CREDO-2 - ilCATECUMENO.it

Vai ai contenuti
1. LA CHIESA È QUELLA CHE CI AIUTA A CRESCERE ED È SANTA, PERCHÉ È A LEI CHE GESÙ HA AFFIDATO LA MISSIONE DI PRENDERSI CURA E DI FARE CRESCERE SPIRITUALMENTE I SUOI ‘FIGLI’ GRAZIE ALLA REDENZIONE E AI ‘TESORI’ SPIRITUALI CHE EGLI LE HA LASCIATO PRIMA DI ASCENDERE AL CIELO.
1.1 La Chiesa in parabola.
Giunti quasi al termine delle ‘riflessioni’ sul ‘Credo’, potremmo dire di avere appreso e meditato insieme davvero non poco, fino ad oggi.
Infatti non basta limitarsi a ‘leggere’ quanto vi viene proposto ma bisogna meditarne i contenuti quasi ‘scolasticamente’ ed interiorizzarli non solo per la propria crescita spirituale ma proprio in previsione di quella piccola o grande ‘Nuova Evangelizzazione’ valtortiana che è lo scopo principale della fondazione del Movimento e del vostro volervi applicare, nell’ambito delle vostre possibilità.
Vi abbiamo proposto molti brani valtortiani, e molti di più se ne sarebbero potuti portare alla vostra attenzione per ulteriori approfondimenti, ma ha prevalso la preoccupazione di non ‘appesantire’ lo studio che – già nei termini attuali - è abbastanza gravoso per voi che leggete, anche a causa della frequenza ‘settimanale’ dell’invio di queste riflessioni, due per settimana per gli otto mesi previsti.
L’argomento di questa mia ulteriore ‘riflessione’ sul Credo riguarda dunque il tema della ‘Santa Chiesa cattolica’ e della ‘Comunione dei Santi’.
Di cosa sia ‘la Chiesa in generale ed in particolare’, come pure cosa sia ‘la Chiesa docente e discente’ ed inoltre cosa siano ‘il Papa e i Vescovi’ ve lo spiega con chiarezza e senza tema di alcun errore il Catechismo della Chiesa cattolica, per cui basta un Clik sul link riportato in nota a piè di pagina.
Lì vi è tutto quanto è necessario conoscere.
Ma io vorrei parlarvi della Chiesa in modo diverso, da ‘uomo della strada’, facendomi insieme a voi – per quanto attiene le mie esperienze di uomo ‘laico’ – alcune domande.
Come è percepita oggi - la Chiesa - dai comuni ‘cristiani’?
Che cosa risponderebbe il primo passante al quale – come vediamo fare in certe interviste volanti televisive - chiedessimo a bruciapelo che cosa è la ‘Chiesa’?
Cosa risponderebbe, inoltre, se gli domandassimo cosa vuol dire ‘Chiesa cattolica’ e ‘apostolica’?
Ricordo al riguardo una conversazione che ebbi alcuni anni fa con una coppia di carissimi amici, marito e moglie.
Sapevo bene che non erano credenti, anzi lui – peraltro una bravissima persona - era addirittura ateo.
Oltre che l’amicizia ventennale ci legava la comune passione agricola per i nostri vigneti piemontesi e l’ottimo buon vino di nostra produzione che ‘invecchiava’ nelle botti delle rispettive cantine.
Li avevo invitati a pranzo in una giornata invernale e gli argomenti di conversazione agricola – dalla vinificazione alla manutenzione dei nostri trattori cingolati da collina, da quella dei trattamenti anticrittogramici per le viti a quelli antiparassitari per le piante da frutto, non trascurando le cure assidue per l’orto che, come dice il detto, ‘vuole l’uomo morto’ - ci avevano consentito di fare passare piacevolmente il tempo.
Il ‘clima’ mi sembrava adatto ed io contavo di aspettare il momento opportuno dopo il pranzo - approfittando di un buon caffè, seduti in una comoda poltrona di fronte alla intimità di una fiamma rilassante di un caminetto – per trovare il modo di affrontare il tema della Fede, ovviamente ricorrendo agli insegnamenti dell’Opera di Gesù che voi ben conoscete.
