BS1-008 - ilCATECUMENO.it

Vai ai contenuti
8. Le TENTAZIONI di satana a GESÙ ed il MIRACOLO del VINO alle NOZZE di CANA

8.1 Gesù si ritira nel deserto per prepararsi alla sua missione e viene tentato da Satana.
Dopo il battesimo al Giordano Gesù si ritira in preghiera nel deserto dove il Vangelo dice testualmente che Gesù vi viene ‘condotto’ dallo Spirito Santo per essere tentato dal diavolo.1
Loisy – che non crede al demonio - definisce mitico questo racconto.
Stupisce, a prima vista, l’affermazione che sia lo Spirito Santo a ‘condurre’ nel deserto Gesù che è Verbo incarnato, e ancor più il fatto che lo scopo sia quello di farlo tentare da Satana.
Potrebbe mai Satana indurre Dio in tentazione?
Ma c’è un’altra spiegazione. Come già accennato in precedenza, Gesù era Uomo-Dio, cioè uomo oltre che Dio, e possedeva in sé entrambe le nature, quella divina in quanto Verbo incarnato e quella di uomo in quanto fatto di carne nato dalla ‘carne’ di Maria.
Le due nature convivevano in lui  così da formare un tutt’uno, come la nostra anima permea e forma un tutt’uno con il nostro corpo pur non essendo essa di per se stessa ‘materia’ ma ‘spirito’.
Avevo già spiegato – tanto per capirci – che Gesù si comportava di norma come un uomo tranne che quando la divinità che era in lui reputasse manifestarsi  esternamente per i fini della missione del Verbo in terra.
Era quello il momento in cui Gesù sprigionava potenza di miracolo o in cui parlava con grande Sapienza.
E nella vita di Gesù sono tanti i momenti di ‘umanità’ e altrettanti quelli di ‘divinità’ che tuttavia non costituiscono aspetti diversi o antitetici della sua  personalità quanto piuttosto le due facce di una stessa medaglia.
Ora, delle due ‘nature’, quella che lo Spirito Santo ispira qui ad andare nel deserto non può essere che la natura di Gesù-Uomo, poichè l’altra del Verbo che era in lui non aveva certo bisogno (in quanto il Verbo è Dio come lo stesso Spirito Santo) di essere ‘ispirata’ e ‘condotta’, e neppure è immaginabile che Gesù in quanto Verbo divino dovesse o potesse essere ‘tentato’ da una sua creatura inferiore come era appunto l’angelo ribelle.
Ma perché mai Gesù-Uomo avrebbe dovuto allora essere tentato, ‘complice’ lo Spirito Santo?
E perché, poi, lo Spirito Santo avrebbe dovuto essere ‘complice’ di quelle tentazioni?
Non è Satana quello che ‘tenta’ l’uomo? Da quando in qua sarebbe Dio a farlo? E quale è il significato profondo di quella frase della preghiera del ‘Padre nostro’ dove imploriamo Dio-Padre di non ‘indurci’ in tentazione?
Quest’ultima è una frase che ha destato non poche perplessità tanto che aveva una volta ‘indotto nella tentazione’ anche qualcuno della Gerarchia ecclesiastica per cambiarla rendendola più comprensibile.
Essa va dunque bene interpretata, non nel senso di chiedere al Padre di non indurci in tentazione come fa Satana, il che sarebbe un assurdo, ma di non permettere che le tentazioni di Satana e del mondo alle quali possiamo essere posti di fronte risultino superiori alle nostre forze e ci facciano cadere nonostante la nostra buona volontà di resistere.
In un certo senso però si potrebbe anche - sia pur impropriamente - parlare di una ‘tentazione’ da parte di Dio anche se le tentazioni vengono solo da Satana.
In realtà si tratta di due ‘tentazioni’ diverse: quelle di Satana hanno lo scopo di far cadere l’uomo per dannarlo, quelle invece che Dio permette sono al contrario ‘prove’ di vita che egli consente o che ci mette di fronte, proporzionate alle forze di ogni singolo uomo, e che hanno lo scopo di aiutarlo a crescere spiritualmente ed a guadagnarsi maggior merito in Cielo dopo averle superate.
Gesù – nella sua parte umana - doveva essere ‘tentato’ perché anch’egli doveva essere sottoposto alla Legge della Prova, che è una delle Leggi che reggono la Creazione.
