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25. IL DISCORSO del «BUON PASTORE»
25.1 Da che mondo è mondo non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi ad un cieco nato. E se questo non fosse da Dio non avrebbe potuto far nulla…
Dopo il tentativo di lapidazione e la sua fuga dal Tempio rivediamo Gesù ancora a Gerusalemme nell’episodio della guarigione di un nato cieco.1
E’ un episodio persino divertente, con quei Farisei lividi di rabbia che - nel venire a conoscenza di quest’altro eclatante miracolo di Gesù che veniva a confermare il suo essere Figlio di Dio - fanno un terzo grado all’ex cieco, accusandolo in sostanza di essere un truffatore che si era finto cieco e si era messo d’accordo con Gesù per attribuirgli appunto ‘fama di miracolo’.
Dalle loro prime domande iniziali ai loro insulti finali, il cieco risponde per le rime: ‘Da che mondo è mondo non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi ad un cieco nato. E se questo non fosse da Dio non avrebbe potuto far nulla…’.  
Successivamente – dopo alcuni ulteriori viaggi – Gesù ritorna a Gerusalemme dove incontra però nuovamente il miracolato che non lo aveva mai visto in volto.2
Narra infatti Giovanni che Gesù - nel fare miracolo - aveva sputato per terra, fatto con saliva e terra del fango che gli aveva poi spalmato sugli occhi dicendogli di andarseli a lavare nella piscina di Siloe.
Quello aveva obbedito e aveva acquistato la vista ma Gesù nel frattempo se ne era andato. 3
L’Evangelista Giovanni ci racconta ora anche questo secondo episodio.4
È da questo secondo incontro che Gesù prende spunto per lanciare  il suo celebre ‘messaggio’: ‘Io sono il Buon Pastore’, che ha un significato molto più profondo di quanto a prima vista potrebbe sembrare.
Come abbiamo più volte notato leggendo il Vangelo di Giovanni, molto spesso i vari episodi vengono presentati uno dopo l’altro come se si succedessero senza soluzione di continuità.
Invece – ad una attenta analisi e facendo magari anche uno studio comparato con gli stessi episodi citati negli altri tre vangeli – si scopre che fra l’episodio di un brano e quello precedente è magari passato del tempo.
Anche in questo caso, fra la cacciata del cieco dal Tempio di Gerusalemme dove il cieco era stato inizialmente interrogato ed il suo nuovo incontro con Gesù, é passato qualche giorno: lo si apprende dall'Opera valtortiana.  
Gesù aveva già avuto occasione di guarire dei ciechi e i Vangeli riportano vari accenni a questo riguardo.
Ma qui il Vangelo di Giovanni dà molto rilievo a questo miracolo facendo capire che esso aveva destato molto clamore.
Perché tanto clamore solo in questo caso, con interrogatori e controinterrogatori, una sorta di processo pubblico al cieco?
La ragione la comprendiamo grazie alla visione della mistica Maria Valtorta.
Il miracolo non era consistito nel ridare la vista agli occhi del 'non vedente' ma nell'avere infuso dal nulla due bulbi oculari nelle orbite vuote dell'uomo che era nato geneticamente malformato.
Un miracolo così straordinario, una creazione dal nulla, una cosa proprio 'da Dio', aveva certamente fatto e rifatto il giro della città, facendo imbestialire ancora di più i Capi giudei.
Oltretutto l'uomo non sembrava quasi più lui se non ci fossero stati i genitori ad attestarlo, perché se è noto che forma e colore degli occhi sono fondamentali per riconoscere una persona, due occhi dove prima c'erano solo due cavità vuote cambiano la fisionomia ancora di più.
Troppo 'miracoloso’ per potere essere vero, un miracolo del genere.
E se fosse stato vero sarebbe stato un miracolo veramente da Dio, una ulteriore strabiliante conferma ai precedenti discorsi di Gesù che avevano preceduto quel tentativo di lapidazione dopo essersi Egli dichiarato Dio.