Mi sentivo però un poco a disagio non sapendo come cominciare, mentre mia moglie - servendo a tutti il caffè - mi guardava con aria incoraggiante e … complice nello stesso tempo.
Allora, non sapendo come avrei potuto introdurre l’argomento senza metterli in imbarazzo, presi lo spunto da un mio libro sui Vangeli che dissi loro esser stato appena pubblicato, libro nel quale avevo cercato di mettere a fuoco la vita di Gesù, e chiesi loro cosa ne pensassero della sua ‘figura’.
Mentre il mio amico – sprofondato nella sua poltrona con le gambe accavallate nascondeva un sorrisetto sornione sotto i baffi e cercava di prendere tempo, aspirando voluttuosamente a grandi boccate dalla pipa che aveva appena finito di ricaricare ed accendere - sua moglie, dopo un attimo di riflessione, mi rispondeva candidamente: ‘Gesù? Mah…, era un guaritore, una specie di pranoterapeuta, no?’.
Mi cascarono le braccia e capii che era forse meglio non insistere, almeno per quella volta, anche se il mio amico, anni dopo, ebbe a convertirsi, complice in parte la Valtorta.
Non deve però meravigliare troppo una risposta del genere perché stiamo vivendo in una società ‘occidentale’ cosiddetta cristiana ma che ormai da molti decenni si è quasi completamente scristianizzata.
E’ una società dove fin dalle prime classi elementari ti insegnano che l’uomo non è stato creato da Dio ma discende da una scimmia, una società dove in televisione ti mostrano documentari davvero splendidi sulla vita animale e sul mondo vegetale e ti spiegano che sono le meraviglie non di Dio ma della ‘Natura’.
E’ una società dove – per rimanere all’Europa e alla sua Costituzione - si negano le radici cristiane della sua cultura.
Una società dove nelle Scuole non viene più insegnata ‘la’ Religione ma ‘le’ religioni.
Una società dove anche Gesù non viene più insegnato, al punto che – grazie alla cultura laica ormai dominante sui mass-media - è diventato per molti praticamente uno sconosciuto, o meglio il nome di un uomo ‘prestigioso’ come quello di un Gandhi o di un Martin Luther King.
Una società dove affrontare il tema sulla persona di Gesù con degli estranei pare già di per sé essere una cosa imbarazzante, quasi come chiedere a qualcuno di che idea politica sia o per chi voterà la prossima volta, insomma una cosa ‘politicamente scorretta’, come suol dirsi.
Eppure – ritornando alla risposta della mia amica - anche la maggioranza degli ebrei di 2000 anni fa, nonostante i miracoli strepitosi di Gesù chiaramente soprannaturali, pensavano che lui fosse solamente una sorta di guaritore, o anche un esorcista perché scacciava i demoni, e neppure la resurrezione di Lazzaro, ormai nella tomba da quattro giorni, servì a convincerli che solo un Uomo-Dio poteva operare una ‘guarigione’ del genere, fatto che divenne anzi la causa scatenante della decisione da parte del Sinedrio di farlo morire prima che con i suoi miracoli le folle lo seguissero ovunque e mettessero in discussione il ruolo di potere della Casta sacerdotale e politica dominante.
Dunque ritornando al tema iniziale - in questo mondo occidentale scristianizzato o, ancor peggio, laicista se non ateo, tanto da indurre nel 2012 la Chiesa a proclamare nell’ottobre del 2011 l’Anno della Fede - la risposta più comune alla domanda rivolta all’ipotetico passante su che cosa sia la Chiesa, potrebbe essere: ‘la Chiesa… sono i preti, quelli delle parrocchie e del Vaticano’, anzi la Chiesa ‘è’… il Vaticano!
Se la risposta dell’ipotetico passante fosse davvero questa, meglio allora non approfondire cosa significhi il chiamarla ‘santa’ e ‘cattolica’, salvo che – per quanto concerne la definizione di ‘apostolica’ - la loro risposta potrebbe essere che è stata appunto fondata dagli ‘apostoli’ , anziché da Gesù Cristo.
