BS1-026 - ilCATECUMENO.it

Vai ai contenuti
26. La DOPPIA NATURA UMANA e DIVINA di GESÙ
26.1 Gesù: «Non ignoro come Dio il futuro dei secoli, e non ignoro come Uomo giusto lo stato dei cuori…».
È passato qualche tempo dall’episodio precedente legato al secondo incontro con il ‘cieco’ ed al discorso del ‘Buon Pastore’.
Gesù aveva lasciato Gerusalemme ma aveva continuato a predicare nei dintorni.
A Gerico - lo si evince dall'Opera di Maria Valtorta - Egli incontra nuovamente a casa sua Zaccheo, il Capo dei pubblicani che tempo prima si era convertito, il quale aveva a sua volta nel frattempo convertito un gruppo di suoi colleghi e amici.1
Moralmente Gesù era abbattuto, ma spiritualmente era felice perchè l’ora della Redenzione si avvicinava.
Giuda aveva ormai chiaramente capito che il Regno di cui parlava Gesù non era quel regno terreno in cui egli tanto sperava per soddisfare le sue ambizioni. Inoltre presagiva che quella storia – umanamente – sarebbe finita male per Gesù e tutti loro, suoi diretti seguaci.
Siamo ormai arrivati nel periodo invernale del terzo anno, quello della Festa della Dedicazione o delle Luci, pochi mesi prima della successiva ultima Pasqua, quella di Passione.
Giuda decide in questo periodo di passare al ‘nemico’: cioè a quelli del Tempio.
Egli spera – tradendo Gesù e spiegando ai Capi dei Giudei quale sarebbe stato il luogo ed il momento più opportuno per catturarlo senza colpo ferire, isolato dalle folle che lo seguivano - di accattivarsene la ‘simpatia’ e di salvare la pelle.
Quella di Giuda – con il quale Gesù aveva vissuto fianco a fianco, notte e giorno, per tre anni - era l’angustia maggiore dell’Uomo-Dio.
Non si trattava dell’ostilità di un nemico, ma del tradimento di un ‘amico’.
Gesù – ne ho già parlato in precedenza ma qui lo riconfermo - aveva cercato e avrebbe cercato di salvare Giuda sino alla fine, non perchè non sapesse - quale Dio che viveva ‘fuori del Tempo e per 'prescienza' - che sarebbe stato tutto inutile, ma perchè da Uomo-Dio che viveva nel Tempo Egli voleva dare a Giuda ogni umana opportunità di ravvedersi affinchè egli – una volta condannato da Dio – non potesse recriminare che Dio non aveva fatto l’impossibile per salvarlo, fino a quel boccone nell’Ultima Cena prima che Giuda si alzasse da tavola per andare a consegnarlo.
Gesù voleva inoltre insegnare agli uomini – specie della futura Chiesa – che quando è in gioco la salvezza di un’anima, che rischia la perdizione per l’eternità, nulla deve essere tralasciato, nessuno sforzo, anche se considerato inutile, sino alla fine, come Egli ha fatto con Giuda.
Uno spaccato psicologico di Gesù in questo momento particolare ci viene da un bel colloquio che Egli – mentre cammina per le strade della Giudea – ha con Giovanni, dove si affronta proprio il problema di Giuda le cui colpe e trame Gesù cercava di coprire per evitare che gli altri apostoli – non ancora del tutto ‘santi’- potessero spingersi a farsi giustizia da soli seguendo impulsi come quello di Pietro che – al momento della cattura di Gesù – avrebbe sguainato una spada menando un fendente che, anche se di scarsa mira, aveva pur sempre staccato – anzichè la testa - un orecchio ad uno degli ‘scherani’ che erano stati inviati dai sacerdoti a catturare Gesù.
Quando il Gruppo apostolico si spostava era sempre Gesù a fare il passo marciando in testa, talvolta attorniato da un paio di discepoli, spesso solo, solo nelle sue preghiere e meditazioni che in questo periodo prossimo alla Passione diventano sempre più ‘cupe’.
Gli apostoli usavano seguirlo ad una certa distanza, qualche metro dietro, e discutevano spesso fra di loro.
Quando vi era qualche problema o necessità di un chiarimento da parte di Gesù, essi non avevano il coraggio di farsi avanti e distorglielo dai suoi pensieri ma gli mandavano … il più giovane e il più amato da Gesù: Giovanni, il quale infatti ora gli si avvicina e gli dice:2
«…Si parlava fra noi e si era incerti su una cosa.  Questa: se Tu sai tutto il futuro, o se ti è in parte nascosto. Chi diceva una cosa e chi l'altra».