È questa la spiegazione della rabbia e della incredulità dei sacerdoti del Tempio, scribi e farisei che si erano inutilmente accaniti con il miracolato e con i suoi stessi genitori nella speranza di coglierli in fallo.
I miracoli riconosciuti ‘ufficialmente’ dalla Commissione internazionale scientifica di Lourdes non lo sono da meno.
Anche gli scienziati più ‘prevenuti’ hanno dovuto ammettere che, in quei casi almeno, non si poteva comprendere altrimenti l’assoluta eccezionalità dell’avvenimento, al di fuori di qualsiasi spiegazione scientifica e medica.
Dunque Gesù incontra nuovamente il ‘cieco’.
Abbiamo già detto che il cieco non conosceva Gesù, come si capisce dal colloquio riportato nel Vangelo di Giovanni. Il cieco sapeva solo che il suo benefattore era quel Gesù che tutti mormoravano essere il Messia, anzi il Figlio di Dio.
Cerchiamo di concentrarci mentalmente e di immaginarci la scena.
Gesù lo vede, deve essere per strada, lo riconosce, lo chiama, quello viene, non riconosce Gesù e lo guarda interrogativamente.
Gesù gli domanda come sta e quello – pensando che tutti devono proprio sapere che lui è un miracolato, anche i ‘forestieri’ come gli pare quell’uomo - risponde che sta benissimo, anzi che meglio di così – con quei due begli occhi che si ritrova – non potrebbe andare.
‘Chi te li ha fatti?’, avrà chiesto Gesù.
‘Quell’Uomo che tutti chiamano il Messia!’, risponde quello.
‘Ma tu ci credi in lui?’
‘Crederci? Altro che, se vorrei. Ma non lo conosco nemmeno, e vorrei tanto poterlo conoscere...!’.
Gli dice allora Gesù: ‘Lo vedi: è colui che parla con te’.
E quello si getta al suolo, gli stringe magari i piedi come solevano fare a quei tempi, e lo adora, come si adora un Dio, perchè infatti esclama, come racconta Giovanni: Signore, io credo’.
E fin qui niente di straordinario.
25.2 Il Figlio dell’Uomo è venuto in questo mondo per operare una discriminazione.
Ecco però che al vedere quella scena e quell’assembramento di persone, poichè certamente con Gesù ci sarà stato l’intero gruppo apostolico, si sarà fermata dell’altra gente a guardare ed ascoltare, e nel mucchio, non saranno certo mancati i soliti scribi e farisei e via dicendo.
Gesù approfitta del pubblico e decide allora di prendere lo spunto dal miracolo del cieco che è stato reso ‘vedente’ per fare un discorso.
Ergendosi in tutta la sua figura e volgendo intorno uno sguardo circolare con i suoi occhi di zaffiro, Egli enuncia allora il ‘tema’ di introduzione: ‘Il Figlio dell’Uomo è venuto in questo mondo perchè si operi una discriminazione: affinchè quelli che non vedono, vedano  e quelli che vedono, diventino ciechi’.
Attenzione, questo concetto espresso da Gesù può sembrare un gioco di parole, ma invece nasconde o meglio rivela una profonda verità teologica.
Ve ne avevo già parlato all’inizio. L’evangelista Luca (2, 21-35) narra l’infanzia di Gesù e nel raccontare della sua circoncisione e presentazione al Tempio scrive che ad un certo punto si presenta - davanti a Giuseppe e Maria che hanno il bambino in braccio -  Simeone, uomo vecchio e giusto che aspettava ardentemente la redenzione d’Israele.
Lo Spirito Santo – così dice Luca – stava su di lui e gli aveva rivelato che egli prima di morire avrebbe veduto il Messia.
In quel momento il vecchio Simeone – vedendo Gesù – sospinto dallo Spirito prorompe in una lode, benedice Giuseppe e Maria e poi profetizza a Maria: ‘Ecco, egli è posto per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione; a te pure una spada trapasserà l’anima. Così si sveleranno i pensieri di molti cuori’.
Cosa c’entrano la caduta, la risurrezione, la contraddizione e lo svelarsi dei pensieri dei cuori con la discriminazione che sarebbe stata operata dal Figlio dell’Uomo?
