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5. IL QUARTO DISCORSO DELLA MONTAGNA: IL GIURAMENTO, LA PREGHIERA, IL DIGIUNO. (01 di 2)

5.1 Gesù: «Non giurare mai…, non nominare il nome di Dio invano… lo spergiuro è sacrilego, ladro, traditore, omicida… no all’orazione ipocrita ma pregare sempre Dio nel segreto del cuore, così come in segreto bisogna digiunare…».

Nel cammino che abbiamo fatto fino a questo momento, assistendo anche noi - come Maria Valtorta nelle sue visioni - ai discorsi del Gesù valtortiano, abbiamo visto che Egli, giorno dopo giorno, ha sviluppato le seguenti tre tematiche fra le sette che ho indicato nella Introduzione:
La missione degli apostoli e dei discepoli.
Il dono della grazia e le beatitudini.
I consigli evangelici che perfezionano la Legge.
Nei quattro giorni successivi Gesù affronterà di giorno in giorno rispettivamente i restanti argomenti:
Il giuramento, la preghiera, il digiuno.
L’uso delle ricchezze, l’elemosina, la fiducia in Dio.
La scelta fra Bene e Male, l’adulterio, il divorzio.
Amare la volontà di Dio.
Accingiamoci dunque ad affrontare il quarto discorso concernente il giuramento, la preghiera e il digiuno.
I tre temi sono indubbiamente interessanti. Cosa ci dirà Gesù in proposito?
Cosa ne sappiamo noi, ad esempio, del ‘giuramento’?
Il primo giuramento che mi viene in mente è quello attribuito ad Ippocrate, il famoso medico greco del IV secolo a.C., che aveva chiamato vari dèi a testimonianza del suo giuramento di ottemperare con ogni sua forza a tutta una serie di impegni deontologici a favore del malato, fra i quali – cosa che mi ha meravigliato – quello di non somministrare a nessuno alcun farmaco mortale, neppure se richiesto, né mai avrebbe dato tale consiglio a chicchessia, tantomeno avrebbe dato ad alcuna donna un medicinale abortivo.
Non ci sono commenti da fare se non che di fronte alle norme legislative ‘moderne e civili’ che prevedono in molti paesi l’eutanasia e l’aborto – siamo qui di fronte alla civiltà e al senso etico di un medico pagano di duemilaquattrocento anni fa e di una intera categoria di medici dell’antichità che tenevano evidentemente in somma considerazione la tutela della vita, sia di un adulto che di un embrione umano.
Il loro giuramento costituiva dunque un impegno solenne a fare o non fare certe cose, pronunciato di fronte ai loro dèi che venivano chiamati ad essere testimoni di tale impegno.
Il secondo giuramento al quale penso, non perché mi sia mai capitato di averlo ascoltato in un Tribunale bensì in tanti film televisivi, è quello del tipo: ‘Giuro di dire la verità, soltanto la verità, nient’altro che la verità…’ quando un magistrato chiama qualcuno a rendere testimonianza in giudizio.
E’ una formula solenne che prevede gravi sanzioni in caso di spergiuro, sanzioni severe motivate dal danno anche gravissimo che una falsa testimonianza può arrecare.
Lo ‘spergiuro’ è colui che vìola il giuramento di dire la verità dichiarando invece il falso e in quanto spergiuro può anche giustamente andare in galera.
Ma quanto al giuramento nella religione ed in particolare al Catechismo cattolico?
Si può chiamare Dio a testimone di quanto si asserisce? Non si deve, né che si giuri il vero né a maggior ragione che si giuri il falso.
Il nome di Dio non va infatti pronunciato invano.1
Anche il secondo dei dieci comandamenti prescrive di rispettare il nome del Signore, in particolare per l’uso della parola a proposito di cose sante.
Spergiurando si viene meno al rispetto verso Dio e si abusa del senso del sacro, che è una virtù della religione.
Insomma il secondo comandamento: ’Non nominare il nome di Dio invano’ proibisce l’abuso del nome di Dio. Le promesse – insegna il Catechismo della Chiesa cattolica – fatte ad altri nel nome di Dio impegnano l’onore, la fedeltà, la veracità e l’autorità divine e devono essere quindi mantenute per giustizia. Essere infedeli a queste promesse equivale dunque ad abusare del nome di Dio.
È proibito pertanto il falso giuramento perché fare promessa solenne o giurare è prendere Dio come testimone di ciò che si afferma ed è come invocare la veridicità divina a garanzia della propria veracità.
L’astenersi dal giuramento è un dovere verso Dio, mentre lo spergiurare costituisce una grave mancanza di rispetto nei suoi confronti.
Il giuramento per ragione grave e giusta – come essere chiamato a farlo in un Tribunale – è invece consentito dalla Tradizione della Chiesa.
Che dire poi della preghiera?
Verrebbe da dire che se non tutti pregano tutti sanno però cosa essa sia.
E’ una pratica comune a tutte le religioni con la quale ci si rivolge a Dio (purtroppo molte volte solo quando ne abbiamo bisogno) per chiedere qualcosa per se stessi oppure – meno egoisticamente – per ringraziare o esprimere devozione.
Quando l’uomo prega si eleva a Dio in modo cosciente. Tuttavia è una elevazione ‘teorica’, perché in realtà essa dipende da ‘come’ si prega e dallo ‘stato’ dei nostri rapporti con Dio.
Si può però chiedere nella preghiera una grazia a Dio se ci si ricorda di Dio solo quando se ne ha bisogno?
E può Dio accondiscendere alla preghiera di uno che si ricorda di lui solo quando gli vien bene o peggio ancora che vive coscientemente nel peccato?
Pregare non riesce a tutti: vi è – come già detto - chi non prega mai, chi prega svogliatamente e non con il cuore, chi prega non avendo il cuore ‘puro’, chi prega solo se ha bisogno di qualcosa, chi - ottenuta la grazia per la quale nel momento del bisogno aveva pregato - si dimentica di ringraziare Dio oppure – peggio ancora - pensa che quella cosa che egli desiderava tanto è arrivata… perché ‘si vede che doveva arrivare comunque’, privandone così Dio del merito e mostrandogli irriconoscenza.