Fatto peraltro che non sarebbe molto distante dalle opinioni di alcuni teologi che dicono addirittura che il vero Fondatore della religione cristiana sia stato… Paolo di Tarso.
Gesù su cosa fosse la Sua Chiesa aveva invece le idee ben chiare anche se – quando doveva spiegare alle folle spiritualmente incolte delle cose complesse – ricorreva a delle parabole che avevano il pregio di trasmettere almeno lo ‘spirito’ dell’insegnamento.
Ecco come Egli aveva dunque parlato della Chiesa in un suo ‘Dettato’ alla mistica Valtorta e come noi potremmo rispiegarla ai religiosamente ‘incolti’ di oggi (i grassetti sono miei):
^^^^^
5 luglio 1943.
Dice Gesù:
«La mia Chiesa è simile ad un grande giardino che circonda il palazzo di un grande re.
Il re, per motivi suoi, non esce dal palazzo e perciò, dopo avere seminato i fiori e le piante più belle, ha delegato un giardiniere a tutelare la sua Chiesa.
Il giardiniere, a sua volta, ha molti aiutanti che lo coadiuvano.
Nel giardino vi sono fiori e piante di tutte le specie. Dal re furono sparpagliate sulle aiuole, per renderle fertili, tutte le sostanze fertilizzanti, e una volta fiorivano solo fiori e piante utili e belle.
Nel centro del giardino è una fontana dalle sette bocche che manda i suoi canali per ogni dove e alimenta e ristora piante e fiori.
Ma il Maligno, nell’assenza del re, è entrato ed ha sparso a sua volta semi nocivi. Di modo che il giardino ora presenta un aspetto disordinato, per non dire desolante.
Erbacce malsane, spinose, venefiche, si sono distese dove prima erano bordure, aiuole, cespugli bellissimi, e li hanno soffocati o resi grami perché hanno succhiato gli umori della terra e impedito al sole di scendere sulle pianticelle.
Il giardiniere e i suoi aiutanti si affannano a rimondare, ad estirpare, a raddrizzare pianticelle piegate sotto il peso di altre malsane. Ma se lavorano di qua, il Maligno lavora di là, e così il giardino presenta sempre il suo aspetto desolato.
Serpi, rospi, lumache approfittano del disordine per annidarsi, per rodere per sbavare.
Qua a là qualche pianta robusta resiste a tutto e fiorisce alta nel cielo, qualche aiuola anche, specie se di gigli e rose. Ma le belle bordure delle margheritine e delle violette sono quasi completamente cancellate.
Quando il re verrà, non conoscerà più il suo bel giardino divenuto selvaggio e con ira strapperà le erbacce, schiaccerà gli animali lubrici, coglierà i fiori rimasti e li porterà nel suo palazzo, cancellando per sempre il giardino.
(…)
^^^^
Bella la parabola, vero? E non mi dite che non avete compreso l’allegoria…!
Ma i cristiani che non sono pratici di ‘giardinaggio’, la capiranno?
Ecco allora la spiegazione per loro, perché Gesù poco dopo aggiunge:
^^^^
(…)
Ora, attenta alla spiegazione.
Il re è Gesù Cristo.
Il giardino è la sua Chiesa militante.
Il giardiniere è il mio Pietro, e i suoi aiutanti sono i sacerdoti.
I fiori e le piante, i consacrati fedeli, i battezzati.
Le sostanze fertilizzanti, le virtù e soprattutto il Sangue mio, sparso tutto per fecondare il mondo e rendere fertile la terra alla semente di vita eterna.
La fontana sono i sette sacramenti.
I semi nocivi sono i vizi, le passioni, i peccati seminati da Satana in odio a Me.
Il disordine è dato dal fatto che le piante buone non hanno reagito e si sono lasciate soffocare da quelle malvagie che annullano il beneficio del mio Sangue, dei miei Sacramenti, del Sole della grazia.