Furono sottoposti a prova gli angeli che, con Lucifero, si divisero poi in angeli di Luce e in angeli di Tenebre, i primi venendo ammessi alla gloria del Paradiso, i secondi all’Inferno.
Furono sottoposti a prova i primi due progenitori, Adamo ed Eva, che non seppero però meritare i privilegi che avevano avuti e furono cacciati dal Paradiso terrestre per non aver voluto resistere alla ‘tentazione’ di non toccare il simbolico frutto dell’Albero della conoscenza del Bene e del Male, ma anzi aver voluto appetire al frutto di quest’albero per poter divenire simili a Dio: sostanzialmente un superbo tentativo di usurpazione di ruolo.
Sono sottoposti a prova tutti gli uomini che, a seconda di come liberamente decidono di condursi rispetto alla legge naturale dei dieci comandamenti che Dio ha scolpito nella loro anima, si salvano o si dannano.
E il Verbo incarnato, in quanto Uomo, non fu esonerato dalla Prova, come non lo fu - e lo vedremo alla fine di questo nostro racconto - nemmeno Maria.
Gesù doveva infatti ottenere dal Padre il riscatto per i peccati dell’intera Umanità passata, presente e futura, e la ‘prova’ – iniziata nel deserto ma che sarebbe terminata sul Calvario - avrebbe dovuto essere ‘adeguata’, perché i grandi premi vanno ben guadagnati e meritati.
Egli si appresta dunque ad iniziare la sua vita pubblica, cioè la sua missione.
Il Gesù-Uomo non sa ancora nulla della prossima prova di tentazione che dovrà affrontare alla fine dei quaranta giorni nel deserto, ma egli ‘sente’ dentro di sé (ed è lo Spirito Santo che sussurra al suo orecchio spirituale) che – come Uomo – dovrà ‘purificarsi’ per essere temprato e pronto ad intraprendere la sua missione di Redenzione.
Come, purificarsi? Con la preghiera e il digiuno, appunto.
Dove? Nel deserto: nel silenzio della natura e lontano dalle voci del mondo, dove è più facile ‘parlare’ con Dio ed ascoltarlo.
Renan scrive a questo proposito – con l’aria di far intendere che quella di Gesù era una stravaganza  - che ‘Gesù credeva anche nel potere della preghiera…’.
Ma, umanamente, non si può comprendere il valore della preghiera e del digiuno se non si considera l’unità psicosomatica della persona umana.
Dopo il Peccato - perduto l’equilibrio che derivava dall’unione originaria con Dio quando era lo ‘spirito’ a ‘governare’ le pulsioni dell’io - i valori si ribaltarono e fu l’io a sottomettere lo spirito ormai indebolito a causa del distacco da Dio con la perdita della ‘Grazia’.
L’uomo ‘animale’ prese il sopravvento, e divenne l’uomo attuale.
Per tornare alla antica spiritualità le sole forze umane ora non sono più sufficienti, ed è necessario l’aiuto di Dio.
L’aiuto si chiede con la preghiera e si merita con il sacrificio, a cominciare da quello più ‘animale’ che tocca la carne, e cioè il digiuno.
Ma il digiuno, vale a dire il resistere agli stimoli istintivi di ‘sopravvivenza’ che mordono la ‘carne’ e chiedono appagamento, serve non solo a ‘purificarci’ attraverso questa più o meno piccola mortificazione dei sensi ma anche a rafforzare, con l’allenamento alla resistenza, la nostra volontà e quindi a consentirci di meglio resistere alle tentazioni ed ai richiami del mondo e dell’Altro.
La preghiera condita di ‘digiuno’ diventa a questo punto una strada ben lastricata che ci consente di arrivare a bussare più facilmente alla porta di Dio, che la apre inondandoci con la sua Forza e la sua Illuminazione.
Il digiuno non è affatto detto debba essere necessariamente di tipo ‘alimentare’, ma può essere anche digiuno ‘morale’, come il privarci di qualche cosa o di qualche abitudine che ci è particolarmente cara.
Matteo racconta nel suo vangelo che il diavolo si ‘accostò’ a Gesù, quasi che il Tentatore avesse l’aspetto di una persona di passaggio.