Dio ci legge nel cuore e nella mente in ogni istante, tutte queste cose le sa in anticipo, prima che accadano, e regola di conseguenza la concessione delle sue eventuali ‘grazie’.
Pregano le suore in clausura, pregano i sacerdoti, pregano i laici, ma spesso non si vedono i frutti di questa preghiera: in tal caso quelle indicate più sopra potrebbero essere alcune delle cause.
A proposito della preghiera posso tuttavia citare un parere molto autorevole, quello di Papa Benedetto XVI che nel suo ultimo Angelus da Pontefice del 24 febbraio 2013, prendendo lo spunto dal Vangelo di quella domenica, sulla Trasfigurazione, disse 2:
«Meditando questo brano del Vangelo, possiamo trarne un insegnamento molto importante. Innanzitutto il primato della preghiera, senza la quale tutto l’impegno dell’apostolato e della carità si riduce ad attivismo… Inoltre la preghiera non è un isolarsi dal mondo e dalle sue contraddizioni, come sul Tabor avrebbe voluto fare Pietro, ma l’orazione riconduce al cammino, all’azione. L’esistenza cristiana – ho scritto nel messaggio per questa Quaresima – consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio, per poi ridiscendere portando l’amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio’».
Tutto ciò premesso, mi sembra opportuno sentire ora cosa insegna invece Gesù su questi argomenti nel suo quarto discorso.
I suoi sono infatti consigli di perfezione (i grassetti sono miei): 3
26 maggio 1945.
Continua il discorso sulla Montagna.
Lo stesso luogo e la stessa ora. La folla, meno il romano, è la stessa, forse ancora più numerosa perché molti sono fin sull'inizio dei sentieri che conducono alla valletta.
Gesù parla:
«Uno degli errori facili nell'uomo è la mancanza di onestà anche verso se stesso. E dato che l'uomo è difficilmente sincero e onesto, ecco che da se stesso si è creato un morso per essere obbligato ad andare per la via che ha detto. Morso che, del resto, egli, come cavallo indomito, presto si sposta modificando a suo piacere l'andare, o si leva del tutto facendo il suo comodo senza più riflessione a ciò che può ricevere di rimprovero da Dio, dagli uomini e dalla sua propria coscienza.
Questo morso è il giuramento.
Ma non è necessario il giuramento fra gli onesti, e Dio, di suo, non ve lo ha insegnato.
Anzi vi ha fatto dire: "Non dire falso testimonio" senza altra aggiunta. Perché l'uomo dovrebbe essere schietto senza bisogno di altro che della fedeltà alla sua parola.
Quando nel Deuteronomio si parla dei voti, anche dei voti che sono una cosa sorta da un cuore che si pensa fuso a Dio o per sentimento di bisogno o per sentimento di riconoscenza, è detto: "La parola uscita una volta dalle tue labbra la devi mantenere, facendo quanto hai promesso al Signore Iddio tuo, quanto di tua volontà e di tua bocca hai detto". Sempre si parla di parola data, senza altro che la parola.
Colui che sente il bisogno di giurare è perché è già insicuro di se stesso e del concetto del prossimo a suo riguardo. E chi fa giurare testifica con quell'esigenza che diffida della sincerità e onestà del giurante. Come vedete, questa abitudine del giuramento è una conseguenza della disonestà morale dell'uomo. Ed è una vergogna per l'uomo.
Doppia vergogna, perché l'uomo non è fedele neppure a questa cosa vergognosa che è il giuramento e irridendosi di Dio, con la stessa facilità con cui si irride del prossimo, giunge a spergiurare con la massima facilità e tranquillità.
Vi può essere creatura più abbietta dello spergiuro?
Costui, usando sovente una formola sacra, e chiamando perciò a suo complice e mallevadore Iddio, o usando l'invocazione degli affetti più cari - il padre, la madre, la moglie, i figli, i suoi morti, la sua stessa vita e i suoi organi più preziosi, invocati ad appoggio del suo bugiardo dire - induce il suo prossimo a credergli. Lo conduce perciò in inganno.
È un sacrilego, un ladro, un traditore, un omicida.
Di chi? Ma di Dio, perché mescola la Verità all'infamia della sua menzogna e lo sbeffeggia sfidandolo: "Colpiscimi, smentiscimi, se puoi. Tu sei là, io son qua e me ne rido".
Oh! sì! Ridete, ridete pure, o mentitori e beffeggiatori! Ma vi sarà un momento che non riderete, e sarà quando Colui a cui ogni potere è deferito vi apparirà terribile nella sua maestà e solo col suo aspetto vi farà atterriti e solo coi suoi sguardi vi fulminerà, prima, prima ancora che la sua voce vi precipiti nel vostro destino eterno marcandovi della sua maledizione.
È un ladro perché si appropria di una stima che non merita. Il prossimo, scosso dal suo giurare, gliela dona, e il serpente se ne orna fingendosi ciò che non è.
È un traditore perché col giuramento promette cose che non vuole mantenere.
È un omicida perché, o uccide l'onore di un suo simile levandogli col falso giuramento la stima del prossimo, o uccide la sua anima, perché lo spergiuro è un abbietto peccatore agli occhi di Dio, i quali, anche se nessun altro vede la verità, la vedono.
Dio non si inganna né con false parole, né con ipocrite azioni. Egli vede. Non perde per un attimo di vista ogni singolo uomo. E non vi è munita fortezza, né profonda cantina, dove non possa penetrare il suo sguardo. Anche nell'interno vostro, la fortezza singola che ogni uomo ha intorno al suo cuore, penetra Iddio. E vi giudica non per quello che giurate ma per quello che fate.
Perciò Io, all'ordine che vi fu dato, quando fu messo in auge il giuramento per mettere freno alla menzogna e alla facilità di mancare alla parola data, sostituisco un altro ordine.
Non dico come gli antichi: "Non spergiurare, ma anzi mantieni i tuoi giuramenti", ma vi dico: "Non giurate mai".4 Né per il Cielo che è trono di Dio, né per la terra che è sgabello ai suoi piedi, né per Gerusalemme e il suo Tempio che sono la città del gran Re e la casa del Signore Iddio nostro.