«E tu che dicevi?».
«Dicevo che era meglio di tutto chiederlo a Te».
«E così sei venuto. Hai fatto bene. Questo almeno serve a Me e a te a godere un momento di amore... E’ tanto raro, ormai, poter avere un poco di pace! ... ».
«E’ vero!  Come erano belli i primi tempi! ... ».
«Sì.  Per l'uomo che siamo noi, erano più belli.  Ma per lo spirito che è in noi sono migliori questi.  Perché ora è più conosciuta la Parola di Dio e perché soffriamo di più. Più si soffre e più si redime, Giovanni...
Per questo, pur ricordando i tempi sereni, dobbiamo amare maggiormente questi che ci dànno dolore, e col dolore ci dànno anime.  Ma rispondo alla tua domanda.  Ascolta.  
Io non ignoro, come Dio.  E non ignoro, come Uomo.  
Conosco il futuro degli avvenimenti, perché sono col Padre da prima del tempo e vedo oltre il tempo.  
Come Uomo esente da imperfezioni e limitazioni congiunte alla Colpa e alle colpe, ho il dono dell'introspezione dei cuori.  
Esso dono non è limitato al Cristo. Ma è in diversa misura di tutti quelli che, avendo raggiunto la santità, sono talmente uniti a Dio da potersi dire che non per sé operano, ma con la Perfezione che è in loro.  
Perciò posso risponderti che non ignoro come Dio il futuro dei secoli, e non ignoro come Uomo giusto lo stato dei cuori».
26.2 Dai, dicci finalmente chi sei. Non parlare più per metafore o parabole. Non ci tenere più in sospeso. Se tu sei il Cristo, diccelo una volta per tutte, chiaramente.
Dopo questo episodio che riguarda la sua natura umana e divina, ritroviamo Gesù al Tempio di Gerusalemme  per la festa della Dedicazione.
Come già detto, era una festa (detta anche della Purificazione o delle Encenie) che cadeva – secondo il calendario ebraico – il giorno 25 di casleu (novembre-dicembre).
E’ in questa occasione che scoppia un nuovo incidente, raccontato da Giovanni3, che inasprirà ancora di più i rapporti fra Gesù e i Capi dei Giudei.
Gesù era di nuovo tornato a Gerusalemme perché non perdeva le occasioni di festa in quanto – con il grande afflusso di pellegrini – gli permettevano di intensificare la predicazione comunicando quelle verità che poi quei pellegrini avrebbero riportato agli altri al rientro nei loro paesi di origine.
Lazzaro, il suo grande amico e ‘protettore’ - che con i suoi beni soleva sovvenire, insieme alle sorelle Marta e Maria di Magdala, a molte esigenze di spesa del gruppo apostolico e che per la sua amicizia politica con i romani, riusciva ancora a tenere a bada i giudei – era ormai sempre più malato.
I Vangeli non danno particolari sulla sua malattia ma, dall’Opera della mistica Valtorta, si capisce che egli soffriva di una sorta di cancrena agli arti, una malattia che assumeva l’aspetto di una specie di ‘lebbra’, una ‘infezione’ che non era infettiva ma provocava gradualmente un avvelenamento del sangue che avrebbe portato alla morte.
Le sorelle lo curavano in casa, nella dimora di Betania, vicina a Gerusalemme, con disinfezioni e impacchi antisettici e antinfiammatori, e stavano ben attente a che non si diffondesse la voce sulla natura della sua malattia che avrebbe potuto essere scambiata per lebbra vera e propria, facendo scattare le norme di legge che prescrivevano che il malato fosse trasferito in un Lebbrosario.
Ciò a quei tempi avrebbe significato essere abbandonati in cave di spazzatura dalle quali si affacciavano di quando in quando quei lebbrosi che – vedendo passare Gesù – gridavano : ‘Figlio di Davide, salvaci, per pietà’, e lui li salvava, anche se poi non tutti tornavano indietro per ringraziarlo.
I Capi giudei sarebbero stati ben lieti di togliersi in quel modo dai piedi Lazzaro, il potente amico e protettore di Gesù, facendolo passare per un lebbroso.
Gesù cercava comunque – considerato il ‘clima’ sempre più rovente intorno a lui - di non compromettere troppo Lazzaro e si recava a trovarlo solo quando era strettamente necessario.
Dunque, Gesù è ora di nuovo a Gerusalemme, al Tempio, e passeggia  sotto il portico di Salomone.