Riprendiamo allora un momento in esame il Progetto di Dio sull’Umanità.
Il primo uomo sbaglia e coinvolge nel suo errore – attraverso le conseguenze psico-somatiche del Peccato Originale sui discendenti – tutta l’Umanità futura.
Ma il Dio della Genesi promette salvezza (spirituale) a lui e alla sua discendenza per cui, come a causa di una donna l’Umanità si era ‘perduta’, attraverso un’altra Donna (Maria, che in grande umiltà avrebbe acconsentito al progetto divino e avrebbe dato alla luce Gesù-Redentore) l’Umanità sarebbe stata salvata.
Ma quale ‘Umanità’? Quella dei ‘volenterosi’ o quella dei ‘facinorosi’?
Quella dei volenterosi! L’Umanità costituita cioè da quelle persone che pur imperfette, pur deboli, pur peccatrici, vorrebbero sforzarsi di migliorare, di emendarsi, anche se la debolezza delle loro forze non glielo consente tanto.
Gli altri – i ‘capri’ – ‘non vogliono’ sforzarsi perchè l’assetto dell’Umanità gli sta bene così, con le sue ingiustizie, che essi trovano ‘naturali’, fra le quali essi riescono a ‘navigare’ a piacimento con soddisfazione dei loro interessi, che non sono spirituali ma materiali, mentre quelli spirituali essi dicono che sono ‘fola’, fantasia, illusione, incapacità di capire la ‘realtà’: è pieno di gente che la pensa così, oggi più di ieri.
Allora, al momento buono, il Verbo si incarna, diventa Uomo e comincia ad insegnare, facendosi aiutare dai miracoli perchè - se l’Uomo non crede più a Dio che non vede - potrebbe però credere ai miracoli che invece vede.
E allora la discriminazione? Lo avevo già spiegato ma ve lo ricordo: il Verbo viene ad operare, insegna la Verità e ognuno sarà libero di accettarla o respingerla.
La Verità dividerà però gli uomini nel senso che costoro – posti di fronte ad essa – saranno costretti a rivelare il pensiero del loro cuore, a ‘scegliere’, cioè a schierarsi da una parte o dall’altra e a quel punto sarà possibile a Dio fare una ‘discriminazione’, cioè una divisione, fra ‘pecore’ e ‘capri’.
Al momento della morte fisica e del giudizio particolare i ‘capri’ non potranno più dire che essi in vita erano ‘ciechi’ e che  ‘non avevano visto’, ma – grazie agli insegnamenti di Gesù che ha rivelato la Verità - essi sapranno che pur avendola vista non l’avevano accettata, e si renderanno allora ben conto della giustezza del giudizio che avranno ricevuto. Ogni uomo è infatti libero di accettare o meno il messaggio di Dio, e quindi di meritare o meno la salvezza nel Regno celeste.
Dio, per bontà, ha dunque voluto – con la sua incarnazione – che quelli che erano davvero ‘ciechi’ (vale a dire ignoranti nelle cose di Dio, ma di buona volontà) potessero ‘vedere’ cioè comprendere le cose di Dio alla luce della sua Parola, e quelli che invece ci ‘vedevano’ (cioè che erano o avrebbero dovuto essere già  ‘esperti’ nelle cose del Signore non solo per cognizione religiosa ma anche per semplice cultura che consente di capire meglio ciò che è bene e ciò che è male) ma che poi per cattiva volontà non ne traevano le conseguenze nel loro comportamento, perdessero la loro capacità di ‘vedere’, e cioè la capacità di salvarsi, visto che avevano arrogantemente disprezzato l’opportunità di salvezza che attraverso gli insegnamenti di Gesù era stata loro offerta.
Non vi pare tutto di una logica e di una semplicità estrema?
Il ‘Credere’ non è strettamente indispensabile per salvarsi: basta comportarsi come se ci credessimo: e cioè comportarsi bene.  Infatti - al resto - ci pensa Lui perchè se vi comportate bene, anche se non ci credete, vuol dire che siete pecore del suo Ovile, anche senza saperlo.