Non giurate né sulle tombe dei trapassati né sui loro spiriti. Le tombe sono piene di scorie di ciò che è inferiore nell'uomo e comune col bruto, gli spiriti lasciateli nella loro dimora. Fate che non soffrano e inorridiscano, se spiriti di giusti che già sono nella precognizione di Dio. E per quanto sia una precognizione, ossia cognizione parziale, perché fino al momento della Redenzione non possederanno Dio nella sua pienezza di splendori, non possono non soffrire del vedervi peccatori. E, se giusti non sono, non aumentate il loro tormento dall'aver ricordato col vostro il loro peccato.
Lasciate, lasciate i morti santi nella pace, i morti non santi nelle loro pene. Non levate ai primi, non aggiungete ai secondi. Perché appellarsi ai morti? Non possono parlare.
I santi perché la carità loro lo vieta: vi dovrebbero smentire troppe volte.
I dannati perché l'Inferno non apre le sue porte e i dannati non aprono le bocche che per maledire, e ogni voce resta soffocata dall'odio di Satana e dei satana, perché i dannati satana sono.
Non giurate né sul capo del padre né su quello della madre, né su quello della sposa e degli innocenti figli. Non ne avete diritto. Sono forse una moneta o una merce? Sono una firma su una carta? Sono più e meno di queste cose.
Sono sangue e carne del tuo sangue, uomo, ma sono anche creature libere e tu non le puoi usare come schiave per avallo di un tuo falso. E sono meno di una firma tua propria, perché tu sei intelligente, libero e adulto, e non un interdetto o un pargolo che non sa quello che si fa e che perciò deve essere rappresentato dai parenti. Tu sei tu, un uomo dotato di ragione, e perciò sei responsabile delle tue azioni e devi agire da te, mettendo ad avallo delle tue azioni e delle tue parole la tua onestà e la tua sincerità, la stima che hai saputo suscitare tu nel prossimo, non l'onestà, la sincerità dei parenti e la stima che essi hanno saputo suscitare.
Sono responsabili i padri dei figli? Sì, ma finché sono minorenni. Dopo, ognuno è responsabile di se stesso. Non sempre da giusti nascono giusti, né una santa donna è coniugata ad un santo uomo. Perché allora usare per base di garanzia la giustizia di chi vi è congiunto? Ugualmente, da un peccatore possono nascere figli santi e, finché innocenti sono, tutti sono santi. Perché allora invocare un puro per un vostro atto impuro quale è il giuramento che si vuole poi spergiurare?
Non giurate neppure per la vostra testa, i vostri occhi, e lingua e mani. Non ne avete diritto. Tutto quanto avete è di Dio. Voi non ne siete che i temporanei custodi, i banchieri dei tesori morali o materiali che Dio vi ha concessi. Perché usare allora di ciò che non è vostro? Potete voi aggiungere un capello al vostro capo o mutarne il colore? E se non potete fare questo, perché allora usate la vista, la parola, la libertà delle membra, per convalidare un vostro giuramento?
Non sfidate Dio. Potrebbe prendervi in parola e seccare i vostri occhi come può seccare i vostri frutteti, o strapparvi i figli come può svellervi la casa, per ricordarvi che Lui è il Signore e voi i sudditi, e che è maledetto chi si idolatra al punto da ritenersi da più di Dio sfidandolo con la menzogna.
Il vostro parlare sia: sì, sì; e no, no. Non di più. Il di più ve lo suggerisce il Maligno, e per ridere poi di voi che, non potendo tutto ritenere, cadete in menzogna e siete sbeffeggiati e conosciuti per mentitori. Sincerità, figli. Nella parola e nella preghiera.
Non fate come gli ipocriti5 che quando pregano amano stare a pregare nelle sinagoghe o sugli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini e lodati come uomini pii e giusti mentre poi, nell'interno delle famiglie, sono colpevoli verso Dio e verso il prossimo.
Non riflettete che questo è come uno spergiuro? Perché voi volete sostenere ciò che vero non è allo scopo di conquistarvi una stima che non meritate?
La orazione ipocrita ha lo scopo di dire: "In verità io sono un santo. Lo giuro agli occhi di chi mi vede e che non possono mentire di vedermi pregare". Velo steso sulla malvagità esistente, la preghiera fatta con simili scopi diviene una bestemmia.
Lasciate che Dio vi proclami santi, e fate che tutta la vostra vita gridi per voi: "Ecco un servo di Dio". Ma voi, ma voi, per carità di voi, tacete. Non fate della vostra lingua, mossa dalla vostra superbia, un oggetto di scandalo agli occhi degli angeli. Meglio sarebbe diveniste sull'istante muti se non avete la forza di comandare all'orgoglio e alla lingua, autoproclamandovi giusti e gradevoli a Dio. Lasciate ai superbi e ai falsi questa povera gloria! Lasciate ai superbi e ai falsi questa effimera ricompensa. Povera ricompensa! Ma è quale la vogliono, e non ne avranno altra perché più di una non se ne può avere. O quella vera, del Cielo, e che è eterna e giusta. O quella non vera, della terra, che dura quanto la vita dell'uomo e anche meno e che poi, essendo ingiusta, è pagata, oltre la vita, con una ben mortificante punizione.
Udite come dovete pregare e col labbro e col lavoro e con tutto voi stessi, per impulso del cuore che ama, sì, Dio, e Padre lo sente, ma che anche sempre ricorda chi è il Creatore e che è la creatura, e sta con amore riverenziale al cospetto di Dio, sempre, sia che òri o che traffichi, sia che cammini o che riposi, sia che guadagni o che benefichi.
Per impulso del cuore, ho detto.
E’ la prima ed essenziale qualità. Perché tutto viene dal cuore, e come è il cuore tale è la mente, tale la parola, lo sguardo, l'azione.
L'uomo giusto dal suo cuore di giusto trae fuori il bene, e più ne trae più ne trova, perché il bene fatto procrea novello bene, così come il sangue che si rinnovella nel circolo delle vene e torna al cuore arricchito di sempre nuovi elementi, tratti dall'ossigeno che ha assorbito e dal succo dei cibi che ha assimilato. Mentre il perverso dal suo buio cuore pieno di frode e di veleni non può che trarre frode e veleno, che sempre più si accrescono, corroborati come sono dalle colpe che si accumulano, come nel buono dalle benedizioni di Dio che si accumulano. Credete pure che è l'esuberanza del cuore quella che trabocca dalle labbra e si rivela nelle azioni.
