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4. IL TERZO DISCORSO DELLA MONTAGNA: I CONSIGLI EVANGELICI CHE PERFEZIONANO LA LEGGE.

4.1. Gesù: «Come vedete, Io non muto e non mutilo la Legge, come non la corrompo con le sovrapposizioni di fermentanti teorie umane…, Io invece faccio della Legge la regina: la completo, l'incorono, mettendo sul suo sommo il serto dei consigli evangelici».

Siamo giunti al terzo giorno e quindi anche al terzo discorso della montagna.
Nella mia Introduzione vi avevo già spiegato le circostanze in cui il Discorso era stato tenuto, una vera e propria ‘Convention’ all’aperto, in un periodo primaverile che in Palestina è già moderatamente caldo e permette – su una collina boscosa1 più che un ‘monte’ vero e proprio – di sostare all’ombra nelle ore più calde del giorno e pernottare all’aperto anche nelle notti stellate e terse di quel paese.
Gli ebrei di allora erano abituati a questi che per noi sarebbero oggigiorno dei grossi disagi.
Portavano con sé delle colazioni al sacco, rifornendosi anche nei paesi più vicini, e si accontentavano di pane, formaggio, olive, piccoli otri d’acqua anche forse in tela che trasudando la mantenevano fresca.
All’occorrenza bevevano anche alle acque dei ruscelli, che allora certo non erano inquinate e scorrevano pure e limpide.
Per dormire all’aperto improvvisavano tende con teli sostenuti da pali recuperati nei boschi stessi, oppure facevano tettoie ricoperte da frasche, ma quanto al dormire si accontentavano di coprirsi dalla brezza fresca notturna con i loro mantelli, poggiando il capo sulle loro sacche. Del resto lo facevano sovente anche Gesù e gli apostoli nella buona stagione quando non trovavano case ospitali e dovevano dormire all’aperto.
Era infatti così che si organizzavano e alzavano tende vicino a Gerusalemme - sul monte degli ulivi suddiviso in ‘accampamenti’ per gruppi di analoga provenienza - i pellegrini che giungevano per quella festività nazionale chiamata Festa delle capanne o dei Tabernacoli che cadeva in autunno, come ringraziamento alla fine dei raccolti.
Quello ebreo era un popolo che aveva antiche tradizioni di vita all’aperto fin dai tempi dell’esodo mosaico nel deserto.
Per non perdere il ‘filo’ delle nostre riflessioni, ricorderò che la sera del primo giorno Gesù aveva tenuto un discorso per i soli apostoli e discepoli, attirando la loro attenzione sul fatto che essi – punto di riferimento per i futuri fedeli – sarebbero stati sotto l’occhio di tutti ed avrebbero quindi dovuto essere ‘luce del mondo e sale della terra’ affinché i fedeli trovassero nelle loro parole la ‘luce’ ed il ‘sapore’ di Dio.
Nel secondo giorno – questa volta per tutto il popolo – Gesù aveva dato inizio ‘ufficiale’ ai suoi discorsi parlando della grandissima importanza del dono della Grazia, elencando poi le varie Beatitudini.
Temi così importanti – ai fini della conoscenza della profondità della dottrina cristiana – che ho voluto dedicarvi ben due ‘riflessioni’: una cinquantina di pagine!
D’altra parte il nostro è un lavoro di ‘studio’ e non dobbiamo spaventarci della lunghezza, salvo meditare con calma paragrafo per paragrafo, anche perché queste ‘riflessioni’ - per quel che di valtortiano contengono – andrebbero ‘centellinate’ per metabolizzarne i vari contenuti.
Bisogna ammettere che gli approfondimenti valtortiani sulla Grazia aprono uno squarcio luminoso su un argomento del quale i più ignorano l’importanza fondamentale ai fini della salvezza.
Chi di noi avrebbe mai potuto avere una spiegazione così illuminante sulla Grazia Santificante – illuminante ed anche meravigliosamente semplice - quale ce l’ha data il Gesù valtortiano, il Maestro per eccellenza?
E la spiegazione delle Beatitudini, poi?
Certo, noi uomini comuni potremmo sentirci presi da una sensazione di sconforto di fronte agli obbiettivi che ci propone Gesù, sono infatti consigli di grande perfezione, ma non dobbiamo dimenticare che Egli indica l’optimum perché ci addita la santità, ma poi – se non ci è possibile – apprezza comunque la nostra buona volontà e conta sul fatto che noi rispettiamo almeno la Legge naturale dei Dieci comandamenti, che tuttavia sono il minimo da osservare, se ci vogliamo salvare.
La grande maggioranza della folla presente doveva essere a quell’epoca analfabeta e comunque incolta, ma dalle parole semplici di Gesù, parole che nessun teologo moderno sarebbe capace di proferire, essa percepiva intuitivamente la elevatezza e ‘giustizia’ di quei concetti, anche perché le parole dell’Uomo-Dio andavano direttamente al cuore dei presenti illuminandoli così come fa Gesù con voi ora con questi suoi Discorsi che avete la fortuna di leggere e meditare.
Ora, in questo terzo giorno, Gesù affronta il tema dei ‘consigli evangelici che perfezionano la Legge’.
E’ una bella mattina, la gente è tutta raccolta in una conca di prati fioriti dalla quale si vede in basso il Lago di Genezareth con i suoi paesini e cittadine affacciati sulle rive, e sullo sfondo – molto più lontano ad una ottantina di chilometri in linea d’aria ma ben visibile nell’aria tersa, grazie anche alle sue cime scintillanti di neve - si vede l’alto monte Hermon.
Gesù – dotato di sguardo magnetico e voce vibrante e tenorile - riusciva a farsi udire e ben vedere parlando da una piccola roccia sopraelevata da dove, con il suo abito azzurro, dominava con l’occhio la folla sottostante che lo ascoltava in profondo silenzio.
La località del Discorso sarebbe stata oggigiorno individuata a circa una quindicina di chilometri sulle colline alle spalle della città di Tiberiade, mentre lungo le sponde del Lago, oltre Tiberiade, vi erano i paesi rivieraschi di Magdala, dove Maria Maddalena possedeva una sontuosa villa, quindi in successione a pochi chilometri l’uno dall’altro, le cittadine di Genezareth, Cafarnao, Corazim e Betsaida, paese – quest’ultimo – di Pietro e di Zebedeo, padre degli apostoli Giovanni e Giacomo di Zebedeo.2
Pietro e Zebedeo erano soci, ciascuno con una propria barca. Essi pescavano e poi commercializzavano il pesce vendendolo su banchetti in paese o nei paesi limitrofi o spedendolo anche in località più lontane magari dopo averlo salato o essiccato se non affumicato. Avevano anche dei garzoni che li aiutavano nel commercio e nella manutenzione delle barche e delle reti in aiuto ai figli di Zebedeo, anch’essi addetti alla pesca ed alle manovre delle barche a vela sotto i comandi di Pietro, Capo barca.
La naturale attitudine al comando di Pietro - oltre al rispetto che tutti gli altri apostoli gli portavano anche per la sua bontà sotto la scorza ruvida, per la sua umiltà e onestà oltre all’amore che egli nutriva per Gesù - sarà una delle qualità per cui Gesù lo avrebbe poi eletto Capo del Gruppo apostolico.
Diamo ora dunque corso alla visione di Maria Valtorta (i grassetti sono miei): 3
25 maggio 1945.
Continua il discorso del Monte.
Il luogo e l'ora sono sempre gli stessi. La gente è ancora più aumentata. In un angolo, presso un sentiero, come volesse udire ma non eccitare ripugnanze fra la folla, è un romano. Lo distinguo per la veste corta e il mantello diverso. Ancora vi sono Stefano e Erma.
E Gesù va lentamente al suo posto e riprende a parlare.
«Con quanto vi ho detto ieri non dovete giungere al pensiero che Io sia venuto per abolire la Legge.4
No. Solo, poiché sono l'Uomo e comprendo le debolezze dell'uomo, Io ho voluto rincuorarvi a seguirla col dirigere il vostro occhio spirituale non all'abisso nero, ma all'Abisso luminoso. Perché, se la paura di un castigo può trattenere tre volte su dieci, la certezza di un premio slancia sette volte su dieci. Perciò più che la paura fa la fiducia. Ed Io voglio che voi l'abbiate piena, sicura, per potere fare non sette parti di bene su dieci, ma dieci parti su dieci e conquistare questo premio santissimo del Cielo.
Io non muto un iota della Legge.
E chi l'ha data fra i fulmini del Sinai? L'Altissimo.
Chi è l'Altissimo? Il Dio uno e trino.
Da dove l'ha tratta? Dal suo Pensiero.
Come l'ha data? Con la sua Parola.
Perché l'ha data? Per il suo Amore.
Vedete dunque che la Trinità era presente.
Ed il Verbo, ubbidiente come sempre al Pensiero e all'Amore, parlò per il Pensiero e per l'Amore.
Potrei smentire Me stesso? Non potrei.
Ma posso, poiché tutto Io posso, completare la Legge, farla divinamente completa, non quale la fecero gli uomini che durante i secoli non la fecero completa ma soltanto indecifrabile, inadempibile, sovrapponendo leggi e precetti, e precetti e leggi, tratti dal loro pensiero, secondo il loro utile, e gettando tutta questa macia a lapidare e soffocare, a sotterrare e sterilire la Legge santissima data da Dio.
Può una pianta sopravvivere se la sommergono per sempre valanghe, macerie e inondazioni? No. La pianta muore.
La Legge è morta in molti cuori, soffocata sotto le valanghe di troppe soprastrutture.
Io sono venuto a levarle tutte e, disseppellita la Legge, risuscitata la Legge, ecco che Io la faccio non più legge ma regina.
2Le regine promulgano le leggi. Le leggi sono opera delle regine, ma non sono da più delle regine.
Io invece faccio della Legge la regina: la completo, l'incorono, mettendo sul suo sommo il serto dei consigli evangelici.
Prima era l'ordine. Ora è più dell'ordine.
Prima era il necessario. Ora è più del necessario. Ora è la perfezione.
Chi la disposa, così come Io ve la dono, all'istante è re perché ha raggiunto il "perfetto", perché non è stato soltanto ubbidiente ma eroico, ossia santo, essendo la santità la somma delle virtù portate al vertice più alto che possa esser raggiunto da creatura, eroicamente amate e servite col distacco completo da tutto quanto è appetito e riflessione umana verso qual che sia cosa.
Potrei dire che il santo è colui al quale l'amore e il desiderio fanno da ostacolo ad ogni altra vista che Dio non sia. Non distratto da viste inferiori, egli ha le pupille del cuore ferme nello Splendore SS. che è Dio e nel quale vede, poiché tutto è in Dio, agitarsi i fratelli e tendere le mani supplici.
