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2. Il SECONDO DISCORSO della MONTAGNA: Il DONO della GRAZIA e le BEATITUDINI. (02 di 2)

3.1 La causa di tutti gli errori che si commettono sulla terra è il peccato che separa l'uomo dalla Grazia e quindi lo rende cieco.

Abbiamo visto che nell’Evangelo di Maria Valtorta Gesù ha esordito con un discorso serale riservato ad apostoli e discepoli parlando dell’importanza fondamentale per essi (e cioè futuri vescovi e sacerdoti) di saper essere ‘luce del mondo e sale della terra’.
Nel secondo discorso, quello ‘pubblico’ di fronte alle folle, aveva affrontato il tema dell’importanza della Grazia e delle Beatitudini.
Abbiamo inoltre constatato nella precedente ‘riflessione, quale sia l’importanza della Grazia: una importanza tanto grande da rendere ora necessario un ulteriore approfondimento.
Avevo una volta letto due 'Dettati', che Gesù aveva dato alla Valtorta nello stesso giorno,1 e mi avevano particolarmente colpito alcuni concetti.
Nel primo dettato Gesù parlava ancora una volta dell'importanza della Grazia.
Gli uomini – questo era il senso del discorso - che pur sono dotati di un'intelligenza superiore, sovente agiscono sconsideratamente quando non anche con bestiale irriflessione perché in loro si è lesa o spenta del tutto la forza dello spirito a causa del peccato che leva la Grazia.
La Grazia ci mantiene infatti in contatto con Dio e ci illumina delle sue luci.
La causa di tutti gli errori che si commettono sulla terra è il peccato che separa l'uomo dalla Grazia e quindi lo rende cieco.
Chi invece vive in Grazia - continuava Gesù - ha il ‘Sangue’ di Cristo che circola in lui e lo nutre al punto che il Padre suo e nostro, stringendoci al seno, non distingue più il nostro essere 'figli' di Adamo e ci chiama 'figli', figli come Gesù, e quando giungiamo al termine della nostra vita terrena ed entriamo in quella eterna il Padre ci saluta con i suoi bagliori di Luce perché riconosce in noi una parte di Sé che torna alla Sorgente divina da cui è scaturita.
Gesù invitava quindi gli uomini a vivere in Lui e di Lui, perché la gioia che ci attende, rispetto a questa vita terrena - che per quanto possa esser penosa è un attimo rispetto all'eternità - è smisurata come la gloria di Dio.
Nel secondo dettato Gesù sottolineava l'importanza di imparare ad amare, perché l'Amore è il principale attributo di Dio ed è la scienza delle scienze perché ci fa maestri nella scienza che dà Vita: la scienza di conoscere Iddio.
«Colui che ama - diceva Gesù - possiede la vera intelligenza. Dio non si divide da chi lo ama. Ora, se Dio è in voi, voi possedete in voi l'intelligenza stessa, ed essa vi comunica le sue luci, così come fiamma chiusa in un cristallo traspare e riscalda al di fuori. E Dio è fiamma che vive in voi quando voi lo amate. La vostra natura umana si indìa al contatto.
L'uomo, animale dotato di ragione, cade come crisalide di farfalla e subentra il vero superuomo che non è quale lo crede il mondo: un povero superbo pieno di errori e di boria, ma un essere che, non ancora angelo e non più uomo, ha dell'uomo le lotte che danno il merito e degli spiriti la libertà sopra il senso, la luminosità e la chiaroveggenza, per cui la Verità si disvela e Dio appare - Padre e Signore - nella sua sopressenziale Bellezza...».
Dunque l’uomo in grazia, poiché ama, ha Dio dentro di sé al punto che l’uomo stesso nella sua natura umana si indìa’ al contatto, vale a dire che si ‘compenetra’ con Dio, divenendo un ‘vero superuomo’ e non invece l’illusorio ‘superuomo’ vagheggiato dai cultori dell’evoluzionismo.
Costoro - partendo dalla scimmia ed ipotizzando successive fasi evolutive animalesche del passato per arrivare all’Homo Sapiens-sapiens attuale (che saremmo noi) – traguardano nel futuro vagheggiando appunto un ipotetico ‘superuomo’ frutto conclusivo della nostra evoluzione animale, quando non anche – secondo altre teorie – una trasformazione progressiva dell’animale-uomo in un altro animale finale diverso così come la scimmia in centinaia di migliaia di anni sarebbe diventata ‘uomo’ a sua volta diverso dal suo antenato ‘scimmia’.
Tuttavia – a ben riflettere sulle precedenti parole di Gesù con riguardo al suo concetto di ‘superuomo spirituale’ – non si può non convenire che il vero 'superuomo' sia l'amante nello spirito che attraverso le lotte contro la propria ‘carnalità’ materiale e morale, giunge ad essere uno spirito in carne umana libero dal senso, in certo qual modo più simile ad un angelo che ad un uomo.
Il vero superuomo è dunque l'amante - nello spirito - dello Spirito, che è Amore. Solo chi veramente ‘ama’ – perché in Grazia - è il vero superuomo.
Il vero Superuomo era l’Adamo del primo giorno. Era quello il superuomo per il quale Dio aveva creato l’Universo.
Ecco dunque la conseguenza più importante della Colpa, del Peccato d'Origine: la perdita della Grazia.
Ne abbiamo in parte già parlato ma è bene ritornare sull’argomento per approfondirlo ulteriormente mettendo in fila alcuni concetti:
Il primo uomo - come in seguito Maria SS., concepita immacolata, cioè priva di colpa d'origine - amava perché pieno di 'Grazia'. La Grazia è Sapienza, la Sapienza è Dio, Dio è Amore.
L'uomo aveva in sé l'Amore ed amava. Ma quando la Superbia, quel vapore che già si era condensato in Lucifero, si condensò nei primi due - ed essi, non paghi di avere praticamente tutto, vollero essere come Dio, come già Lucifero - ecco che essi diventarono di fatto ribelli, usurpatori, e come ribelli ed usurpatori vennero cacciati dal Paradiso.
Perché essi avevano perso la Grazia, cioè l'Amore di Dio, che sta e permane solo in coloro che amano. E poiché i primi due avevano smesso di amare, sotto le lusinghe e le adulazioni del Ribelle, essi persero la Grazia e, con la Grazia, tutte le virtù 'psichiche', cioè virtù dell'anima, che fino a quel momento avevano reso integra la loro 'psiche' ed il loro corpo.
La 'Psiche', non nella misura limitata in cui la intendiamo e comprendiamo normalmente noi ora, in realtà è l'Anima ma dell'Anima, ora, noi non abbiamo alcuna conoscenza: anzi, i più la negano.
Ma la relazione fra la psiche-anima ed il corpo è strettissima, perché la Psiche 'anima' il corpo, potremmo dire che lo permea in ogni suo poro della pelle, lo permea in ogni sua cellula, molecola, atomo.
La 'Psiche-anima' dell'uomo, nell'uomo, è quella che lo mantiene in vita.
L’uomo muore quando la Psiche-anima, cioè lo spirito, abbandona il corpo.
La ‘Psiche-anima’ non è solo un ‘principio fisicamente vitale’ – perché tale ‘principio’, per bontà del Signore che li ha voluti, e li ha voluti 'vivi' perché servissero all'uomo, è concesso anche agli animali - ma nell’uomo è, come ho già cercato di spiegare, anche un principio ‘spirituale’ immortale.
Questa è la differenza fra l'uomo e l'animale.
Gli uomini, per credersi ‘superiori’, vale a dire dei ‘superuomini’, si reputano discendenti di scimmie, cioè inferiori a quel che sono: ‘figli’ di Dio grazie alla psiche-anima (che non è la psiche-animale), anima spirituale che dà agli uomini (animali ma di un gradino superiore al resto del regno animale) quella differenza che li rende appunto ‘figli di Dio’. Degni pertanto di entrare nel Suo Paradiso, un Paradiso fatto su misura per noi: come per noi, uomini di carne, Dio aveva fatto il paradiso terrestre - poi per sua volontà decaduto – così come per noi ha fatto l’universo. Del resto - per dirla con le parole di San Michele Arcangelo - ‘Chi come Dio?’
Nel Suo Regno, in quello dove Lui regna, Lui che è Amore, può dunque entrare solo chi è in 'grazia', solo cioè chi conosce l'Amore.
Come il primo uomo perse la Grazia - e quindi il diritto, per cominciare, al Paradiso terrestre, anticipazione di quello celeste - così i 'successivi' perdono la Grazia, a causa del peccato: non quello d'origine ma quello che ogni giorno noi commettiamo contro noi stessi andando contro la Legge che Dio ha messo nei nostri cuori: la Legge dei Dieci comandamenti.
Gli uomini per mancanza d'amore peccano contro Dio e contro se stessi: omicidi degli altri, dell'anima degli altri, grazie al saper odiare, suicidi ad un tempo di se stessi uccidendo la Grazia in sé, quella che rende l'Anima 'viva', quella che la mantiene figlia di Dio e che, una volta perduta, ci fa figli di Satana.
Questo è del resto un costante insegnamento del Gesù valtortiano.
Ecco che allora - non solo per Adamo ed Eva, che pur sbagliarono ma sbagliarono su istigazione di un Lucifero, superbamente intelligente ed ‘angelicamente’ perfetto - ecco che Dio allora, per Pietà per i discendenti che avrebbero automaticamente contratto la 'malattia' con la riproduzione delle ‘specie’ (perché l'uomo, persa la Grazia, si può ben considerare un animale e quindi, certo, in questo caso si può davvero parlare di 'specie'), fece loro la promessa di salvezza.
La fece per loro conforto, per dare loro forza ed aiutarli a ravvedersi, come infatti successe ai Primi Due dopo l'omicidio di Abele da parte di Caino: prima anticipazione dei tanti omicidi che i caini della terra continuano a commettere, caini ed omicidi nello spirito, prima ancora che dei corpi.
Dio fece dunque la promessa anche per i successivi che sarebbero arrivati ad essere 'caini' non solo per loro personale demerito ma anche proprio a causa del Peccato Originale che li aveva privati della Grazia.
Né possiamo onestamente dire che i successivi, se avessero mantenuta la Grazia sarebbero stati migliori dei primi, perché anche questa sarebbe superbia.