Voi fatevi un cuore umile e puro, amoroso, fiducioso, sincero; amate Dio col pudico amore che ha una vergine per lo sposo. In verità vi dico che ogni anima è una vergine sposata all'eterno Amatore, a Dio Signor nostro; questa terra è il tempo del fidanzamento nel quale l'angelo dato a custode di ogni uomo è lo spirituale paraninfo, e tutte le ore della vita e le contingenze della vita altrettante ancelle che preparano il corredo nuziale.
L'ora della morte è l'ora delle nozze compiute e allora viene la conoscenza, l'abbraccio, la fusione, e con veste di sposa compiuta l'anima può alzare il suo velo e gettarsi nelle braccia del suo Dio senza che per amare così lo Sposo possa indurre altri allo scandalo.
Ma per ora, o anime ancora sacrificate nel laccio del fidanzamento con Dio, quando volete parlare allo Sposo, mettetevi nella pace della vostra dimora, e soprattutto nella pace della vostra dimora interiore, e parlate, angelo di carne fiancheggiato dall'angelo custode, al Re degli angeli.
Parlate al Padre vostro nel segreto del vostro cuore e della vostra stanza interiore.
Lasciate fuori tutto quanto è mondo: e la smania di essere notati e quella di edificare, e gli scrupoli delle lunghe preghiere colme di parole, parole, parole e monotone, e tiepide e scialbe d'amore.
Per carità! Liberatevi dalle misure nel pregare. In verità vi sono alcuni che sprecano più e più ore in un monologo ripetuto con le labbra sole, e che è un vero soliloquio perché neppur l'angelo custode lo ascolta, tanto è rumore vano che egli cerca di rimediare sprofondandosi di suo in ardente orazione per il suo stolto custodito.
In verità vi sono alcuni che non userebbero quelle ore diversamente neppure se Dio apparisse loro dicendo: "La salute del mondo dipende dal tuo lasciare questa loquela senz'anima per andare, magari, semplicemente ad attingere dell'acqua ad un pozzo ed a spargere quell'acqua al suolo per amore di Me e dei tuoi simili".
In verità vi sono alcuni che credono più grande il loro monologo all'atto cortese di accogliere un visitatore o a quello caritativo di soccorrere un bisognoso. Sono animi caduti nell'idolatria della preghiera.
La preghiera è azione d'amore. E amare si può tanto orando che facendo il pane, tanto meditando che assistendo un infermo, tanto compiendo pellegrinaggio al Tempio che accudendo alla famiglia, tanto sacrificando un agnello quanto sacrificando i nostri anche giusti desideri di raccogliersi nel Signore. Basta che uno intrida tutto se stesso e ogni sua azione nell'amore.
Non abbiate paura! Il Padre vede. Il Padre comprende. Il Padre ascolta. Il Padre concede. Quante grazie non sono date anche per un solo, vero, perfetto sospiro d'amore!
Quanta abbondanza per un sacrificio intimo fatto con amore. Non siate simili ai gentili.
Dio non ha bisogno che gli diciate ciò che deve fare perché voi ne abbisognate.
Ciò possono dirlo i pagani ai loro idoli che non possono intendere. Non voi a Dio, al vero, spirituale Iddio che non è solo Dio e Re, ma è Padre nostro e sa, prima ancora che voi glielo chiediate, di che avete bisogno.
Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto.6 Perché chiunque chiede riceve, chi cerca trova, e verrà aperto a chi picchia.
Quando un figlio vostro vi tende la manina dicendovi: "Padre, ho fame", gli date forse un sasso? Gli date un serpente se vi chiede un pesce? No, anzi che date pane e pesce, ma inoltre date carezza e benedizione, perché è dolce ad un padre nutrire la sua creatura e vederne il sorriso felice.
Se dunque voi di imperfetto cuore sapete dare buoni doni ai vostri figli solo per l'amore naturale, comune anche all'animale verso la prole, quanto più il Padre vostro che è nei Cieli concederà a coloro che gliele chiedono le cose buone e necessarie al loro bene.
Non abbiate paura di chiedere e non abbiate paura di non ottenere!
Però - ecco che Io vi metto in guardia contro un facile errore - però non fate come i deboli nella fede e nell'amore, i pagani della religione vera - perché anche fra i credenti vi sono pagani la cui povera religione è un groviglio di superstizioni e di fede, un manomesso edificio in cui si sono infiltrate erbe parassitarie d'ogni specie, al punto che esso si sgretola e cade in rovina - i quali, deboli e pagani, sentono morire la fede se non si vedono esauditi.
Voi chiedete. E vi pare giusto di chiedere. Infatti per quel momento non sarebbe neanche ingiusta quella grazia.
Ma la vita non termina in quel momento. E ciò che è bene oggi può essere non bene domani. Voi questo non lo sapete, perché voi sapete solo il presente, ed è una grazia di Dio anche questa. Ma Dio conosce anche il futuro. E molte volte per risparmiarvi una pena maggiore vi lascia non esaudita una preghiera. Nel mio anno di vita pubblica più di una volta ho sentito dei cuori gemere: "Quanto ho sofferto allora, quando Dio non mi ha ascoltato. Ma ora dico: 'Fu bene così perché quella grazia mi avrebbe impedito di giungere a quest'ora di Dio'."
Altri ho sentito dire e dirmi: "Perché, Signore, non mi esaudisci? A tutti lo fai, e a me no?".
E pur avendo dolore di veder soffrire ho dovuto dire: "Non posso", perché l'esaudirli avrebbe voluto dire mettere un intralcio al loro volo alla vita perfetta.
Anche il Padre delle volte dice: "Non posso". Non perché non possa compiere l'atto immediato. Ma perché non lo vuole compiere per conoscenza delle conseguenze future.
Udite. Un bambino è malato alle viscere. La madre chiama il medico e il medico dice: "Per guarire occorre digiuno assoluto". Il bambino piange, strilla, supplica, pare languire.