Viene subito adocchiato e un gruppetto di quelli del Tempio – che non avevano ancora digerito il discorso del Buon Pastore dal quale si capiva che anche loro erano di quei ‘cattivi pastori’ che portavano a perdizione le ‘pecorelle’ – gli si avvicinano untuosi e con un sorriso ipocrita di falsa sincerità dicendogli con tono accattivante: ‘Dai, dicci finalmente chi sei. Non parlare più per metafore o parabole. Non ci tenere più in sospeso. Se tu sei il Cristo, diccelo una volta per tutte, chiaramente’.
Se fossero stati sinceri c’era da farsi cascar le braccia, perchè Gesù ormai l’aveva detto in tutte le salse che egli non solo era il Cristo, il Messia, ma anche Figlio di Dio.
Ma – poichè vi erano presenti anche altri giudei del popolo ai quali Egli doveva continuare a dare testimonianza – Gesù riafferma pazientemente la sua identità e – come stava facendo e avrebbe fatto sino alla fine con Giuda - cerca di convincerli, ribadendo concetti analoghi:
‘Ve l’ho detto, ma voi non volete credere. Ma visto che non volete credere alle mie parole, potreste almeno credere alle mie opere, opere che Io posso fare in nome di Colui che è mio Padre. E io sono suo Figlio!’.
Gesù insomma voleva dire: ‘Sono queste opere che – al di là delle mie dichiarazioni – dovrebbero convincervi della mia natura messianica: risuscito i morti, risano i lebbrosi, guarisco i paralitici e i ciechi, libero gli indemoniati. Tralascio di parlarvi dei miracoli che opero sugli ‘spiriti’, convertendoli (e quelli sono i miracoli più difficili e grandiosi ma non ve li ricordo perchè quelli a voi non interessano) e non vi basta? Devo continuare? No, è inutile. Voi non credete perchè non avete buona volontà, perchè ‘non volete’ credere, e ciò avviene perchè voi – nel vostro animo – non siete del mio gregge. Voi siete ‘capri’ nello spirito, voi siete gregge di Satana, che  è vostro ‘pastore’. E’ per questo che non mi volete seguire. Ma sappiate che alle ‘mie’ pecore io darò la vita eterna perchè esse non  periranno mai, come invece perisce chi – spiritualmente – segue l’Altro. E le mie pecore – cioè quelle che nel loro cuore mi seguono perchè sono di un medesimo sentimento – Io non me le lascerò strappare mai. Dio me le ha date e nessuno me le potrà togliere, perchè nulla può essere tolto a Dio, ed Io sono Uno con Dio, che è mio Padre’.
Al sentir dire da Gesù che Egli era un tutt’uno col Padre quelli abbrancano delle pietre per terra... ma Gesù li ferma con un gesto della mano ed uno sguardo imperioso sfavillante di divinità: ‘Per quali di queste opere mi lapidate?!’.
E quelli, pietre in mano: ‘Per nessuna in particolare, ma per esserti proclamato Dio, tu che sei solo un uomo. Questa è bestemmia e, come dice la Legge, i bestemmiatori devono essere lapidati!’.
Gesù – che aveva del sangue freddo – non si lascia allora scappare l’occasione per fare un bel sermone.
Egli - ricordando loro un brano delle Scritture dove Dio, attraverso il Profeta, dice agli uomini, fatti a sua immagine e somiglianza, che essi sono ‘dei’ - completa il ragionamento dialetticamente: ‘Se Dio chiama ‘dei’ quegli uomini ai quali parlava, non posso chiamarmi Dio Io che sono Figlio suo e che soprattutto faccio opere da Dio? Posso ammettere che non vogliate credere a quelle che dico, ma dovreste almeno credere a quello che faccio!’.
Ma quelli - ancor più arrabbiati, non potendo ribattere ad un discorso così razionale - gli tirano le pietre.
Gesù, in qualche modo, anche questa volta se la cava perché – come già successo in una occasione precedente - riesce ad eclissarsi dal Tempio.
Egli se ne va anzi da Gerusalemme e si dirige oltre Giordano4, in quel luoghi ove aveva già predicato il suo ‘precursore’ Giovanni Battista e dove i seguaci di Giovanni, sentendolo predicare, avevano concluso: ‘Giovanni non fece alcun miracolo, ma tutto quello che disse di costui è vero!’.

26.3 Un commento conclusivo del Gesù valtortiano sui suoi tre anni di vita pubblica e sul futuro che lo attende.
Ormai erano tre anni che Gesù evangelizzava incessantemente.