Infatti il Peccato originale fu provvidenziale perché, se il primo uomo non avesse sbagliato e non fosse piombato nel fango conoscendone tutte le miserie, i successivi - nel loro libero arbitrio (che, ricordiamolo sempre, non è una condanna ma un dono, perché altrimenti noi non saremmo dei ‘figli’ ma degli automi), migliorandosi continuamente, nella moltiplicazione e quindi di generazione evolutiva in generazione evolutiva, di stadio in stadio - sarebbero diventati sempre più perfetti e avrebbero finito, nel libero arbitrio, di ritenersi del tutto perfetti, cioè come Dio, anzi loro Dèi, come Lucifero.
E si sarebbero ribellati: non disobbedienza ribelle, ma vera ribellione.
Non 'Chi come Dio ?!', ma 'Chi come Io ?!', avrebbero detto! E come Lucifero avrebbero meritato la condanna: eterna, immediata.
Ma nella Sua Misericordia - Giustizia coi primi due, Misericordia per i successivi - Dio fece la Promessa, la promessa di Salvarci: la promessa di Maria, la Piena di Grazia che sarebbe venuta – con il suo ‘Sì’ - a portarci la ‘Grazia’, cioè Gesù.
Cosa potremmo aggiungere ancora? Niente, se non il fatto – come già sottolineato nella riflessione precedente - che la Grazia è un davvero splendido dono fatto da Dio fin dall’inizio al primo uomo. Splendido Dono fattogli dallo Spirito Santo che volle santificarlo.
Splendido Dono che lo Spirito di Dio ancora concede all'uomo odierno per consentirgli di tornare a Lui, alla Fonte di ogni Bene: l'Amore.
Da qui, dunque l’importanza di amare, l’importanza della Grazia.
Si può dire che oggi per l’uomo comune il concetto di ‘grazia’ è praticamente sconosciuto.
Sono tuttavia davvero innumerevoli i Dettati in cui il Gesù valtortiano – nei Quaderni – parla della Grazia in maniera approfondita.
Vivere in grazia è fondamentale perché – lo abbiamo già detto e lo ripetiamo - è la grazia che ci mantiene in contatto con Dio.
Spiegava ancora Gesù in un altro suo Dettato che noi uomini siamo dei ‘nascituri’ alla Vita del Cielo.
La vera Vita non è quella che viviamo sulla terra in attesa della morte.
Questa nostra vita mortale è solo una fase di formazione di ciò che saremo in futuro.
L’esistenza umana è come una gestazione che ci forma per darci alla luce… in Cielo.
Questa vita terrena è come una palestra che serve a vincere la ‘battaglia’ della salvezza.
E’ un passaggio da una fase incompiuta alla compiutezza.
Il nostro ‘morire’ non è morire e la vera morte è quella dell’anima a causa del peccato, perché i veri morti sono quelli separati da Dio.
Il peccato è la vera morte perché uccide in noi la Grazia.
Il Gesù valtortiano non ha perso occasioni per parlare della Grazia – e questo lo avete già compreso – ma fra i tanti vi è un altro brano in cui Egli tornerà a parlare di questo argomento partendo dalle Origini, cioè dalla creazione di Adamo ed Eva (i grassetti sono miei):2
In merito ai dettati 24-29.30 agosto e 2 settembre 1944. Nel Preevangelo.
Dice Gesù:
(…)
«… Dio creò l’uomo composto di due sostanze, una detta corpo, inizialmente creata col fango e susseguentemente procreata con la carne e col sangue dell’uomo, e di una detta anima, la quale creata volta per volta da Dio, e per una sola volta e per una sola carne, scende ad unirsi alla carne che si forma in un seno.
Senza l’anima l’uomo sarebbe una creatura animale guidata dall’istinto e dalle doti naturali.
Senza il corpo l’uomo sarebbe una creatura spirituale con doti soprannaturali d’intelligenza, volontà e grazia come gli angeli.
Dio, al capolavoro del creato, rappresentato dall’uomo, in cui sono unite le due creature, animale e spirituale, per fare una sola unità, cosa aveva donato oltre all’esistenza? Doni gratuiti che i teologi dividono in naturali, preternaturali, soprannaturali.
Naturali: il corpo sano e bello con i 5 sensi perfetti e l’anima ragionevole dotata di intelligenza, volontà e libertà.
Preternaturali: l’integrità, ossia la perfetta soggezione del senso, libero da fomiti di ogni genere, alla ragione; l’immortalità del corpo che non avrebbe conosciuto l’orrore della morte; l’immunità da ogni dolore; e la scienza proporzionata al suo stato di creatura eletta, e perciò grande scienza che il perfetto intelletto assimilava senza fatica.
Soprannaturali: la visione beatifica di Dio, la Grazia che fa dell’uomo un figlio di Dio, e il destino di godere eternamente di Dio.
Dunque l’uomo, e per l’origine e per i doni ricevuti, poteva veramente chiamarsi ‘figlio di Dio’ e conoscerlo come un figlio conosce il proprio padre.
Cosa è la Grazia?
Dice il Catechismo: “La Grazia è un dono soprannaturale, che illumina la mente, muove e conforta la volontà affinché l’uomo operi il bene e si astenga dal male”.
Ma essa è soprattutto amore. Amore di Dio alla sua creatura prediletta che è l’uomo, amore che eleva la creatura alla natura del Creatore deificandola, onde giusta è la parola della Sapienza: ‘Voi siete dèi e figli dell’Altissimo’. E’ inoltre mezzo di salute da quando l’uomo ha bisogno di mezzi di salute essendo rimasto debole per le conseguenze del peccato.
Attiva oltre ogni dire, quando non trova impedimento o inerzia in voi al lavoro che essa vuole compiere in voi, essa santifica la creatura e le azioni della creatura, e ha tre rami minori, dal suo tronco sublime, detti della grazia attuale, sufficiente, efficace. Ma è un’unica Grazia: principio trasformatore, qualità divina inerente all’anima, simile a luce il cui splendore, avvolgendo e penetrando le anime, ne cancella le macchie della colpa e comunica loro una radiosa bellezza.
Così la Chiesa docente nelle conclusioni del Concilio di Trento. Ed Io, Maestro dei maestri, contemplando la Grazia per ciò che è, nell’eterno “è” di Dio, dico che la Grazia è principio trasformatore della creatura in figlio di Dio, qualità perciò divina simile alla Luce dalla quale proviene, il cui splendore avvolgendo e penetrando le anime, sia che sia dono dato (come ad Adamo) o dono reso (come per i cristiani cattolici reintegrati in Grazia per i meriti del mio Sacrificio e del Sacramento da me istituito), comunica loro non soltanto una radiosa bellezza, ma la capacità di vedere e conoscere Iddio, così come il Primo Uomo lo conosceva vedendolo e comprendendolo col suo spirito pieno di innocenza e Grazia.
La Grazia è dunque restituzione dell’uomo alla capacità di amare e conoscere Iddio.
La Grazia è dunque lume a vedere ciò che è Immensa Tenebra al pensiero dell’uomo ma Infinita Luce per lo spirito in grazia, è dunque voce, e sapientissima voce, è vista, luminosissima vista per contemplare Iddio, è dono dato al desiderio dell’anima di conoscere Dio, è mezzo a ricordare l’Origine così come Essa desidera essere ricordata, è strumento alla deificazione della creatura.
E tanto più la creatura, per volontà propria e per giustizia raggiunta per volontà d’amore, cresce nella Grazia, altrettanto crescerà in lei ciò che è unione col Divino e crescerà in lei sapienza, che è uno dei divini attributi, e con la sapienza la capacità di comprendere, conoscere, amare la Verità e le verità. Perché la Grazia è lo spirito di Dio che entra nell’uomo con tutti i suoi doni, trasformando, elevando, santificando le potenze e le azioni dell’uomo. E fra queste, prima e principale, l’amore. Azione per la quale siete stati creati.
Amare è conoscere. Non si ama che chi non si conosce. Tanto più si ama quanto più si conosce.
Nessuno potrebbe sostenere di amare un parente sconosciuto, o un uomo abitante agli antipodi, così come ama il parente che ha presso o l’amico di casa. Il suo amore per questo non andrà più oltre di un astratto sentimento di fratellanza o di parentela, che non dà gioia se dura, e non pena se cessa. Mentre la perdita di un parente ben conosciuto o di un amico è vero dolore. E avvenuta che sia, si cerca di conservare di lui ogni ricordo per sentire men viva la perdita o, se è solo lontananza, in tutte le maniere si cerca renderla meno assoluta per sentir meno grave la lontananza. I fanciulli divenuti orfani nell’infanzia, osservateli con quale ansia cercano ricostruirsi una ideale figura dello scomparso genitore coi ricordi lasciati da lui o raccolti sui labbri dei parenti e amici.
La creatura ha bisogno di amare, e per sentirsi meno sola e per amare deve ricordare.
Il ricordo è come una catena che unisce all’amato, lanciata nelle distanze. Non se ne vede l’estremità, ma i movimenti che si sentono venire attraverso l’amorosa catena del ricordo reciproco dicono che si è amati come si ama.
Per questo Dio diede ai primi uomini la conoscenza di Sé. Perché essi fossero perfettamente felici nel periodo della Grazia e della Gioia, e avessero poscia un ricordo che li unisse ancora al Padre, nascosto dietro le caligini del peccato, alzate come un muro fra i decaduti e la Perfezione, ma non definitivamente perduto perché l’amore durava.
Adamo ed Eva conobbero Dio, ne ebbero la spirituale visione beatifica e ne compresero l’Essenza perché i loro spiriti, dico spiriti, in Grazia potevano fissarne l’incorporea e suprema Bellezza e intenderne la Sapienza nella voce di Dio “nel fresco della sera”.3
Oh! dolci colloqui, rapimenti di creature deificate con Dio loro Autore, nella pace del terrestre paradiso, divini ammaestramenti appresi senza fatica da due intelletti senza tare di imperfezioni fisiche o imperfezioni morali, accettati senza quelle cocciutaggini che rendono a voi difficili ad accettare le divine lezioni, perché voi non sapete più amare come gli Innocenti, o poveri uomini mutilati di troppe cose sante e empìti di troppe altre inutili e dannose, poveri uomini che potreste ritornare perfetti se possedeste un perfetto amore!