Il Sommo Giardiniere e i suoi pochi, veri aiutanti, non riescono a mettere ordine per la mala volontà delle piante buone, per la loro pigrizia spirituale, e per la mala volontà e pigrizia di molti falsi giardinieri che non si affaticano nel santo lavoro di coltivare, aiutare, raddrizzare le anime.
I serpi, i rospi e le lumache sono le tentazioni.
Se tutti i giardinieri fossero solerti e se tutte le piante fossero vigilanti, essi verrebbero schiacciati.
Invece le anime non chiamano in soccorso la chiesa quando comprendono che la tentazione è più forte di loro, e gli ecclesiastici non accorrono, non tutti, quando una delle povere anime, che Io ho pagate col mio Dolore e affrancate in anticipo col mio Sangue, chiede soccorso.
Le piante buone che resistono sono i veri sacerdoti: dal mio Vicario Giardiniere Sommo e sommo albero che alza fino al cielo la sua cima intrepida e retta, ai semplici sacerdoti che sono rimasti sale della terra.
Le aiuole, specie di rose e gigli, sono le anime verginali e le anime amanti.
Ma le bordure delle margheritine: l’innocenza; e quelle di violette: la penitenza, mostrano un aspetto desolante.
L’innocenza nasce e fiorisce, ma presto non è più, perché la malizia, la lussuria, il vizio, l’imprudenza, la distruggono.
La penitenza è letteralmente prosciugata dalla gramigna della tiepidezza. Solo qualche esemplare resiste. Ed è quell’esemplare che profuma, con odore di purificazione, un largo raggio di giardino dai miasmi del Male.
Quando Io verrò, nell’ora mia terribile, strapperò, calpesterò, distruggerò erbe maledette e parassiti maledetti, cancellerò il giardino dall’universo, portando con Me, nell’interno della mia reggia, le piante benedette, i benedetti fiori che hanno saputo resistere e fiorire per la mia gioia.
E guai a coloro che saranno divelti da Me e lanciati nel regno di Mammona, il malvagio seminatore che hanno preferito al Seminatore divino; e guai a coloro che hanno preferito ascoltare la voce delle serpi e dei rospi e il bacio delle lumache alla voce dei miei angeli e al bacio della mia grazia. Meglio per loro sarebbe stato se mai non fossero nati!
Ma gioia, gioia eterna a coloro che mi sono rimasti servi buoni, fedeli casti, innamorati. E gioia, ancora più grande, a quelli che hanno voluto essere doppiamente miei seguaci prendendo le vie del Calvario per loro via, per compiere nel loro corpo quanto manca ancora all’eterna passione del Cristo.
I loro corpi glorificati splenderanno come soli nella vita eterna perché si saranno nutriti del mio duplice pane: Eucarestia e Dolore, e avranno aumentato del loro sangue il gran lavacro iniziato da Gesù, il capo, e proseguito da essi, le membra per mondare i fratelli e dare gloria a Dio.»
(…)

1.2 Il Tempio nuovo, la mia Chiesa, sorgerà soltanto quando il vostro cuore ospiterà Dio, ed Egli con voi, vive pietre, edificherà la sua Chiesa… la Nuova Gerusalemme… giungerà ad espandersi per tutti i confini del mondo e che, completa e perfetta, senza mende, senza ombre, vivrà eterna nel Cielo…
Vi è però un altro brano tratto dall’Opera valtortiana in cui Gesù parla in maniera molto più profonda della Chiesa.
E’ il Mercoledì santo, Gesù è al Tempio di Gerusalemme dove parla del maggiore dei comandamenti, dell’obolo della vedova e lancia con l’occasione una invettiva contro scribi e farisei.
Dopo vi è una pausa di riposo, fuori del Tempio, e ad un certo punto un discepolo, Mattia, chiede a Gesù dei chiarimenti sul futuro Nuovo Tempio di cui Egli in più di una occasione ha accennato ma senza entrare troppo nei particolari (i grassetti sono miei):
^^^^
(…)
Mattia, l'ex pastore, si avvicina a Gesù e chiede: «Signore e Maestro mio, io ho molto pensato coi compagni alle tue parole finché la stanchezza ci prese, e dormimmo prima di avere potuto risolvere il quesito che ci eravamo posti. E ora siamo più stolti di prima. Se abbiamo bene capito i discorsi di questi giorni, Tu hai predetto che molte cose si cambieranno benché la Legge resti immutata e che si dovrà edificare un nuovo Tempio, con nuovi profeti, sapienti e scribi, contro il quale saranno date battaglie, e che non morrà, mentre questo, sempre se si è capito bene, pare destinato a perire».