Chi avesse voluto amarlo e seguirlo aveva ormai tutti gli elementi di valutazione per farlo.
Ma per coloro che avessero preferito rimanere sordi Egli aveva ancora delle cose da dire, e le avrebbe dette nei mesi successivi, all'inizio del quarto anno, alla ripresa della sua evangelizzazione finale che lo avrebbe portato sul Golgota.
Il Gesù 'valtortiano', nel 1946, commenta così in un 'dettato' al suo ‘piccolo Giovanni’ il lavoro svolto con la trascrizione delle visioni dei suoi tre anni di vita pubblica di 2000 anni fa:5
Dice Gesù:
«E anche il terzo anno di vita pubblica ha fine. Viene ora il periodo preparatorio alla Passione. Quello nel quale apparentemente tutto sembra limitarsi a poche azioni e a poche persone. Quasi uno sminuirsi della mia figura e della mia missione.
In realtà, Colui che pareva vinto e scacciato era l'eroe che si preparava all'apoteosi, e intorno a Lui non le persone ma le passioni delle persone erano accentrate e portate ai limiti massimi.
Tutto quanto ha preceduto, e che forse in certi episodi parve senza scopo ai lettori maldisposti o superficiali, qui si illumina della sua luce fosca o splendente. E specie le figure più importanti. Quelle che molti non vogliono riconoscere utili a conoscere, proprio perché in esse è la lezione per i presenti maestri, che vanno più che mai ammaestrati per divenire veri maestri di spirito.
Come ho detto a Giovanni e Mannaen, nulla è inutile di ciò che fa Dio, neppure l'esile filo d'erba. Così nulla è di superfluo in questo lavoro. Non le figure splendide e non le deboli e tenebrose. Anzi, per i maestri di spirito, sono di maggior utile le figure deboli e tenebrose che non le figure formate ed eroiche.
Come dall'alto di un monte, presso la vetta, si può abbracciare tutta la conformazione del monte e la ragione di essere dei boschi, dei torrenti, dei prati e dei pendii per giungere dalla pianura alla vetta, e si vede tutta la bellezza del panorama, e più forte viene la persuasione che le opere di Dio sono tutte utili e stupende, e che una serve e completa l'altra, e tutte sono presenti per formare la bellezza del Creato, così, sempre per chi è di retto spirito, tutte le diverse figure, episodi, lezioni, di questi tre anni di vita evangelica, contemplate come dall'alto della vetta del monte della mia opera di Maestro, servono a dare la visione esatta di quel complesso politico, religioso, sociale, collettivo, spirituale, egoistico sino al delitto o altruistico sino al sacrificio, in cui Io fui Maestro e nel quale divenni Redentore.
La grandiosità del dramma non si vede in una scena ma in tutte le parti di esso.
La figura del protagonista emerge dalle luci diverse con cui lo illuminano le parti secondarie.
Ormai presso la vetta, e la vetta era il Sacrificio per cui mi ero incarnato, svelate tutte le riposte pieghe dei cuori e tutte le mene delle sette, non c’è che da fare come il viandante giunto presso la cima. Guardare, guardare tutto e tutti.
Conoscere il mondo ebraico. Conoscere ciò che Io ero: l'Uomo al disopra del senso, dell'egoismo, del rancore, l'Uomo che ha dovuto essere tentato, da tutto un mondo, alla vendetta, al potere, alle gioie anche oneste delle nozze e della casa, che ha dovuto tutto sopportare vivendo a contatto del mondo e soffrirne, perché infinita era la distanza fra l'imperfezione e il peccato del mondo e la mia Perfezione, e che a tutte le voci, a tutte le seduzioni, a tutte le reazioni del mondo, di Satana e dell'io, ha saputo rispondere: "No", e rimanere puro, mite, fedele, misericordioso, umile, ubbidiente, sino alla morte di Croce.
Comprenderà tutto ciò la società di ora, alla quale Io dono questa conoscenza di Me per farla forte contro gli assalti sempre più forti di Satana e del mondo?
Anche oggi, come venti secoli or sono, la contraddizione sarà fra quelli per i quali Io mi rivelo.
Io sono segno di contraddizione ancora una volta. Ma non Io, per Me stesso, sibbene Io rispetto a ciò che suscito in essi.
I buoni, quelli di buona volontà, avranno le reazioni buone dei pastori e degli umili. Gli altri avranno reazioni malvagie come gli scribi, farisei, sadducei e sacerdoti di quel tempo.