E senza staccare gli occhi da Dio, il santo si effonde ai fratelli supplicanti. Contro la carne, contro le ricchezze, contro le comodità, egli drizza il suo ideale: servire.
Povero il santo? Menomato?
No. E’ giunto a possedere la sapienza e la ricchezza vere. Possiede perciò tutto. Né sente fatica perché, se è vero che è un produttore continuo, è pur anche vero che è un nutrito di continuo. Perché, se è vero che comprende il dolore del mondo, è anche vero che si pasce della letizia del Cielo. Di Dio si nutre, in Dio si allieta. È la creatura che ha compreso il senso della vita.
Come vedete, Io non muto e non mutilo la Legge, come non la corrompo con le sovrapposizioni di fermentanti teorie umane. Ma la completo.
Essa è quello che è, e tale sarà fino all'estremo giorno, senza che se ne muti una parola o se ne levi un precetto. Ma è incoronata del perfetto.
Per avere salute basta accettarla così come fu data.
Per avere immediata unità con Dio occorre viverla come Io la consiglio.
Ma poiché gli eroi sono l'eccezione, Io parlerò per le anime comuni, per la massa delle anime, acciò non si dica che per volere il perfetto rendo ignoto il necessario. Però di quanto dico ritenete bene questo: colui che si permette di violare uno fra i minimi di questi comandamenti sarà tenuto minimo nel Regno dei Cieli.
E colui che indurrà altri a violarli sarà ritenuto minimo per lui e per colui che egli indusse alla violazione.
Mentre colui che con la vita e le opere, più ancora che con la parola, avrà persuaso altri all'ubbidienza, costui grande sarà nel Regno dei Cieli, e la sua grandezza si aumenterà per ognuno di quelli che egli avrà portato ad ubbidire e a santificarsi così.
Io so che ciò che sto per dire sarà agro alla lingua di molti. Ma Io non posso mentire anche se la verità che sto per dire mi farà dei nemici.
In verità vi dico che se la vostra giustizia non si ricreerà, distaccandosi completamente dalla povera e ingiustamente definita giustizia che vi hanno insegnata scribi e farisei; che se non sarete molto più, e veramente, giusti dei farisei e scribi, che credono esserlo con l'aumentare delle formule ma senza mutazione sostanziale degli spiriti, voi non entrerete nel Regno dei Cieli.
Guardatevi dai falsi profeti e dai dottori d'errore.5
Essi vengono a voi in veste d'agnelli e lupi rapaci sono, vengono in veste di santità e sono derisori di Dio, dicono di amare la verità e si pascono di menzogne. Studiateli prima di seguirli.
L'uomo ha la lingua e con questa parla, ha gli occhi e con questi guarda, ha le mani e con esse accenna. Ma ha un'altra cosa che testimonia con più verità del suo vero essere: ha i suoi atti.
E che volete che sia un paio di mani congiunte in preghiera se poi l'uomo è ladro e fornicatore?
E che due occhi che volendo fare gli ispirati si stravolgono in ogni senso, se poi, cessata l'ora della commedia, si sanno fissare ben avidi sulla femmina, o sul nemico, per lussuria o per omicidio?
E che volete che sia la lingua che sa zufolare la bugiarda canzone delle lodi e sedurvi con i suoi detti melati, mentre poi alle vostre spalle vi calunnia ed è capace di spergiurare pur di farvi passare per gente spregevole?
Che è la lingua che fa lunghe orazioni ipocrite e poi veloce uccide la stima del prossimo o seduce la sua buona fede? Schifo è! Schifo sono gli occhi e le mani menzognere.
Ma gli atti dell'uomo, i veri atti, ossia il suo modo di comportarsi in famiglia, nel commercio, verso il prossimo ed i servi, ecco quello che testimoniano: "Costui è un servo del Signore".
Perché le azioni sante sono frutto di una vera religione. Un albero buono non dà frutti malvagi e un albero malvagio non dà frutti buoni.
Questi pungenti roveti potranno mai darvi uva saporita? E quegli ancora più tribolanti cardi potranno mai maturarvi morbidi fichi? No, che in verità poche e aspre more coglierete dai primi e immangiabili frutti verranno da quei fiori, spinosi già pur essendo ancora fiori.
L'uomo che non è giusto potrà incutere rispetto con l'aspetto, ma con quello solo. Anche quel piumoso cardo sembra un fiocco di sottili fili argentei che la rugiada ha decorato di diamanti. Ma se inavvertitamente lo toccate, vedete che fiocco non è, ma mazzo di aculei, penosi all'uomo, nocivi alle pecore, per cui i pastori lo sterpano dai loro pascoli e lo gettano a perire nel fuoco acceso nella notte perché neppure il seme si salvi. Giusta e previdente misura.
Io non vi dico: "Uccidete i falsi profeti e gli ipocriti fedeli". Anzi vi dico: "Lasciatene a Dio il compito". Ma vi dico: "Fate attenzione, scostatevene per non intossicarvi dei loro succhi".
Come debba essere amato Dio, ieri l'ho detto. Insisto a come debba essere amato il prossimo.6
Un tempo era detto: "Amerai il tuo amico e odierai il tuo nemico". No. Non così. Questo è buono per i tempi in cui l'uomo non aveva il conforto del sorriso di Dio. Ma ora vengono i tempi nuovi, quelli in cui Dio tanto ama l'uomo da mandargli il suo Verbo per redimerlo.
Ora il Verbo parla. Ed è già Grazia che si effonde. Poi il Verbo consumerà il sacrificio di pace e di redenzione e la Grazia non solo sarà effusa, ma sarà data ad ogni spirito credente nel Cristo. Perciò occorre innalzare l'amore di prossimo a perfezione che unifica l'amico al nemico.
Siete calunniati? Amate e perdonate.
Siete percossi? Amate e porgete l'altra guancia a chi vi schiaffeggia pensando che è meglio che l'ira si sfoghi su voi, che la sapete sopportare, anziché su un altro che si vendicherebbe dell'affronto.
Siete derubati? Non pensate: "Questo mio prossimo è un avido", ma pensate caritativamente: "Questo mio povero fratello è bisognoso" e dategli anche la tunica se già vi ha levato il mantello. Lo metterete nella impossibilità di fare un doppio furto perché non avrà più bisogno di derubare un altro della tunica.
Voi dite: "Ma potrebbe essere vizio e non bisogno". Ebbene, date ugualmente. Dio ve ne compenserà e l'iniquo ne sconterà. Ma molte volte, e ciò richiama quanto ho detto ieri sulla mansuetudine, vedendosi così trattato, cade dal cuore del peccatore il suo vizio, ed egli si redime giungendo a riparare il furto col rendere la preda.
Siate generosi con coloro che, più onesti, vi chiedono, anziché derubarvi, ciò di cui abbisognano.
Se i ricchi fossero realmente poveri di spirito come ho insegnato ieri, non vi sarebbero le penose disuguaglianze sociali, cause di tante sventure umane e sovrumane.
Pensate sempre: "Ma se io fossi nel bisogno, che effetto mi farebbe la ripulsa di un aiuto?", e in base alla risposta del vostro io agite.
Fate agli altri ciò che vorreste vi fosse fatto e non fate agli altri ciò che non vorreste fatto a voi.7
L'antica parola: "Occhio per occhio, dente per dente", che non è nei dieci comandi ma che è stata messa perché l'uomo privo della Grazia è tal belva che non può che comprendere la vendetta, è annullata, questa sì che è annullata, dalla nuova parola: "Ama chi ti odia, prega per chi ti perseguita, giustifica chi ti calunnia, benedici chi ti maledice, benefica chi ti fa danno, sii pacifico col rissoso, condiscendente con chi ti è molesto, soccorri di buon grado chi a te ricorre e non fare usura, non criticare, non giudicare".
Voi non sapete gli estremi delle azioni degli uomini. In tutti i generi di soccorso siate generosi, misericordiosi siate.
Più darete più vi sarà dato, e una misura colma e premuta sarà versata da Dio in grembo a chi fu generoso. Dio non solo vi darà per quanto avete dato, ma più e più ancora.
Cercate di amare e di farvi amare. Le liti costano più di un accomodamento amichevole e la buona grazia è come un miele che a lungo resta col suo sapore sulla lingua.
Amate, amate! Amate amici e nemici per essere simili al Padre vostro che fa piovere sui buoni e sui cattivi e fa scendere il sole sui giusti e sugli ingiusti riservandosi di dare sole e rugiade eterne, e fuoco e grandine infernali, quando i buoni saranno scelti, come elette spighe, fra i covoni del raccolto.
Non basta amare coloro che vi amano e dai quali sperate un contraccambio. Questo non è un merito, è una gioia, e anche gli uomini naturalmente onesti lo sanno fare. Anche i pubblicani lo fanno e anche i gentili. Ma voi amate a somiglianza di Dio e amate per rispetto a Dio, che è Creatore anche di quelli che vi sono nemici o poco amabili. Io voglio in voi la perfezione dell'amore e perciò vi dico: "Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei Cieli".
Tanto è grande il precetto d'amore verso il prossimo, il perfezionamento del precetto d'amore verso il prossimo, che Io più non vi dico come era detto: "Non uccidete"8, perché colui che uccide sarà condannato dagli uomini. Ma vi dico: "Non vi adirate" perché un più alto giudizio è su voi e calcola anche le azioni immateriali.
Chi avrà insultato il fratello sarà condannato dal Sinedrio. Ma chi lo avrà trattato da pazzo, e perciò danneggiato, sarà condannato da Dio. Inutile fare offerte all'altare se prima non si è sacrificato nell'interno del cuore i propri rancori per amore di Dio e non si è compito il rito santissimo del saper perdonare.
Perciò se quando stai per offrire a Dio tu ti sovvieni di avere mancato verso il tuo fratello o di avere in te rancore per una sua colpa, lascia la tua offerta davanti all'altare, fa' prima l'immolazione del tuo amor proprio, riconciliandoti col tuo fratello, e poi vieni all'altare, e santo sarà allora, solo allora, il tuo sacrificio.
Il buon accordo è sempre il migliore degli affari.
Precario è il giudizio dell'uomo, e chi ostinato lo sfida potrebbe perdere la causa e dovere pagare all'avversario fino all'ultima moneta o languire in prigione. Alzate in tutte le cose lo sguardo a Dio. Interrogatevi dicendo: "Ho io il diritto di fare ciò che Dio non fa con me?".
Perché Dio non è così inesorabile e ostinato come voi siete. Guai a voi se lo fosse! Non uno si salverebbe. Questa riflessione vi induca a sentimenti miti, umili, pietosi. E allora non vi mancherà da parte di Dio, qui e oltre, la ricompensa.