La madre, pietosa sempre, unisce i suoi lamenti a quelli del figlio. Le pare durezza del medico quel divieto assoluto. Le pare che possa nuocere al figlio quel digiuno e quel pianto. Ma il medico resta inesorabile. Infine dice: "Donna, io so, tu non sai. Vuoi perdere tuo figlio o vuoi che io te lo salvi?". La madre urla: "Voglio che egli viva!". "E allora" - dice il medico - "io non posso concedere cibo. Sarebbe la morte".
Anche il Padre dice così, delle volte. Voi, madri pietose del vostro io, non lo volete sentire piangere per negata grazia. Ma Dio dice: "Non posso. Sarebbe il tuo male ". Viene il giorno, o viene l'eternità, in cui si giunge a dire: "Grazie, mio Dio, di non avere ascoltato la mia stoltezza!".
Quanto ho detto per l'orazione dico per il digiuno.7
Quando digiunate non prendete un'aria melanconica come usano gli ipocriti, che ad arte si sfigurano la faccia acciò il mondo sappia e creda, anche se vero non è, che essi digiunano.
Anche essi hanno già avuto, con la lode del mondo, la loro mercede e non ne avranno altra. Ma voi, quando digiunate, prendete un'aria lieta, lavatevi a più acque il volto perché appaia fresco e liscio, ungetevi la barba e profumatevi le chiome, abbiate il sorriso del ben pasciuto sulle labbra. Oh! che in verità non vi è cibo che pasca quanto l'amore! E chi fa digiuno con spirito d'amore, di amore si nutre! In verità vi dico che se anche il mondo vi dirà "vanitosi" e "pubblicani", il Padre vostro vedrà il vostro segreto eroico e ve ne darà doppia ricompensa. E per il digiuno, e per il sacrificio di non essere lodati per esso.
Ed ora andate a dare cibo al corpo dopo che l'anima fu nutrita. Quei due poverelli restino con noi. Saranno gli ospiti benedetti che daranno sapore al nostro pane. La pace sia con voi».
E i due poverelli restano. Sono una donna molto scarna e un vecchio molto vecchio. Ma non sono insieme. Il caso li ha riuniti, ed erano rimasti in un angolo avviliti, tendendo inutilmente la mano a quelli che passavano loro davanti.
Gesù va direttamente verso di loro che non osano venire avanti e li prende per mano portandoli al centro del gruppo dei discepoli, sotto una specie di tenda che Pietro ha drizzato in un angolo e sotto la quale forse si ricoverano nella notte e si riuniscono di giorno nelle ore più calde.
È una tettoia di frasche e di... mantelli. Ma serve allo scopo per quanto sia così bassa che Gesù e l'Iscariota, i due più alti, si debbano abbassare per entrarvi.
«Ecco il padre ed ecco una sorella. Portate quanto abbiamo. Mentre prendiamo il cibo udremo la loro storia».
E personalmente Gesù serve i due vergognosi e ne ascolta la lamentosa narrazione. Solo il vecchio, dopo che la figlia è andata lontano col marito e si è dimenticata del padre. Sola la donna, dopo che la febbre le ha ucciso il marito, ed è malata per giunta.
«Il mondo ci sprezza perché poveri siamo» dice il vecchio. «Io vado elemosinando per raggranellare di che compiere la Pasqua. Ho ottant'anni. Ho sempre fatto Pasqua e può essere l'ultima questa. Ma non voglio andare in seno ad Abramo8 con nessun rimorso. Come perdono alla figlia così spero essere perdonato. E voglio fare la mia Pasqua».
«Lunga è la via, padre».
«Più lunga è quella del Cielo, se si manca al rito».
«Vai solo? Se ti senti male per via?».
«Mi chiuderà le palpebre l'angelo di Dio».
Gesù lo carezza sulla testa tremula e bianca e chiede alla donna: «E tu?».
«Io vado cercando lavoro. Se fossi più pasciuta guarirei dalle febbri. E se fossi guarita potrei lavorare anche ai grani».
«Credi. che solo il cibo ti guarirebbe?».
«No. Ci sei anche Tu... Ma io sono una povera cosa, una troppo povera cosa per poter chiedere pietà».
«E se ti guarissi, che vorresti dopo?».
«Nulla più. Avrei avuto già ben più di quanto possa sperare».
Gesù sorride e le dà un pezzo di pane intinto in un poco di acqua e aceto che fa da bevanda. La donna lo mangia senza parlare e Gesù continua a sorridere.
Il pasto cessa presto. Era così parco! Apostoli e discepoli vanno in cerca d'ombra per le pendici, fra i cespugli. Gesù resta sotto la tenda. Il vecchione si è messo contro la parete erbosa e dorme stanco.
Dopo un poco la donna, che pure si era allontanata cercando ombra e riposo, viene verso Gesù che le sorride per rincuorarla. Lei viene avanti timida e pure lieta, fin quando quasi è presso la tenda, e poi la vince la gioia e fa gli ultimi passi velocemente, cadendo bocconi con un grido soffocato: «Tu mi hai guarita! Benedetto! È l'ora del grande brivido ed io non l'ho più... Oh!» e bacia i piedi di Gesù.
«Sei sicura di essere guarita? Io non te l'ho detto. Potrebbe essere un caso...»
«Oh! no! Ora ho compreso il tuo sorriso nel darmi quel pane. La tua virtù è entrata in me con quel boccone. Io non ho nulla da ricambiarti fuorché il mio cuore. Comanda alla tua serva, Signore, ed ella ti ubbidirà fino alla morte».
«Sì. Vedi quel vecchio? E' solo ed è un giusto. Tu avevi un marito e te lo levò la morte. Egli aveva una figlia e gliela levò l'egoismo. E’ peggio. Eppure non impreca. Ma non è giusto che vada solo nelle sue ultime ore. Siigli figlia».
«Sì, mio Signore».
«Ma guarda che vuol dire lavorare per due».
«Sono forte, ora, e lo farò».
«Vai allora là, su quel greppo, e di' all'uomo che riposa là, a quello vestito di bigio, che venga da Me».
La donna va sollecita e torna con Simone Zelote.
«Vieni, Simone. Ti devo parlare. Attendi, donna».