25.3 I ‘pastori’ dei popoli antichi e di quelli moderni.
Gesù – guardandosi intorno, fra la gente, in quella stradetta di Gerusalemme – decide di fare allora questo grande discorso come narrato da Giovanni, anzi Gesù lo fa meglio.
Egli parlava bene ma nello stesso tempo si esprimeva con immagini semplici.
Ricorre allora – alludendo metaforicamente agli scribi, farisei e sacerdoti presenti, che tutto facevano fuorché prendersi cura del popolo a loro affidato – all’immagine del ‘buon pastore’ il quale conosce le sue pecore, così come queste ‘riconoscono’ la voce del loro pastore.
Cosa vuol dire?
Vuol dire che Dio, che vive fuori dal tempo, sa ab-eterno quali sono gli uomini che in loro piena libertà accetteranno volontariamente di seguire le ispirazioni che Egli imprimerà nel loro cuore: sono quelli le sue ‘pecore’ che Egli conosce da prima che il Tempo fosse, così come queste ‘pecore’ – volontariamente sintonizzate sulla lunghezza d’onda del Signore – sono quelle che sapranno riconoscere la ‘voce’ della sua Parola, cioè del loro Pastore sceso sulla terra per radunarle.
Quello del ‘Buon Pastore’ è un discorso profondo ma semplice.
L’Umanità – da sempre - è infestata da ‘cattivi pastori’, cioè da uomini che perseguono il loro interesse e quello dei gruppi di potere o di pressione che essi rappresentano.
Non è necessario essere dei buoni ‘cristiani’ per capirlo. Basta il comune buon senso.
La società che ci circonda è dominata da questi uomini che perseguono i loro scopi, in tutti i campi, dall’economia alla politica, persino nella religione nella misura in cui questa possa essere utilizzata come un ‘paravento’.
Persino nella cultura perchè spesso gli ‘uomini-capri’ prendono a copertura di quel che fanno le ‘idee’ che tanti ‘uomini di cultura’ – capri anche loro - gli elaborano perchè essi se ne possano servire: questa cosiddetta cultura, questa sorta di ‘dea’, diventa quindi un loro alibi.
Negli ultimi secoli, ad esempio  – a cominciare da quella ‘francese’ fino ai giorni nostri -  non c’è stata rivoluzione, non c’è stato genocidio, senza che i ‘capi-popolo’ non avessero rivendicato una solida base ‘filosofica’ e culturale’ a giustificazione del loro operato.
Le più grandi nefandezze dell’Umanità sono state compiute sotto la copertura di ideologie che le rivestivano di una logica apparentemente ineccepibile e di onorabilità: per il bene collettivo!
L’Umanità è dunque sovente governata da uomini, e sono questi i falsi pastori di cui parla Gesù, che – per perseguire quelli che in realtà sono i propri obbiettivi – usano tutti i mezzi per convincere i più deboli, i più incolti, i più creduli – facendo leva anche sui loro istinti, anzi sui nostri istinti peggiori – per tirarseli dietro.
È la storia delle ingiustizie, dei dolori e delle guerre interminabili che da millenni hanno squassato e continuano a percorrere l’Umanità.
È la storia di taluni grandi ‘Capi’ che all’insegna di filosofie, ideologie, razzismi continuano a dividere i popoli. La storia di quelli che – all’interno persino di certe gerarchie religiose – cercano di utilizzare le stesse religioni come centri di potere o anche come elemento fazioso di divisione fra un popolo di una religione e uno dell’altra.
È tutta gente che dell’Amore se la ride.
Siamo nati in un mondo sbagliato? Sì e no. All’inizio non lo era ma poi lo è diventato e ormai siamo tutti in ballo.
Ma chi – in terra - non passa dalla porta dell’amore, non entra in Cielo.
Ecco la realtà più dura per noi umani.