6Qui, a Me davanti, è anche uno che mi odia e che non osa dirmi: "Guariscimi", perché sa che Io so i suoi pensieri. Ma Io dico: "Sia fatto ciò che tu vuoi. E come ti cadono le scaglie dagli occhi così ti cadano dal cuore il rancore e le tenebre".
Andate tutti con la mia pace. Domani ancora vi parlerò».
La gente sfolla lentamente, forse in attesa di un grido di miracolo che non viene. Anche gli apostoli e i discepoli più antichi, che restano sul monte, chiedono: «Ma chi era? Non è guarito forse?» e insistono presso il Maestro che è rimasto in piedi, a braccia conserte, a veder scendere la gente.
Ma Gesù sulle prime non risponde; poi dice: «Gli occhi sono guariti. L'anima no. Non può perché è carica di odio».
«Ma chi è? Quel romano forse?».
«No. Un disgraziato».
«Ma perché lo hai guarito, allora?» chiede Pietro.
«Dovrei fulminare tutti i suoi simili?».
«Signore... io so che Tu non vuoi che dica: "sì ", e perciò non lo dico… ma lo penso… ed è lo stesso...»
«E’ lo stesso, Simone di Giona. Ma sappi che allora... Oh! quanti cuori pieni di scaglie d'odio intorno a Me! Vieni. Andiamo proprio là in cima, a guardare dall'alto il nostro bel mare di Galilea. Io e te soli».

4.2 Il consiglio evangelico del perdono: Gesù: «Perdonate sempre a chi vi fa del male. Perdonate per essere perdonati, perché anche voi avete colpe verso Dio e i fratelli. Il perdono apre il Regno dei Cieli tanto al perdonato come al perdonante.»

Voi avrete certamente notato che ho via-via contrassegnato alcuni punti del Discorso del Gesù valtortiano con i corrispondenti richiami in nota riferiti ai rispettivi brani del Vangelo di Matteo.
Avrete anche notato che il discorso di Gesù – quanto all’essenza riportata da Matteo non varia in niente, non la muta di uno jota ma piuttosto la completa ed amplifica rendendola più comprensibile.
Quei critici dell’Opera valtortiana (in antitesi invece con i numerosi ed autorevoli estimatori in tutto il mondo) che ne hanno messo in dubbio l’ispirazione divina – per altro in moltissimi casi senza neanche averla letta se non limitatamente a poche pagine o avendola letta con prevenzione che acceca e questo lo si comprende perfettamente dalle loro obbiezioni – non dovrebbero avere dubbi sulla sua origine soprannaturale non solo per la Sapienza che emerge dall’Opera ma anche per il perfetto ‘incastro’ logico dei brani dell’Evangelista Matteo nel contesto del Discorso del Gesù valtortiano.
E’ il Gesù valtortiano che consente di comprendere appieno il testo di Matteo, e non viceversa.
Solo Gesù-Dio può infatti esprimere con maggiore e anzi completa compiutezza e Sapienza quel che Matteo aveva ridotto a pochi versetti, versetti che un teologo particolarmente preparato potrebbe certamente sviluppare nelle implicazioni ma mai – dico mai – nella forma sapiente e pur semplice con cui lo fa qui l’Uomo-Dio.
I Vangeli canonici sono quattro e quattro restano e presentare ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ come un ‘quinto’ Vangelo, sarebbe un grave errore.
E’ stato detto9 che il suddetto ‘Evangelo’ è rivelato ed ha Dio per autore. Dio è autore di una rivelazione quando illumina la mente, muove la volontà e guida le facoltà di un suo strumento per dare agli uomini la sua rivelazione. Ora, tutta quest’Opera di Gesù dimostra questo intervento di Dio. Quindi, quest'Opera è rivelata ed ha Dio per autore.
Infatti, la mente del "piccolo strumento", Maria Valtorta, è illuminata da misteri e verità che lei stessa ignora; la sua memoria ricorda, con fedeltà impressionante, visioni, discorsi e dialoghi alquanto incomprensibili a mente umana; la sua volontà è mossa a compiere questa missione proprio quando il suo stato fisico è impedito da gravi malori; le sue facoltà, già scompensate dallo stato patologico quasi permanente, sono guidate e assistite a scrivere con infallibile verità tutte le cose dal Signore rivelate. Perciò l'Opera – pur non essendo un Vangelo canonico né un quinto Vangelo - è rivelata e il suo autore è Dio, come dice il Gesù valtortiano (i grassetti sono miei):10
«[…] Giusto è definire che lo scrittore ispirato "ha Dio per autore". Dio che rivela o illumina misteri o verità, secondo che a Lui piace, a questi suoi strumenti "eccitandoli e movendoli con soprannaturali virtù, assistendoli nello scrivere in modo che essi rettamente concepiscano coll'intelligenza e vogliano fedelmente scrivere, e con mezzi adatti e con infallibile verità esprimano tutte e sole quelle cose da Lui, Dio, comandate. È Dio che con triplice azione illumina l’intelletto perché conosca il vero senza errore, o con la rivelazione per verità ancora ignorate, o con l'esatto ricordo se sono stabilite ma ancora alquanto incomprensibili alla umana ragione; muove perché sia scritto con fedeltà quanto soprannaturalmente l'ispirato viene a conoscere; assiste e dirige perché le verità siano dette, nella forma e nel numero che Dio vuole, con verità e chiarezza, perché siano note ad altri per il bene di molti, con la stessa parola divina negli insegnamenti diretti, o con le parole dell'ispirato nel descrivere visioni o ripetere lezioni soprannaturali».
Dunque ‘L’Evangelo’ non aggiunge nulla di nuovo alle Verità già rivelate, ma piuttosto ‘completa’ i Vangeli canonici rendendoli più comprensibili nel senso, fornendone ulteriori chiavi di lettura, arricchendoli di particolari fino ad ora ignoti ma assolutamente coerenti e verosimili.
Esso ci fa meglio conoscere la persona di Gesù, la sua vita e la sua predicazione, rendendoci così più facile amarlo e comprendere inoltre molte di quelle che vengono considerate ‘discordanze evangeliche’: croce e delizia – a seconda dei punti di vista, come scrisse una volta Vittorio Messori di molti critici e teologi.
D’altra parte non aveva forse detto Gesù agli apostoli, che sarebbe venuto dopo di Lui lo Spirito Santo ad illuminare le cose che Egli aveva detto ma che essi non avevano ancora compreso?
E cosa è l’Opera valtortiana se non un segno potente dello Spirito Santo che viene – attraverso le parole dell’Opera – a farci capire nei nostri tempi quel che dopo duemila anni di Cristianesimo non abbiamo ancora capito al punto che stiamo quasi del tutto perdendo la Fede?
Cosa dire però ora su questo discorso di Gesù relativo ai consigli di perfezione?
I suoi consigli si prefiggono di insegnare come si deve amare il prossimo.
Nella trama di questo Discorso pare di vedere un certo filo conduttore. Egli sembra all’inizio preoccupato di rasserenare gli animi rimasti forse un poco scossi dal discorso del giorno prima sul Dono della Grazia e sulle Beatitudini, di così difficile applicazione.
Gli ebrei erano abituati alla Legge mosaica dei Dieci comandamenti: poche norme chiare, precise, relativamente facili da osservare per chi fosse stato di buona volontà:
Io sono il Signore Dio tuo:
1)  Non avrai altro Dio fuori di me.
2)  Non nominare il nome di Dio invano.
3)  Ricordati di santificare le feste.
4)  Onora il padre e la madre.
5)  Non uccidere.
6)  Non commettere atti impuri.
7)  Non rubare.
8)  Non dire falsa testimonianza.
9)  Non desiderare la donna d’altri.
10) Non desiderare la roba d’altri.
Il Gesù valtortiano aveva già illustrato in precedenza uno per uno i vari Comandamenti in una località detta ‘Acqua speciosa’ facendone emergere una interpretazione più ampia e dalle diverse sfaccettature.11
Egli era del resto venuto per perfezionare la Legge e quindi a farne comprendere la effettiva portata spirituale nei significati più profondi fino ad allora sfuggiti.
Era venuto il tempo dell’Amore, ed i Comandamenti dovevano essere interpretati non più sommariamente come prima (e come facciamo anche noi oggi) ma nella loro approfondita sostanza spirituale.
Nel caso dei Comandamenti, Gesù non aveva cambiato la Legge ma con la sua Dottrina l’aveva completata, come la completa ora con il suo discorso sui consigli evangelici di perfezione e con i discorsi dei giorni successivi.
Quanto alle Beatitudini del giorno precedente Gesù invita a non giudicarle troppo ‘severe’ ma a valutarle con occhio positivo, cioè con lo sguardo rivolto al Cielo.
Egli aveva infatti detto: «Non diciamo ‘Guai se non farò questo!’ rimanendo tremanti in attesa di peccare, di non essere capaci di non peccare. Ma diciamo: ‘Beato me se farò questo!’ e con slancio di soprannaturale gioia, giubilando, lanciamoci verso queste beatitudini, nate dall’osservanza della Legge come corolle di rose da un cespuglio di spine’.
Gesù ribadisce chiaramente fin dall’apertura che Egli non muta di uno jota la Legge che è stata tratta dal Pensiero di Dio Padre, data agli uomini dal suo Verbo-Parola, in virtù dell’Amore dello Spirito Santo.
Tutta la Trinità era dunque presente: Pensiero, Parola, Amore – precisa Gesù – ed Egli Verbo incarnato non può smentire Se stesso.
Gesù-Verbo non si può smentire ma Egli può tuttavia rendere la Legge ancora più completa in vista della imminente Redenzione.
Nei secoli trascorsi dal tempo di Mosè gli uomini, a causa della loro umanità, avevano finito per offuscarne l’originaria semplice bellezza caricandola di una miriade di norme umane che l’avevano resa ormai difficilmente praticabile fino a renderla morta nei cuori.
Bisognava riportarla all’antico splendore, rimuovendo le incrostazioni umane che ne avevano tolto la precedente lucentezza, ed incoronarla col ‘serto’ delle Beatitudini e dei Consigli evangelici rendendo così la Legge come una Regina. Dove prima c’era l’Ordine, ora vi è più dell’Ordine. Dove prima vi era il necessario ora vi è più del necessario: anzi la perfezione, con lo scopo di portare l’uomo alla santità.
Gesù è consapevole di stare per dire ora delle parole che saranno ‘agre’ al palato di molti che lo odiano, probabilmente frammisti alla folla, ma non può nascondere la verità, a costo di farsi dei nemici, perché – scandisce Gesù a lettere di fuoco - i seguaci di Gesù dovranno avere una ‘giustizia’ ben superiore a quella insegnata loro da scribi e farisei che si preoccupavano di corredare la Legge di formule farraginose e difficili da applicare ma che loro stessi si guardavano bene dal rispettare.