O lezioni di Dio, Sapienza che rifluiva dalla Sorgente paterna nei figli benedetti, ricevuta come un dono, amata come una festa, amore reciproco che era parola, che era domanda precorsa dalla risposta, che era fiducia, che era sorriso, che era pace! Pagina di un gaudio per sempre distrutto, pagina scritta nei libri della vita e ai primordi della vita e poi bruttata, e non più proseguita, dall’impronta incancellabile della Colpa, chi ti può leggere ai viventi perché comprendano ciò che hanno perduto e siano umili?
Umili guardando di quanto sono decaduti, considerando quanto Dio è buono nel dare ancor tanto di amore e sapienza, nonostante che la serpentina testa della superbia non doma sia sempre pronta a drizzarsi in loro per discutere con Dio che si rivela, consiglia e comanda a scopo buono.
Adamo ed Eva avevano dunque il dono della Grazia che è amore, luce, sapienza, conoscenza di Dio, e questo dono, essendo essi uomini privati e pubblici insieme, essendo i progenitori di tutta la famiglia umana, sarebbe stato trasmesso insieme agli altri doni ai loro discendenti e non ci sarebbe stato bisogno per essi di faticare per ricordare Dio, per risalire faticosamente dalle tenebre verso la Luce, lottando col peso del Male, con la controcorrente delle tentazioni, con le caligini dell’ignoranza, con tutta la miseria venuta dal decadimento dalla Grazia.
Non ci sarebbe stata necessità di ricordo perché non ci sarebbe stato da ricordare il Bene perduto, ma soltanto ci sarebbe stato gaudioso godere dell’Amato.
Poi Adamo ed Eva peccarono, e Dio li cacciò dal suo cospetto e li escluse dalla sua amicizia e dall’Eden “ponendo Cherubini sulle soglie di esso” dice la Genesi, e condannando l’Umanità al lavoro, al dolore, all’ignoranza, alla morte, per la parte materiale, alla privazione della Grazia, della conoscenza di Dio e del Paradiso celeste per la parte spirituale.
Il Catechismo dice: “Adamo ed Eva perdettero la Grazia di Dio e il diritto che avevano al Cielo, furono cacciati dal paradiso terrestre, sottoposti a molte miserie nell’anima e nel corpo e condannati a morire” e “i loro discendenti per eredità di colpa subirono i danni della privazione della grazia, la perdita del paradiso, l’ignoranza, l’inclinazione al male, tutte le miserie della vita e infine la morte”, di modo che “se Dio non avesse usato misericordia, gli uomini non avrebbero più potuto salvarsi”.
Quale fu la misericordia usata da Dio al genere umano?
Risponde ancora la Genesi con le sue pagine e il Catechismo con le sue risposte: “La misericordia di promettere subito ad Adamo il Redentore divino o Messia, e di mandarlo a suo tempo per liberare gli uomini dalla schiavitù del demonio e del peccato, reintegrandoli nello stato di figli di Dio con la restituzione dello stato di Grazia” per i miei meriti e la Passione mia.
Or dunque ditemi: se nel momento stesso della condanna, Dio Padre già la tempera nel suo rigore con la speranza di un redentore, con la promessa di un perdono, non sta questo a dimostrare che Egli stesso, sempre Misericordia anche nella Giustizia perché eterna e perfetta Carità, volle che nell’anima dell’uomo avvolta nelle tenebre e nel dolore rimanessero delle scintille di luce – ricordi – che impedissero la disperazione, l’abbattimento, l’abbandono, il languore di chi non ha più un fine e trascina senza vigore di speranze i suoi giorni? Sì, in verità, che così fu.
E riepilogando il detto fin qui, tratto dalla Genesi libro scritto sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, e perciò avente Dio per autore, come definisce il Concilio Vaticano – e dal Catechismo nel testo prescritto da quel mio vero Vicario e Pastore che ora è meco in Cielo dopo avermi amato con perfezione e perciò ricordato con perfezione sulla Terra – verità che nessuno può respingere a meno di dichiararsi eretico – si può concludere che l’uomo innocente e in grazia aveva il dono di grazia di conoscere Dio, amarlo e goderlo eternamente, e che l’uomo decaduto ebbe il dono di misericordia di una promessa, e di un ricordo perciò del Divino, che lo aiutasse a ben operare per potere, in un futuro certo, godere, dopo il dolore del castigo, la vista e il possesso di Dio. (…)
Che dire che già non sia chiaro?
Gesù ha detto sopra che l’uomo è il ‘capolavoro del Creato’.
Non usa parole superflue il Gesù valtortiano, questo lo avrete capito.
Conoscendo l’uomo attuale sembra impossibile pensare all’uomo come a un ‘capolavoro del Creato’.
Che cosa è il ‘Creato’? E’ la creazione operata da Dio, creazione spirituale quella degli Angeli, creazione materiale quella concernente appunto la materia e con essa i vegetali e gli animali fra cui anche l’uomo, che tuttavia non è solo materia vivente ma anche spirito immortale in carne umana.
L’uomo ‘capolavoro del Creato’, come lo ha definito Gesù, è quello di cui lo Spirito Santo – in un’altra sua Lezione aveva detto parlando della sua creazione (i grassetti sono miei): 4
«…L’uomo: vero anello di congiunzione fra Terra e Cielo, vero punto di unione fra il mondo spirituale e quello materiale, l’essere in cui la materia è tabernacolo allo spirito, l’essere in cui lo spirito anima la materia non già solo per la vita limitata mortale, ma per la vita immortale dopo la finale resurrezione. L’uomo: la creatura in cui splende e dimora lo Spirito Creatore...».
Un uomo che è immagine di Dio per l’anima deificata dalla Grazia e gli è somigliante – sempre per virtù della Grazia – per la carità.
Il ‘capolavoro del Creato’ non è dunque l’uomo odierno degenerato nei millenni a causa del Peccato originale e dei successivi peccati individuali, ma il primo uomo innocente, quale Dio l’aveva appena creato e quale sarà ancor più alla fine del mondo dopo la sua assunzione in Cielo in anima e corpo glorificati, con una bellezza corporea straordinaria ed una intelligenza quasi angelica, aumentata dal suo specchiarsi nella Luce di Dio.
C’è da rimanere attoniti, sbalorditi al pensiero che Dio – per avere un popolo di ‘figli’ da amare e dai quali essere riamato - avesse pensato e poi unito uno spirito ad una carne che sarebbe stata alla fine glorificata e che allo spirito e alla carne costituenti una unità psicosomatica avrebbe dato come Re il proprio Verbo incarnato.
Quando il Serpente della Genesi – per invogliare Eva a cogliere il frutto della perdizione – le disse ‘Eritis sicut dei’5, cioè ‘sarete come dei’, non sospettava di dire a sua insaputa una grande verità che si sarebbe realizzata grazie alla futura Redenzione da parte del Verbo incarnato: classico esempio di eterogenesi dei fini che potremmo anche più semplicemente definire come una conseguenza ‘non intenzionale’ di un’azione ‘intenzionale’.
È il concetto espresso in precedenza da Gesù quando ha detto che l’uomo in grazia che si abbandona all’amore verso Dio si ‘indìa’, concetto espresso in altro modo da San Paolo quando dice ‘… non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me…’.
A proposito ancora del peccato e soprattutto della Grazia, ricorderete forse l’episodio evangelico6 della Samaritana al pozzo di Sichar, raccontato dall’Apostolo Giovanni ma visto in visione con particolari molto più ampi dalla nostra mistica.7
Gesù – nell’Evangelo di Maria Valtorta, all’inizio del suo secondo anno di vita pubblica e di predicazione - attraversa la Samaria quando, stanco ed assetato, decide di fermarsi presso il pozzo di Giacobbe in attesa che gli apostoli tornino dal vicino paese di Sichar dove erano andati per acquistare cibo.
Si avvicina una donna del luogo per attingere dal pozzo e Gesù – seduto sul muretto dello stesso – le chiede dell’acqua.
Lei – una donna ‘emancipata’ e dalla vita ‘movimentata’ con varie esperienze ‘maritali’ pregresse - gli chiede con aria un poco ironica come mai lui – giudeo dall’aspetto – si degni di chiedere dell’acqua ad una ‘samaritana’…8
Gesù – che nella sua Onniscienza di Dio non ignorava il passato della donna e come Uomo privo di Peccato originale aveva il dono della introspezione perfetta dei cuori - contava però di convertirla.
Le risponde dunque che se lei avesse conosciuto il ‘dono’ di Dio e chi è che le diceva di dargli da bere, sarebbe stata lei stessa a chiedere ‘acqua’ ed Egli le avrebbe dato ‘Acqua viva’ perché chi avesse voluto bere l’acqua del pozzo avrebbe poi avuto ancora sete ma chi avesse invece bevuto la ‘sua’ Acqua non avrebbe avuto più sete in eterno, perché l’Acqua che Egli gli avrebbe dato sarebbe divenuta in lui una sorgente ‘zampillante fino alla vita eterna’.
Ebbene - fuor di metafora, e voi che leggete già lo sapete bene - l’Acqua viva a cui alludeva Gesù era appunto l’Acqua della Grazia, indispensabile per la Vita eterna.
La donna – e ritengo lo avesse fatto con una certa ironia ed un poco di sfacciataggine – gli risponde che allora gliela desse pure quell’acqua, almeno lei si sarebbe risparmiata la fatica di andare ogni volta a quel pozzo.
Gesù – ritengo con occhio più severo – la invita allora ‘con autorità’ ad andare a chiamare suo marito e tornare lì. Lei – con un certo imbarazzo – gli risponde di non avere marito…
Era la risposta che Gesù attendeva perché subito le replica che sì.., in effetti lei aveva detto la verità, perché di mariti… - aggiunge Gesù – lei ne aveva avuti cinque e quello attuale non era nemmeno suo marito…
Sentendosi rimproverare da uno sconosciuto giudeo il fatto che lei stesse ora convivendo con il suo sesto uomo e colpita anche all’aspetto maestoso di Gesù dal quale certamente trasluceva la Luce della sua Grazia perfetta – la donna intuisce in un lampo di trovarsi di fronte ad un Profeta, forse l’atteso Messia di cui tanto si parlava come prossimo a venire.
Lei glielo chiede, Gesù glielo conferma, lei molla allora lì a terra la brocca e corre senza indugio in paese ad avvisarne gli abitanti dicendo loro trafelata che aveva incontrato un uomo che conosceva ‘tutto quel che lei aveva fatto…’, e che forse costui era davvero il ‘Cristo’, cioè il Messia.