Quindi l’angelo ribelle non si presentò alla mente di Gesù come uno ‘spirito’ invisibile ma, dovendo parlare ad un uomo, dovette verosimilmente assumere sembianze umane.
Siamo al termine dei quaranta giorni di digiuno2, quando  l’Uomo-Gesù – come le sentinelle stanche alla fine della guardia - poteva aver abbassato le proprie barriere di difesa sia per la debolezza sia perché si apprestava a riprendere ormai la sua vita ‘normale’.
È dunque questo il momento psicologicamente più adatto in cui l’Astuto decide di ‘tentarlo’, e  Dio consente di ‘provarlo’.
Matteo non ci dice affatto che la tentazione che subì Gesù fu costituita da un pensiero intellettuale, da un’idea cioè che ti viene in mente lì per lì, fatto questo che pur rientra nella prassi abituale con la quale Satana cerca di circuirci senza farci sapere che a suggerirci certe idee è proprio lui.
L’episodio delle tre tentazioni – anche se narrato sommariamente e persino in maniera letterariamente un poco ‘rozza’ - ci viene presentato da Matteo come un fatto reale, e non simbolico, come taluni teologi razionalisti vorrebbero sostenere.
Satana è un grande psicologo, conosce bene le debolezze dell’animo umano.
Dopo quaranta giorni di digiuno il corpo di Gesù doveva essere esausto a causa della denutrizione, gli stimoli assopiti della fame dovevano essere riemersi lancinanti e, a causa della unità psicosomatica, il suo ‘io’ e la sua capacità psicologica di resistenza dovevano essere anche alquanto indeboliti dalla spossatezza fisica.
Se tu sei il figlio di Dio, dì che queste pietre diventino pani, dice Satana a Gesù.
Il demonio conosceva bene la famosa profezia messianica del profeta Daniele sulle settanta settimane di anni  (70 x 7= 490 anni) che  avrebbero dovuto trascorrere per vedere l’avvento del Messia a partire dal decreto di  autorizzazione al rientro in patria del popolo di Israele in esilio.3
Satana sapeva pure che il Verbo si sarebbe incarnato nel Messia per redimere l’Umanità e per riguadagnarla al Paradiso sottraendo al proprio Regno di dannazione infernale quella parte di essa che avesse voluto mettere in pratica i suoi insegnamenti.
Se, come già spiegato in precedenza, gli ebrei avevano frainteso le varie profezie messianiche e si attendevano un ‘Re di spada’, cioè un conquistatore che avrebbe sottomesso tutti i loro nemici, Satana le aveva correttamente interpretate, anche quelle relative alla sua nascita da una vergine.
Le aveva collegate alla minaccia che Dio Padre gli aveva fatto nel momento della cacciata dal Paradiso terrestre, quando aveva maledetto il ‘Serpente’ pronosticandogli che Egli, Dio, avrebbe messo inimicizia fra lui e la Donna, fra la discendenza di Satana e quella della Donna, la quale gli avrebbe schiacciato il capo e alla quale egli, Satana, avrebbe insidiato il ‘tallone’.
Satana sapeva dunque che ormai i tempi dovevano essere maturi, ma non sapeva ancora esattamente né il ‘quando’ né il ‘chi’ sarebbe stato il Messia.
Ma ecco che Dio-Padre al Giordano aveva alzato il sipario e  con voce di tuono aveva attestato dall’alto, in Gesù, la  natura di ‘figlio di Dio’, con lo Spirito Santo che, sotto forma di colomba sulla sua testa, pone una sorta di sigillo alla certificazione del Padre.
A Satana non era sfuggita la ‘manifestazione’ del Padre ma voleva essere ben sicuro di aver capito bene.
Decide allora di spiare Gesù, lo segue con l’occhio spirituale nel deserto, lo guata, lo studia per dei giorni e poi, quando ritiene che sia giunto il momento propizio, decide di metterlo alla prova per sapere se non fosse un semplice uomo, magari profeta, o se era veramente il Figlio Dio.
‘Se tu sei il figlio di Dio, dì che queste pietre diventino pani.
Satana non era come i razionalisti e i modernisti: lui ai miracoli ci credeva...
Nulla più che il far miracolo poteva confermargli che quell’uomo di fronte a lui, esausto e affamato, era veramente l’atteso Figlio di Dio.
Ma Gesù resiste alla doppia tentazione: l’appagamento della fame e il dar prova di capacità di miracolo.