Gesù dà qui inizio ad una vera e propria ‘invettiva’ nei loro confronti invitando la folla a guardarsi da questi falsi profeti, lupi rapaci in veste di agnelli.
Quindi ricorda che se nel discorso del giorno precedente (dono della Grazia e Beatitudini) aveva insegnato come dovesse essere amato Dio, ora Egli dice di voler insistere su come deve essere amato il prossimo.
Si apre questo punto – come avete letto – l’elenco dei casi ‘pratici’ con i consigli sul come comportarsi.
Certamente colpisce il suo ragionamento iniziale quando spiega che se si vuole amare Dio e il prossimo, se si vuole essere dei veri ‘giusti’, non bisogna fare come gli scribi ed i farisei.
Ritorna in queste parole forti un tema – riportato nel Vangelo di Luca 12- che Gesù affronterà ‘di petto’ in seguito – sempre nel secondo anno della sua predicazione - nei confronti proprio di Scribi e Farisei.
La polemica fra Gesù da un lato, e scribi e farisei dall’altro, sarà quella che poi risulterà determinante per indurre la Casta di Gerusalemme a decretarne la morte.
Il brano di Luca trascritto in nota è illuminante, ma lo è ancor più il contenuto dello stesso brano così come pronunciato nella realtà da Gesù ne ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’.13
Premetto che Farisei e Scribi approfittavano di ogni occasione – come ho già avuto occasione di accennare - per tendere insidie a Gesù sperando di trovare nelle sue parole argomenti che servissero ad incriminarlo penalmente.
Talvolta lo provocavano apertamente, tal altra ricorrevano a false cortesie, adulazioni ed inganni. Gesù ne era ben conscio perché conosceva i loro cuori, ciò nonostante alle volte ‘stava al gioco’ perché non voleva tralasciare gli sforzi per convertirli, anche se sapeva che erano inutili, e non voleva d’altro canto che essi lo accusassero di rifiutare i loro sforzi di essere ‘amichevoli’ con lui.
E’ così che - nell’Opera valtortiana – un suo acerrimo nemico membro del Sinedrio, Elchìa, lo invita a pranzo a casa sua insieme ad altri suoi pari: farisei e dottori della Legge.
Entrati in casa, il gruppo apostolico viene lasciato solo ad attendere in piedi in una stanza mentre gli altri si allontanano, presumibilmente per andare a compiere come d’uso il ‘precetto’ di lavarsi le mani e purificarsi prima del pranzo. Quindi Elchìa e gli altri rientrano e senza indugio fanno sedere a tavola Gesù e gli apostoli.
Il discorso va avanti parlando del più e del meno di argomenti generali, ma poi – andando sul personale – alcuni dei presenti non riescono a trattenere l’odio: accusano Gesù di essere un esaltato, di non essere il Messia, e che la sua affermazione per cui – una volta morto – sarebbe risorto per darne la prova è a sua volta ‘prova di esaltazione’, anzi di bestemmia.
Elchìa – il padrone di casa – in un momento di silenzio rimugina fra sé e sé. Egli si accinge a parlare ma Gesù – che gli legge nel pensiero - lo previene invitandolo a non confondere la bellezza della Legge con le piccinerie, insomma quelle ‘incrostazioni’ umane della Legge che Egli stigmatizza in questo suo terzo discorso della montagna.
Elchìa capisce che Gesù gli aveva letto nella mente: stava infatti per accusarlo di aver trasgredito il ‘precetto’ della purificazione essendosi seduto a tavola con gli apostoli senza essersi lavato le mani.
Ecco il seguito del brano valtortiano che desidero farvi conoscere perché vi è un nesso con la precedente critica a scribi e farisei contenuta in questo suo terzo discorso della montagna, ma anche perché è proprio da tale episodio in casa del sinedrista che – come poco sopra da me anticipato e come potrete rilevare dalla conclusione di Elchìamatura definitivamente il progetto di uccidere Gesù (i grassetti sono miei):
(…)
Un silenzio glaciale, lungo. Elchìa, il gomito appoggiato al lettuccio, la guancia appoggiata alla mano, pensa, duro, chiuso come tutta la sua casa. Gesù si volge e lo guarda, e poi dice: «Elchìa, Elchìa, non confondere la Legge e i Profeti con le piccinerie!».
«Vedo che hai letto il mio pensiero. Ma non puoi negare che Tu hai peccato trasgredendo al precetto».
«Come tu, e con astuzia, perciò con più colpa, hai trasgredito al dovere dell'ospite, con volontà di farlo lo hai fatto, e mi hai distratto e poi qui mandato mentre tu cogli amici ti purificavi, e al tuo ritorno ci hai pregato di esser solleciti ché avevi adunanza, e tutto per potermi dire: "Hai peccato"».
«Potevi ricordarmi il mio dovere di darti di che purificarti».
«Tante cose potrei ricordarti, ma non servirebbe altro che a farti più intransigente e nemico».
«No. Dille, dille. Ti vogliamo ascoltare e...».
«E accusare presso i Principi dei Sacerdoti. Per questo ti ho ricordato l'ultima e la penultima maledizione. Lo so. Vi conosco. Sono qui, inerme, fra voi. Sono qui, isolato dal popolo che mi ama e davanti al quale non osate aggredirmi.
Ma non ho paura. Ma non vengo a compromessi né faccio viltà. E vi dico il vostro peccato, di tutta la casta vostra e vostro, o farisei, falsi puri della Legge, o dottori, falsi sapienti, che confondete e mescolate di proposito il vero e il falso buono, che agli altri e dagli altri esigete la perfezione anche nelle cose esteriori e da voi nulla esigete.
Voi mi rimproverate, uniti al vostro e mio ospite, di non essermi lavato avanti il desinare. Lo sapete che vengo dal Tempio, al quale non si accede altro che dopo essersi purificati dalle immondezze della polvere e della via. Volete allora confessare che il Sacro Luogo è contaminazione?».
«Noi ci siamo purificati avanti le mense».
«E a noi è stato imposto: "Andate là, attendete". E dopo: "Alle tavole senza indugio". Fra le tue pareti monde di disegni uno dunque ve ne era: quello di trarmi in inganno. Quale mano l'ha scritto sulle pareti il motivo per potermi accusare? Il tuo spirito o un'altra potenza che te lo regola e che ascolti? Orbene, udite tutti».
Gesù si alza in piedi e, stando con le mani appoggiate all'orlo della tavola, comincia la sua invettiva: «Voialtri farisei lavate l'esterno del calice e del piatto, e le mani vi lavate e i piedi vi lavate, quasi che piatto e calice, mani e piedi avessero ad entrare nel vostro spirito che amate proclamare puro e perfetto. Ma non voi, sibbene Dio questo lo deve proclamare.
Ebbene sappiate ciò che Dio pensa del vostro spirito. Egli pensa che è pieno di menzogna, sozzura e rapina, pieno di nequizia è, e nulla può dall'esterno corrompere ciò che già è corruzione».
Stacca la destra dalla tavola e involontariamente comincia a gestire con essa mentre continua: «Ma chi ha fatto il vostro spirito, come ha fatto il vostro corpo, non può esigere, almeno con uguale misura, il rispetto all'interno che avete per l'esterno? O stolti che mutate i due valori e ne invertite la potenza, ma non vorrà l'Altissimo un’ancor maggior cura per lo spirito, fatto a sua somiglianza e che per la corruzione perde la Vita eterna, che non per la mano o il piede la cui sporcizia può esser detersa con facilità e che, se anche rimanessero sporchi, non influirebbero sulla nettezza interiore? E può Dio preoccuparsi della nettezza di un calice o di un vassoio quando questi non sono che cose senz’anima e che non possono influire sulla vostra anima?
Leggo il tuo pensiero14, Simone Boetos. No. Non regge. Non è per pensiero di salute, per tutela della carne, della vita, che voi avete queste cure, che praticate queste purificazioni.
Il peccato carnale, anzi i peccati carnali della gola, delle intemperanze, delle lussurie, sono certo più dannosi alla carne di un poco di polvere sulle mani o sul piatto. Eppure voi li praticate senza preoccuparvi di tutelare la vostra esistenza e l'incolumità dei vostri familiari. E peccato fate di più nature, perché, oltre che la contaminazione dello spirito e del corpo vostro, lo sperpero di sostanze, il mancato rispetto ai familiari, fate offesa al Signore per la profanazione del vostro corpo, tempio dello spirito vostro, in cui dovrebbe essere il trono per lo Spirito Santo; e offesa per il giudizio che fate, che da voi vi dovete tutelare dai morbi venienti da un po' di polvere, quasi che Dio non potesse intervenire a proteggervi dai morbi fisici se a Lui ricorreste con spirito puro. Ma Colui che ha creato l'interno non ha forse creato anche l'esterno e viceversa? E non è l'interno il più nobile e il più marcato dalla divina somiglianza? Fate allora opere che siano degne di Dio e non grettezze che non si alzano dalla polvere per la quale e della quale sono fatte, della povera polvere che è l'uomo preso come creatura animale, fango composto in forma e che polvere torna, polvere che il vento dei secoli disperde.
Fate opere che restino, che siano opere regali e sante, opere che si incoronano della divina benedizione. Fate carità e fate elemosina, siate onesti, siate puri nelle opere e nelle intenzioni e, senza ricorrere all'acqua delle abluzioni, tutto sarà puro in voi.
Ma che vi credete? Di essere a posto perché pagate le decime sugli aromi? No.
Guai a voi, o farisei che pagate le decime della menta e della ruta, della senape e del comino, del finocchio e d'ogni altro erbaggio, e poi trascurate la giustizia e l'amor di Dio.
Pagare le decime è dovere e va fatto. Ma ci sono più alti doveri e anche quelli vanno fatti.
Guai a chi osserva le cose esteriori e trascura le altre interiori basate sull'amore a Dio e al prossimo.
Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e nelle adunanze e amate essere riveriti sulle piazze, e non pensate a fare opere che vi diano un posto in Cielo e vi meritino la riverenza degli angeli. Voi siete simili a sepolcri nascosti che passano inosservati a chi li sfiora e non ne ha ribrezzo, ma ribrezzo ne avrebbe se potesse vedere cosa è chiuso in essi. Dio però vede anche le più riposte cose e non si inganna nel giudicarvi».
Lo interrompe, alzandosi esso pure in piedi, in contraddittorio, un dottore della Legge.  
«Maestro, così parlando Tu offendi noi pure; e non ti conviene, perché noi ti dobbiamo giudicare».
«No. Non voi. Voi non potete giudicarmi. Voi siete i giudicati, non i giudici, e chi vi giudica è Dio. Voi potete parlare, emettere suoni con le vostre labbra. Ma anche la voce più potente non giunge ai Cieli né scorre tutta la Terra. Dopo poco spazio è silenzio... E dopo poco tempo è oblio. Ma il giudizio di Dio è voce che resta e non è soggetto a dimenticanze.