Gli altri interessanti dettagli di questo episodio, veramente bello, non li racconta l’Evangelista Giovanni – che come gli altri apostoli non era stato presente al colloquio essendo tutti andati in paese per compere - ma li riporta la relativa visione de ‘L’Evangelo’ di Maria Valtorta.9
I notabili ed il popolo corrono incontro a Gesù, lo accolgono con tutti gli onori facendolo fermare un paio di giorni affinché Egli – ad essi desiderosi di Verità - facesse dono della Sua Parola di Sapienza.
Gesù accondiscende volentieri e in due giorni di dialoghi… li converte in massa.10
Sempre con riferimento all’Acqua viva della Grazia, Gesù spiega in un’altra circostanza alla mistica che l’anima è come una cisterna d’acqua di certi deserti aridi, così comuni nei paesi caldi.
Dio – che provvede a tutti – lascia sgorgare da millenni acqua dalle viscere della terra.
Attorno a queste falde acquifere nascono delle oasi e crescono dei villaggi i cui abitanti fanno delle cisterne per raccogliere l’acqua che sgorga dal terreno.
Ma poiché queste cisterne con il tempo si deteriorano, ecco che essi si premurano di tappare continuamente le fessure che di quando in quando si formano, affinché la preziosa acqua non vada perduta e continui ad alimentarli.
Ebbene anche l’uomo – dice Gesù - deve fare la stessa cosa con la propria anima che deve poter accogliere ma anche saper conservare l’acqua della Grazia.
Ecco dunque perché è così importante per noi l’approfondimento del Discorso della montagna: gli insegnamenti di Gesù servono a fare della nostra anima ‘una cisterna della grazia’, e la pratica degli stessi serve a ‘tappare’ le fessurazioni che la vita nel mondo inevitabilmente provoca.

3.2 Lo Spirito Santo: «La Grazia rigenera l’uomo…, ma non una sola volta... ma ogni qualvolta l’uomo si pente, o piange sulla sua debolezza, o anche solo si turba...».

Lo Spirito Santo – nelle sue ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai romani’ – è anch’Egli particolarmente prodigo di insegnamenti sia in merito alla Grazia che alle Beatitudini.
Abbiamo letto nella ‘Parte prima’ di queste nostre riflessioni che Gesù aveva spiegato che la Grazia non è in tutti eguale.
La sua ‘qualità’ dipende infatti dallo stato di unione con Dio.
Non solo la ‘uccidono’ i peccati mortali, ma essa viene molto indebolita anche da quelli veniali e persino dalle stesse imperfezioni.
Dunque la Grazia non elimina del tutto l’umanità ma dell’uomo vecchio fa – a seconda del suo ‘grado’ di grazia – un uomo più o meno ‘nuovo’.
L’uomo appena battezzato – con il Battesimo che leva il Peccato originale ed il perdono dei peccati – ha invece la pienezza della Grazia che lo ‘rigenera’.
Ciò premesso, in una sua lezione lo Spirito Santo - che come Gesù parla alla mistica - spiega che la Grazia non rigenera però l’uomo una sola volta ma lo fa ogni qualvolta l’uomo si pente – dopo una caduta volontaria in materia grave – o piange sulla sua debolezza, causa di involontarie cadute, o anche solo si turba sentendo agitarsi in sé il vento dei fomiti e temendo che esso provochi tempesta di sensi nella quale si perda la vicinanza di Dio e venga soverchiata la sua voce pacifica, sempre simile ‘al soffio di un’aura leggera’.11
La Grazia ci rigenera, o ci conforta o ci assicura ogni volta che ne abbiamo bisogno con i suoi divini aiuti, grazie a Gesù Cristo e mediante i Sacramenti, mezzi istituiti da Gesù per rigenerarci e rinforzarci proprio nella Grazia.
Sono la Grazia e la buona volontà quelle che contribuiscono a tenere ordine fra le nostre parti carnali e spirituali in contrasto fra loro.
Dio - ancor prima della creazione dell’uomo, e quindi ancor prima della Prova in cui l’uomo avrebbe peccato di ribellione e superbia per voler divenire come Dio - nella Sua Misericordia aveva già stabilito, per dare agli uomini la misura del Suo Amore, il mezzo con cui avrebbe salvato gli uomini.
Ne abbiamo già accennato in precedenza: quel ‘mezzo’ sarebbe stato Gesù Cristo che ci avrebbe restituito - grazie al Suo Sacrificio in croce unito alla nostra buona volontà - la possibilità di riottenere la Grazia perduta che ci consente l’accesso al Paradiso.
Una domanda però ce la possiamo porre. Se la Grazia ci viene restituita con il Battesimo, e se solo in virtù della Grazia si può accedere al Cielo, cosa ne è stato o cosa ne sarà dei non battezzati? Non potranno salvarsi?
La risposta che ne dà lo Spirito Santo in un’altra lezione è di grande conforto e dà la misura della Bontà di Dio, Padre Creatore delle anime di tutti gli uomini e non solo dei ‘cristiani’(i grassetti sono miei):12
‘…Dio, anche a coloro che non sanno del Dio vero, mette nel cuore una legge naturale e una coscienza, per cui possano vivere in modo da appartenere, se non al Corpo, all’Anima del Corpo mistico, e quindi di poter godere dei benefici della Grazia.
Dio sa quali sono, o quali furono, o quali saranno ‑ e da sempre sa ‑ quelli che non lasceranno inerti i misteriosi aiuti di Dio perché l’uomo pervenga al suo fine.
E sa pure quali furono, sono o saranno, quelli che in maniera più o meno completa trasformano se stessi, o si trasformarono o si trasformeranno, nella somiglianza e immagine dell’Uomo-Dio, mediante l’amore, l’ubbidienza alla voce della coscienza e ai dettami della legge morale.
Veramente che all’ultimo giorno, al Gran Giudizio, si vedranno, tra coloro che saranno alla destra del Figlio dell’Uomo, molti di quelli che gli uomini giudicavano non eletti al Regno perché non appartenenti alla Chiesa, mentre saranno alla sua sinistra molti che, per essere stati almeno in apparenza ‑ ché solo Dio sa la verità delle cose ‑ membra vive del Corpo mistico, gli uomini giudicarono certi coeredi del Cielo. E grande sarà lo stupore di quelli che giudicarono, come delle due categorie di giudicati.
E gli eletti per misteriose operazioni di Dio, secondate dalla loro retta coscienza, diranno: Come noi qui, se non ti abbiamo conosciuto né servito come Tu dici, sfamandoti, dissetandoti, accogliendoti e visitandoti?”.
E il giusto Giudice, che morì per dare a tutti quelli di buona volontà la Vita eterna, risponderà: “Perché mi avete conosciuto senza saperlo, e senza saperlo servito mediante la carità data al prossimo vostro. Me avete sovvenuto, perché anche un sorso d’acqua dato per amore ad un assetato è stato amore dato a Me”.
E chiederanno i reietti: “Come ci puoi chiudere il tuo Regno se noi fummo dei tuoi?”.
Ed Egli risponderà: Come chiudeste il vostro cuore ai bisogni dei fratelli, così Io vi chiudo le porte del Regno. Ciò che non faceste al minimo tra voi, a Me non l’avete fatto, e con maggior gravità di colpa perché voi sapevate di Me, del mio Vangelo e della Legge.
Andate dunque lungi da Me, operatori d’iniquità, perché è mio fratello chi mi somiglia e voi, sotto ipocrita maschera, non mi somigliate essendo senza l’Amore che è mia Natura".13 (…)
Da quanto precede, deduciamo che i ‘non battezzati’ che non hanno conosciuto il Dio vero ma con buona volontà ed in tutta ed onesta coscienza hanno rispettato la legge naturale incisa da Dio nella loro anima, se non possono appartenere al ‘Corpo mistico’ possono tuttavia appartenere all’Anima del Corpo mistico e possono quindi godere dei benefici della Grazia.
Essi – anche se non battezzati perché appartenenti ad altre religioni ma convinti di essere della religione vera – in quanto uomini ‘giusti’ potranno dunque andare in Paradiso, quantunque non subito dopo la morte del corpo ma alla fine, in occasione del Giudizio universale.
Le parole dello Spirito Santo impongono tuttavia una riflessione sui requisiti per la salvezza con particolare riferimento alla voce della propria coscienza.
Dio nel creare le anime di qualsivoglia uomo infonde in esse una sorta di ‘codice di condotta’, detto ‘Legge naturale’ perché trova la sua fonte nella ‘natura’ stessa dell’uomo.
La ‘Legge naturale’ - per la nostra religione e per l’ebraica – non è altro che quella che conosciamo come Legge mosaica dei ‘Dieci comandamenti’.
Dio dota inoltre la nostra anima di una ‘coscienza’, vale a dire una sorta di secondo ‘codice di guida’ che in qualche modo ci avverte quando noi contravveniamo alla legge naturale, così da consentirci – se di buona volontà - di rimetterci in carreggiata.
Ora da qualche tempo vi è un notevole dibattito sulla Stampa in merito al fatto se ascoltare la voce della ‘propria’ coscienza sia sufficiente alla salvezza.
Preciso qui che bisogna essere estremamente chiari per non produrre danni irreparabili. Non basta infatti seguire la voce di una ‘propria’ generica coscienza per salvarsi – come molti vorrebbero, liberandosi così dai propri complessi di colpa inconsci – ma deve essere la voce di una coscienza ‘retta’, ed una coscienza è retta quando – con la buona volontà ed il rispetto della legge naturale dei Dieci comandamenti – essa è in condizione di accorgersi se si riga dritto o meno, ed è quindi in condizione di suggerirci il comportamento più giusto secondo le circostanze.
È evidente che la ‘coscienza’ di un delinquente abituale, che vive lontano da Dio e non certo in Grazia, è come intorpidita, cieca, non riesce più a discernere, e non è quindi la stessa ‘coscienza’ di un uomo che si sforza invece di vivere alla luce di Dio, rimanendone in quale modo illuminato.
Non basta dunque dire – come taluni molto superficialmente vorrebbero sostenere – che per salvarsi è sufficiente seguire la ‘propria’ coscienza: questo è solo un pericoloso ‘relativismo morale’ soggetto peraltro a cambiare, solitamente in peggio, con il degradare dei costumi individuali o collettivi e quindi con il conseguente affievolimento della ‘voce’ della propria coscienza.