La sua risposta è lapidaria: “Sta scritto: ‘Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio’.
Satana incassa ma rilancia alzando la posta in gioco, cerca di ‘stanarlo’ prospettandogli intellettualmente l’immagine mentale di se stesso: Gesù, in cima al pinnacolo del Tempio, con l’opportunità di un altro suo miracolo strepitoso: ‘Se tu sei il Figlio di Dio, gettati di sotto….’.
Se Gesù fosse stato Dio, cioè Onnisciente, certamente in quanto Dio doveva conoscere il futuro e quindi anche l’incredulità che i sacerdoti del Tempio avrebbero in seguito mostrato verso la sua divinità.
Come resistere allora alla vanità -  che in fin dei conti è già un principio di orgoglio, a sua volta anticamera della superbia - di stupirli tutti, atterrando incolume fra la folla attonita mostrando a tutto il popolo, ma specialmente ai sacerdoti, chi era veramente ‘lui’, cioè Dio?
‘Non tenterai il Signore Dio tuo’, è - questa volta - la risposta sdegnosa di Gesù.
Satana ormai ha capito.
Quello – anche se pare solo uomo - è proprio il Figlio di Dio, Dio, e allora – poiché egli è il Principe del Mondo – Satana mette a disposizione del Gesù-Uomo tutti i suoi averi del mondo: ricchezza, potenza, sesso, proprio tutto quel che sarebbe più desiderabile per un uomo, tutto, purchè Gesù si prostri di fronte a lui e lo adori.
Ecco il massimo, l’apoteosi del delirio, quello che Satana aveva ardentemente desiderato prima di essere estromesso dai Cieli: l’essere considerato Dio per  essere adorato come Dio.
Fu questo ciò che provocò la sua cacciata dal Cielo quando Michele insorse gridando ‘Chi come Dio?!’.
Ma anche qui la risposta di Gesù è negativa, ricordandogli che l’adorazione è dovuta solo a Dio.
Allora Satana - scornato ma non domo - se ne va rabbbiosamente, rimandando una sua tremenda vendetta a tempi migliori, quelli della Passione.
Per inciso, nella visione valtortiana, la persona di Satana si presenta a Gesù sotto l’apparenza di un beduino avvolto in un mantello, sul capo un turbante con due falde che scendono ai lati del volto, viso bruno, labbra sottili e sinuose, occhi nerissimi e incavati, bagliori magnetici, due pupille nelle quali si legge il nulla.
Si ferma di fronte a Gesù, attacca discorso con noncuranza, dicendo di essere a piedi perché gli è morto il cavallo.
Gesù gli appare affamato e stremato dalla sete e dal digiuno e lui dice che anch’egli vorrebbe acqua e pane, sa dove procurarseli e si offre di accompagnarvi anche Gesù.
Gesù-uomo non risponde  a Satana, tiene gli occhi bassi e prega in silenzio. Satana capisce allora che il Messia è proprio lui e gli dice che era tanto che lo stava cercando, cioè dal momento in cui era stato battezzato al Giordano.
Comincia a questo punto nell’Opera della mistica uno dei più affascinanti dialoghi, un capolavoro da leggere nel testo integrale: la sfida dialettica e spirituale fra Gesù e Satana.4
È in questo periodo5 che Gesù – il quale dopo aver lasciato Nazareth si era stabilito in una abitazione di Cafarnao, sul Lago di Tiberiade6 - fa conoscenza con quelli che saranno i suoi primi apostoli: Giovanni e Giacomo, figli di Zebedeo, quindi Andrea e lo stesso Pietro, suo fratello. Seguirà la conoscenza di Filippo e di Natanaele (chiamato anche Bartolomeo: quello che sentendo parlare per la prima volta di Gesù come Messia, aveva esclamato: ‘Da Nazareth può mai uscire qualcosa di buono?’).
Segno questo che i nazareni – forse perché i ‘campanilismi’ esistevano anche allora - non dovevano godere a quei tempi di buona fama presso i villaggi della Galilea.
Giovanni e Giacomo, Pietro e Andrea, Filippo e Natanaele, erano tutti ‘compaesani’ e certo la comune ‘origine’ e l’amicizia di cui godevano l’un l’altro avrebbe fatto da ‘cemento’ e  avrebbe favorito il mantenimento dell’unione in futuro, nonostante le dure prove che avrebbero incontrato nel prosieguo della evangelizzazione.

