VoceALTA-026 - ilCATECUMENO.it

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VOCE NARRANTE ♫ SIMONA SERAFINI
      
Dicembre 2004 → 2ª parte di due
026. Se Dio esiste ed è buono, perché allora consente ingiustizia, dolore, morte e non distrugge il Male?
Nulla è fatto senza fine buono nelle Opere di Dio: dal Male, che si è      volontariamente formato, Dio trae ancora un fine  buono…
Nella prima parte di questo Pensiero avevamo affrontato il tema del Male e di come possa conciliarsi l’esistenza di un Dio buono con il suo consentire ingiustizia, dolore, morte e con il non distruggere il Male.
Avevamo chiarito che il Male non è un principio metafisico ma una Realtà spirituale, anzi una personalità angelica, Lucifero, che ribellatosi a Dio era stato cacciato dal Cielo divenendo Satana, il Tentatore e Corruttore dell’uomo, in odio a Dio.
Il Peccato originale con la perdita dei doni divini di integrità ha comportato da un lato la degenerazione fisica dell’uomo, e quindi la malattia e la morte con la loro parte di sofferenza, dall’altro lato egoismo, odio, desiderio di prevaricazione, cioè l’altra fonte delle sofferenze dell’Umanità.
Il Male dunque esiste non perché sia Dio ad averlo voluto ma perché è stato l’uomo a volerselo attirare addosso ed ora ne paga le conseguenze.
Dio sa tuttavia scrivere giusto anche sulle righe storte ed utilizza le conseguenze del Peccato originale, e cioè la sofferenza, come mezzo di espiazione per i propri peccati.
Dio dà all’uomo la libertà di sbagliare ed a Satana quella di tentarlo e di metterlo alla prova.
Egli è infatti ‘Dio di Libertà’ e lascia gli uomini liberi di scegliere fra Bene e Male sia perché nella libertà sta la loro dignità sia perché la loro ‘scelta’ è Prova e nella prova, quando superata con un poco di buona volontà, sta il merito ai fini di una conquista del Paradiso, cioè di una Vita di felicità eterna.
Ricordo a proposito del fatto che Dio sa trarre qualcosa di buono anche dal Male che si è volontariamente formato, un episodio dell’Opera Valtortiana.1
Gesù era in quel periodo a Gerusalemme nell’imminenza della Festa delle Encenie, o della Purificazione o della Dedicazione del Tempio, praticamente alla fine del suo terzo anno di vita pubblica, alcuni mesi prima della Passione.
La festa veniva anche chiamata Festa delle Luci, e sia il Gesù che la Madonna che parlavano abitualmente alla nostra mistica le avevano precedentemente rivelato che era stato proprio nel giorno 25 del mese ebraico di casleu (corrispondente al nostro periodo di tempo di novembre/dicembre) che la Luce delle Genti era venuta al mondo a Betlemme.2
L’Uomo-Dio interrompeva spesso le sue peregrinazioni in Palestina per ‘salire’ al Tempio di Gerusalemme durante le festività religiose che sovente duravano più giorni.
Lo faceva non solo per onorare Dio-Padre e dare l’esempio ma pure per approfittare del grande afflusso di pellegrini - che venivano anche dai territori della Diaspora – per evangelizzarli, insieme a tanti pagani che affluivano al Tempio anche per curiosità intellettuale: cioè per ascoltare i discorsi ‘sapienti’ che i vari Dottori della Legge  tenevano nei piazzali o sotto i suoi portici.
Ovvio che Gesù – che aveva Sapienza ma anche una splendida vibrante oratoria che i Vangeli, che sono una sintesi, lasciano solo intuire – fosse il più ‘gettonato’.
L’episodio a cui mi riferisco, visto in visione dalla nostra mistica, avviene nelle circostanze raccontate sinteticamente dall’evangelista Giovanni (Gv 10, 22-40) quando accenna ad un tentativo di lapidare Gesù che – in precedenza - aveva fatto un discorso pubblico sul suo essere ‘Buon Pastore’ pronto a dare la vita per le sue pecore, Buon Pastore che esse seguono fiduciose sapendo che è un ‘Padrone’ che le ama e le protegge, contrariamente a quanto fa chi è pagato per condurle ma che è pronto ad abbandonarle ed a fuggire quando esse vengono aggredite dai ‘lupi’.
I sacerdoti del Tempio avevano il dente avvelenato, avendo capito che Egli – parlando di quei ‘cattivi pastori’ che portavano invece alla perdizione le ‘pecorelle’ - aveva in realtà alluso trasparentemente ad essi.