Secoli e secoli sono passati da quando Dio ha giudicato Lucifero e ha giudicato Adamo. Ma la voce di quel giudizio non si spegne. Ma le conseguenze di quel giudizio sono. E se ora Io sono venuto per riportare la Grazia agli uomini, mediante il Sacrificio perfetto, il giudizio sull'atto di Adamo resta quello che è, e chiamato sarà "colpa d'origine" sempre.
Saranno redenti gli uomini, lavati da una purificazione superiore ad ogni altra. Ma nasceranno con quel marchio perché Dio ha giudicato che quel marchio debba essere su ogni nato da donna, meno per Colui che, non per opera d'uomo, ma per Spirito Santo fu fatto, e per la Preservata e il Presantificato, vergini in eterno15. La Prima per poter essere la Vergine Deipara, il secondo per poter precorrere l'Innocente nascendo già mondo per una prefruizione dei meriti infiniti del Salvatore Redentore. Ed Io vi dico che Dio vi giudica.
E vi giudica dicendo: "Guai a voi, dottori della Legge, perché caricate la gente di pesi insopportabili, rendendo un castigo il paterno decalogo dell'Altissimo al suo popolo".
Egli con amore e per amore lo aveva dato, onde l'uomo fosse sorretto da una giusta guida, l'uomo, l'eterno e imprudente e ignorante bambino.
E voi, alle amorose dande con cui Dio aveva abbracciato le sue creature perché potessero procedere per la sua via e giungergli sul cuore, avete sostituito montagne di pietre aguzze, pesanti, tormentose, un labirinto di prescrizioni, un incubo di scrupoli, per cui l'uomo si accascia, si smarrisce, si ferma, teme Dio come un nemico.
Voi ostacolate l'andare a Dio dei cuori. Voi separate il Padre dai figli. Voi negate, con le vostre imposizioni, questa dolce, benedetta, vera Paternità. Ma voi, però, quei pesi che agli altri date, non li toccate neppure con un dito. Vi credete giustificati solo per averli dati.
Ma, o stolti, non sapete che sarete giudicati per quel che avete giudicato esser necessario a salvarsi?
Non sapete che Dio vi dirà: "Voi dicevate sacra, giusta la vostra parola. Orbene, Io pure la giudico tale. E poiché l'avete imposta a tutti e sul come fu accolta e praticata avete giudicato i fratelli, ecco Io vi giudico con la vostra parola. E poiché non avete fatto ciò che avete detto di fare, siate condannati"?
Guai a voi che innalzate sepolcri ai profeti che i vostri padri uccisero. E che? Credete con ciò di diminuire la grandezza della colpa dei padri vostri? Di annullarla agli occhi dei posteri? No anzi. Voi testimoniate di queste opere dei padri vostri. Non solo. Ma le approvate, pronti ad imitarli, elevando poi un sepolcro al profeta perseguitato per dirvi: "Noi lo abbiamo onorato". Ipocriti! É per questo che la Sapienza di Dio ha detto: "Manderò loro dei profeti e degli apostoli. Ed essi ne uccideranno alcuni ed altri li perseguiteranno, onde si possa chiedere a questa generazione il sangue di tutti i profeti che è stato sparso dalla creazione del mondo in poi, dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, ucciso fra l'altare e il santuario".
Sì, in verità, in verità vi dico che di tutto questo sangue di santi ne sarà chiesto conto a questa generazione che non sa distinguere Dio là dove è, e perseguita il giusto e l'accora perché il giusto è il confronto vivente con la sua ingiustizia.
Guai a voi, dottori della Legge, che vi siete usurpata la chiave della scienza e ne avete chiuso il tempio per non entrarvi ed essere da essa giudicati, e non avete permesso che altri vi entrassero. Perché sapete che, se il popolo fosse ammaestrato dalla vera Scienza, ossia dalla Sapienza santa, potrebbe giudicarvi. Onde lo preferite ignorante perché non vi giudichi. E mi odiate perché Io sono Parola di Sapienza e vorreste chiudermi anzitempo in una carcere, in un sepolcro perché Io non parlassi più.
Ma Io parlerò finché al Padre mio piacerà che Io parli. E dopo parleranno le mie opere più ancora delle mie parole. E parleranno i miei meriti più ancora delle opere, e il mondo sarà istruito e saprà, e vi giudicherà.
Il primo giudizio su voi.
E poi verrà il secondo, il singolo giudizio ad ogni singola vostra morte.
E infine l'ultimo: quello universale.
E ricorderete questo giorno e questi giorni e voi, voi soli conoscerete il Dio terribile che vi siete sforzati di agitare come una visione d'incubo davanti agli spiriti dei semplici, mentre voi, nell'interno del vostro sepolcro, vi siete irrisi di Lui, e dal primo e principale comandamento, quello dell'amore, all'ultimo dato sul Sinai, non ne avete avuto rispetto e avete disubbidito.
Inutilmente, o Elchìa, non hai figurazioni nella tua casa. Inutilmente, o voi tutti, non avete oggetti scolpiti nelle vostre case. Nell'interno del cuore avete l'idolo, più idoli. Quello di credervi dèi, quelli delle concupiscenze vostre. Venite, voi. Andiamo».
E, facendosi precedere dai dodici, esce per ultimo.
Un silenzio...
Poi i rimasti fanno un clamore dicendo tutti insieme: «Bisogna perseguitarlo, coglierlo in fallo, trovare oggetti di accusa! Ucciderlo bisogna!».
Altro silenzio. E poi, mentre due se ne vanno, disgustati dell'odio e dei propositi farisaici, e sono il parente di Elchìa e l'altro che per due volte ha difeso il Maestro, i rimasti si chiedono: «E come?».
Altro silenzio.
Poi, con una risata chioccia, Elchìa dice: «Occorre lavorare Giuda di Simone...».
«Già! Buona idea! Ma tu l'hai offeso!...».
«Ci penso io», dice quello che Gesù ha chiamato Simone Boetos.
«Io e Eleazaro di Anna... Lo circuiremo…»
«Un poco di promesse...».
«Un poco di paura...».
«Molto denaro...».
«No. Molto no... Promesse, promesse di molto denaro...».
«E poi?».
«Cosa, e poi?».
«Eh! Poi. A cose fatte. Che gli daremo?».
«Ma nulla! La morte. Così... non parlerà più», dice lentamente e crudelmente Elchìa.
«Uh! la morte...».
«Ne hai orrore? Ma va' via! Se uccidiamo il Nazareno che... è un giusto... potremo uccidere anche l'Iscariota che è un peccatore...»
Vi sono incertezze... Ma Elchìa, alzandosi, dice: «Sentiremo anche Anna...16 E vedrete che... dirà buona l'idea. E ci verrete anche voi... Oh! se ci verrete...».
Escono tutti dietro al loro ospite, che se ne va dicendo: «Ci verrete... Ci verrete!».
La Casta dominante – composta da scribi, farisei e sacerdoti del Tempio, e fra questi ultimi in particolare Anna (Sommo Sacerdote) e Caifa (Pontefice di turno, genero di Anna) – strumentalizzeranno in seguito paure ed ambizioni politiche di Giuda.
Giuda Iscariote – che in un primo tempo aveva interpretato il ruolo di Messia di Gesù in termini politici, come il futuro Capo della nazione ebraica – si era sentito deluso ed in qualche modo tradito nelle sue aspettative ed ambizioni di potere quando aveva capito dalle precise e, a dire il vero, ripetute parole di Gesù che si trattava invece di un Regno spirituale: un Regno di Dio nel cuore degli uomini.
Di fronte alla sempre più minacciosa reazione della Casta nei confronti di Gesù, Giuda – non certo animato da autentica ‘vocazione’ - aveva allora cominciato anche a temere per la propria vita in quanto membro del Collegio apostolico, per cui l’idea di ‘venderlo’ facilitandone l’arresto gli era sembrata una buona idea per salvarsi e ‘legittimarsi’ di fronte alla Casta ottenendone poi anche ‘onori’.
Quest’ultima, per altro verso, aveva fatto astutamente e subdolamente balenare davanti agli occhi del pur ‘giovane’ Giuda la possibilità di un brillante futuro politico per aver permesso la cattura di un pericoloso ‘sovversivo’ avverso al Tempio e – in quanto Re-Messia-Capo politico – potenziale nemico di Roma.
Questo brano valtortiano concernente scribi e farisei vi servirà comunque anche per constatare ancora una volta di persona – confrontandolo con il testo del Vangelo di Luca più sopra trascritto integralmente in nota – la potenza e completezza delle parole di Gesù, per concludere con me che il Gesù valtortiano non può essere che il Gesù…vero.
Ma quali considerazioni – a volo d’uccello – possiamo ancora fare o dedurre dal terzo discorso di Gesù sui Consigli evangelici che perfezionano la Legge?
La storia dell’Umanità, dal punto di vista divino, potrebbe essere divisa in due fasi.
La prima era quella che andava dal Peccato originale alla venuta di Gesù: era il tempo del corruccio da parte di Dio e quindi del rigore verso l’uomo, reo non solo del peccato originale ma di tutta la serie interminabile e spaventosa dei peccati individuali e collettivi successivi.
Se infatti Adamo ed Eva avevano peccato contro l’amor di Dio cercando di usurparne il ruolo, i loro successivi discendenti – a cominciare da Caino uccisore di Abele - avrebbero peccato anche contro l’amor di prossimo.
Le porte del Cielo erano dunque chiuse agli spiriti, che potevano andare in Purgatorio o nel Limbo – ma nel Limbo solo se spiriti di ‘giusti’ – oppure all’Inferno. Nessuno però in Paradiso.
La seconda fase era quella dell’amore e del Perdono, contrassegnata appunto dalla Incarnazione del Verbo in Gesù per redimere l’Umanità.
Se quindi nel tempo del rigore era detto: ‘Amerai il tuo amico e odierai il tuo nemico’ perché almeno l’amico bisognava pure imparare ad amarlo, ora – nei tempi nuovi - il Verbo-Gesù parla per dire che bisogna innalzare l’amore di prossimo alla perfezione ed amare non solo l’amico ma anche il nemico.
E’ annullata la Legge del taglione: ‘occhio per occhio dente per dente’.
Questa non faceva parte dei Dieci comandamenti ma era stata introdotta perché l’uomo – privo della Grazia - era in precedenza una tale belva pronta a vendette talmente sproporzionate che l’introdurre una limitazione per far sì che la vendetta fosse almeno in qualche modo proporzionata all’offesa ricevuta era già una cosa positiva.
Ora, però, la nuova Legge è quella di amare anche chi ti odia perché sarà Dio a punire poi chi si comporterà male.