«É destinato a perire. Ricorda la profezia di Daniele...».
«Ma noi, poveri e pochi, come potremo edificarlo di nuovo se fecero fatica a edificare questo i re? Dove lo edificheremo? Non qui, perché Tu dici che questo luogo resterà deserto sino a che essi non ti benediranno come mandato da Dio».
«Così è».
«Nel tuo Regno, no. Siamo convinti che il tuo Regno è spirituale. E allora come, dove lo stabiliremo? Tu ieri hai detto che il vero Tempio - e non è quello il vero Tempio? - che il vero Tempio, quando crederanno di averlo distrutto, allora sarà che salirà trionfante alla Gerusalemme vera. Dove è dessa? Molta confusione è in noi».
«Così è. I nemici distruggano pure il vero Tempio. In tre giorni Io lo farò risorgere, e non conoscerà più insidia salendo dove l'uomo non può nuocere. Riguardo al Regno di Dio, esso è in voi e ovunque sono uomini che credono in Me. Sparso per ora, succedentesi sulla Terra nei secoli. Poi eterno, unito, perfetto nel Cielo. Là, nel Regno di Dio, sarà edificato il nuovo Tempio, ossia là dove sono spiriti che accettano la mia dottrina, la dottrina del Regno di Dio, e ne praticano i precetti.
Come sarà edificato se siete poveri e pochi? Oh! in verità non necessitano denari e poteri per edificare l'edificio della nuova dimora di Dio, individuale o collettiva.
Il Regno di Dio è in voi. E l'unione di tutti coloro che avranno in loro il Regno di Dio, di tutti coloro che avranno Dio in loro - Dio: la Grazia; Dio: la Vita; Dio: la Luce; Dio: la Carità - costituirà il grande Regno di Dio sulla Terra, la nuova Gerusalemme che giungerà ad espandersi per tutti i confini del mondo e che, completa e perfetta, senza mende, senza ombre, vivrà eterna nel Cielo.
Come farete a edificare Tempio e città? Oh! non voi, ma Dio edificherà questi luoghi nuovi. Voi dovrete soltanto dargli la vostra buona volontà. Buona volontà è permanere in Me. Vivere la mia dottrina è buona volontà. Stare uniti è la buona volontà. Uniti a Me sino a fare un sol corpo che è nutrito, nelle sue singole parti e particelle, da un unico umore. Un unico edificio che è poggiato su un'unica base e tenuto unito da una mistica coesione. Ma siccome senza l'aiuto del Padre, che vi ho insegnato a pregare e che pregherò per voi prima di morire, voi non potreste essere nella Carità, nella Verità, nella Vita, ossia ancora in Me e con Me in Dio Padre e in Dio Amore, perché Noi siamo un'unica Divinità, per questo vi dico di avere Dio in voi per poter essere il Tempio che non conoscerà fine. Da voi non potreste fare.
Se Dio non edifica, e non può edificare dove non può prendere dimora, inutilmente gli uomini si agitano a edificare o a riedificare. Il Tempio nuovo, la mia Chiesa, sorgerà soltanto quando il vostro cuore ospiterà Dio, ed Egli con voi, vive pietre, edificherà la sua Chiesa».
«Ma non hai detto che Simone di Giona ne è il Capo, la Pietra sulla quale si edificherà la tua Chiesa? E non hai fatto capire anche che Tu ne sei la pietra angolare? Chi dunque ne è il capo? C'è o non c'è questa Chiesa?», interrompe l'Iscariota.