Gesù si allontana qualche metro.
«Pensi che Lazzaro avrebbe difficoltà ad accogliere una lavoratrice di più?».
«Lazzaro? Ma io credo che non sappia neppure quanti sono i suoi servi! Uno più, uno meno! ... Ma chi è?».
«Quella donna. L'ho guarita e...»
«Basta, Maestro. Se Tu l'hai sanata è segno che l'ami. Ciò che Tu ami è sacro a Lazzaro. Mi impegno per lui».9
«E’ vero. Ciò che Io amo è sacro a Lazzaro. Hai detto bene. E per questo Lazzaro diventerà santo, perché amando ciò che Io amo amerà la perfezione. Voglio unire quel vecchio a quella donna e far fare l'ultima sua Pasqua in letizia a quel patriarca. Voglio molto bene Io ai vecchi santi, e se posso dar loro tramonto sereno sono felice».
«Vuoi bene anche ai bambini...»
«Sì, e ai malati...»
«E a quelli che piangono...»
«E a quelli che sono soli...»
«Oh! mio Maestro! Ma non ti accorgi di volere bene a tutti? Anche ai tuoi nemici?».
«Non me ne accorgo, Simone. Amare è la mia natura. Ecco che il patriarca si sveglia. Andiamo a dirgli che farà la Pasqua con una figlia vicino e senza più bisogno del pane».
Tornano alla tenda dove la donna li attende e vanno tutti e tre dal vecchio che si è seduto e si riallaccia i sandali.
«Che fai, padre?».
«Scendo a valle. Spero trovare un ricovero per la notte, e domani mendicherò sulla via, e poi giù, giù, giù, fra un mese, se non muoio, sarò al Tempio».
«No».
«Non devo? Perché?».
«Perché il buon Dio non vuole. Non andrai solo. Questa verrà con te. Ti condurrà dove Io dirò e sarete accolti per amor mio. Farai la tua Pasqua, ma senza fatica. La tua croce l'hai già portata, padre. Posala adesso. E raccogliti solo in orazione di grazie al buon Dio».
«Ma perché... ma perché... io... io non merito tanto... Tu... una figlia... Più che se mi donassi vent'anni... E dove, dove mi mandi?...» Il vecchio piange fra il cespuglio del suo barbone.
«Da Lazzaro di Teofilo. Non so se lo conosci».
«Oh!... io sono dei confini della Siria10 e ricordo Teofilo. Ma... ma... oh! Figlio benedetto di Dio, lascia che io ti benedica!».
E Gesù, seduto come è sull'erba, di fronte al vecchione, veramente si curva per lasciare che lo stesso gli imponga, solenne, le mani sul capo, tuonando, con la sua voce cavernosa di vegliardo, l'antica benedizione: «Il Signore ti benedica e custodisca. Il Signore ti mostri la sua faccia e abbia di te misericordia. Il Signore volga a te il suo volto e ti dia la sua pace».
E Gesù, Simone e la donna rispondono insieme: «E così sia».
5.2 Qualche considerazione generale sulle preghiere…, anche su quelle false.
Bisogna riconoscere che il Discorso della montagna – già di per sé concettualmente profondo nelle sintetiche e celebrate enunciazioni del Vangelo di Matteo – lo diventa ancora molto di più in quelle del Gesù valtortiano.
Difficile poter immaginare concetti espressi in siffatta forma, senza dover ammettere che davvero ci troviamo di fronte all’Uomo-Dio che enuncia verità sublimi pur dovendosi adattare - nel linguaggio - al livello culturale ed intellettivo degli ascoltatori di allora e di ora.
Chi avrebbe mai pensato - parlando ad esempio del ‘giuramento’ - a tutte le sfumature ed aspetti che Gesù sottopone alla nostra attenzione?
Gesù aveva esordito fin dall’inizio dicendo che i suoi sarebbero stati consigli di perfezione: il ‘serto’ che incorona la ‘Legge’ che è ‘Regina’!
Se il rispetto della Legge mosaica è sufficiente per ‘salvarci’, bisogna convenire – da quanto abbiamo fino ad ora letto, ed il Discorso della montagna non è ancora finito – che il riuscire a mettere in pratica questi nuovi insegnamenti possa davvero aiutare l’uomo a divenire ‘santo’ già in terra, per quanto glielo consenta la sua ‘umanità’.
Non sono pochi i concetti del discorso di Gesù che potrebbero averci colpito.
Ad esempio quello, di sottile rilevanza psicologica, per cui – mancando l’uomo di onestà non solo verso gli altri ma anche verso se stesso – egli, conoscendosi, si autoimpone una sorta di ‘guinzaglio’ anzi un ‘morso’ come si fa con i cavalli, un ‘morso’ che in qualche modo lo aiuti a mantenere quanto promesso.
Questo ‘morso’ è il giuramento, morso relativo, tuttavia, perché poi l’uomo tende ad ‘aggiustarselo’ giungendo a compromessi con se stesso secondo le proprie convenienze del momento, quando invece non spergiuri del tutto.
Persino un ‘voto’ è una ‘parola’ data al Signore e va mantenuto come un giuramento.
L’uomo non dovrebbe servirsi del giuramento, abitudine legata alla sua disonestà morale.
Se poi è spergiuro si prende gioco di Dio che chiama ad essere suo complice e mallevadore.
Che dire poi – continua Gesù - quando si giura o si spergiura sulla testa dei propri figli, la nostra cosa più sacra dopo Dio?
Ed invocare a testimonianza della propria onestà – o disonestà nel caso di spergiuro - le anime dei nostri più cari defunti?
Spergiurare significa ingannare il prossimo portato a credere che mai oseremmo dire il falso dopo aver chiamato Dio a testimonio.
Significa anche essere coscienti del fatto che di per se stessi non si è ‘credibili’ e che nemmeno gli altri crederebbero alla verità delle nostre parole se non si giurasse.
Lo spergiurare è una autentica sfida e provocazione nei confronti di Dio: spergiuriamo infatti nel suo nome, davanti a Lui che è sempre presente fin dentro i nostri più reconditi pensieri, ma sappiamo in cuor nostro in anticipo di giurare il falso.
