nel passare carezza la testa del vecchione, che lo guarda come lo vedesse già in veste di Dio.
Pietro dice qualcosa a Gesù, che gli fa un cenno come dire: «Non importa». Ma non capisco quello che dice l'apostolo, che però resta vicino a Gesù e al quale si uniscono poi Giuda Taddeo e Matteo. Gli altri si perdono fra la moltitudine.
«La pace sia con tutti voi!
Ieri ho parlato della preghiera, del giuramento, del digiuno.
Oggi vi voglio istruire su altre perfezioni. Sono anche esse preghiera, fiducia, sincerità, amore, religione.
La prima di cui parlo è il giusto uso delle ricchezze, mutate, per buona volontà del servo fedele, in altrettanti tesori del Cielo.12
I tesori della terra non durano. Ma i tesori del Cielo sono eterni.
Avete in voi l'amore a ciò che è vostro? Vi fa pena il morire perché non potete più curare i vostri beni e li dovete lasciare? E allora trasponeteli in Cielo!
Voi dite: "Nel Cielo non entra ciò che è della terra e Tu insegni che il denaro è la cosa più lurida della terra. Come possiamo allora trasportarlo in Cielo?".
No. Non potete portare le monete, materiali quali sono, nel Regno dove tutto è spirito.
Ma potete portare il frutto delle monete.
Quando voi date ad un banchiere il vostro oro, perché lo date? Perché lo faccia fruttare.
Non ve ne private certo, sebbene momentaneamente, perché egli ve lo renda tal quale.
Ma volete che su dieci talenti egli ve ne renda dieci più uno, o più ancora. Allora siete felici e lodate il banchiere. Altrimenti dite: "Costui è un onesto, ma è uno sciocco". E se poi, invece dei dieci più uno, ve ne dà nove dicendo: "Ho perduto il resto", voi lo denunciate e lo gettate in prigione.
Cosa è il frutto del denaro?
Semina forse il banchiere i vostri denari e li annaffia per farli crescere? No.
Il frutto è dato da un accorto maneggio di affari, di modo che, e con ipoteche e con prestiti a interesse, il denaro si aumenti dell'aggio giustamente richiesto per il favore dell'oro prestato. Non è così?
Ora dunque udite.
Dio vi dà le ricchezze terrene. A quali molte, a quali appena quante necessitano al vivere, e vi dice: "Ora a te. Io te le ho date. Fai di questi mezzi un fine quale il mio amore lo desidera per tuo bene. Io te le affido. Ma non perché tu te ne faccia un male. Per la stima che ho in te, per riconoscenza dei miei doni, tu fa' fruttare, e per questa vera Patria, i tuoi beni.
Ed ecco il metodo per giungere a questo fine.
Non vogliate accumulare i vostri tesori sulla terra, vivendo per essi, essendo crudeli per essi, essendo maledetti dal prossimo e da Dio per essi. Non merita. Sono sempre insicuri quaggiù.
I ladri possono sempre derubarvi. Il fuoco può distruggervi le case. Le malattie delle piante o delle mandre sterminarvi greggi e frutteti.
Quante cose insidiano i beni! Siano essi immobili e inattaccabili, come le case e l'oro; o siano soggetti ad essere lesi nella loro natura, come tutto quanto vive, come sono i vegetali e gli animali; e persino siano le stoffe preziose, possono essere soggetti a menomazione. Il fulmine sulle case, e le fiamme e le acque; e i ladri, la ruggine, la siccità, i roditori, gli insetti sui campi; il capostorno, le febbri, le scosciature, le morve negli animali; le tignole e i topi nelle stoffe preziose e nei mobili pregiati; l'erosione delle ossidazioni nei vasellami, e lumiere, e cancelli artistici; tutto, tutto è soggetto a menomazione.
Ma se voi di tutto questo bene terreno fate un bene soprannaturale, ecco che esso è salvo da ogni lesione del tempo, degli uomini e delle intemperie.
Fatevi delle borse in Cielo, là dove non entrano ladri e dove non accadono sventure.
Lavorate con l'amore misericordioso verso tutte le miserie della terra.
Accarezzate, sì, le vostre monete, baciatele anche, se volete, giubilate per le messi che prosperano, per i vigneti carichi di grappoli, per gli ulivi che si piegano sotto il peso di infinite ulive, per le pecore dal fecondo seno e dalle turgide mammelle. Fate tutto ciò. Ma non sterilmente. Non umanamente. Fatelo con amore e ammirazione, con godimento e calcolo soprannaturale.
"Grazie, mio Dio, di questa moneta, di queste messi, di queste piante, di queste pecore, di questi commerci! Grazie, pecore, piante, prati, commerci, che mi servite così bene. Siate benedetti tutti, perché per tua bontà, o Eterno, e per vostra bontà, o cose, ecco che io posso fare tanto bene a chi ha fame, a chi è ignudo, senza tetto, malato, solo... Lo scorso anno feci per dieci. Quest'anno - poiché, per quanto io abbia dato molto in elemosina, ho maggior denaro e più pingui sono i raccolti e numerosi i greggi - ecco che io darò due, tre volte, quanto diedi lo scorso anno. Perché tutti, anche i derelitti di ogni bene loro proprio, godano della mia gioia e benedicano, con me, Te, Signore eterno".
Ecco la preghiera del giusto. Quella preghiera che, unita all'azione, trasporta i vostri beni in Cielo, e non solo ve li conserva eternamente, ma ve li fa trovare aumentati dei frutti santi dell'amore.
Abbiate il vostro tesoro in Cielo per avere là il vostro cuore al disopra e al di là del pericolo che non solo l'oro, le case, i campi, le greggi possano subire sventura, ma che sia insidiato il vostro stesso cuore e derubato, corroso, bruciato, ucciso dallo spirito del mondo. Se così farete avrete il vostro tesoro nel vostro cuore perché avrete Dio in voi fino al giorno beato in cui voi sarete in Lui.
Però, per non diminuire il frutto della carità, badate di essere caritatevoli con spirito soprannaturale.
Come ho detto per la preghiera e il digiuno, così dico per la beneficenza e di ogni altra opera buona che possiate fare. Conservate il bene che fate dalla violazione del senso del mondo, conservatelo vergine da umana lode.
Non profanate la rosa profumata, vero incensiere di profumi grati al Signore, della vostra carità e del vostro agire buono. Profana il bene lo spirito di superbia, il desiderio di esser notati nel fare il bene e la ricerca della lode. La rosa della carità allora viene sbavata e corrosa dai lumaconi viscidi dell'orgoglio soddisfatto, e nell'incensiere cadono fetide paglie della lettiera su cui il superbo si crogiola come bestia ben pasciuta.