Amare chi ci ama è il minimo, ed è anche facile perché solitamente da questo amore speriamo sempre di averne in un modo o nell’altro un ‘contraccambio’, ed è quindi sostanzialmente un amore con un fondo di ‘egoismo’. Bisogna invece imparare ad amare chi non ci ama, per rispetto a Dio.
Che dire poi del fatto di essere derubati? Come si può pensare di ‘perdonare’ chi ci ha derubato?
Eppure Gesù ci insegna un’altra perfezione: quella di sforzarci di capire che chi ci deruba può anche essere in una situazione di grande bisogno, ma anche se non lo fosse e dovesse essere invece un delinquente incallito, bisogna perdonare comunque e Dio farà poi giustizia sia nei confronti del colpevole sia nei nostri confortandoci con altri doni per aver saputo perdonare.
Insomma, gli uomini sbagliano continuamente nei confronti di Dio ma non possono poi pretendere di ottenere da Dio perdono per i propri peccati se essi non si sforzano di essere clementi con chi ha peccato verso di loro.
Peraltro se Dio fosse inesorabile con noi così come noi lo siamo con gli altri, nessuno sulla terra si salverebbe.
E se qualcuno fosse nel bisogno? Cercare di aiutarlo dandogli quanto questi – sovente umiliandosi – ci chiede.
Dovremmo infatti pensare a quanto soffriremmo noi al suo posto, e ancor più se ci sentissimo rispondere negativamente con ipocrisia o durezza di cuore.
Insomma se dovessimo fare una sintesi, direi che i consigli evangelici si potrebbero davvero tradurre in un unico comando d’amore: Non fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi e fare agli altri quel che vorremmo fosse fatto a noi’.
Vorrei tuttavia attirare l’attenzione - per quanto concerne l’amor di prossimo trattato in questo terzo Discorso della montagna e quindi anche sulla necessità del perdono al prossimo che ci fa del male - su due episodi trattati ne ‘L’Evangelo’ di Maria Valtorta avvenuti alcuni mesi dopo il Discorso della montagna, episodi che ci aiutano a capire meglio il pensiero di Gesù.
Il primo episodio sull’amor di prossimo è ripreso nei Vangeli di Matteo e Luca.17
Nell’Evangelo valtortiano vediamo Gesù nel giardino – sulle sponde del Lago di Tiberiade - della villa di Maria di Magdala, la quale per inciso aveva deciso di utilizzare tutti i propri beni per sovvenire il Gruppo apostolico.
Sono presenti gli apostoli ed anche altre persone fra le quali dei malati che Gesù guarisce, mendicanti ai quali dona denaro, mamme che gli porgono i loro bambini perché li benedica e ‘… un gruppo di sorelle che gli raccontano della condotta dell'unico fratello, causa della morte per crepacuore della madre e della loro rovina, e lo pregano, queste povere donne, di consigliarle e di pregare per loro …’.
E ad esse Gesù risponde (i grassetti sono miei):18
(…)
«In verità che pregherò. Pregherò che Dio vi dia pace e che vostro fratello si converta e si sovvenga di voi, rendendovi ciò che è giusto e soprattutto tornando ad amarvi. Perché, se questo farà, tutto il resto farà.
Ma voi lo amate, oppure è rancore in voi?
Lo perdonate di cuore, oppure nel vostro pianto è sdegno?
Perché anche egli è infelice. Più di voi. E, nonostante le sue ricchezze, è più povero di voi e bisogna averne pietà. Non possiede più l'amore ed è senza l'amore di Dio. Vedete quanto è infelice? Voi, vostra madre per prima, con la morte finirete in giubilo la vita triste che egli vi ha fatto fare. Ma lui no. Anzi, dal falso godere di ora passerebbe ad un tormento eterno e atroce. Venite presso a Me. Parlerò a tutti parlando a voi».
E Gesù si avvia al centro di un prato sparso di cespugli di fiori, al centro del quale un tempo doveva esservi una statua. Ora resta il basamento, circondato da una bassa siepe di mirto e di rosette minute. Gesù si addossa a quella siepe e fa l'atto di parlare.
Tutti tacciono e si affollano intorno a Lui.
«La pace sia a voi. Udite. É detto: "Ama il tuo prossimo come te stesso".
Ma nel prossimo chi c'è? Tutto il genere umano, preso in generale. Poi, più in ristretto, tutti i connazionali; poi, ancora più in ristretto, tutti i concittadini; poi, sempre più stringendosi, tutti i parenti; infine, ultimo cerchio di questa corona d'amore stretta come petali di una rosa intorno al cuore del fiore, l'amore ai fratelli di sangue: il primo dei prossimi.
Il centro del cuore del fiore d'amore è Dio, l'amore per Lui è il primo da aversi.
Intorno al suo centro ecco l'amore ai genitori, secondo ad aversi perché realmente il padre e la madre sono i piccoli "Dio" della Terra, creandoci e cooperando con Dio per crearci, oltreché curandoci con amore instancabile.
Intorno a questo ovario, che fiammeggia di pistilli e esala i profumi degli amori più eletti, ecco che si stringono i giri dei diversi amori.
Il primo è quello ai fratelli nati dallo stesso seno e dallo stesso sangue dal quale noi nascemmo. Ma come va amato il fratello? Solamente perché la sua carne e il suo sangue sono uguali alla nostra? Ciò sanno fare anche gli uccellini raccolti in un nido. Essi, infatti, non hanno che questo di comune: di essere nati da un’unica covata e di avere in comune sulla lingua il sapore della saliva materna e paterna. Noi uomini siamo da più di uccelli.
Abbiamo più di una carne e un sangue. Abbiamo il Padre, oltre un padre e una madre.
Abbiamo l'anima e abbiamo Dio, Padre di tutti. E allora ecco che bisogna saper amare il fratello, come fratello per il padre e la madre che ci hanno generato, e come fratello per Dio che è Padre universale. Amarlo perciò spiritualmente oltre che carnalmente. Amarlo non solo per la carne e il sangue, ma per lo spirito che abbiamo in comune. Amare, come va dovuto, più lo spirito della carne del fratello nostro. Perché lo spirito è più della carne. Perché il Padre Dio è più del padre uomo. Perché il valore dello spirito è più del valore della carne. Perché nostro fratello sarebbe molto più infelice se perdesse il Padre Dio che perdendo il padre uomo. L'orfanezza del padre uomo è straziante, ma non è che una mezza orfanezza. Lede solo ciò che è terreno, il nostro bisogno di aiuto e carezze. Ma lo spirito, se sa credere, non è leso dalla morte del padre. Anzi, per seguirlo là dove il giusto si trova, lo spirito del figlio sale come attratto da forza d'amore. E in verità vi dico che ciò è amore, amore di Dio e del padre, asceso col suo spirito a luogo sapiente. Sale a questi luoghi dove più vicino è Dio e agisce con maggior dirittura, perché non manca del vero aiuto, che sono le preghiere del padre che ora sa amare compiutamente, e del freno che è dato dalla certezza che il padre ora vede meglio che in vita le opere del figlio e dal desiderio di potersi riunire a lui mediante una vita santa.
Per questo bisogna preoccuparsi più dello spirito che del corpo del proprio fratello.
Sarebbe un ben povero amore quello che si rivolgesse solo a ciò che perisce, trascurando quello che non perisce e che, trascurato che sia, può perdere la gioia eterna. Troppi sono coloro che si affaticano di inutili cose, si affannano per ciò che ha un merito relativo, perdendo di vista ciò che è veramente necessario. Le buone sorelle, i buoni fratelli non devono solo preoccuparsi di tenere ordinate le vesti, pronti i cibi, oppure aiutare col lavoro i loro fratelli. Ma devono curvarsi sui loro spiriti e sentirne le voci, percepirne i difetti, e con amorosa pazienza affaticarsi a dar loro uno spirito sano e santo se in quelle voci e in quei difetti vedono un pericolo per il loro vivere eterno. E devono, se egli verso di loro ha peccato, darsi da fare per perdonare e per farlo perdonare da Dio mediante il suo ritorno all'amore, senza il quale Dio non perdona.
É detto nel Levitico: "Non odiare tuo fratello nel tuo cuore, ma riprendilo pubblicamente, per non caricarti di peccati per causa di lui". Ma dal non odiare all'amare è ancora un abisso.
Può parervi che l'antipatia, il distacco e l'indifferenza non siano peccato, perché odio non sono. No.
Io vengo a dare luci nuove all'amore, e necessariamente all'odio, perché ciò che fa lucido in ogni particolare il primo sa fare lucido in ogni particolare il secondo. La stessa elevazione ad alte sfere del primo porta di conseguenza un maggior distacco dal secondo, perché, più il primo si alza, pare che il secondo sprofondi in un basso sempre più basso.
La mia dottrina è perfezione. É finezza di sentimento e di giudizio. É verità senza metafore e perifrasi. Ed Io vi dico che antipatia, distacco e indifferenza sono già odio.
Semplicemente perché non sono amore. Il contrario dell'amore è l'odio.
Potete dare altro nome all'antipatia? All'allontanarsi da un essere? All'indifferenza? Chi ama ha simpatia verso l'amato. Dunque, se lo ha antipatico, non lo ama più. Chi ama, anche se la vita lo allontana materialmente dall'amato, continua ad essergli vicino con lo spirito.
Perciò, se uno da un altro si distacca con lo spirito, non lo ama più. Chi ama non ha mai indifferenza per l'amato ma, anzi, tutto di lui lo interessa. Perciò, se uno ha indifferenza per uno, è segno che non l'ama più.
Voi vedete dunque che queste tre cose sono ramificazioni di un'unica pianta: quella dell'odio.
Or che avviene non appena uno che amiamo ci offende? Nel novanta per cento, se non viene odio, viene antipatia, distacco o indifferenza. No. Così non fate. Non gelatevi il cuore con queste tre forme dell'odio. Amate. Ma voi vi chiedete: "Come possiamo?". Vi rispondo: "Come può Dio, che ama anche chi l'offende. Un amore doloroso, ma sempre buono". Voi dite: "E come facciamo?".
Io do la nuova legge sui rapporti col fratello colpevole e dico: "Se tuo fratello ti offende, non avvilirlo pubblicamente col riprenderlo pubblicamente, ma spingi il tuo amore a coprire la colpa del fratello agli occhi del mondo". Perché ne avrai gran merito agli occhi di Dio, precludendo per amore ogni soddisfazione al tuo orgoglio.
Oh! come piace all'uomo far sapere che fu offeso e che ne ebbe dolore! Va come un mendico folle, non a chiedere obolo d'oro dal re, ma va da altri stolti e pezzenti come lui a chiedere manciate di cenere e letame e sorsi di tossico bruciante. Il mondo questo dà all'offeso che va rammaricandosi e mendicando conforti. Dio, il Re, dà oro puro a chi, offeso, ma senza rancore, va a piangere solo ai suoi piedi il suo dolore e a chiedere a Lui, all'Amore e Sapienza, conforto d'amore e insegnamento per la contingenza penosa. Perciò, se volete conforto, andate da Dio e agite con amore.