Mentre i falsi pastori – fa intendere chiaramente Gesù - perseguono però solo i loro interessi ma poi sono pronti ad abbandonare l’uomo a se stesso, noncuranti della sua rovina perchè essi sono dei pastori-idolo, il Verbo che si incarna per amore dell’uomo è pronto a sacrificare – Egli Dio – la propria vita di Uomo-Dio, perchè Egli è il vero Pastore, quello che ha creato le anime degli uomini che quindi considera veramente figli suoi, sempre che essi lo vogliano conoscere come padre e non preferiscano invece l’altra paternità, quella che ritengono più congeniale a quel che essi desiderano fare.
Il progetto del Verbo non è però solo quello di salvare le ‘pecore’ dell’ovile di Israele, ma anche quelle dell’altro ovile più grande, quello del resto dell’Umanità che – accettando il Cristianesimo – conoscerà la via con la quale ci si salva più facilmente.
Quante volte mi sono sentito dire: ‘Ma chi l’ha detto che la religione giusta sia il Cristianesimo’?
È una domanda legittima, anche se spesso maschera - sotto una parvenza di domanda logica - quella che in realtà è una voglia di ‘contestazione’.
Ma è una domanda mal posta.
Prima di porci questa domanda bisognerebbe che ci interrogassimo sul fatto se crediamo che esista un Dio, se siamo propensi a credere che siamo degli ‘spiriti’ in carne umana, se intendiamo veramente sforzarci di condurci nella direzione di un comportamento che rispetti gli altri come vorremmo che gli altri rispettassero noi.
Allora a quel punto, se la risposta che ci siam dati è positiva, la domanda diventa pertinente.
Ma scopriremmo anche che è una domanda ‘inutile’, dal punto di vista dell’Assoluto.
Credo che possiamo tutti accettare l’idea che, se Dio esiste, deve essere uno solo per tutti, e non può dividersi in divinità di tutte le specie a seconda dei gusti e delle culture.
Se Dio è ‘uno’ per tutti i popoli è però chiaro che anche la sua Verità non può essere che una sola.
Ora, non è un mistero che molte religioni siano nate per soddisfare una esigenza interiore di ‘spiritualità’, per soddisfare in qualche modo quel senso di ‘trascendente’ che l’uomo – anche quello primitivo – ha sempre avvertito dentro la propria anima, o nel proprio ‘inconscio’ se la si vuol chiamare così, senso del trascendente che Dio stesso ha impresso all’anima nel crearla affinchè essa si ricordi – poi – di avere un Dio al quale ritornare.
Fra queste religioni ve ne sono alcune che dicono di essere frutto di una ‘rivelazione’: Dio che ha parlato a certi loro uomini rivelando loro le sue ‘verità’.
È difficile negare che Dio possa aver parlato anche agli uomini di altre religioni. Credo anzi che Dio parli a tutti gli uomini, da sempre.
Il problema semmai è di stabilire quanto gli uomini abbiano capito, quanto di proprio abbiano aggiunto, quanto abbiano modificato di quanto Dio aveva sussurrato al loro orecchio spirituale.
Può però Dio – che è Verità – aver insegnato verità sostanzialmente diverse a religioni diverse?
Poichè la Verità è una, la religione vera non può che essere una.
Queste sono forse considerazioni un po’ ‘filosofiche’, ma in realtà – indipendentemente dal tipo di ‘teologia’ – quello che a Dio interessa ai fini del ‘passaporto’ per il suo Regno non è la ‘filosofia’, ma la pratica: quella dell’amore.
È questo il minimo comun denominatore di tutti i popoli, necessario per una ‘fedina penale’ pulita.
Non è il’censo’ secondo l’ordine terreno quello che ci da diritto al ‘passaporto’. Anzi spesso il ‘censo’ è causa di ‘superbia’ mentre chi non ha censo è più facile che sia ‘umile’.
L’umile si salva allora meglio del ‘colto’, se pratica l’amore.
Bene, Gesù ha ormai finito il suo discorso e noi anche ma, come sempre succede, il ‘pubblico’ del Vangelo di Giovanni si divide.
La metafora del buono e del cattivo pastore era fin troppo chiara per quelli della classe dirigente: qualcuno di loro scuote quindi la testa e ribadisce che quello vaneggia e fa discorsi da indemoniato.