Oh! quelle beneficenze fatte per esser citati! Ma meglio, meglio non farle affatto!
Chi non fa pecca di durezza. Chi fa, facendo conoscere e la somma data e il nome di chi l'ha avuta, e mendicando la lode, pecca di superbia col rendere nota l'offerta, ossia dice: "Vedete quanto io posso?", pecca di anticarità perché mortifica il beneficato col rendere noto il suo nome, pecca di avarizia spirituale volendo accumulare lodi umane... Paglie, paglie, non di più che paglie. Fate che vi lodi Dio coi suoi angeli.
Voi, quando fate elemosina, non suonate la tromba davanti a voi per attirare l'attenzione del passante ed essere onorato come gli ipocriti, che vogliono l'applauso degli uomini e perciò fanno elemosina solo là dove possono essere visti da molti. Anche questi hanno già avuto la loro mercede e non ne avranno altra da Dio. Voi non incorrete nella stessa colpa e nella stessa presunzione.
Ma quando fate elemosina non sappia la vostra sinistra quel che fa la destra, tanto nascosta e pudica è la vostra elemosina, e poi dimenticatevene.13
Non state a rimirarvi l'atto compiuto, gonfiandovi di esso come fa il rospo, che si rimira coi suoi occhi velati nello stagno e che, posto che vede riflessi nell'acqua ferma le nuvole, gli alberi, il carro fermo presso la riva, e vede lui così piccino rispetto a quelli così grossi, si empie d'aria fino a scoppiare. Anche la vostra carità è un nulla rispetto all'Infinito che è la Carità di Dio, e se voleste divenire simili a Lui e rendere la vostra carità piccina, grossa, grossa, grossa per uguagliare la sua, vi empireste di vento d'orgoglio e finireste per perire.
Dimenticatevene. Dell'atto in se stesso dimenticatevene. Vi resterà sempre presente una luce, una voce, un miele, e vi farà luminoso il giorno, dolce il giorno, beato il giorno.
Perché quella luce sarà il sorriso di Dio, quel miele la pace spirituale che è ancora Dio, quella voce la voce del Padre-Dio che vi dirà: "Grazie". Egli vede il male occulto e vede il bene nascosto, e ve ne darà ricompensa. Io ve lo...»
«Maestro, Tu menti alle tue parole!».
L'insulto, astioso e improvviso, viene dal centro della folla. Tutti si volgono in direzione della voce. Vi è della confusione.
Pietro dice: «Te lo avevo detto! Eh! quando c'è uno di quelli lì... non va più bene niente!».
Fra la folla partono fischi e mormorii verso l'insultatore. Gesù è il solo che resti calmo.
Ha incrociato le braccia sul petto e sta alto, col sole in fronte, ritto sul suo masso, nel suo abito azzurro cupo.
L'insultatore continua, incurante della reazione della folla: «Sei un cattivo maestro perché insegni ciò che non fai e...».
«Taci! Va' via! Vergognati!» urla la folla. E ancora: «Vai dai tuoi scribi! A noi ci basta il Maestro. Gli ipocriti con gli ipocriti! Falsi maestri! Strozzini!…» e continuerebbero, ma Gesù tuona: «Silenzio! Lasciatelo parlare» e la gente non urla più, ma bisbiglia i suoi improperi conditi da occhiate feroci.
«Sì. Tu insegni ciò che non fai. Dici che si deve fare elemosina senza essere visti e ieri, alla presenza di tutto un popolo, hai detto a due poveri: "Rimanete e vi sfamerò".
«Ho detto: "Rimangano i due poverelli. Saranno gli ospiti benedetti e daranno sapore al nostro pane". Non di più. Non ho significato di volerli sfamare. Quale è quel povero che almeno non ha un pane? La gioia era di dar loro amicizia buona».
«Eh! già! Sei astuto e sai fare l'agnello!».
Il vecchione si alza, si volta e alzando il suo bastone grida: «Lingua infernale che accusi il Santo, credi forse di sapere tutto e di potere accusare per ciò che sai? Come ignori chi è Dio e chi è Colui che tu insulti, così ignori le sue azioni. Solo gli angeli e il mio cuore giubilante lo sanno. Udite, uomini, udite tutti, e sappiate se Gesù è il mentitore e il superbo che questo avanzo del Tempio vuol dire. Egli...»
«Taci, Ismaele! Taci per amor mio! Se ti ho fatto felice, fammi felice tacendo» lo prega Gesù.
«Ti ubbidisco, Figlio santo. Ma lasciami dire questo solo: la benedizione del vecchio israelita fedele è su di Lui che mi ha beneficato da Dio, e Dio l'ha messa sulle mie labbra per me e per Sara14, mia figlia novella. Ma sul tuo capo non sarà benedizione. Io non ti maledico. Non sporco la mia bocca, che deve dire a Dio: "Accoglimi", con una maledizione. Non l'ho avuta neppure per chi mi ha rinnegato, e già ne ho ricompensa divina. Ma ci sarà chi fa le veci dell'Innocente accusato e di Ismaele, amico di Dio che lo benefica».
Un coro di urli fa chiusa al discorso del vecchio che si siede di nuovo, e un uomo se la svigna e se ne va, inseguito da improperi. E poi la folla grida a Gesù: «Continua, continua, Maestro santo! Noi non ascoltiamo che Te, e Tu ascolta noi. Non quei corvi maledetti! E' gelosia la loro. Perché ti amiamo più di loro! Ma in Te è santità, in loro cattiveria. Parla, parla! Vedi che non ci punge più altro desiderio che la tua parola. Case, commerci? Nulla per udire Te!».
«Sì, parlo. Ma non ve la prendete. Pregate per quegl'infelici. Perdonate come Io perdono. Perché se perdonerete agli uomini i loro falli, anche il vostro Padre dei Cieli vi perdonerà i vostri peccati. Ma se avrete rancore e non perdonerete agli uomini, nemmeno il Padre vostro vi perdonerà le vostre mancanze. E tutti hanno bisogno di perdono.
Vi dicevo che Dio vi darà ricompensa anche se voi non gli chiedete premio per il bene fatto. Ma voi non fate il bene per avere ricompensa, per avere una mallevadoria per il domani.
Non fate il bene misurato e trattenuto dalla tema: "E poi, per me, ne avrò ancora? E se non avrò più nulla chi mi aiuterà? Troverò chi mi fa ciò che ho fatto? E quando non potrò più dare, sarò ancora amato?".