È dunque un peccato che grida vendetta.
Gesù nel suo discorso dedica un ampio rilievo alla preghiera e anche io vorrei intrattenervi con delle mie considerazioni.
Questo è infatti un argomento fondamentale per tutti i popoli e per tutte le religioni, perché il ‘timor di Dio’ è innato nell’anima di tutti gli uomini, un’anima che ha ‘conosciuto’ Dio nell’attimo infinitesimale della sua creazione prima di essere infusa nel concepito salvo rimanerne poi ‘smemorata’.
La preghiera è importante anche per via della ‘Comunione dei Santi’.
Se il Peccato reca offesa all’Altissimo, la preghiera rende onore a Dio.
Dunque la preghiera è ‘riparazione’, perché ripara le offese di chi non ama Dio, ed è contemporaneamente ‘amore ‘, perché rendendo ‘Gloria’ a Dio lo ‘consola’ delle offese subite: offese subite dal Padre.
La preghiera è una ‘catena’ che unisce noi a Dio e Dio a noi.
Ecco perché la Madonna, nelle sue sempre più frequenti apparizioni, ci invita costantemente alla preghiera.
La preghiera è il minimo, per chi non riesca a fare nient’altro.
Come si ama, pregando? Si ama parlando al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo come al proprio padre, al proprio fratello, al proprio spirito. E dal colloquio filiale e fraterno nasce quel tipo di confidenza che ci abitua a vivere con Dio e in Dio. E quando si comincia a vivere insieme a Dio, posto che Egli è buono, lo si ama anche. E quando lo si ama si fa anche la sua Volontà.
Le false preghiere sono invece delle ipocrisie che hanno punti in comune con il giuramento del falso.
Gesù spiega infatti che chi prega premurandosi di farsi vedere per farlo sapere agli altri e farsi così considerare un ‘giusto’, è un bugiardo e un ipocrita.
Si ingannano gli altri ma non si inganna Dio, che osserva in silenzio ogni attimo della nostra vita e scandaglia i nostri pensieri più intimi, un Dio la cui pazienza potrebbe avere anche un limite.
E quelle nostre preghiere recitate come litanie? A chi di noi non è mai capitato?
A volte ci giustifica la stanchezza, a volte è la monotonia corale che addormenta lo spirito, altre volte ancora essa è un mero pregare ‘con le labbra’ perché – come in certi rosari collettivi di suffragio - ci si ‘adegua’ agli altri.
Queste ultime preghiere sono solo ‘suono di voce’, non partecipazione spirituale con un’altra anima morta da poco e che si è già presentata davanti alla Giustizia di Dio, avendo conosciuto una sentenza che in taluni casi potrebbe essere stata di condanna all’inferno o - in altri casi - di condanna al Purgatorio, che tutto è fuorché una cosa piacevole, anche se l’anima del defunto è ‘consolata’ dalla certezza di essere comunque salva.
Gesù insegna dunque che la preghiera può certamente essere verbale ma deve soprattutto essere fatta con il ‘cuore’.
Faccio peraltro osservare – se poco adusi alla prassi della preghiera – che Dio si accontenta anche di poche parole, se dette appunto con il cuore: da figlio a Padre.
Certamente si possono chiedere con la preghiera delle grazie a Dio, ma non solo quando ci fa comodo, e non solo per cose materiali, per non dire cose ingiuste.
Dio vuole preghiere innanzitutto per ragioni spirituali e poi – se è per il nostro bene – esaudisce anche le nostre esigenze materiali senza che neanche glielo chiediamo e senza che ce ne rendiamo conto, perché Egli sa benissimo di cosa abbiamo veramente bisogno.
Bisogna poi pregare il Signore – aggiungo ancora - abituandosi a chiedere aiuto e compartecipazione di preghiera anche al nostro Angelo Custode, che di norma prega e perora le nostre giuste cause ma è più contento se noi glielo chiediamo.
Chiedere aiuto al nostro Angelo custode è un po’ come ‘consolarlo’ facendogli vedere che lo ricordiamo e che gli siamo grati: è un compagno di viaggio che ci segue per tutto il percorso della nostra vita e – pochi lo sanno – persino in Purgatorio dove sovente viene a consolarci ed a darci forza nell’espiazione.
Il Signore ce lo ha messo a fianco sin dal concepimento, attimo per attimo, una vita vissuta in simbiosi con noi, e noi spesso non lo degniamo che di rari ed astratti pensieri.
È bene pregare raccogliendosi anche per brevi momenti in solitudine, per poter parlare a Dio nel silenzio dell’anima, cioè intimamente, e poter eventualmente ascoltare le parole che Egli ispira al nostro orecchio spirituale.
Quando – ad esempio – nella nostra normale vita giornaliera noi ci apprestiamo ad essere ammessi alla presenza di una persona importante alla quale vorremmo chiedere un favore, non è del resto opportuno presentarci con il nostro aspetto fisico migliore e con i vestiti lindi ed in ordine, non certo macchiati o stazzonati?
Così per Dio. Nel pregarlo – che è sempre un mettersi alla sua presenza – e ancor più nel ‘chiedere’, preoccuparsi di essere ‘con le vesti adatte’11, cioè ben confessati e con le migliori intenzioni spirituali, se vogliamo che Egli almeno ci ascolti.
Quanto all’esaudirci si vedrà, perché non è detto che le cose che chiediamo siano cose che ci facciano bene. Noi non conosciamo il futuro, ed una cosa che oggi ci sembrerebbe la migliore e più desiderabile, nel futuro – che Dio invece vede – potrebbe rivelarsi pericolosa sia per la nostra vita materiale che soprattutto per la Vita della nostra anima.
Dio guarda soprattutto all’anima perché è l’anima quella che è destinata alla Salvezza se rispetta la legge interiore dei Dieci comandamenti.
Ricordate le spiegazioni di Gesù sulla ‘predestinazione alla Grazia’ di tutti gli uomini, anche dei non battezzati?
È infatti nella prospettiva della Vita eterna che Dio ci ha creato, e non solo per questa vita terrena limitata che è una frazione infinitesimale, che è un nulla rispetto all’Eternità.