Qualche altro del popolo – che ha perfettamente inteso l’allusione - ribatte invece che quelli non sono discorsi da indemoniato anche perchè un demonio non avrebbe potuto certo aprire quegli occhi a un cieco’.


1  Gv 9, 1-34
 G.L.: ‘Il Vangelo di Giovanni…’ – Vol. II, Cap. 9 – Ed. Segno, vedi anche sito internet dell’autore.
2  G.L.:   Opera sopra citata, Vol. II, Cap. 10
  M.V.: Opera citata, Vol. VIII, Cap. 518 – C.E.V.
3  Nota dell'autore: Può a prima vista stupire che Gesù-Dio, per fare miracolo, avesse bisogno di quella che sembra a prima vista una messinscena istrionica. Ricordo però che Gesù, in qualche punto della  monumentale Opera valtortiana, aveva una volta dato - se ben ricordo - questa spiegazione: l'umanità degli uomini e degli stessi ebrei della sua epoca era tale che un miracolo, per essere veramente considerato tale dal popolo, aveva bisogno di questa 'esteriorità'' che appagava in qualche modo la loro psicologia, il loro senso e bisogno di 'mistero'. Così pure nelle formule sacre di unzione, dove in realtà non è l'olio sacro che agisce ma Dio che utilizza l'olio come 'tramite'.
4  Gv 9, 35-41 e 10, 1-21: Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori e, incontratolo, gli disse: «Credi tu nel Figlio dell’Uomo?».
Quello rispose: «E chi è, Signore, affinchè creda in lui?».
Gli disse Gesù: «Tu lo vedi: è colui che parla con te».
Allora egli esclamò: «Signore, io credo». E lo adorò.
Gesù disse: «Sono venuto in questo mondo perchè si operi una discriminazione: affinchè quelli che non vedono, vedano; e quelli che vedono, diventino ciechi».
Lo udirono alcuni Farisei che erano con lui e gli domandarono: «Siamo forse ciechi anche noi?».
Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste colpa; invece voi dite: ‘Noi vediamo’. Il vostro peccato rimane».
«In verità, in verità vi dico: chi non entra nell’ovile per la porta, ma vi sale dall’altra parte, è ladro e assassino. Chi invece entra per la porta è pastore delle pecore. A lui apre il portinaio, le pecore ascoltano la sua voce ed egli chiama per nome le proprie pecore e le conduce fuori. E, quando ha fatto uscire tutte le sue, cammina innanzi a loro: le pecore lo seguono, perchè conoscono la sua voce. Non seguono invece un estraneo, ma fuggono da lui, perchè non conoscono la voce degli estranei».
Questa parabola narrò ad essi Gesù, ma quelli non capirono ciò che volesse dir loro.
Perciò Gesù riprese: «In verità, in verità vi dico: Io sono la porta delle pecore. Tutti quelli che sono venuti prima di me, sono ladri e assassini; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta. Chi per me passerà, sarà salvo; entrerà, uscirà e troverà pascoli. Il ladro non viene che per rubare, ammazzare e distruggere. Io sono venuto affinchè abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.
Io sono il buon Pastore. Il buon Pastore dà la propria vita per le sue pecore. Il mercenario, invece, è chi non è pastore, a cui non appartengono le pecore, quando vede venire il lupo abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde. Perchè è mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon Pastore e conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre: e per le mie pecore do la mia vita.
Ho pure altre pecore che non sono di questo ovile: anche quelle devo condurre, e ascolteranno la mia voce e si avrà un solo gregge e un solo pastore.
Per questo mi ama il Padre, perchè io sacrifico la vita per nuovamente riprenderla. Nessuno me la toglie, ma la do io da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Nacque di nuovo dissenso fra i Giudei per queste parole.
Molti dicevano: «E’ indemoniato e vaneggia; perchè ascoltarlo?».
Altri rispondevano: «Questi non sono discorsi da indemoniato: può forse un demonio aprire gli occhi ai ciechi?».

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