Guardate: Io ho amici potenti fra i ricchi e amici fra i miseri della terra. E in verità vi dico che non sono gli amici potenti i più amati. Vado da quelli non per amore di Me e per mio utile. Ma perché da essi posso avere molto per chi non ha nulla. Io sono povero. Non ho nulla. Vorrei avere tutti i tesori del mondo e mutarli in pane per chi ha fame, in tetto per chi è senza tetto, in vesti per chi è ignudo, in medicine per chi è malato. Voi direte: "Tu puoi guarire".
Sì. Questo ed altro posso. Ma non sempre è la fede negli altri, ed Io non posso fare ciò che farei e che vorrei fare se trovassi della fede nei cuori per Me.
Io vorrei beneficare anche questi che non hanno fede. E posto che non chiedono il miracolo al Figlio dell'uomo vorrei, da uomo ad uomo, dar loro soccorso. Ma non ho nulla.
Per questo Io tendo la mano a chi ha e chiedo: "Fammi la carità, in nome di Dio".
Ecco perché Io ho amicizie in alto. Domani, quando Io non sarò più sulla terra, ancora vi saranno i poveri, ed Io non ci sarò né a compiere miracolo per chi ha fede, né a fare elemosina per portare alla fede.
Ma allora i miei amici ricchi avranno imparato, al mio contatto, come si fa a beneficare, e i miei apostoli avranno, pure dal mio contatto, imparato a elemosinare per amore dei fratelli. E i poveri avranno sempre un soccorso.
Ebbene, ieri Io, da uno che non ha nulla, ho avuto più di quanto mi hanno dato tutti coloro che hanno.
E' un amico povero quanto Me. Ma mi ha dato una cosa che non si compera con nessuna moneta e che mi ha fatto felice, riportandomi tante ore serene della mia fanciullezza e giovinezza, quando ogni sera sul mio capo si imponevano le mani del Giusto ed Io andavo al riposo con la sua benedizione per custode del mio sonno.
Ieri questo mio amico povero mi ha fatto re con la sua benedizione. Vedete che ciò che lui mi ha dato nessuno dei miei amici ricchi me l'ha mai dato. Perciò non temete. Anche se non avrete più potenza di denaro, solo che abbiate amore e santità, potrete beneficare chi è povero, stanco o afflitto.
E perciò vi dico: non siate troppo solleciti per tema di avere poco. Avrete sempre il necessario.
Non siate troppo preoccupati pensando al futuro.15
Nessuno sa quanto futuro ha ancora davanti.
Non siate in pensiero per quello che mangerete per sostenervi nella vita, né di che vi vestirete per tenere caldo il vostro corpo. La vita del vostro spirito è ben più preziosa del ventre e delle membra, vale molto più del cibo e del vestito, così come la vita materiale è più del cibo e il corpo più della veste. E il Padre vostro lo sa. Sappiatelo dunque anche voi.
Guardate gli uccelli dell'aria: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, eppure non muoiono di fame perché il Padre celeste li nutre. Voi uomini, creature predilette del Padre, valete molto più di loro.
Chi di voi, con tutto il suo ingegno, può aggiungere alla sua statura un sol cubito? Se non riuscite ad alzare la vostra statura neppure di un palmo, come potete pensare di mutare le vostre condizioni future, aumentando le vostre ricchezze per garantirvi una lunga e prospera vecchiaia?
Potete dire alla morte: "Tu mi verrai a prendere quando io vorrò"? Non potete. A che, allora, preoccuparvi del domani?
E perché avere tanta pena per tema dì rimanere senza vesti? Guardate come crescono i gigli del campo: non faticano, non filano, non vanno dai venditori di panni a fare acquisti.
Eppure vi assicuro che nemmeno Salomone con tutta la sua gloria fu mai vestito come uno di loro. Ora se Dio riveste così l'erba del campo, che oggi è e domani serve a scaldare il forno o a pasturare il gregge e finisce in cenere o in sterco, quanto più provvederà voi, figli suoi.
Non siate gente di poca fede. Non vi angosciate per un futuro incerto, dicendo: "Quando sarò vecchio come mangerò? Che berrò? Come mi vestirò?".
Queste preoccupazioni lasciatele ai gentili che non hanno l'alata certezza della paternità divina. Voi l'avete e sapete che il Padre sa i vostri bisogni e che vi ama. Fidate dunque in Lui.
Cercate prima le cose veramente necessarie: la fede, la bontà, la carità, l'umiltà, la misericordia, la purezza, la giustizia, la mansuetudine, le tre e le quattro virtù principali, e tutte, tutte le altre ancora, di modo da essere amici di Dio e di avere diritto al suo Regno.
E vi assicuro che tutto il resto vi sarà dato per giunta senza che neppure lo chiediate.
Non vi è ricco più ricco del santo, e sicuro più sicuro di esso. Dio è col santo. Il santo è con Dio. Per il suo corpo non chiede, e Dio lo provvede del necessario. Ma lavora per il suo spirito, ed a questo Dio dà Se stesso, qui, e il Paradiso oltre la vita.
Non mettetevi dunque in pena per ciò che non merita la vostra pena. Affliggetevi di essere imperfetti, non di essere scarsi di beni terreni.
Non crucciatevi per il domani. Il domani penserà a se stesso, e voi ad esso penserete quando lo vivrete. Perché pensarvi da oggi? Non è già abbastanza piena dei ricordi penosi di ieri, e dei pensieri crucciosi di oggi, la vita, per sentire bisogno di mettervi anche gli incubi dei "che sarà?" del domani? Lasciate ad ogni giorno il suo affanno! Ve ne saranno sempre più di quante ne vorremmo di pene nella vita, senza aggiungere pene presenti a pene future! Dite sempre la grande parola di Dio: "Oggi". Siete suoi figli, creati secondo la sua somiglianza. Dite dunque con Lui: "Oggi".
E oggi Io vi do la mia benedizione. Vi accompagni fino all'inizio del nuovo oggi, di domani, ossia di quando vi darò nuovamente la pace in nome di Dio».

7.2 Riflettiamo ancora su alcuni punti di questo quinto discorso della montagna.

Che dire in merito a questo discorso? Il mio primo suggerimento è di leggere le citazioni evangeliche in nota e poi confrontarle con i corrispondenti punti nel discorso di Gesù.
Impossibile non rilevare quanto vi avevo detto sin dall’inizio: i brani del Vangelo di Matteo sono ‘succhi’ estremamente sintetici di alcuni concetti che Gesù aveva espresso in maniera più elaborata nell’ambito di un discorso molto più articolato.