Vita terrena che se da un lato è gioia dall’altro è anche prova dura, perché la Terra – a causa del continuo peccato degli uomini – è sostanzialmente un ‘Tempio di espiazione’.
È comunque confermato dal Gesù valtortiano che l’espiazione in terra – per quanto a noi possa sembrare pesante al punto che preferiremmo rimandarla al Purgatorio – è molto più leggera di quella in Purgatorio.
Ci sono in ogni caso tanti modi di pregare: ad esempio con i propri ‘comportamenti’ nella vita abituale.
Sono ad esempio ‘preghiera’ – se fatti con spirito soprannaturale - l’allevare bene i propri figli per farne dei futuri potenziali ‘figli di Dio’ destinati al Paradiso, oppure curare la famiglia ed il proprio marito o moglie non solo dal punto di vista affettivo ma in onore del Matrimonio, che cristianamente parlando non è un ‘contratto civile’ ma un vero e proprio Sacramento istituito da Dio dove i due sposi, uomo e donna, si giurano per sempre reciproco amore, fedeltà e assistenza nella buona come nella cattiva sorte.
È pure ‘preghiera’ comportarsi - nelle scuole - da buoni maestri ai quali i nostri figli giovani vengono affidati con fiducia allo scopo di indirizzarli verso una vita spiritualmente e socialmente ordinata e sana.
La Scuola non deve essere mero ‘nozionismo’ culturale o solo mezzo per trovare in futuro un lavoro od acquisire una miglior posizione sociale, ma deve essere formazione anche di valori di vita a cominciare dai valori etici ‘non negoziabili’, tanto per capirci.
È ancora ‘preghiera’ essere buoni medici interpretando la propria missione come ‘vocazione’ per la vita – come la intendeva Ippocrate – e non come un comune lavoro finalizzato talvolta ad un mero guadagno economico, anche se legittimo.
Lo stesso concetto di ‘preghiera’ vale per tante altre mansioni ed azioni della nostra vita, se svolte correttamente e con un occhio rivolto al Cielo, non ultime quelle nel campo della politica, dove i governanti dovrebbero innanzitutto preoccuparsi del benessere collettivo di tutti i ‘governati’ e non – ad esempio - solo degli interessi di quelli della propria parte politica.
La responsabilità dei governanti di fronte a Dio è dunque enorme perché riguarda la tutela e la formazione civile non di poche persone ma dell’intera collettività che Dio ha loro affidata.
Se infatti è indubitabile che governati ‘cattivi’ possano designare governanti altrettanto ‘cattivi’, è anche vero il contrario, e cioè che governanti ‘buoni’ possono ‘educare’ e rendere migliori i ‘governati’ che lo sono meno.
La prossima riflessione sarà dedicata a:
6. IL QUARTO DISCORSO DELLA MONTAGNA: IL GIURAMENTO, LA PREGHIERA, IL DIGIUNO. (02 di 2)

1 Es 20, 7: Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano.
2  N.d.A.: Parole citate dal giornalista e scrittore Antonio Socci in un suo articolo stampa
3  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Cap. 172 – Centro Editoriale Valtortiano
4 Mt 5, 33-37:33Avete anche inteso che fu detto agli antichi: «Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti». 34Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, 35né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. 36Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. 37Sia invece il vostro parlare: «Sì, sì», «No, no»; il di più viene dal Maligno.
5 Mt 6, 5-8: 5E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 6Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. 7Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. 8Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.
6  Mt 7, 7-11: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. 8Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. 9Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? 10E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? 11Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono!
7  Mt 6, 6-18: 16E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un'aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 17Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, 18perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
8  N.d.A.: ‘Seno di Abramo’, espressione per indicare – nella credenza religiosa ebraica – il luogo in cui le anime dei ‘giusti’ speravano di andare in attesa della Redenzione che avrebbe loro aperte le porte del Paradiso. Si potrebbe dire che il termine stava a significare - nell’Antico Testamento – il Limbo dei patriarchi e dei giusti.
9  N.d.A.: Simone lo Zelote, l’apostolo, era amico di gioventù di Lazzaro e aveva casa accanto alla proprietà di Lazzaro. a Betania. Nell’Opera valtortiana Egli fu colui che presentò Gesù a Lazzaro il quale divenne a sua volta il più grande amico e benefattore di Gesù e del Gruppo apostolico, insieme alle sue due sorelle Maria Maddalena e Marta. Dice la Tradizione che Lazzaro, prima della distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio nel 70 d.C. ad opera dei Romani, distruzione profetizzata da Gesù, aveva già lasciato la Giudea per recarsi con le sorelle ed i suoi collaboratori di Betania in Francia, dove sarebbe divenuto Vescovo, e dove vi è ancor oggi un culto riservato a lui ed alle sorelle.
Molti cristiani di Gerusalemme – conoscendo la famosa profezia di Gesù sulla prossima distruzione della città, che sarebbe stata punita da Dio per il deicidio – già dopo le prime persecuzioni anticristiane ad opera del ‘Tempio’, persecuzioni che avevano portato alla uccisione del Vescovo di Gerusalemme Giacomo di Alfeo (l’apostolo cugino di Gesù, al quale Gesù aveva dato il mandato di continuare a rappresentarlo sino al martirio presso i giudeo-cristiani della Palestina, dopo la sua Ascensione), si erano salvati spargendosi in altre regioni per evangelizzare come del resto avevano fatto gli apostoli.
Varie migliaia di cristiani di Gerusalemme, varie migliaia, erano stati accolti come profughi nella vicina Samaria che per ragioni storico-religiose era nemica della Giudea ed alleata dei romani.
10  N.d.A.: Lazzaro figlio di Teofilo: Si apprende dall’Opera valtortiana che Lazzaro era figlio di Eucheria, una santa donna, e di Teofilo, importante personaggio politico che serviva Roma. Teofilo aveva proprietà ovunque, persino ad Antiochia, in Siria. Era conosciuto ovunque in Palestina e Siria come personaggio potente ma anche … giusto.
11 Mt 22, 1-14: 1 Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: 2«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest'ordine: «Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!». 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero.
7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: «La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze».
10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
11Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l'abito nuziale. 12Gli disse: «Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?». Quello ammutolì. 13Allora il re ordinò ai servi: «Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti». 14Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
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