Io vi dico, correggendo la legge antica: "Se tuo fratello ha peccato contro di te, va', correggilo fra te e lui solo. Se ti ascolta, hai guadagnato di nuovo tuo fratello. E insieme hai guadagnato tante benedizioni da Dio.
E se tuo fratello non ti ascolta, ma ti respinge cocciuto nella colpa, tu, acciò non si dica che sei consenziente ad essa o indifferente al bene dello spirito fraterno, prendi con te due o tre testimoni seri, buoni, fidati, e con essi torna dal fratello e benignamente ripeti alla loro presenza le tue osservazioni, affinché i testimoni possano di loro bocca dire che tu hai fatto tutto quanto potevi per correggere con santità tuo fratello.
Perché questo è il dovere di un buon fratello, dato che il peccato verso di te, fatto da lui, è lesione alla sua anima, e della sua anima tu ti devi preoccupare.
Se anche questo non serve, fallo sapere alla sinagoga, acciò essa lo richiami all'ordine in nome di Dio. Se non si corregge neppure con questo, e respinge la sinagoga o il Tempio come ha respinto te, tienlo in conto di pubblicano e di gentile".
Questo fate coi fratelli di sangue e con quelli di amore. Perché anche col prossimo vostro più lontano dovete agire con santità, senza avidità, senza inesorabilità, senza odio.
E quando sono cause per cui è necessario andare dai giudici e tu ci vai col tuo avversario, Io ti dico, o uomo che sovente ti trovi in mali maggiori per tua colpa, di fare di tutto, mentre sei per la strada, per riconciliarti con lui, sia che tu abbia torto come che tu abbia ragione.
Perché giustizia umana è sempre imperfetta, e generalmente l'astuto la vince sulla giustizia e potrebbe il colpevole passare per innocente e tu, innocente, passare per colpevole. E allora ti avverrebbe non solo di non avere riconosciuto il tuo diritto, ma di perdere anche la causa, e da innocente passare al ruolo di colpevole di diffamazione, e perciò il giudice ti passerebbe all'esecutore di giustizia, il quale non ti lascerebbe andare sino a che tu abbia pagato l'ultimo spicciolo.
Sii conciliante. Il tuo orgoglio ne soffre? Molto bene. La tua borsa si smunge? Meglio ancora. Basta che cresca la tua santità. Non abbiate nostalgia per l'oro. Non siate avidi di lode. Fate che sia Dio colui che vi loda. Fate di farvi una gran borsa in Cielo. E pregate per coloro che vi offendono. Perché si ravvedano.
Se ciò avviene, essi stessi vi renderanno onori e beni. Se non lo fanno, ci penserà Iddio.
Andate, ora, ché è l'ora del pasto. Restino solo i mendichi a sedersi alla mensa apostolica. La pace sia con voi».
Letto qui sopra il primo dei due episodi che vi avevo anticipato, quello sull’amore verso il prossimo ripreso nei Vangeli di Matteo e Luca, possiamo ora leggere il secondo episodio in merito all’importanza del perdono, citato nel Vangelo di Matteo. 19
Il luogo in cui il fatto si svolge è sempre quello del giardino della villa di Maria di Magdala, nel pomeriggio dello stesso giorno.
Gesù e gli apostoli – dopo il pranzo - vanno a sedersi in fondo al parco, proprio davanti alla riva del lago che è calmo e dove in periodo autunnale ma sotto un cielo azzurro veleggiano barche a vela da diporto e altre dedite alla pesca.
Tiberiade – oltre che essere una cittadina con uno splendido clima lacustre, era anche una città turistico-residenziale, ben costruita con un ottimo piano regolatore nella parte moderna dove si avverte il ‘tocco’ della maestria costruttiva romana, con belle strade pavimentate in pietra, fontane, ville pure di influenza architettonica romana: del resto l’influsso lo si capisce anche dal nome stesso della città alla quale molto ‘ossequiosamente’ era stato dato un nome in onore dell’imperatore Tiberio.
Pietro osserva le barche da pesca e forse pensa alla propria che egli ha abbandonato sulla spiaggia del suo paese per seguire Gesù, anche se di quando in quando, di ritorno dai vari viaggi di evangelizzazione, non esitava a rimettere la sua barca in acqua ed andare a pescare con Giovanni e Giacomo, e talora anche con gli altri apostoli, sia per mangiare che per far sù qualche soldo vendendo poi il pesce.
Gesù lo ‘consola’, dicendogli che lui in futuro farà ben altra pesca e aggiunge (i grassetti sono miei):20
(…)
La pesca che tu farai sarà in futuro e nel campo spirituale. E con te saranno pescatori ottimi la maggior parte di questi».
«Non tutti, Maestro?», chiede Matteo.
«Non tutti. Ma quelli che perseverando diverranno miei sacerdoti avranno buona pesca».
«Conversioni, eh?», domanda Giacomo di Zebedeo.
«Conversioni, perdoni, guide a Dio. Oh! tante cose».
«Senti, Maestro. Tu prima hai detto che, se uno non ascolta il fratello neppure alla presenza di testimoni, sia fatto consigliare dalla sinagoga. Ora, se io ho ben capito quanto Tu ci hai detto da quando ci conosciamo, mi pare che la sinagoga sarà sostituita dalla Chiesa, questa cosa che Tu fonderai. Allora, dove andremo per fare consigliare i fratelli zucconi?».
«Andrete da voi stessi, perché voi sarete la mia Chiesa. Perciò i fedeli verranno a voi, o per consiglio da avere per causa propria, o per consiglio da dare ad altri. Vi dico di più. Non solo potrete consigliare. Ma potrete anche assolvere in mio Nome. Potrete sciogliere dalle catene del peccato e potrete legare due che si amano facendone una carne sola. E quanto avrete fatto sarà valido agli occhi di Dio come fosse Dio stesso che lo avesse fatto.
In verità vi dico: quanto avrete legato sulla Terra sarà legato nel Cielo, quanto sarà sciolto da voi sulla Terra sarà sciolto in Cielo.
E ancora vi dico, per farvi comprendere la potenza del mio Nome, dell'amore fraterno e della preghiera, che se due miei discepoli, e per tali intendo ora tutti coloro che crederanno nel Cristo, si riuniranno a chiedere qualsiasi giusta cosa in mio Nome, sarà loro concessa dal Padre mio.
Perché grande potenza è la preghiera, grande potenza è l'unione fraterna, grandissima, infinita potenza è il mio Nome e la mia presenza fra voi.
E dove due o tre saranno adunati in mio Nome, ivi Io sarò in mezzo a loro, e pregherò con loro, e il Padre non negherà a chi con Me prega. Perché molti non ottengono perché pregano soli, o per motivi illeciti, o con orgoglio, o con peccato sul cuore.
Fatevi il cuore mondo, onde Io possa essere con voi, e poi pregate e sarete ascoltati».
Pietro è pensieroso. Gesù lo vede e gliene chiede ragione. E Pietro spiega: «Penso a che gran dovere siamo destinati. E ne ho paura. Paura di non sapere fare bene».
«Infatti Simone di Giona o Giacomo di Alfeo o Filippo e così via non saprebbero fare bene. Ma il sacerdote Pietro, il sacerdote Giacomo, il sacerdote Filippo, o Tommaso, sapranno fare bene perché faranno insieme alla divina Sapienza».
«E... quante volte dovremo perdonare ai fratelli? Quante, se peccano contro i sacerdoti; e quante, se peccano contro Dio? Perché, se succederà allora come ora, certo peccheranno contro di noi, visto che peccano contro di Te tante e tante volte. Dimmi se devo perdonare sempre o se un numero di volte. Sette volte, o più ancora, ad esempio?».
«Non ti dico sette, ma settanta volte sette. Un numero senza misura. Perché anche il Padre dei Cieli perdonerà a voi molte volte, un numero grande di volte, a voi che dovreste essere perfetti. E come Egli fa con voi, così voi dovete fare, perché voi rappresenterete Dio in Terra. Anzi, sentite. Racconterò una parabola che servirà a tutti».
E Gesù, che era circondato dai soli apostoli in un chioschetto di bossi, si avvia verso i discepoli che sono invece rispettosamente aggruppati su uno spiazzo decorato di una vasca piena di limpide acque. Il sorriso di Gesù è come un segnale di parola. E mentre Lui va col suo passo lento e lungo, per cui percorre molto spazio in pochi momenti, e senza affrettarsi perciò, essi si rallegrano tutti e, come bambini intorno a chi li fa felici, si stringono in cerchio. Una corona di visi attenti, finché Gesù si mette contro un alto albero e inizia a parlare.
«Quanto ho detto prima al popolo va perfezionato per voi che siete gli eletti fra esso.
Dall'apostolo Simone di Giona mi è stato detto: "Quante volte devo perdonare? A chi? Perché?".
Ho risposto a lui in privato ed ora a tutti ripeto la mia risposta in ciò che è giusto voi sappiate sin da ora. Udite quante volte e come e perché va perdonato.
Perdonare bisogna come perdona Dio, il quale, se mille volte uno pecca e se ne pente, perdona mille volte. Purché veda che nel colpevole non c'è la volontà del peccato, la ricerca di ciò che fa peccare, ma sibbene il peccato è solo frutto di una debolezza dell'uomo.
Nel caso di persistenza volontaria nel peccato, non può esservi perdono per le colpe fatte alla Legge. Ma per quanto queste colpe vi danno di dolore, a voi, individualmente, perdonate. Perdonate sempre a chi vi fa del male. Perdonate per essere perdonati, perché anche voi avete colpe verso Dio e i fratelli.
Il perdono apre il Regno dei Cieli tanto al perdonato come al perdonante.
Esso è simile a questo fatto che avvenne fra un re ed i suoi servi. Un re volle fare i conti coi suoi servi. Li chiamò dunque uno dopo l'altro cominciando da quelli che erano i più in alto.
Venne uno che gli era debitore di diecimila talenti. Ma il suddito non aveva con che pagare l'anticipo che il re gli aveva fatto per potersi costruire case e beni d'ogni genere, perché in verità non aveva, per molti motivi più o meno giusti, con molta solerzia usato della somma ricevuta per questo. Il re-padrone, sdegnato della sua infingardia e della mancanza di parola, comandò fosse venduto lui, la moglie, i figli e quanto aveva, finché avesse saldato il suo debito. Ma il servo si gettò ai piedi del re e con pianti e suppliche lo pregava: "Lasciami andare. Abbi un poco di pazienza ancora ed io ti renderò tutto quanto ti devo, fino all'ultimo denaro".