Matteo prendeva appunti, spesso in condizioni precarie per scrivere, non aveva un moderno ‘registratore’, non sapeva ‘stenografare’, non sapeva e non poteva star dietro all’oratoria incalzante di Gesù come invece Maria Valtorta che tuttavia lo faceva per speciale ‘grazia’ divina. Quindi Matteo – avendo ben capito il senso del discorso - appuntava su tavolette di cera o su pergamena i ‘concetti’ che più lo avevano colpito e che gli sarebbero serviti da ‘promemoria’ per la futura meditazione, evangelizzazione e compilazione del suo Vangelo.
E’ sulla base di altri appunti di questo genere che sono stati probabilmente ‘composti’ gli altri due Vangeli ‘sinottici’ di Luca e Marco il quale ultimo deve anche aver potuto usufruire anche dei ricordi di Pietro, di cui egli era ‘allievo’.
Tranne che per il Vangelo di Giovanni, per il quale Gesù rivelò una volta alla mistica Valtorta che quel Vangelo (ad esempio, come non ricordare lo splendido e ‘famoso’ Prologo dallo spirito decisamente divino?16) glielo aveva ‘dettato’ direttamente Lui, esattamente come Egli stava facendo con lei.
Abbiamo dunque sentito parlare Gesù innanzitutto delle ricchezze, o meglio del ‘giusto uso’ delle stesse.
Le ricchezze non sono di per sé ‘demonizzate’ a condizione che si mantenga verso di esse il giusto distacco e se ne faccia un ‘giusto uso’.
Le ricchezze…, sono anche dette ‘sterco del demonio’! Perché?
Perché anche se molte possono essere frutto di onesto lavoro, altre sono frutto di ‘rapina’, appropriazioni indebite, inganno, speculazione indegna, avidità, cupidigia, quindi avarizia e strumento di sopraffazione sui più deboli.
Spesso, anche se giustamente guadagnate, anziché appagare un legittimo bisogno di sicurezza, alimentano per cupidigia un bisogno ancora maggiore, come succede con la droga: più se ne assume e più se ne vorrebbe assumere.
Se si mantiene invece un distacco verso di esse, senza divenirne schiavi, e soprattutto facendone un buon uso anche a favore del prossimo, ecco che esse diventano – come spiega Gesù - un ‘capitale’ che produce interessi spirituali. Un tesoro depositato in Cielo che produce ‘frutti’ inattaccabili dalle situazioni che possono insorgere in Terra.
In alcune religioni pur cristiane ma non cattoliche, si crede che le ricchezze, ed il successo mondano che spesso vi è collegato, siano un segno di predilezione divina.
Non è affatto così. Dio non fa dono all’uno o all’altro di maggiori o minori ricchezze.
Gli uomini sono liberi, nascono nel loro ambiente, sani o malati, ricchi o poveri, felici o infelici.
Dio non interferisce, ma poi tiene conto di tutto.
A chi ha poco avuto ma si è ben comportato darà molto in Cielo, ma chi ha avuto molto e non si è ben comportato poi dovrà rispondere del ‘talento’ che le opportunità di vita gli avevano offerto e che egli ha così male utilizzato.
Le ricchezze possono essere frutto anche di eredità, ma a maggior ragione, in quanto ‘guadagnate’ senza merito, esse dovrebbero essere ben utilizzate dal possessore.
Anche donare poco può essere importante, perché tutto è relativo ed il ‘poco’ - per uno che ha già poco - può essere più importante del ‘tanto’ di un ricco che ha già tanto.
Gesù sottolinea la caducità e vulnerabilità delle ricchezze materiali mentre invece attira l’attenzione sul fatto che il ‘frutto’ spirituale del loro buon uso rimane ben custodito in Cielo, un ‘tesoro’ inattaccabile dalle insidie del mondo, per cui Egli invita ‘ad avere il nostro tesoro in Cielo per avere là il nostro cuore’.
Dio ci lascia dunque le ricchezze auspicando che noi le utilizziamo per aiutare anche il prossimo, ma non dimentichiamo mai che come Egli ce le ha lasciate così ce le può anche togliere.
Un ragionamento per certi versi analogo vale per le elemosine.
Il punto centrale è che la carità deve avere uno ‘spirito’ soprannaturale, bisogna cioè beneficare il prossimo non per mero spirito umanitario – che sarebbe comunque di per sé una cosa umanamente apprezzabile - ma soprattutto per amore e gloria di Dio, senza farsene fregio e nemmeno aspettandosene segretamente ricompensa dal Signore, perché in tal caso l’azione risulterebbe essere stata fatta per interessi egoistici personali.
Durante il discorso uno dei presenti, forse uno scriba o fariseo infiltrato fra la folla, apostrofa rabbiosamente Gesù, venendo poi zittito e messo in fuga dalla folla stessa.
Gesù – in omaggio al suo precedente insegnamento sulla necessità di perdonare ai propri nemici - invita tutti a perdonarlo e qui Egli ricorda ancora una volta il concetto per cui se gli uomini non perdonano agli altri i loro falli, neppure Dio perdonerà i loro.
È sempre la Legge dell’amore! Deve essere veramente una cosa importante se Gesù nel suo Discorso ripete il concetto. Non dimentichiamolo dunque.
Quanto ancora alle elemosine, Gesù era solito dare ai poveri quanto gli apostoli ricevevano dai ricchi. Egli talvolta ‘coltivava’ (detto in senso benevolo) le relazioni con i ricchi non solo per convertirli ma anche per avere denaro da dare ai poveri. Egli avrebbe potuto tuttavia dare ai poveri tutto il pane e tesori del mondo e medicine e altro ancora, ma per poter fare ciò aveva la necessità di trovare la fede negli altri, e quando la trovava faceva miracolo.
Ecco un altro concetto da meditare: è la fede quella che ‘forza’ la mano di Dio e lo induce – se Egli lo ritiene giusto – a fare l’impossibile. E’ la forza della fede che rende possibile il miracolo.
Infine, sempre con riferimento alle ricchezze ed alla paura di perderle, Gesù invita – terzo argomento della giornata – a non preoccuparsi troppo del futuro ma ad avere fiducia in Dio, perché - come Dio provvede al sostentamento degli uccelli che non seminano, e non mietono, non hanno granai eppure non muoiono di fame – così può provvedere a noi uomini che avendo un’anima immortale destinata al Paradiso siamo da più degli uccelli.
Dio conosce benissimo le nostre vere e giuste esigenze.
Quest’ultimo aspetto, quello di aver ‘fiducia’ in Dio è forse una delle cose più difficili da accettare, un po’ perché forse molti non pensano che Dio ‘possa’ pensare a noi, un po’ perché i nostri sensi di colpa ci lasciano dubbiosi sul fatto che Dio ‘voglia’ pensare a noi, un po’ forse perché la vita moderna con tutte le ‘necessità’ consumistiche che ci creiamo - spesso artificiosamente - genera non poche ansie per la loro realizzazione, un po' infine perché siamo incapaci di autentica fede e quindi di autentico abbandono.