La coscienza deve dunque essere retta’, come chiarisce appunto sopra lo Spirito Santo, e per potersi considerare tale essa deve essere conforme alla Legge del Signore, cioè alla Legge naturale dei Dieci Comandamenti.
Se tuttavia praticare la Legge mosaica è condizione per avere quel minimo di Grazia necessario a salvarsi, seguire le Beatitudini e gli insegnamenti del Discorso della montagna è – come ho già avuto occasione di sottolineare – ‘il di più’ necessario per guadagnarsi non solo la salvezza ma anche una maggior Gloria in Cielo in misura proporzionale a come avremo voluto e saputo corrispondere alla volontà di Dio.
Se il Gesù valtortiano nell’enunciare le sue ‘Beatitudini’ sulle pendici di quel monte le ha spiegate, anche lo Spirito Santo aggiunge un proprio commento alle stesse sia pur partendo da una diversa prospettiva.
Infatti, in un’altra Lezione impartita alla mistica – sempre a commento dell’Epistola di Paolo ai Romani - lo Spirito Santo a proposito di Beatitudini ad un certo punto dice (i grassetti sono miei):14
(…)
«…Dunque, chiunque crede e invoca il Signore ‑ e se lo invoca è perché lo ama ‑ è salvo, vive in Dio, serve Dio nel modo come Dio vuole essere dal suo servo servito; e un ugual premio attende coloro che con varietà di modi, avendo ricevuto da Dio missioni diverse e doni atti ad ogni missione, hanno servito il Signore.
Belli i piedi che si stancano nell’andare evangelizzando.
Ugualmente belli gli intelletti ed i cuori dei contemplativi che pregano per coloro che si consumano nella vita attiva.
E belli gli spiriti ubbidienti, attenti, umili, che fanno la volontà di Dio, anche se straordinaria, e non divagano il loro spirito né cadono in superbia per essere divenuti orecchio che ascolta il Signore e strumento di privata rivelazione ai fratelli.
Belli i perseguitati per questo. Alla corona dei giusti si aggiunge per essi la corona dei martiri, perché essi hanno sofferto per la giustizia.
In verità essi sono beati in tutte le beatitudini15.
Essi: poveri di spirito, perché non hanno attaccamento né alle ricchezze né alle lodi, non fanno mercato dei doni di Dio, non fanno bando del loro straordinario servizio. Sul segreto del Re16 calano i veli della loro umiltà, dando, nascoste sorgenti di sapienza, ai fratelli bisognosi, senza volere ricevere neppure il plauso della gente che, anzi, è per loro soltanto disturbo. E per questo il Regno dei Cieli è già loro, nel loro cuore, e apre i suoi misteri ai loro sensi spirituali in attesa di accoglierli per sempre, oltre la vita.
Essi: mansueti al volere di Dio, anche se è volere che diviene per essi dolore, possiedono la Terra, ossia operano nel loro nascondimento come ben pochi operano, conquistando innumeri animi a Dio. Sono re e maestri di molti durante ed oltre la vita, e può dirsi di loro ciò che è detto nel Cantico: “Si correrà dietro l’odore dei loro profumi di sapienza diffusa come un balsamo, perché molti n’abbiano guarigione e ristoro spirituale”17.
Essi che, poiché il mondo, ove non è tenebre, è almeno fumosa nebbia d’orgoglio, sono afflitti e piangono lacrime amare per l’incomprensione umana, sono dal Re dei dolori e dalla Madre desolata consolati qui ed oltre, mille volte mille per quanto hanno pianto.
Essi che, per fame e sete di giustizia, dovettero gustare cenere, fiele, assenzio e aceto da parte degli uomini, solo saziati nello spirito dallo Spirito d’amore, loro quotidiana manna, siederanno, alla fine, al banchetto nuziale dell’Agnello18, e Dio stesso li sazierà rivelandosi ad essi e rivelando tutti i letificanti misteri di Dio.
Essi che, per spirito di misericordia, non si rifiutarono al servizio di Dio ‑ ben sapendo con ciò di dover incontrare e di dover subire la non misericordia umana, che è invida verso gli eletti e se ne vendica in mille modi per fare della loro elezione una croce ‑ trovano e troveranno ogni misericordia presso il cuore dell’indistruttibile Misericordia: Gesù, e presso quello della Donna che non odiò gli uccisori del Figlio suo, ma pregò per la loro conversione.
Essi, puri di cuore, non avendo altro sguardo che non fosse per il Signore, per servirlo prontamente sempre ‑ né potevano ascoltare altre voci, né di sensi né di tentazioni, perché tesi solo ad ascoltare il Cielo ‑ già gustano la beatitudine della visione di Dio, della sua conoscenza, grande sebbene ancor limitata, e puramente attendono l’ora del vederlo quale è19; in eterno.
Essi, pacifici, perché figli e servi del Re della pace, compenetrati delle parole del Pacifico, i cui esempi seguono anche verso i loro avversari, veri figli di Dio sono, e saranno così chiamati in eterno ed abiteranno nei suoi tabernacoli20, dopo averlo ospitato nel cuore, perché Dio è con l’uomo di pace.
Essi che, per amore alla giustizia, e per essersi adoperati perché essa crescesse in molti, e molti andassero ad essa, soffersero persecuzioni d’ogni specie, né può dirsi che persecuzione sia solo martirio cruento, ma almeno rapido.
No. Il padrone del mondo ed i suoi servi, più o meno coscienti d’essere suoi servi, hanno mille modi per perseguitare, modi subdoli, nascosti, lenti, basati su menzogna, calunnia, ingiustizia, e quelli usano sui servi di Dio, con raffinata astuzia, martirizzandoli anche e soprattutto in quelle parti dell’io che nessun carnefice può martirizzare, sulle parti incorporee: la mente e soprattutto lo spirito.
Costoro spogliano i servi della giustizia di tutto, sin del diritto di servire il Signore e di lavorare per portare alla giustizia i fratelli, sin del loro buon nome, sin della verità della loro condizione, e li rivestono della veste di scherno con cui i nemici del Cristo rivestirono il Cristo21, e li dileggiano con le stesse parole: “Se è vero che sei ciò che dici di essere, di’ al Signore che intervenga e ti aiuti”22.
Ma ad ogni spogliazione, ad ogni dileggio patito da essi sulla Terra, corrisponde un nuovo ornamento sulla veste di nozze che li attende nel Cielo, un aumento di gloria per questi certi cittadini del Regno e una laude maggiore da parte del popolo dei santi e degli angeli che dall’alto dei Cieli, con giustizia soprannaturale, vedono e giudicano tutte le azioni degli uomini… (…)

3.3 Predestinazione alla Grazia e predestinazione alla Gloria. Gesù: «Alla grazia sono predestinati tutti gli uomini indistintamente poiché Io per tutti sono morto. Alla Gloria sono predestinati quelli che rimangono fedeli almeno alla legge naturale del Bene. Alla fine dei secoli, sì, ognuno che sia vissuto da giusto avrà il suo premio…».

Sempre a proposito della Grazia - ed in particolare alla domanda che molti si fanno se si siamo o meno già destinati comunque alla salvezza o alla dannazione, per cui taluni dicono che sia inutile sforzarci sia nel bene che nel male perché tanto il nostro destino sarebbe ‘segnato’ in anticipo - vi è una interessante spiegazione di Gesù che, alla mistica Valtorta, spiega la differenza fra predestinazione alla Grazia e predestinazione alla Gloria (i grassetti sono miei)23.
48.34
23-10-48
Dice Gesù rispondendo ad una mia interna riflessione sulla predestinazione alla grazia e su quella alla gloria, suscitata da una frase detta da una persona che era venuta a trovarmi:
«Alla grazia sono predestinati tutti gli uomini indistintamente poiché Io per tutti sono morto.
Alla gloria sono predestinati quelli che rimangono fedeli almeno alla legge naturale del Bene. Alla fine dei secoli, sì, ognuno che sia vissuto da giusto avrà il suo premio.
E Dio ab eterno conosce coloro che alla gloria sono destinati prima che nascessero alla vita, ossia "predestinati".
Attenta però che qui sta il punto per capire la giustizia di Dio con giustizia.
Vi sono i predestinati, è certo. E Dio li conosce da prima che il tempo sia per essi.
Ma tali non sono perché Dio, con palese ingiustizia, dia ad essi ogni mezzo per divenire gloriosi e impedisca con ogni mezzo ogni insidia del demonio, del mondo e della carne a costoro.
No. Dio dà ad essi ciò che dà a tutti. Ma essi usano con giustizia dei doni di Dio, e quindi conquistano la gloria futura ed eterna, di loro libero volere.
Dio sa che giungeranno a questa gloria eterna. Ma essi non lo sanno, né Dio in alcun modo lo dice loro.
Gli stessi doni straordinari non sono segno sicuro di gloria: sono un mezzo più severo degli altri per saggiare lo spirito dell'uomo nelle sue volontà, virtù e fedeltà a Dio e alla sua Legge.
Dio sa. Gode in anticipo di sapere che quella creatura giungerà alla gloria così come soffre in anticipo di sapere che quell'altra creatura giungerà volontariamente alla dannazione.
Ma in alcun modo non interviene a forzare il libero arbitrio di alcuna creatura perché essa giunga dove Dio tutti vorrebbe giungessero: al Cielo.
Certamente la rispondenza della creatura agli aiuti divini aumenta la sua capacità di volere. Perché Dio tanto più si effonde quanto più l'uomo lo ama in verità: ossia di una carità di azioni e non di parole.
E ancora: certamente più l'uomo vive da giusto e più Dio a lui si comunica e si manifesta: un'anticipazione di quella conoscenza di Dio che fa beati i santi del Cielo, e da questa conoscenza viene aumento di capacità di volere essere perfetti.
Ma ancora e sempre l'uomo è libero del suo volere e, se dopo aver già raggiunto la perfezione uno rinnegasse il bene sin lì praticato e si vendesse al Male, Dio lo lascerebbe libero di fare. Non vi sarebbe merito se vi fosse coercizione.
Concludendo:
Dio conosce ab eterno coloro che sono i futuri eterni abitanti del Cielo, ma l'uomo di sua libera volontà deve volere giungere al Cielo ben usando degli aiuti soprannaturali che l'Eterno Padre dà ad ogni sua creatura.