Il re, impietosito da tanto dolore - era un re buono - non solo acconsentì a questo ma, saputo che fra le cause della poca solerzia e del mancato pagamento erano anche delle malattie, giunse a condonargli il debito.
Il suddito se ne andò felice. Uscendo di li, però, trovò sulla sua via un altro suddito, un povero suddito al quale egli aveva prestato cento denari tolti ai diecimila talenti avuti dal re. Persuaso del favore sovrano, si credette tutto lecito e, preso quell'infelice per la gola, gli disse: "Rendimi subito quanto mi devi". Inutilmente l'uomo piangendo si curvò a baciargli i piedi gemendo: "Abbi pietà di me che ho tante disgrazie. Porta un poco di pazienza ancora e ti renderò tutto, fino all'ultimo spicciolo".
Il servo, spietato, chiamò i militi e fece condurre in prigione l'infelice perché si decidesse a pagarlo, pena la perdita della libertà o anche della vita.
La cosa fu risaputa dagli amici del disgraziato i quali, tutti contristati, andarono a riferirlo al re e padrone. Questi, saputa la cosa, ordinò gli fosse tradotto davanti il servitore spietato e, guardandolo severamente, disse: "Servo iniquo, io ti avevo aiutato prima perché tu diventassi misericordioso, perché ti facessi una ricchezza, poi ti ho aiutato ancora col condonarti il debito per il quale tanto ti raccomandavi che io avessi pazienza. Tu non hai avuto pietà di un tuo simile mentre io, re, per te ne avevo avuta tanta. Perché non hai fatto ciò che io ti ho fatto?".
E lo consegnò sdegnato ai carcerieri, perché lo tenessero finché avesse tutto pagato, dicendo: "Come non ebbe pietà di uno che ben poco gli doveva, mentre tanta pietà ebbe da me che re sono, così non trovi da me pietà".
Così pure farà il Padre mio con voi se voi sarete spietati ai fratelli, se voi, avendo avuto tanto da Dio, sarete colpevoli più di quanto non lo è un fedele.
Ricordate che in voi è l'obbligo di essere più di ogni altro senza colpe.
Ricordate che Dio vi anticipa un gran tesoro, ma vuole che gliene rendiate ragione. Ricordate che nessuno come voi deve saper praticare amore e perdono. Non siate servi che per voi molto volete e poi nulla date a chi a voi chiede. Come fate, così vi sarà fatto. E vi sarà chiesto anche conto del come fanno gli altri, trascinati al bene o al male dal vostro esempio.
Oh! che in verità se sarete santificatori possederete una gloria grandissima nei Cieli! Ma, ugualmente, se sarete pervertitori, o anche solamente infingardi nel santificare, sarete duramente puniti.
Io ve lo dico ancora una volta. Se alcuno di voi non si sente di essere vittima della propria missione, se ne vada. Ma non manchi ad essa. E dico: non manchi nelle cose veramente rovinose alla propria e all'altrui formazione. E sappia avere amico Dio, avendo sempre in cuore perdono ai deboli. Allora ecco che ad ognun di voi che sappia perdonare sarà da Dio Padre dato perdono.
La sosta è finita. Il tempo dei Tabernacoli è prossimo.21 Quelli ai quali ho parlato in disparte questa mattina, da domani andranno, precedendomi e annunciandomi alle popolazioni. Quelli che restano non si avviliscano. Ho trattenuto alcuni di loro per prudenziale motivo, non per spregio di loro. Essi staranno con Me, e presto li manderò come mando i settantadue primi.
La messe è molta e gli operai saranno sempre pochi rispetto al bisogno. Vi sarà dunque lavoro per tutti. E non basta ancora. Perciò, senza gelosie, pregate il Padrone della messe che mandi sempre nuovi operai per la sua mietitura.
Andate, intanto. Io e gli apostoli abbiamo in questi giorni di sosta completato la vostra istruzione sul lavoro che avete da fare, ripetendo quello che Io dissi prima di mandare i dodici.
Uno fra voi mi ha chiesto: "Ma come guarirò in tuo Nome?". Curate sempre prima lo spirito. Promettete agli infermi il Regno di Dio se sapranno credere in Me e, vista in essi la fede, comandate al morbo di andarsene, ed esso se ne andrà.
E così fate per i malati dello spirito. Accendete per prima cosa la fede. Comunicate con la parola sicura la speranza. Io sopraggiungerò a mettere in essi la divina carità, così come a voi l'ho messa in cuore dopo che in Me avete creduto e nella misericordia avete sperato.
E non abbiate paura né degli uomini né del demonio. Non vi faranno male. Le uniche cose di cui dovete temere sono la sensualità, la superbia, l'avarizia. Per esse potrete consegnarvi a Satana e agli uomini-satana, ché ci sono essi pure. Andate, dunque, precedendomi per le vie del Giordano. E, giunti a Gerusalemme, andate a raggiungere i pastori nella valle di Betlemme e con essi venite a Me nel posto che sapete, e insieme celebreremo la festa santa, tornando poi più corroborati che mai al nostro ministero. Andate con pace. Io vi benedico nel Nome santo del Signore».
Questo insegnamento di Gesù, incentrato sul tema del perdono di cui Egli ha parlato nel terzo Discorso della montagna, è stato rivolto in questo caso soprattutto ad apostoli e discepoli (i futuri vescovi e sacerdoti), ma vale evidentemente per tutti noi.
Un ulteriore avvertimento di Gesù in merito alla assoluta importanza del perdono che - fra le tante cose da Lui dette – ci deve fare ulteriormente riflettere, è il seguente:
«Perdonate sempre a chi vi fa del male. Perdonate per essere perdonati, perché anche voi avete colpe verso Dio e i fratelli. Il perdono apre il Regno dei Cieli tanto al perdonato come al perdonante»
Si tratta – in materia spirituale – di una cosa poco conosciuta dai più: il perdono apre il Regno dei Cieli tanto al perdonato come al perdonante.
Dio non perdona noi se noi a nostra volta non perdoniamo gli altri.
Chi ha ricevuto male da altri e coltiva nei loro confronti sentimenti di odio – anche per ragioni oggettivamente ‘giuste’ – sappia che egli stesso non verrà perdonato da Dio per i suoi peccati verso Dio e verso il prossimo se prima non perdonerà a sua volta il prossimo che gli ha fatto quel determinato male. Gesù ha sempre detto infatti che dove albergano sentimenti di ‘odio’ non vi è Dio ma Satana.
La prossima riflessione sarà dedicata a:
5. IL QUARTO DISCORSO DELLA MONTAGNA: IL GIURAMENTO, LA PREGHIERA, IL DIGIUNO.
(Prima parte di due)

1  N.d.A.: Dalla carta geografica della Palestina riportante i viaggi di Gesù stampata a cura del Centro Editoriale valtortiano, il Monte delle Beatitudini (chiamato sulla ‘carta’ anche ‘Corni di Attin’) risulterebbe essere una collina alta 326 metri.
2  N.d.A.: Zebedeo aveva per moglie Maria di Zebedeo, ossia Maria Salome, discepola anch’ella di Gesù, che avrebbe poi chiesto a Gesù - per Giacomo e Giovanni, come citato nei Vangeli – il posto alla Sua destra e alla Sua sinistra per il suo Regno, perché anch’ella non ne aveva ben compreso la natura spirituale, come del resto lo stesso apostolo Giuda che – deluso nelle sue aspettative terrene - si decise a tradire Gesù quando lo comprese. Maria Salome sarà presente sul Calvario.
3  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. III, Cap. 171 – Centro Editoriale Valtortiano
4  Mt 5, 17-20: 17Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. 18In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. 19Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
20Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
5  Mt 7, 15-20: 15Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! 16Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? 17Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; 18un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. 19Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. 20Dai loro frutti dunque li riconoscerete.
6  Mt 5, 38-48: «38Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. 39Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l'altra, 40e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. 41E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. 42Da' a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
43Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. 44Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. 46Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.»
7  Mt 7, 12: 12Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti.
8  Mt 5, 21-26: 21Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: «Stupido», dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: «Pazzo», sarà destinato al fuoco della Geènna.
23Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
25Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. 26In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo!
9  ‘L’Opera di Gesù’ – ‘L’Opera è di natura divina’ – Par. 8 – Team Neval
10  Maria Valtorta: ‘I Quaderni del 1945-1950’ – 28.1.47 – Centro Editoriale Valtortiano
11  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. II. Capp. dal 117 al 132 – C.E.V.
12 Lc 11, 37-54: 37Mentre stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. 38Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo. 39Allora il Signore gli disse: «Voi farisei pulite l'esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. 40Stolti! Colui che ha fatto l'esterno non ha forse fatto anche l'interno? 41Date piuttosto in elemosina quello che c'è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro. 42Ma guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l'amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. 43Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. 44Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo».
45Intervenne uno dei dottori della Legge e gli disse: «Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi». 46Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito! 47Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. 48Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite. 49Per questo la sapienza di Dio ha detto: «Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno», 50perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall'inizio del mondo: 51dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, che fu ucciso tra l'altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione. 52Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l'avete impedito».
53Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, 54tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca.
13  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VI – Cap. 414 – Centro Ed. Valtortiano
14  N.d.A.: Gesù – in quanto Uomo, esente dal Peccato originale ed in Grazia perfetta, aveva il dono del ‘discernimento dei cuori’, leggeva cioè nel pensiero della gente. In quanto Dio-Verbo aveva l’Onniscienza.
15  N.d.A.: Oltre che a Gesù, il riferimento è qui a Maria SS., di Immacolata Concezione, ed a Giovanni Battista, Precursore di Gesù, concepito con il Peccato originale ma successivamente purificato fin dal grembo materno per Grazia e Dono divino.
16  N.d.A.: Anna, Sommo sacerdote - suocero del Pontefice Caifa che poi ebbe a condannare Gesù. Anna – nell’Opera valtortiana - aveva accolto false testimonianze contro Gesù. Caifa era invece il Pontefice di turno, al tempo della predicazione e della condanna di Gesù. Dopo la resurrezione di Lazzaro fu Caifa a convocare il Sinedrio e a far decretare la morte di Gesù avendo inoltre emesso un bando di cattura esposto in tutte le sinagoghe.
17  Mt 18, 15-17: 15Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
Lc 12, 58-59: 58Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all'esattore dei debiti e costui ti getti in prigione. 59Io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo».
18  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. IV – Cap. 277 – Centro Editoriale Valtortiano
19  Mt 18, 18-35:18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. 19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d'accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
21Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 22E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: «Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa». 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: «Restituisci quello che devi!». 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: «Abbi pazienza con me e ti restituirò». 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: «Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?». 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».
20  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. IV – Cap. 278 – Centro Editoriale Valtortiano
21  N.d.A.: Tabernacoli o Festa delle capanne, in autunno, ringraziamento al termine dell’anno agricolo.
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