Avere ‘abbandono’ non significa restare sdraiati sotto l’albero aspettando che la mela ci cada da sola in bocca. Non significa cioè rinunciare ad essere attivi e ad usare la nostra iniziativa ed energia per ottenere il ‘meglio’, perché in tal caso oltre che infingardi faremmo un cattivo uso della intelligenza che è pur sempre un dono che Dio ci ha dato per servircene.
Abbandono e fiducia in Dio significano invece – in particolare quando si vive da ‘giusti’ con una coscienza retta – fare tutto il possibile ma anche, di fronte alle difficoltà, non scoraggiarsi ed avere fiducia che Dio in qualche modo, prima o poi, anzi al momento veramente necessario, interverrà.
E’ tuttavia opportuno avere a questo riguardo ben chiaro nella mente un concetto che riguarda la ‘pedagogia’ dell’intervento di aiuto divino.
Dio non ci fa sapere in anticipo che ci aiuterà, altrimenti magari ci adageremmo sugli allori o smetteremmo di pregare con umiltà, ma si riserva senza alcun preavviso di farlo solo al momento opportuno, nel momento in cui veramente sorge quella certa nostra impellente esigenza, e talvolta lo fa anche ‘in extremis’, quasi volesse farci capire che quell’intervento del tutto inaspettato ed imprevedibile è proprio dovuto a Lui e bene abbiamo fatto a sperare fino all’ultimo.

7.3 L’attaccamento alle ricchezze spirituali. Gesù: «Le ricchezze di un figlio, che Io do a un figlio, devono essere un godimento di tutti e non esclusivo di uno…, ma il dono deve circolare fra tutti. Perché Io parlo a uno per tutti».

Oggi viviamo in una società dove l’obbiettivo della ricchezza materiale sembra essere l’unico vero scopo della nostra vita.
Nella prima parte del nostro commento al secondo discorso della montagna, parlando dell’uso delle ricchezze avevo fatto un breve cenno all’episodio evangelico del giovane ricco che, desiderando poter andare al seguito di Gesù come discepolo, gli aveva chiesto cosa avrebbe dovuto fare di buono per avere la vita eterna.17
E Gesù gli aveva risposto che per entrare nella Vita egli doveva osservare i Dieci Comandamenti.
Alla risposta del giovane che Egli li aveva sempre osservati e alla domanda di cosa gli mancasse ancora, Gesù risponde: ‘Se vuoi essere perfetto, và, vendi quanto hai, dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo: poi vieni e seguimi’.
Ecco: per andare in Cielo basta il rispetto della Legge dei dieci Comandamenti, ma se si vuole – in più – essere del tutto perfetti, ecco il ‘consiglio evangelico’ di Gesù: distacco dalle ricchezze, donare tutto ai poveri e a quel punto seguire Gesù come discepolo che, per essere veramente tale, deve essere distaccato da tutto tranne che da Dio.
Il giovane avrebbe voluto essere ‘discepolo’ di Gesù, come dire essere un odierno ‘sacerdote’ che abbia saputo rinunciare ai suoi averi, ma l’essere discepoli comporta una disciplina particolare che Dio non pretende dagli altri.
Essere ‘discepoli’ significa accettare una particolare vocazione, accettare cioè di appartenere a Dio e per amore a Dio rinunciare a tutto.
Bisogna tuttavia aver bene chiaro in mente cosa intendesse Gesù per ‘ricchezze’.
Il termine andava inteso in senso lato.
Dovete sapere che la Parola di Dio è Pienezza della Parola e quindi ‘moltiplicazione’ della stessa.
Ricchezza può dunque avere tanti diversi significati ed a questo proposito attirerò di seguito la vostra attenzione su un paio di discorsi di Gesù - non tratti da ‘L’Evangelo’ ma dai Quaderni’- discorsi che prendono lo spunto proprio dall’episodio del ‘giovane ricco’ e che spiegano appunto meglio cosa significhi veramente ‘distacco’ e più in particolare da quali ‘ricchezze’ ci si debba anche distaccare per essere davvero perfetti e come tali meritare non solo la salvezza in Cielo, che è già di per sé Gloria, ma una maggior Gloria (i grassetti sono miei):18
Dice Gesù:
«Anche oggi ti parlerò riferendomi al Vangelo. Ti illustrerò una frase. Una sola, ma che ha significati vastissimi. Voi la considerate sempre sotto un sol punto di vista. La vostra limitatezza umana non vi permette di più. Ma il mio Vangelo è opera spirituale, perciò il suo significato non resta circoscritto al punto materiale di cui parla, ma si propaga come un suono in cerchi concentrici, e sempre più vasti abbracciando tanti significati.
Io ho detto al giovane ricco: “Va’, vendi quello che hai e vieni a seguire Me”.
Voi avete creduto che Io dessi il consiglio evangelico della povertà. Sì, ma non della povertà quale voi la intendete; non quello soltanto.
Il denaro, le terre i palazzi, i gioielli, sono cose che amate e che vi costa sacrificio a rinunciare di averle o dolore a perderle. Ma per una vocazione d’amore sapete anche spogliarvene.
Quante donne non hanno venduto tutto per mantenere lo sposo o l’amante - il che è peggio - e continuare una vocazione di amore umano?
Altri per un’idea fanno getto della vita. Soldati, scienziati, politici, banditori di nuove dottrine sociali, più o meno giuste, si immolano ogni giorno al loro ideale vendendo la vita, dando la vita per la bellezza, o per quello che loro reputano bellezza, di una idea. Si fanno poveri della ricchezza della vita per la loro idea.
Anche fra i miei seguaci molti hanno saputo e sanno rinunciare alla ricchezza della vita, offrendola a Me per amore mio e del loro prossimo. Rinuncia molto più grande di quella delle materiali ricchezze.
Ma nella mia frase c’è un altro significato ancora, come c’è una ricchezza più grande dell’oro e della vita e infinitamente più cara.
La ricchezza intellettuale. Il proprio pensiero! Come ci si tiene! Ci sono, è vero, gli scrittori che lo elargiscono alle folle. Ma lo fanno per lucro, e poi il vero loro pensiero non lo dicono mai. Dicono quello che serve alla loro tesi, ma certe intime luci le tengono sotto chiave nello scrigno della mente. Perché spesso sono pensieri di dolore per intime pene o rimproveri della coscienza destata dalla voce di Dio.