8.2 Il miracolo del vino e la fede dei primi discepoli.
Arriviamo a questo punto all’episodio delle nozze di Cana.
Narra il Vangelo di Giovanni:7
Tre giorni dopo  si celebrò uno sposalizio in Cana di Galilea, e vi era la Madre di Gesù.
Alle nozze fu pure invitato Gesù con i suoi discepoli. Or venendo a mancare il vino, la Madre di Gesù gli dice:    
‘Non hanno più vino’.
Gesù le risponde: ‘Che c’è fra me e te, o donna? L’ora mia non è ancora venuta’.
Ma la Madre sua dice ai servitori: ‘Fate tutto quello che egli vi dirà’.
C’erano lì sei idrie di pietra, preparate per le usuali purificazioni dei Giudei, le quali contenevano da due a tre metrete ciascuna.
Gesù ordinò loro: ‘Empite d’acqua le idrie’.
Le empirono fino all’orlo.
Poi soggiunse: ‘Ora attingete e portate al maestro di tavola’.
Essi ubbidirono. Appena il maestro ebbe assaggiato l’acqua mutata in vino, non sapendo donde venisse, mentre lo sapevano i servitori che avevano attinto l’acqua, chiama lo sposo e gli dice: ‘Tutti servono all’inizio il vino buono, e quando la gente è alticcia danno il meno buono. Tu invece hai serbato il vino buono fino ad ora’.
Questo fu il principio dei miracoli di Gesù, in Cana di Galilea.
Manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Dopo questo, discese a Cafarnao lui, sua Madre, i suoi fratelli e i suoi discepoli, ma vi rimasero pochi giorni.
È un episodio colorito.8
Matrimonio, banchetto, tanta gente, bevono senza risparmio e… ad un certo punto – sul più  bello – mentre qualcuno reclama ancora vino, i servi si accorgono che non ce n’è più. Imbarazzo…, confabulano fra di loro, avvisano il padrone di casa che rimane doppiamente imbarazzato perché o avrebbe dovuto dire agli ospiti che eran dei beoni o che lui aveva tirato a risparmiare proprio sul vino. Ve la immaginate la scena? Avrebbe potuto succedere anche a noi…!
Ma Maria, che tace sempre ma non perde mai un particolare, se ne accorge, vuole evitare una brutta figura al padrone di casa, che evidentemente doveva essere anche un amico, e allora con naturalezza e autorevolezza tira la manica al figlio e gli bisbiglia: ‘Non hanno più vino…’.
E il Figlio, che era divino e aveva già capito tutto al volo, fa invece finta di niente, fa il sornione, come se non capisse: ‘Che c’è fra me e te, o donna? L’ora mia non è ancora venuta…’.
Il che è un po’ come dire, anche se garbatamente: ‘Ma che vuoi che faccia, io? Lo sai che non è ancora arrivato il momento di manifestare pubblicamente chi io sia in realtà’.
Ma la Madre sorride, e – sicura del fatto suo - fa ai servitori: ‘Fate tutto quello che egli vi dirà…’. Il che è un modo implicito di dire al figlio: ‘Dai, su, non fare i complimenti, fallo questo bel miracolo, per amore del nostro ospite!’.
Presto detto, presto fatto.
«E i suoi discepoli credettero in lui…», conclude Giovanni, che a questo proposito non poteva sbagliare perché è lui che racconta questo episodio di Cana nel suo Vangelo e che quindi, quanto a quel «E i suoi discepoli credettero in lui…», non poteva sbagliarsi, visto che la Valtorta, vede in visione proprio Giovanni insieme ad un altro, che lei crede di individuare in Giuda Taddeo, cugino di Gesù, che discepolo sarebbe diventato poco tempo dopo, forse proprio grazie a quel miracolo. E figuratevi se Giovanni non avrà poi raccontato lo strepitoso miracolo che aveva toccato con mano a suo fratello Giacomo, a Pietro ed agli altri…
Ecco, questa frase del Vangelo di Giovanni spiega il perché ‘spirituale’ del miracolo: Gesù non era un istrione che voleva dar spettacolo ai commensali facendo un ‘favore’ all’amico padrone di casa, ma non sapeva come non accontentare un desiderio esplicito di sua Madre, che non chiedeva mai niente.