E così sino all'ultimo respiro, quali che siano i doni straordinari ricevuti e i gradi di perfezione raggiunti.
Ricordare che nessuno è mai veramente arrivato altro che quando il suo cammino è finito. Ossia: nessuno è certo di aver meritato la gloria altro che quando il suo tempo è finito e iniziata l'immortalità».
In questo brano Gesù – in merito alla predestinazione alla Grazia - conferma quanto aveva detto in precedenza con altre parole lo Spirito Santo nelle sue lezioni alla mistica, e cioè che con il Suo Sacrificio Egli ha portato la redenzione a tutti gli uomini indistintamente aprendo loro le porte del Paradiso, precisando però anche che alla effettiva salvezza in Cielo, cioè alla Gloria, sono predestinati solo coloro che sono rimasti fedeli fino alla fine almeno alla Legge naturale, battezzati o non: i non battezzati potranno tuttavia entrare in Paradiso solamente alla fine del mondo, dopo il Giudizio universale.
Riepilogando.
Grazie al Sacrificio redentivo di Gesù che ci ha restituito la possibilità della Grazia, tutti gli uomini hanno potenzialmente la grande opportunità di andare in Paradiso se osservassero almeno la Legge naturale dei Dieci Comandamenti incisa nell’anima infusa da Dio nel concepito.
Non è però detto che tutti gli uomini vogliano osservare tale legge interiore, certamente non gli impenitenti perversi.
Dio, che vive fuori del tempo in un Eterno Presente, conosce le cose passate e future di ciascuno di noi che viviamo nel tempo e nello spazio, vale a dire che Egli conosce i nostri futuri comportamenti.
Egli sa dunque in anticipo - essendo Onnisciente e fuori del tempo - se noi ci vorremo salvare o meno, ma non interviene per correggere forzatamente la nostra autonomia decisionale.
Se Egli infatti intervenisse - ad esempio per salvarci contro la nostra volontà - noi non avremmo più alcun merito.
Dio non ci impedisce l’autodannazione, perché ciò sarebbe una grave menomazione del nostro libero arbitrio, e sarebbe oltretutto una ingiustizia nei confronti di quegli uomini che invece – grazie ai ‘loro’ sforzi e buona volontà – cercano di salvarsi con i loro mezzi.
Dio, lo ribadisco ancora a maggior chiarimento, conosce nel suo Pensiero in anticipo la sorte delle nostre anime e quindi il nostro futuro comportamento, perché - per Lui - Passato-Presente-Futuro non esistono.
Il Futuro è tale per noi ma è sempre un Presente per Dio. Lo stesso dicasi per il Passato.
Conoscendo quindi in anticipo il nostro libero comportamento, Dio gioisce nel sapere chi si salverà e soffre nel sapere chi si dannerà.
Egli ci vorrebbe infatti tutti salvi, tutti ‘figli di Dio’, perché a tutti ha dato la possibilità attraverso la Grazia di salvarsi e accedere al Paradiso, anche se non tutti vorranno mettere a frutto questo talento, il dono che Egli ci ha restituito grazie al Sacrificio del Verbo incarnato.
Pertanto se tutti sono predestinati alla Grazia e cioè alla potenziale salvezza, in virtù del Sacrificio redentivo di Gesù Cristo (predestinazione nel senso che la possibilità di ottenerla ce l’hanno tutti in primo luogo attraverso il Sacramento del Battesimo ed il rispetto dei Dieci comandamenti ed in secondo luogo, per i non battezzati, almeno con il rispetto della Legge naturale dei Dieci comandamenti), non tutti sono invece predestinati alla Gloria e cioè alla loro effettiva salvezza in Cielo, in quanto ciò dipende dalla loro libera volontà.
Insomma, Dio sa tutto in anticipo ma l’uomo saprà se si sarà salvato o meno solamente nel momento in cui – morto il corpo – la sua anima si presenterà a Dio per essere giudicata istantaneamente in un infinitesimo di attimo della nostra più piccola unità di tempo.
A questo riguardo ricordo che il Gesù valtortiano aveva precisato in una occasione:24 «…Tornare all’Origine, presentarsi al Giudice G., non vuol dire andare in un dato luogo né esattamente andare ai piedi dell’eterno trono. Sono, queste, formule usate per aiutare il vostro pensiero. L’anima che lascia la carne che animava si trova immediatamente di fronte alla Divinità che la giudica, senza necessità di salire e presentarsi alle soglie del beato Regno. È catechismo che Dio è in Cielo, in terra e in ogni luogo. E perciò l’incontro avviene dovunque. La Divinità empie di Sé il Creato. È quindi presente in ogni luogo del Creato. Io sono che giudico. Ma Io inscindibile dal Padre e dallo Spirito Santo, onnipresenti in ogni luogo».
L’anima viene dunque giudicata da Dio, e destinata alla vita eterna o alla morte eterna, proprio lì dove è nell’istante della morte corporale, cioè in qualunque luogo la persona si trovi, perché Dio è… ovunque: in Cielo, in terra e in ogni luogo.
Nell’istante in cui la vita corporale cessa, inizia per l’anima quella immortale, vita destinata a completarsi con il corpo risorto, nella buona come nella cattiva sorte, nel momento del Giudizio universale.
Nessuno può essere certo in anticipo della propria salvezza, né tantomeno lo potranno sapere quelle persone – ad esempio ‘strumenti’ di vario genere o profeti – che hanno ricevuto doni straordinari da Dio, ma hanno poi sprecato il talento finendo per meritare una maggior punizione in funzione del talento più o meno grande che avevano ricevuto.
Tutto ciò significa forse che Dio si disinteressa degli uomini?  No, Egli – che ci ha posto a fianco anche un Angelo Custode per guidarci meglio – aiuta tutti con consigli ‘silenziosi’ (per non menomare la nostra libertà come potrebbe succedere se ‘alzasse la voce’) sussurrati alla nostra anima spirituale. E lo fa anche - e oserei dire quasi soprattutto - nei confronti di chi pecca e che quindi ha più bisogno di consigli.
Dio tuttavia ha non solo ridonato a tutti gli uomini la predestinazione alla Grazia - attraverso Gesù Cristo - ma ha aggiunto altri importanti aiuti divini come i Sette Sacramenti, atti a sorreggerci nel nostro cammino spirituale, sol che lo vogliamo.
Pertanto quanto più l’uomo vive da giusto conoscendo in tal modo Dio sempre meglio, e quanto più si rafforza per migliorarsi ulteriormente, tanto più da Dio riceve soccorso in cambio della sua accertata e confermata buona volontà.

3.4 Lo Spirito Santo: «Perché altra è la predestinazione alla Grazia divina, comune a tutti gli uomini, e perciò concessa gratuitamente da Dio in misura sufficiente a salvarsi; e altra è la predestinazione alla gloria che viene data a quelli che durante la vita terrena hanno bene usato del dono della Grazia, e le sono rimasti FEDELI».

L’argomento della Grazia - e della predestinazione alla Grazia ed alla Gloria - è davvero fondamentale e poiché – come dicevano i latini – ‘repetita juvant’, vorrei continuare ad approfondirlo qui di seguito attraverso una ulteriore lezione che lo Spirito Santo impartisce alla mistica.
Si tratta di lezioni oggettivamente ‘articolate’: per comprenderle meglio bisogna conoscere l’Epistola ai Romani redatta da San Paolo, alla quale esse sono un commento, ed avere possibilmente anche una conoscenza della totalità delle lezioni impartite alla mistica dallo Spirito Santo.
Determinati concetti si possono infatti comprendere meglio alla luce di una lezione precedente o susseguente.
Ciò nonostante, anche se qualcuno dei brani dello Spirito Santo qui riportati dovesse risultare un pochino ‘ostico’ per un lettore che non abbia particolari conoscenze di teologia, è comunque facile comprenderne il senso per via ‘intuitiva’, ed anche questo potrebbe essere un ‘dono’ dello Spirito Santo!
Ecco dunque la lezione (i grassetti sono miei): 25
Ai Romani C. 7°, v. 14‑25.
Dice il Dolce Ospite:
«La Legge è spirituale. Lo è anche quando vieta cose materiali.
Veramente nel Decalogo26 i comandi puramente spirituali sono i primi tre.
Gli altri sette, e specie gli ultimi sei, sono divieti a peccati contro il prossimo, contro la sua vita, la sua proprietà, i suoi diritti, il suo onore. Si potrebbe allora dire che chiamare “spirituale” la Legge è giusto perché essa viene da Dio, ma non è in tutto giusto in quanto essa comanda, per due buoni terzi di essa, di non commettere atti materiali che Dio vieta di commettere.
Ma al disopra dei dieci Comandamenti della Legge perfetta sta la perfezione della Legge, coi due comandamenti dati dal Verbo docente: «‘Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente’. Questo è il massimo e primo comandamento. Il secondo è simile a questo: ‘Amerai il tuo prossimo come te stesso’. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge ed i profeti»27.
Nella luce della Luce, che è il Verbo, si illumina la spiritualità che è in tutta la Legge perché è data a far vivere nell’amore. Perché tutta la Legge riposa e vive per l’amore. E perché l’amore è cosa spirituale, quale che sia l’Ente o la creatura verso i quali si volge.
Triplice amore a Dio: amore del cuore, dell’anima, della mente; perché nell’uomo è questa piccola trinità: materia (cuore), anima (spirito), mente (ragione); e giusto è che le tre cose create da Dio per fare un’unica creatura ‑ l’uomo ‑ a Dio ugualmente diano riconoscenza per l’essere che hanno avuto da Dio.
Triplice amore dunque: amore del cuore, dell’anima, della mente; perché Adamo peccò col cuore (concupiscenza della carne), con l’anima (concupiscenza dello spirito), con la mente (concupiscenza della ragione), uscendo dall’ordine, per abusare dei doni ricevuti da Dio, e offendendo Dio con gli stessi doni da Lui ricevuti perché l’uomo potesse somigliargli ed essergli causa di gloria.
Con le cose che peccarono va dunque riparato il peccato, cancellata l’offesa, ristabilito l’ordine violato.
E il Verbo si fece Carne per fare ciò, e per ridarvi “la grazia e verità” e in misura piena, traboccante, inesauribile.