Ebbene, in verità ti dico, che essendo questa una ricchezza più grande e più pura - perché ricchezza intellettuale e perciò incorporea - la sua rinuncia ha un valore diverso agli occhi miei. Quanto in voi si accende, viene dal centro del Cielo dove Io, Dio Uno e Trino, sono. Non è quindi giusto che voi diciate: “Questo pensiero è mio”.
Io sono il Padre e il Dio di tutti. Perciò le ricchezze di un figlio, che Io do a un figlio, devono essere godimento di tutti e non esclusivo di uno.
A quell’uno che si è meritato d’essere - dirò così - il depositario, il ricevente, resta la gioia d’esser tale. Ma il dono deve circolare fra tutti. Perché parlo a uno per tutti.
Quando uno trova un tesoro, se è un onesto, si affretta a consegnarlo a chi di dovere e non lo tiene colpevolmente per sé.
Colui che trova il Tesoro, la mia Voce, deve consegnarla ai fratelli. È tesoro di tutti.
Non amo gli avari. Neppure gli avari nella pietà. Ci sono molti che pregano per sé, usano delle indulgenze per sé, si nutrono di Me per sé. Mai un pensiero per gli altri.
È la loro anima che preme loro. Non mi piacciono.
Non si danneranno perché restano in grazia mia. Ma avranno solo quel minimo di grazia che li salverà dall’Inferno. Il resto, che dovrà dare loro il Paradiso, dovranno guadagnarselo con secoli di Purgatorio.
L’avaro, materiale e spirituale, è un goloso, un ingordo e un egoista.
Si rimpinza. Ma non gli fa pro. Anzi questo produce in lui malattie dello spirito.
Diviene un impotente a quell’agilità spirituale che vi rende capaci di percepire le divine ispirazioni, regolarvi su di esse e raggiungere con sicurezza il Cielo.
Vedi quanti significati può avere una mia parola evangelica? E ne ha altri ancora. Ora, piccola gelosa dei miei segreti, regolati. Non fare delle ricchezze che ti do delle ricchezze ingiuste.»
(…)
Questo che avete letto è un insegnamento che è anche un garbato rimprovero alla mistica che – parrebbe di capire - talvolta si mostrava forse un poco ‘gelosa’ dei suoi ‘segreti’ e restìa a farli conoscere a tutti coloro che le stavano attorno.
Siamo però anche di fronte ad un vero monito, per di più molto grave, rivolto a tutti coloro che – avendo per grazia di Dio avuto la possibilità di ricevere insegnamenti direttamente dal Signore – poi non ne fanno compartecipi gli altri affinché anche essi possano uscirne arricchiti.
E’ una avarizia spirituale grave. Chi vuole tenere queste rivelazioni per sé – dice Gesù – è un goloso, un infingardo ed un egoista: queste ricchezze sono di tutti e devono essere date a tutti, ovviamente nei dovuti modi e circostanze.
Chi non lo fa – dice sempre Gesù – rischia anche secoli di Purgatorio.
Come non si può pensare allora anche a chi, pur non ricevendo dal Signore rivelazioni personali, viene a conoscenza ad esempio di quelle – veri e propri tesori – dell’Opera valtortiana, le apprezza, ne gode anche intellettualmente oltre che spiritualmente, legge e rilegge anche svariate volte, ma poi - tenendosele egoisticamente per sé - non si sforza, almeno nei limiti del possibile, di utilizzarle per fare apostolato rendendone compartecipi anche altri e magari - se per timidezza non se ne sente capace - diffondendo i libri dell’Opera che parlano da soli ?
Ecco la necessità – da parte almeno dei ‘valtortiani’ che qui leggono - di una ‘evangelizzazione‘ alla luce delle rivelazioni a Maria Valtorta, evangelizzazione che è uno degli scopi di queste nostre riflessioni che si propongono di rendere più agevole il compito di chi in futuro vorrà o potrà cimentarsi.

7.4 Gesù: « Fra le ricchezze ve ne è un’altra ancora... Sono gli affetti… Io non la distruggo la vostra ricchezza affettiva. La levo dalla Terra per trapiantarla in Cielo. Là saranno ricostruite in eterno le sante convivenze famigliari, le pure amicizie…»

Dopo questo riferimento all’avarizia spirituale, Gesù - il giorno successivo - riprende con la mistica il discorso sulla ‘ricchezza’, discorso evidentemente del tutto importante (i grassetti sono miei):19
(…)
Dice ancora Gesù:
«Fra le ricchezze da dare via per seguire Me e che ti ho elencate20, ve ne è un’altra ancora. Quella che è la più legata allo spirito e che a strapparla fa più dolore che a strapparsi la carne. Sono gli affetti, questa ricchezza così viva. Eppure per amore mio bisogna sapere dare via anche quelli.
Io non condanno gli affetti. Anzi li ho benedetti e santificati con la Legge e i Sacramenti. Ma siete sulla terra per conquistare il Cielo. Quella è la dimora vera.
Quanto Io ho creato per voi quaggiù va guardato attraverso la lente di lassù. Quanto Io vi ho donato va preso con riconoscenza, ma riconsegnato con prontezza alla mia richiesta.
Io non la distruggo la vostra ricchezza affettiva. La levo dalla terra per trapiantarla in Cielo.
Là saranno ricostruite in eterno le sante convivenze famigliari, le pure amicizie, tutte quelle forme di affetto onesto e benedetto che Io, Figlio di Dio fatto uomo, ho voluto anche per Me stesso e che so quanto siano care. Ma se sono care, tanto care, non sono più care di Dio e della vita eterna.
Ma non dimostrano una vera fede nel dolce Padre che è nei Cieli coloro che davanti ad un affetto che si spezza non sanno pronunciare la parola più bella della figliolanza in Dio, ma si ribellano. E non riflettono che se Io do quel dolore è certo per evitare dolori più grandi e per procurare un merito maggiore!
Tu, anche tu non hai saputo dire: “Sia fatto come Tu vuoi!”.
Sono dovuti passare degli anni prima che tu mi dicessi: “Grazie, Padre, per quel dolore”. Ma credi tu che il tuo Gesù te lo avrebbe dato se non fosse stato un bene dartelo?
Ora rifletti e capisci. Ma quanto hai tenuto a farlo! Io ti chiamavo, cercavo farti intendere la ragione. Ma non udivi il tuo Dio. Era l’ora delle tenebre per la mente e per l’anima.
Non chiedermi: “Perché l’hai permessa?”.
Se l’ho permessa non è stato senza motivo.21 Te ne parlo questa sera in cui più soffri. Io sono con te appunto perché soffri. Ti faccio compagnia. Ma ricorda che Io non ebbi nessuno nell’ora della tentazione. Ho dovuto superarla da Me. Tu invece mi hai sempre avuto vicino, anche quando non mi vedevi perché lo Spirito del Male ti disturbava al punto di impedirti di vedere e udire il tuo Gesù.