Ognuno dà ciò che ha. Il buono che viene a contatto dei malvagi scatena un ribollire di maggior malvagità in essi.
E giudizio sarà già fatto sugli uomini, come lo fu nel Venerdì di Parasceve, a seconda di come avranno giudicato, accettato e seguito il Maestro che, con un nuovo tentativo di infinita misericordia, si è fatto conoscere una volta ancora.
A quanti si apriranno gli occhi e mi riconosceranno e diranno: "É Lui. Per questo il nostro cuore ci ardeva in petto mentre ci parlava e ci spiegava le Scritture"?
La mia pace a questi e a te, piccolo, fedele, amoroso Giovanni».
Nel primo anno Gesù aveva evangelizzato le genti mostrandosi il paziente Maestro delle verità divine.
Nel secondo anno si era mostrato il Misericordioso, il Dio che aveva  assunto vesti umane per parlare direttamente agli uomini e chiamarli a sé.
Nel terzo Egli é stato il  Redentore che, offrendosi Vittima sacrificale, avrebbe espiato per amore i peccati passati, presenti e futuri di tutti gli uomini per ottenere dal Padre – dopo il loro esilio spirituale a seguito del Peccato originale commesso dai due progenitori - la loro riammissione nel Regno dei Cieli.
Nel contempo sono balenati in lui i lampi del Giusto e del Forte perché l’Amore divino non esclude la forza della Giustizia.
È stato questo infatti l’anno dell'aspro scontro finale con i capi politico-religiosi di Israele, scontro che raggiungerà il culmine fino alla assoluta decisione di ucciderlo dopo il miracolo davvero straordinario della resurrezione di Lazzaro.
Nonostante questo miracolo, anzi proprio a causa di questo miracolo che pur attestava senza ombra di dubbio la divinità di Gesù, i Capi di Israele - come vedremo - respingeranno senza altro indugio la sua predicazione d’amore e negheranno con protervia, contro ogni ragionevole evidenza, la presenza in lui di una natura divina, compiendo così un grave peccato contro lo Spirito Santo, il Peccato per eccellenza.
Lo vedremo nel prossimo volume.


1  Lc 18, 9-14
2  M.V.: ‘L’Evangelo…’ – Vol. VIII, Cap. 527 – C.E.V.
  G.L. : ‘Il Vangelo del grande e del ‘piccolo’ Giovanni – Vol. II, Cap. 11, Ed. Segno
  Vedi anche sito internet
3  Gv 10, 22-40: Si celebrava allora in Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno e Gesù passeggiava nel Tempio, sotto il portico di Salomone.
I Giudei lo circondarono e gli dissero: «Fino a quando ci terrai con l’animo sospeso? Se sei tu il Cristo, diccelo apertamente».
Rispose loro Gesù: « Ve l’ho detto, ma non credete; le opere che faccio in nome del Padre mio, queste mi rendono testimonianza, tuttavia voi non credete, perchè non siete delle pecore mie.
Le mie pecore ascoltano la mia voce: io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna ed esse non periranno mai, e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti, e nessuno può rapirle di mano al Padre mio. Io e il Padre siamo uno».
Di nuovo i Giudei diedero di piglio alle pietre per lapidarlo.
Ma Gesù disse loro: «Molte opere buone vi mostrai, per virtù del Padre mio: per quale di queste opere mi lapidate?».
Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per nessuna opera buona, ma per una bestemmia, perchè tu, che sei uomo, ti fai Dio».
Replicò loro Gesù:«Non è scritto nella vostra legge: ‘Io dissi: Voi siete dèi’? Se chiama Dèi quelli ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata – a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, voi dite che bestemmia, perchè ho detto: ‘Sono Figlio di Dio’? Se non faccio le opere del Padre mio, non credetemi: ma se le faccio, anche se non volete credere a me, credete alle opere, affinchè sappiate e conosciate che il Padre è in me ed io nel Padre».
Tentarono perciò nuovamente di prenderlo, ma egli sfuggì loro di mano.
Se ne andò di nuovo oltre il Giordano, nel luogo dove Giovanni aveva battezzato, e ci si fermò.
Or, molti andavano da lui e dicevano: «Giovanni, certo, non fece alcun miracolo, ma tutto quello che disse di costui è vero».
E lì molti credettero in lui.
4  Gv 10, 40-42
5  M.V.: ‘L’Evangelo…’ – Vol. VIII, Cap. 540.12 – C.E.V. (Dettato del 16.12.1946)

Torna ai contenuti