Con quanto peccò il primo uomo, l’Uomo‑Dio ripara.
E insegna a voi, con l’esempio più ancor che con la dottrina, che è perfetta ma che potreste giudicare impossibile a praticarsi, come si ripara.
Egli è Maestro di fatti, non solo di parole. E quanto Egli ha fatto voi potete fare.
In ogni uomo persiste l’eredità di Adamo.
È come nascosto in ogni carne un Adamo che può essere debole nella prova, come lo fu il primo Adamo all’origine del tempo.
Ma Cristo è venuto perché le vostre cadute siano riparate, risarcite le vostre piaghe, restituita la Grazia vitale quando la vostra debolezza nelle prove quotidiane vi fa morti di quella vita soprannaturale che il Battesimo vi aveva data.
Ma Cristo è venuto per esservi Maestro e Modello e perché voi gli siate discepoli e fratelli, non soltanto di nome e nella carne, ma in spirito e verità, imitandolo nella sua perfezione, nel suo triplice amore verso Dio.
Per questo triplice amore, Gesù fu fedele alla giustizia della carne, nonostante fosse provato e fosse libero nel suo libero arbitrio come ogni uomo.
Per questo triplice amore, Gesù fu perfetto nella giustizia dell’anima, ossia nell’ubbidienza all’antico precetto divino: “Amerai il Signore Iddio tuo”28, non sentendosi esente da questo dovere perché era Dio come il suo Eterno Generante; Uomo‑Dio, vero Uomo e vero Dio non per infusione temporanea dello Spirito di Dio in una carne predestinata a tal sorte, o per unione morale di un giusto col suo Dio, ma per unione ipostatica delle due Nature, senza mutazione della natura divina perché unita a quella umana, senza alterazione della natura umana - composta di carne, mente, spirito ‑ perché unita alla natura divina.
Per questo triplice amore, infine, Gesù fu sublime nella giustizia della mente, sottomettendo il suo intelletto perfettissimo non soltanto alla Legge divina, come deve fare ogni uomo che la conosca, ma anche ai disegni di Dio Padre per Lui e su Lui: l’Uomo, accettando ogni cosa proposta, compiendo ogni ubbidienza, sino all’estrema della morte di croce.
“Fattosi servo”29 per tutta un’Umanità decaduta, Gesù ha passato il segno da Lui stesso messo agli uomini perché raggiungano l’amore perfetto, ma non ha imposto agli uomini il sacrificio totale come termine d’amore per possedere il Cielo, e nel secondo precetto d’amore non vi dice altro che: “Amate il vostro prossimo come amereste voi stessi”.
Egli è andato oltre. Non si è limitato ad amare il prossimo suo come amava Se stesso, ma lo ha amato ben più di Se stesso, perché per dare bene a questo suo prossimo ha sacrificato la sua vita e l’ha consumata nel dolore e nella morte.
Ma a voi non propone tanto.
Gli basta che la grande maggioranza dei membri del suo Corpo Mistico portino la piccola croce di ogni giorno e amino il prossimo come amano se stessi.
Solo ai suoi eletti, ai suoi predestinati, Egli indica la sua Croce e la sua sorte e dice: “Amatevi come Io vi ho amato”, e insiste: “Nessuno ha un amore più grande di quello di colui che dà la vita per i suoi amici”, e termina: “Voi siete miei amici, se farete quello che Io comando”30.
La predestinazione non è mai separata dall’eroismo. I santi sono eroi. In questa o in quella maniera, nella maniera che Dio loro propone, la loro vita è eroica. Essi sanno ciò che fanno, sanno a cosa li conduce il fare ciò che fanno. Ma non se ne spaventano. Sanno anche che ciò che loro fanno serve a continuare la Passione di Cristo, e ad aumentare i tesori della Comunione dei Santi, a salvare il mondo dai castighi di Dio, a strappare all’Inferno tanti tiepidi e peccatori che, senza la loro immolazione, non si salverebbero dalla dannazione. Perché anche la tiepidezza, raffreddando gradatamente la carità che ogni uomo deve avere per poter vivere in Dio, conduce lentamente alla morte dell’anima come per un’inedia spirituale.
Se la predestinazione fosse disgiunta dal volere eroico della creatura, sarebbe cosa non giusta. E Dio non può volere cose non giuste.
Parlo qui della predestinazione alla santità, proclamata dalla giustizia della vita e dai fatti straordinari che punteggiano come stelle la vita e la via del predestinato fedele alla sua predestinazione alla gloria, e che continuano ad essere proclamati dai miracoli oltre la morte del predestinato.
Perché altra è la predestinazione alla Grazia divina, comune a tutti gli uomini, e perciò concessa gratuitamente da Dio in misura sufficiente a salvarsi; e altra è la predestinazione alla gloria che viene data a quelli che durante la vita terrena hanno bene usato del dono della Grazia, e le sono rimasti fedeli nonostante ogni prova di tentazione al male, o di ogni altro dono straordinario, accettato con commossa gioia, ma non preteso e non distrutto facendo di esso una stolta presunzione di essere tanto amati e tanto sicuri di possedere già la gloria, da non essere più necessario lottare e perseverare nell’eroismo per arrivarvi.
Il quietismo, nel quale degenerano talora i primi impulsi di uno spirito chiamato a via straordinaria, è inviso a Dio.
E così pure la superbia e la gola spirituale: i due peccati così facili negli eletti, beneficati e provati per confermarli nella missione o privarli di essa come indegni da doni straordinari, i peccati di Lucifero, di Adamo, di Giuda di Keriot, che avendo moltissimo vollero aver tutto; che credendosi sicuri di salvarsi senza merito e per il solo amore da parte di Dio; che fidando soltanto nell’infinita Bontà senza pensare che la perfetta, divina Bontà, pur essendo infinita, non diviene mai stoltezza e ingiustizia; che credendosi “dèi perché tanto erano stati eletti, peccarono così gravemente.
Dio certamente sa quali saranno coloro che rimarranno perseveranti eroicamente sino alla fine, mentre l’uomo non sa se sarà perseverante sino alla fine.
E anche in questo è giustizia.
Perché se Dio volesse che nonostante il libero arbitrio dell’uomo, molto sovente causa contraria rispetto al conseguimento della gloria ‑ perché l’uomo difficilmente usa giustamente di questo regale dono di Dio, donato onde l’uomo, conscio del suo fine ultimo, liberamente elegga di compiere solo le azioni buone per meritare il conseguimento di quel beato fine ‑ ogni uomo fosse salvo, costringerebbe gli uomini a non peccare.
Ma allora verrebbe meno al suo rispetto per la libertà dell’individuo, creato da Lui con tutti quei doni che lo rendono capace di distinguere il bene e il male, capace di comprendere la legge morale e la legge divina, capace di tendere al suo fine e di raggiungerlo.
E verrebbe pure a mancare per ogni singolo predestinato la causa della gloria: l’eroicità della vita per rimanere fedele al fine per cui fu creato e per usare, e usare santamente, dei doni gratuiti avuti da Dio, di quei doni che sono i frutti mirabili dell’Amore divino che vorrebbe la salvezza e il gaudio eterno di ogni uomo, ma che lascia libero l’uomo di volere il suo eterno futuro di gloria o di condanna.
Ed è anche giustizia, questo ignorare, da parte vostra, la vostra sorte ultima.
Perché se voi sapeste il vostro futuro eterno, restereste senza il movente che spinge i giusti ad agire per meritare la visione beatifica di Dio che è gaudio senza misura, e potreste cadere o in quietismo o in superbia anche transitori, ma sempre sufficienti a crearvi più lunga espiazione e minor grado di gloria, mentre gli ingiusti avrebbero in ciò il movente che li spingerebbe a divenire veri satana tanto giungerebbero ad odiare e bestemmiare Dio, odiare e nuocere al prossimo loro, senza più alcun freno, sapendosi già destinati all’inferno.
No. Conoscendo la Legge e il fine a cui porta l’ubbidienza o la disubbidienza alla Legge, ma ignorando quanto solo l’onniveggenza di Dio sa, onde non manchi ai giusti lo sprone del puro amore che meriterà loro la gloria, e non manchi ai perversi, che preferiscono peccato e delitto a giustizia e amore, la libertà di seguire ciò che a loro piace ‑ onde, nell’ora della divina condanna, non compiano l’estremo peccato contro l’Amore lanciandogli questa blasfema accusa: “Ho agito così perché Tu, da sempre, mi avevi destinato all’inferno” ogni creatura ragionevole deve liberamente scegliere la via che le piace, ed eleggersi il fine preferito.
La predestinazione alla gloria non è un dono gratuito concesso a tutti gli uomini, ma è una conquista, oltre che un dono, fatta dai perseveranti nella giustizia, una conquista che si ottiene coll’uso perfetto dei doni e aiuti di Dio e con la buona volontà che non lascia mai inerte alcuna cosa proposta o donata da Dio, ma tutto rende attivo e tutto volge al fine santo della visione intuitiva di Dio, e al possesso gaudioso di Lui.
Alcuno obbietta: “Ma allora solo coloro che sono santi al momento della morte hanno la gloria? E gli altri? Il Purgatorio è forse prigione meno dolorosa, ma sempre costringente, che separa le anime da Dio? Non sono dei predestinati al Cielo anche gli spiriti purganti?”.
Lo sono. Un giorno verrà, e sarà quello del Giudizio finale, nel quale il Purgatorio non sarà più, e i suoi abitanti passeranno al Regno di Dio.
E anche il Limbo non sarà più, perché il Redentore è tale per tutti gli uomini che seguono la giustizia per onorare il Dio in cui credono, e per tendere a Lui, così come lo conoscono, con tutte le loro forze.
Però quanto esilio ancora, dopo la vita terrena, per costoro!
E quanto, per coloro che limitano il loro amare ed operare a quel minimo sufficiente a non farli morire in disgrazia di Dio, che conoscono come cattolici!
Quanta differenza tra costoro, salvati, più che per merito loro, per i meriti infiniti del Salvatore, per l’intercessione di Maria, per i tesori della Comunione dei Santi e le preghiere e sacrifici dei giusti, e coloro che vollero la gloria non per egoismo ma per amore a Dio!