Ora, se Io ti dicessi che l’adesione di un figlio alla morte di un padre abbrevia al medesimo il Purgatorio, che il perdono di un figlio alle colpe, più o meno vere, di un padre, è refrigerio per quell’anima, ci crederesti. Ma allora non ti davi pace e sciupavi il bene che facevi.
Rinunciare alla ricchezza di un affetto, per seguire la Volontà mia senza rimpianti umani, è la perfezione della rinuncia consigliata al giovane del Vangelo.
Ricordalo per tutto il resto della vita. Un padre quale Io sono non dà mai nulla di nocivo ai figli. Anche se l’apparenza è quella di un sasso a chi chiede un bacio, quel sasso è oro puro e eterno. Sta all’anima il riconoscerlo e mantenerlo tale, pronunciando la parola che attirò Me dai Cieli nel seno di Maria e mise Me sulla Croce per redimere il mondo: fiat.»
Anche qui – fra gli altri – vi sono due insegnamenti sui quali desidero attirare ancor più la vostra attenzione.
Gesù – e qui ritorna il mio discorso di poc’anzi sulla ‘Pienezza’ della Parola divina – inserisce fra le ricchezze dalle quali bisogna imparare a ‘distaccarsi’ anche le ricchezze affettive.
È infatti, ad esempio, il distacco che si chiede a quei religiosi che senza rimpianti umani lasciano la propria famiglia per un’altra di ordine spirituale oppure il ‘distacco’ di chi, da laico, decide - chi in un modo e chi nell’altro - di dedicarsi al servizio di Dio.
Nelle ricchezze affettive non vi sono comprese solo quelle della perdita di contatto con i propri genitori, fratelli, parenti in genere, amici, rinuncia al matrimonio e ai figli, ma anche il contatto con il ‘mondo’.
Quanto agli affetti dei famigliari e dei nostri amici in Terra, qui Gesù ci dà però una grande e consolante assicurazione: li rivedremo in Cielo, glorificati, e li conosceremo ed apprezzeremo molto di più di quanto abbiamo potuto fare in terra limitati dalla nostra umanità.
Gesù dice infatti:
Io non la distruggo la vostra ricchezza affettiva. La levo dalla terra per trapiantarla in Cielo.
Là saranno ricostruite in eterno le sante convivenze famigliari, le pure amicizie, tutte quelle forme di affetto onesto e benedetto che Io, Figlio di Dio fatto uomo, ho voluto anche per Me stesso e che so quanto siano care. Ma se sono care, tanto care, non sono più care di Dio e della vita eterna.
Attenzione tuttavia ad un piccolo particolare: Gesù parla degli affetti dei famigliari ‘santi’, e delle amicizie ‘pure’. Parla cioè delle ‘ricostruzione’ e ricomposizione in Paradiso degli ‘affetti’ ed ‘amicizie’ di coloro che si saranno salvati, e non certo di quelli che sono andati volontariamente all’inferno.
L’aspettativa di poter un giorno rivedere in Cielo i nostri cari è necessariamente dunque legata alla nostra e alla loro salvezza, magari dopo un lungo soggiorno in Purgatorio, ma comunque ‘salvezza’.
Gesù non ci promette dunque ‘solo’ il Paradiso, ma addirittura un Paradiso fatto a misura dei nostri affetti terreni sublimati dal fatto di ritrovarci tutti in Cielo: prima in spirito e - al Giudizio universale - anche con i corpi glorificati e... solidi.
Non ci deve sembrare pazzesco: l’universo e la natura che ci circonda sono composti e funzionano in maniera molto più ‘pazzesca’ che non la prospettiva di ritrovarci un giorno, dopo il Giudizio Universale, in questa misteriosa realtà che chiamiamo ‘Paradiso’ con il nostro corpo glorificato ma ‘solido’, come lo hanno in Cielo Gesù e la stessa Madonna.
Ricordo al riguardo un Dettato di Maria SS. a Maria Valtorta - a commento della Sua Assunzione al Cielo - che così diceva: 22
[Dice Maria:]
«La mia umiltà non poteva farmi permettere di pensare che tanta gloria mi fosse riserbata in Cielo. Nel mio pensiero era la quasi certezza che la mia umana carne, fatta santa dall'aver portato Dio, non avrebbe conosciuto la corruzione, poiché Dio è Vita e, quando di Sé stesso satura ed empie una creatura, questa sua azione è come aroma preservatore da corruzione di morte.
Io non soltanto ero rimasta immacolata, non solo ero stata unita a Dio con un casto e fecondo abbraccio, ma m'ero saturata, sin nelle mie più profonde latebre, delle emanazioni della Divinità nascosta nel mio seno e intenta a velarsi di carni mortali. Ma che la bontà dell'Eterno avesse riserbato alla sua ancella il gaudio di risentire sulle sue membra il tocco della mano del Figlio mio, il suo abbraccio, il suo bacio, e di riudire con le mie orecchie la sua voce, di vedere col mio occhio il suo volto, questo non potevo pensare che mi venisse concesso, né lo desideravo. Mi sarebbe bastato che queste beatitudini venissero concesse al mio spirito, e di ciò sarebbe stato già pieno di felicità beata il mio io.
Ma, a testimonianza del suo primo pensiero creativo a riguardo dell'uomo, da Lui, Creatore, destinato a vivere, trapassando senza morte dal Paradiso terrestre a quello celeste, nel Regno eterno, Dio volle me, Immacolata, in Cielo in anima e corpo, subito che fosse cessata la mia vita terrena. [...]
Il secondo insegnamento che ci da Gesù è quello per cui l’accettazione ed adesione spirituale alla volontà di Dio da parte ad esempio di un figlio che ha perso gli amati madre o padre, come nel caso di Maria Valtorta che per la morte prematura del padre soffrì moltissimo, abbrevia al congiunto il Purgatorio.
Impensabile, ma è un’altra prova della Misericordia e dell’amore di Dio.
La nostra accettazione, la nostra fiducia, anzi la nostra adesione alla Divina volontà, diventa infatti un merito che torna a vantaggio – nella Comunione dei Santi – del nostro amato congiunto.
Quante persone - di fronte alla morte di una persona cara - non ne fanno addirittura rimprovero al Signore come se fosse colpa sua, come se gli si imputasse la colpa di non averlo impedito?
Ma se Dio facesse così con uno sarebbe ingiusto con tutti gli altri. Non sarebbe un atto di amore e di giustizia ma di ingiustizia!