Gesù – dicevo all’inizio – stava passeggiando dunque sotto i portici di Salomone, seguito dai suoi apostoli. Viene subito adocchiato da quelli del Tempio che lo ‘posteggiavano’ per avvicinarlo e  interrogarlo nella speranza che qualcuna delle sue risposte potesse essere utile a farlo incriminare legalmente. Gli si avvicinano untuosi, con sorrisi ipocriti di falsa sincerità e gli fanno domande con tono accattivante.
Gesù aveva appena finito di liberare una giovinetta, posseduta dal demonio, che urlava, spumava e si divincolava profferendo ingiurie tremende.
Le circostanze erano dunque adatte ad un qualche approfondimento sul tema del Male.
Quelli gli chiedono che dica loro apertamente se Egli è veramente il Cristo, cioè il Messia, l’Unto del Signore nella speranza che Egli lo ribadisse ufficialmente di fronte a tutti e poterlo accusare di ‘bestemmia’.
Mancano solo pochi mesi alla conclusione sulla Croce della sua missione e Gesù non vuole perdere occasione per cercare di convertire i Capi dei giudei, anche in extremis.
Egli risponde dunque di averlo detto nelle case, gridato nelle vie e nelle piazze, ripetuto nelle sinagoghe e nel Tempio, e di averlo soprattutto dimostrato con le proprie opere che testimoniavano la sua natura, opere che non erano però fine a se stesse ma fatte per utilità collettiva, cioè per cercare di convincere gli uomini di allora e quelli del futuro della propria divinità. Era il Padre suo che gli dava quel potere, perché nulla è fatto senza un fine buono nelle Opere di Dio.
‘Ricordatevelo sempre! Meditate questa verità’, conclude Gesù quel suo discorso.
Egli tace poi un attimo, fissa uno dei presenti e…, ma…, ma qui facciamo finalmente parlare Maria Valtorta:
Gesù ha un momento di arresto.  Fissa lo sguardo su un giudeo che sta a capo chino e dice poi: «Tu che stai così pensando, tu dalla veste color d'uliva matura, ti chiedi se ha fine buono anche Satana. Non essere stolto per essere a Me contrario e cercare l'errore nelle mie parole.  Ti rispondo che Satana non è opera di Dio, ma della libera volontà dell'angelo ribelle.  Dio lo aveva fatto suo ministro glorioso, e perciò lo aveva creato a fine buono. Ecco, ora tu, parlando col tuo io, dici: ‘Allora Dio è stolto, perché aveva donato la gloria ad un futuro ribelle e affidato i suoi voleri ad un disubbidiente’.  
Ti rispondo: "Dio non è stolto ma perfetto nelle sue azioni e pensieri. E’ il Perfettissimo.  Le creature sono imperfette, anche le più perfette. Sempre un punto di inferiorità è in esse rispetto a Dio. Ma Dio, che le ama, ha concesso alle creature la libertà di arbitrio, perché attraverso ad essa la creatura si completi nelle virtù, e si faccia perciò più simile al Dio e Padre suo. E ancora ti dico, o derisore e astuto cercatore del peccato nelle mie parole, che dal Male, che si è volontariamente formato, Dio trae ancora un fine buono: quello di servire a far possessori gli uomini di una gloria meritata. Le vittorie sul Male sono la corona degli eletti.  Se il Male non potesse suscitare una conseguenza buona per i volonterosi di volontà buona, Dio lo avrebbe distrutto. Perché nulla di quanto è nel Creato deve essere totalmente privo di incentivo o di conseguenza buoni.
Non rispondi?  Ti è duro dover proclamare che ti ho letto in cuore e che ho vinto le illazioni ingiuste del tuo pensiero tortuoso? Non ti forzerò a farlo.  Al cospetto di tanti ti lascio nella tua superbia. Non reclamo che tu mi proclami vittorioso. Ma quando sarai solo con questi, simili a te, e con quelli che vi hanno mandato, allora confessa pure che Gesù di Nazaret ha letto i pensieri della tua mente e ti ha strangolato le obbiezioni nella strozza con la sola arma della sua parola di verità…

1  M.V.: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VIII - Cap. 537 – Centro Ed. Valtortiano
 G.L. :  “Il Vangelo del ‘grande’ e del ‘piccolo’ Giovanni” – Vol. II, Cap. 11.3 – Ed. Segno, 2000
2  M.V.: “L’Evangelo…’ – Vol. II, Cap. 136 e Vol. III, Cap. 207.8 – Centro Ed. Valtortiano
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