Quanta tra i primi che, a fatica e con molte soste di languore, sussurri di malcontento, e anche smarrimenti su vie di egoismo, trascinano come una catena e un peso il loro limitatissimo amore, e i secondi che, veri amanti di Dio e imitatori di Gesù Cristo, “amano come Gesù ha amato” dando anche la vita, e sempre abbracciando ogni croce, chiedendo anzi la croce come dono dei doni, per salvare la vita dell’anima al prossimo loro, anime-ostie le quali al conoscimento divino appaiono da sempre “amici di Gesù” perché faranno ciò che Egli comanda loro!
Presente eterno: “Siete miei amici”. Dio conosce.
Condizionale individuale: “Se farete”. Perché la conquista di un’amicizia richiede opere capaci di ottenere quell’amicizia. Ma l’assicurazione che tali opere vi fanno amico colui che volete tale, vi aiuta a compierle. Come tra gli uomini, così, e anche più perfettamente, tra Dio e uomini.
Gesù, quando già la lezione era più “fatto” che parola, dà l’ultima lezione ai suoi apostoli, perché raggiungano la perfezione richiesta da Gesù per chiamarli “amici”.
E quella è la perfezione richiesta da Gesù a tutti i predestinati a gloria rapida, proclamata dalla giustizia eroica della vita, dai fatti straordinari durante la vita, e dai miracoli dopo la morte. “Voi siete miei amici, se farete quello che Io vi comando”.
Rincuora allo sforzo futuro premiando già col presente: “siete”. (…)
Avevo in precedenza avvisato che le Lezioni dello Spirito Santo sono alquanto ‘articolate’ e qui sopra ne avete avuto un esempio. Sono ricchissime, riflettono la sua specifica ‘Personalità’, ed offrono molti spunti alla riflessione.
Al di là degli aspetti principali della suddetta lezione – di per sé chiari ed evidenziati come faccio io da apposite sottolineature in grassetto– vorrei richiamare la vostra attenzione su alcuni particolari:
Gesù, Uomo-Dio, nel suo voler essere ‘giusto’ non volle essere sottomesso solo alla Legge divina, come dovrebbe fare ogni uomo, ma si sottomise anche ai disegni di Dio Padre per Lui e su Lui. Dunque sottomissione totale.
Gesù - mentre si è accontentato di dare una meta relativa a noi uomini, e cioè amare il prossimo come vorremmo essere amati noi stessi - assegnò a Sé un traguardo ben maggiore, quello del sacrificio totale, non volendo limitarsi ad amare il prossimo come se stesso ma amarlo più di se stesso, a prezzo cioè della propria vita.
Non dobbiamo tuttavia spaventarci perché – nel suo amore – Gesù non pretende da noi sacrifici impossibili, non ci vuole addossare croci speciali particolarmente pesanti – privilegio che Egli riserva solo alle anime-vittima come Maria Valtorta - ma si accontenta che noi, oltre ad amare il prossimo come noi stessi, sopportiamo pazientemente la piccola croce di ogni giorno. Le nostre giornate sono piene di piccole croci. Potremmo imprecare, e chissà quante volte lo abbiamo fatto, specie quando abbiamo ragione, ma quale grande valore spirituale – per la Comunione dei santi - avrebbe un nostro sacrificio se dicessimo mentalmente: ‘Signore, quel che mi succede è ingiusto o comunque doloroso e non lo merito, ma io comunque lo accetto e lo offro per amore tuo e la salvezza degli altri!’
Con tale ‘offerta’ non è cambiata in niente la ‘croce’, ma è differente lo spirito con il quale la accettiamo e nel momento in cui facciamo questa piccola offerta la ‘croce’ stessa – caso strano a dirsi – diventa di colpo meno pesante, perché nobilitata dentro al nostro spirito dalla nostra offerta che va a favore di molti.
Gesù riserva invece la croce, la vera croce, ai suoi eletti, ai suoi predestinati alla croce e ... alla Gloria, anzi alla Gloria più alta, ai quali propone infatti la sua stessa sorte: dare la vita per amore degli altri. In questo tipo di predestinazione vi è sempre una componente di eroismo ma i ‘predestinati’ a questa speciale missione non se ne spaventano affatto, anzi per nulla vorrebbero rinunciare alla loro croce di vittime. Interviene infatti lo Spirito Santo che dona loro la forza ed il coraggio che infondeva ai primi martiri cristiani sbranati dalle belve nel Colosseo: essi morivano cantando inni al Signore. I romani pagani rimanevano attoniti, si chiedevano che Dio fosse mai quello per il quale essi accettavano di morire coraggiosamente e anche gioiosamente in quel modo, cominciavano a volerlo conoscere anch’essi e … finivano in molti casi per farsi cristiani, perché non c’è niente come il Sangue del martiri che alimenti la fede.
Dopo la predestinazione alla Grazia e la predestinazione alla gloria, vi è infine un’altra ‘predestinazione’ meno conosciuta, ed è quella alla santità: insomma quella dei santi comprovati tali da tanti segni in vita ed in particolare anche dai miracoli dopo la morte.
Avevamo detto che Dio lascia l’uomo libero di scegliere il proprio destino eterno fausto od infausto, ma non ce ne fa sapere in anticipo l’esito. Se infatti sapessimo di essere ‘destinati’ a salvarci verrebbe a mancarci la molla che ci spinge a far sempre meglio (a meritare quindi un maggior grado di gloria in Cielo ed a contribuire maggiormente ad arricchire il ‘tesoro’ della Comunione dei santi), per non parlare poi del rischio di cadere nel quietismo (inteso come caduta nella inattività e passività di comportamento) o nella superbia, incorrendo nel migliore dei casi in una più lunga espiazione in Purgatorio.
Se dovessimo venire a conoscenza della nostra futura dannazione – non avendo a quel punto più niente da perdere - potremmo essere spinti a comportarci in maniera ancora peggiore, a divenire dei veri ‘satana’ ed a fare ancor più male al prossimo.
Anche quelli del Purgatorio sono predestinati alla gloria, cioè alla salvezza in Cielo, perché il Purgatorio è già di per sé ‘salvezza’, anche se destinata a ‘perfezionarsi’ con la dovuta espiazione e purificazione.
C’è tuttavia modo e modo di salvarsi: c’è chi si può salvare facendo il minimo necessario per non perdersi, salvato solo per i meriti del Salvatore e della Comunione dei santi - ma quanta espiazione poi in Purgatorio! - e c’è chi invece si ‘vuole’ salvare per amore di Dio. I gradi di Gloria in Cielo saranno evidentemente diversi.
Il Limbo dei non battezzati, con i ‘giusti’ pagani attendenti in esso, e lo stesso Purgatorio, alla fine del mondo cesseranno di esistere. Al Giudizio universale i loro ‘abitanti’, già virtualmente salvi, grazie alla loro buona volontà ed ai meriti infiniti di Gesù Cristo, andranno tutti in Cielo.
Alla fine del mondo rimarranno infatti eterni solo il Paradiso e l’Inferno.
La prossima riflessione sarà dedicata a:
4. IL TERZO DISCORSO DELLA MONTAGNA: I CONSIGLI EVANGELICI CHE PERFEZIONANO LA LEGGE.

1  M.V.: ‘I Quaderni del 1943’ – 10 ottobre 1943 – Centro Editoriale Valtortiano
2  M.V.: ‘I Quaderni del 1945/1950’ – 28.1.47 – Centro Editoriale Valtortiano
3  Nel fresco della sera: come in Genesi 3, 8 secondo l’antica volgata
4  M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – 21/28.5.1948 – Centro Editoriale Valtortiano
5  Gn 3, 4-5
6  Gv 4,1-30: 1 Gesù venne a sapere che i farisei avevano sentito dire: «Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni» - 2sebbene non fosse Gesù in persona a battezzare, ma i suoi discepoli -, 3lasciò allora la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. 4Doveva perciò attraversare la Samaria.
5Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c'era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». 8I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 11Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest'acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». 13Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; 14ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna». 15«Signore - gli dice la donna -, dammi quest'acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». 16Le dice: «Va' a chiamare tuo marito e ritorna qui». 17Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: «Io non ho marito». 18Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». 19Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! 20I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 21Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». 25Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». 26Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
27In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». 28La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: 29«Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». 30Uscirono dalla città e andavano da lui.
7  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. II - Capp. 142 e 143 – Centro Editoriale Valtortiano
8  N.d.A.: I samaritani erano invisi ai giudei per ragioni politiche e religiose
9  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. II – Capp. 144, 145, 146 – Centro Editoriale Valtortiano
10  N.d.A.: Chi fosse curioso di sapere che fine abbia poi fatto quella samaritana, lo apprenderà meglio dall’Opera. Lei – di nome Fotinai – alla partenza del Gruppo apostolico da Sichar - si avvicina, chiede agli apostoli di poter parlare con Gesù e – gettandosi piangendo ai suoi piedi – si dichiara pentita e gli chiede illuminazione ed aiuto. Gesù la perdona e la invita alla penitenza, predicendole che lei si avvierà ad un percorso di redenzione come altre donne che avrebbero seguito il Redentore, percorso che lei – e se ne troverà conferma più tardi sempre dall’Opera – seguirà alla perfezione.
11  M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – 7.6.48 – Centro Editoriale Valtortiano
12  M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – 25.4.50 – Centro Editoriale Valtortiano
13  Matteo 25, 31‑46; Marco 9, 41
14  M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai romani’ – 14.9.50 – Centro Editoriale Valtortiano
15  Matteo 5, 1‑12; Luca 6, 20‑23
16  Tobia 12, 7
17  Cantico dei Cantici 1, 3
18  Apocalisse 19, 7‑9
19  1 Giovanni 3, 2
20  Luca 16, 9
21  Matteo 27, 27‑30; Marco 15, 16‑20; Giovanni 19, 2‑3
22  Matteo 27, 39‑44; Marco 15, 29‑32; Luca 23, 35‑37
23  M.V.: ‘Quadernetti’ – 48.34 - 23.10.48 – Centro Editoriale Valtortiano
24  M.V.: ‘I Quaderni del 1945-1950’ – 28.1.47 – Centro Editoriale Valtortianao
25  M.V.: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – 29.5 / 3.6.48 - Centro Editoriale Valtortiano
26  Esodo 20, 1‑17; Deuteronomio 5, 1‑22
27  Matteo 22, 37‑40
28  Deuteronomio 6, 5
29  Filippesi 2, 7
30  Giovanni 15, 9‑17
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