A volte Dio si prende un ‘giusto’ perché lo ama troppo e lo vuole assolutamente vicino a Sé, altre volte se lo prende prima che succedano nella sua vita delle cose ancora peggiori e dolorose che noi non possiamo prevedere ma che Dio vede in anticipo.
Non cogliamo forse – noi - la frutta e gli ortaggi del nostro orto quando sono quasi maturi, prima che magari degenerino diventando ‘troppo’ maturi?
Ebbene io sono convinto che la Terra per Dio sia come un infinito orto spirituale dove Dio è l’Ortolano il quale può cogliere anzitempo alcuni frutti che - avendo magari qualche difetto - potrebbero più facilmente deteriorarsi, lasciare invece altri sulla pianta perché maturino spiritualmente meglio, ed infine cogliere anzitempo anche quelli che sono giunti alla giusta maturazione spirituale per la Mensa del Cielo.
È ingiusta la morte prematura dei bimbi innocenti?
Umanamente lo è ma essi, spiritualmente parlando, sono dei ‘piccoli ladri del Paradiso’ in quanto – pur privati della esperienza di vita e di affetti in terra, vita peraltro non priva di gravi rischi spirituali - ‘guadagnano’ gratuitamente una felice vita eterna, senza rischiare di perdersi invece nella vita terrena.
I loro genitori – dopo il giusto e comprensibile dolore in terra, che sarà comunque per essi anche espiazione e purificazione – potranno essere sicuri di riabbracciarli con smisurata gioia in Cielo. Del resto, cosa è questa temporalmente limitata e spesso miserabile e dolorosa vita terrena rispetto ad una felice Eternità?
La prossima riflessione sarà dedicata a:
8. IL SESTO DISCORSO DELLA MONTAGNA: LA SCELTA TRA BENE E MALE, L’ADULTERIO, IL DIVORZIO. L’ARRIVO IMPORTUNO DI MARIA DI MAGDALA. (01 di 2)

1  M.V.: ‘I Quaderni del 1944’ – 7.4.1944 – Centro Editoriale Valtortiano
2  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. X - Cap. 618 – Centro Editoriale Valtortiano
3  N.d.A.: Gesù si è materializzato, e la Mamma lo può abbracciare e sentire nella sua corporeità fisica, come avrebbero potuto fare successivamente gli apostoli, la sera di quello stesso giorno, durante la sua materializzazione nel Cenacolo dove essi erano riuniti a commentare i fatti del giorno dopo che le varie discepole avevano parlato di un Gesù Risorto all’alba ma che gli apostoli tuttavia non avevano ancora visto.
4  N.d.A.: Limbo, dove Gesù dopo la Redenzione era disceso per liberare i giusti ‘attendenti’ aprendo loro le porte del Paradiso.
5  N.d.A.: Riferimento al volto di Gesù impresso durante la salita al Calvario nel velo detto della ‘Veronica’
6  N.d.A.: Riferimento al ‘Gesù Eucaristico’ dopo l’istituzione del Sacramento dell’Eucarestia durante l’Ultima Cena del Giovedì Santo nel Cenacolo.
7  N.d.A.: Riferimento al ruolo di Maria SS. che con la sua adesione al Progetto redentivo divino e con le sue sofferenze era stata associata a Gesù nella Redenzione come ‘Corredentrice’.
8  N.d.A.: Riferimento al futuro contributo come ‘piccole corredentrici’ delle anime-vittima, quali la stessa Maria Valtorta, e di quanti accettano e offrono il loro dolore per la salvezza altrui.
9  N.d.A.: Riferimento alla futura Assunzione al Cielo in anima e corpo di Maria SS.
10  N.d.A.: Da questo si comprende che la prima a vedere Gesù dopo la Resurrezione non fu Maria Maddalena, come si potrebbe pensare dal Vangelo di Giovanni, perché Gesù apparirà alla Maddalena solo dopo essersi mostrato, giustamente, alla Sua Mamma in questa apparizione nell’intimità della stanzetta del Cenacolo in cui Maria SS. era ancora raccolta in preghiera fin da dopo la crocefissione.
11  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 173 – Centro Editoriale Valtortiano
12  Mt 6, 19-21:19Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; 20accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. 21Perché, dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.
13  Mt 6, 1-4: 1State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c'è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. 2Dunque, quando fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 3Invece, mentre tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, 4perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
14  N.d.A.: Sara ed Ismaele: due personaggi che abbiamo già conosciuti nel corso del ‘discorso’ del giorno precedente. Gesù ha affidato Ismaele a Sara, guarita dalla sua malattia e con il compito di accudire il vecchio ‘patriarca’ che era stato abbandonato dalla figlia. Sara lo accompagnerà da Lazzaro a Betania dove lei lavorerà alle sue dipendenze dedicandosi al lino mentre a Ismaele – ormai troppo anziano – verrà affidata la cura degli alveari. Egli amava le sue api, e un giorno verrà trovato morto, ricoperto dalle sue care api. In seguito Sara sarebbe entrata a far parte del personale di fiducia di Lazzaro e delle sue sorelle a Betania.
15  Mt 6, 25-34:25Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? 26Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 28E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 31Non preoccupatevi dunque dicendo: «Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?». 32Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. 33Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.
16  Gv 1, 1-18: Prologo. In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
2Egli era, in principio, presso Dio: 3tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
4In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; 5la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta.
6Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. 7Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
8Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
9Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.
10Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
11Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.
12A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, 13i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
14E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.
15Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me
è avanti a me, perché era prima di me».
16Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia.
17Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
18Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.
17 Gv 19, 16-30: 16Ed ecco, un tale si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?».
17Gli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti».
18Gli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, 19onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso».
20Il giovane gli disse: «Tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca?».
21Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!».
22Udita questa parola, il giovane se ne andò, triste; possedeva infatti molte ricchezze.
23Gesù allora disse ai suoi discepoli: «In verità io vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. 24Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio».
25A queste parole i discepoli rimasero molto stupiti e dicevano: «Allora, chi può essere salvato?».
26Gesù li guardò e disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile».
27Allora Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?».
28E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d'Israele. 29Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. 30Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi.
18  M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – Dettato del 29 giugno 1943 – Centro Editoriale Valtortiano
19  M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – Dettato del 30 giugno 1943 – Centro Editoriale Valtortiano
20  N.d.R.: Nel dettato precedente del 29.6.43
21  N.d.A.: Allo scrivente parrebbe di capire che qui si tratti di un riferimento alla morte del papà di Maria Valtorta che ella amava intensamente.
22  M.V: 'L'Evangelo come mi è stato rivelato' - Vol. X, Cap. 651.13 - Dettato dicembre 1943 - Centro Editoriale Valtortiano.
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