E allora decide di prendere due piccioni con una fava e unisce al materiale lo …spirituale, e fa il miracolo – scoprendo un po’ troppo in anticipo le sue carte – ma lo fa per confermare nella fede fin dall’inizio della missione  i suoi primi discepoli che infatti – al di là di quello che, di Gesù, aveva detto Giovanni Battista: ‘Ecco l’Agnello di Dio’ – potevano ancora aver dentro al fondo del cuore qualche dubbio.
E infatti ora - per la prima volta in vita loro di fronte ad un avvenimento soprannaturale  - folgorati dallo stupore, credono...

8.3 La bellezza fisica di Gesù e Maria. Il Peccato psicosomatico e l’evoluzione discendente dell’uomo.
Calcolando l’eta di Gesù: una trentina d’anni all’inizio della missione, calcolando che Maria avesse avuto il figlio a 16/17 anni, se ne deduce che ora – vedova non da molto - avrebbe dovuto essere vicina alla cinquantina,.
Ma - dice la Valtorta che in visione la vede bene -  ne mostrava a Cana solo trentacinque.
Dall’opera della nostra mistica emerge più volte il discorso della straordinaria bellezza di Gesù e di Maria, bellezza e perfezione fisica che viene legata al dono della assenza in entrambi del Peccato originale.
Il primo, Gesù: perché era un Uomo-Dio.
La seconda, Maria: perché avrebbe dovuto ospitare nel suo seno un Dio.
Il concetto ve lo posso grosso modo spiegare nei termini seguenti.
Il Peccato originale fu un peccato spirituale di superbia, un peccato della ‘Psiche’ che fece perdere all’uomo tutti gli straordinari doni psicofisici che l’unione con Dio procurava. E poiché l’uomo è un complesso ‘psicosomatico’ e la psiche influisce sul corpo come fanno le malattie di origine psicosomatica, ecco che tutto il sistema endocrino e metabolico dell’uomo come pure il suo Dna ne rimasero sconvolti, fino a generare – nella successiva riproduzione della specie – individui moralmente e geneticamente ‘tarati’, sempre più deboli e brutti.
Non è solo un fatto di  selezione  della  specie ‘difettosa’ quello che ci ha fatto – nella media  generale - più brutti e deboli e non troppo intelligenti, ma la vita di peccato che – essendo vita psichica – ha influenzato il nostro Dna fino a trasformarlo in peggio, di generazione in generazione.
A costo di fare inorridire gli evoluzionisti, certi di un ulteriore ‘progresso’ perché da scimmie saremmo diventati uomini e chissà quali animali essi penseranno di divenire in futuro, la razza umana – contrariamente a quel che si pensa – sta subendo una evoluzione negativa sia dal punto di vista fisiologico che morale.
Le medicine e la quantità e qualità dell’alimentazione danno solo una falsa impressione di miglioramento, peraltro limitata a quei pochi popoli ricchi e ben nutriti che se lo possono permettere.
E il futuro estremo dell’Umanità – questo lo si capisce anche dallo studio dell’Apocalisse – sarà, spiritualmente parlando, un tuffo ulteriore nella brutalità spirituale tanto da indurre Dio a chiudere l’avventura della razza umana, con il Giudizio universale.


1  Mt 4, 1-11
2  Può sembrare impossibile a prima vista un digiuno di 40 giorni ma osservazioni cliniche hanno constatato la possibilità di sopravvivenza, bevendo solo acqua, fino a 67 giorni perché dopo la prima settimana cambia la biochimica del corpo.
3  G.L.: “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I, Cap. 10 – Ed. Segno
4  M.V. ‘L’Evangelo…’ – Vol. I, Cap. 46
 G.L.: ‘I vangeli di Matteo, Marco e Luca e del piccolo Giovanni’ –  Vol. II, Cap. 2 – Ed. Segno –     
 vedi  anche sito internet
5  Gv 1, 43-51
6  G.L.: “Il Vangelo del ‘grande’ e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. I, Cap. 2 – Ed. Segno, 2000 -  vedi anche il citato sito internet
7  Gv 2, 1-12
8  M.V. :‘L’Evangelo…’ – Vol. I, Cap. 52 – C.E.V.
 
Torna ai contenuti