«Io sono il Capo mistico. Pietro ne è il capo visibile. Perché Io ritorno al Padre lasciandovi la Vita, la Luce, la Grazia, per la mia Parola, per i miei patimenti, per il Paraclito che sarà amico di coloro che mi furono fedeli. Io sono un'unica cosa con la mia Chiesa, mio Corpo spirituale di cui Io sono il Capo. Il capo contiene il cervello o mente. La mente è sede del sapere, il cervello è quello che dirige i moti delle membra coi suoi immateriali comandi, i quali sono più validi per far muovere le membra di ogni altro stimolo. Osservate un morto, nel quale morto è il cervello. Ha forse più moto nelle sue membra? Osservate uno completamente stolto. Non è forse inerte al punto da non saper avere quei rudimentali moti istintivi che l'animale più inferiore, il verme che schiacciamo passando, ha?
Osservate uno nel quale la paralisi ha spezzato il contatto delle membra, uno o più membra, col cervello. Ha forse più moto nella parte che non ha più legame vitale col capo? Ma se la mente dirige con i suoi immateriali comandi, sono gli altri organi - occhi, orecchie, lingua, naso, pelle - che comunicano le sensazioni alla mente, e sono le altre parti del corpo che eseguiscono e fanno eseguire ciò che la mente, avvertita dagli organi, materiali e visibili quanto l'intelletto è invisibile, comanda. Potrei Io, senza dirvi: "sedete", ottenere che voi sediate su questa costa di monte?
Anche se Io lo penso che voglio vi mettiate seduti, voi non lo sapete finché Io non traduco il mio pensiero in parole e dico queste, usando lingua e labbra.
Potrei Io stesso sedermi, se lo pensassi soltanto, perché sento la stanchezza delle gambe, ma se queste rifiutassero di piegarsi e mettermi così seduto? La mente ha bisogno di organi e membra per fare e per far fare le operazioni che il pensiero pensa.
Così nel corpo spirituale che è la mia Chiesa Io sarò l'Intelletto, ossia la testa, sede dell'intelletto; Pietro e i suoi collaboratori coloro che osservano le reazioni e percepiscono le sensazioni e le trasmettono alla mente, perché essa illumini e ordini ciò che è da fare per il bene di tutto il corpo, e poi, illuminati e diretti dall'ordine mio, parlino e guidino le altre parti del corpo.
La mano che respinge l'oggetto che può ferire il corpo, o allontana ciò che, corrotto, può corrompere; il piede che scavalca l'ostacolo senza urtarvi e cadere e ferirsi, hanno avuto comando di farlo dalla parte che dirige. Il fanciullo, e anche l'uomo, che è salvato da un pericolo, o che fa un guadagno di qualsiasi specie - istruzione, affari buoni, matrimonio, buona alleanza per un consiglio ricevuto, per una parola detta – è per quel consiglio e quella parola che non si nuoce o che si benefica.
Così sarà nella Chiesa. Il capo, e i capi, guidati dal divino Pensiero e illuminati dalla divina Luce e istruiti dall'eterna Parola, daranno gli ordini e i consigli, e le membra faranno, avendo spirituale salute e spirituale guadagno.
La mia Chiesa già è, poiché già possiede il suo Capo soprannaturale e il suo Capo divino e ha le sue membra: i discepoli.
Piccola ancora - un germe che si forma - perfetta unicamente nel Capo che la dirige, imperfetta nel resto, che ha bisogno del tocco di Dio per essere perfetta e del tempo per crescere.
Ma in verità vi dico che essa già è, e che è santa per Colui che ne è il Capo e per la buona volontà dei giusti che la compongono.
Santa e invincibile. Contro di essa si avventerà una e mille volte, e con mille forme di battaglia, l'inferno fatto di demoni e di uomini-demoni, ma non prevarranno.
L'edificio sarà incrollabile. Ma l'edificio non è fatto di una sola pietra. Osservate il Tempio, là, vasto, bello, nel sole che tramonta. É forse fatto di una sola pietra? É un complesso di pietre che fanno un unico armonico tutto. Si dice: il Tempio. Cioè una unità. Ma questa unità è fatta delle molte pietre che l'hanno composta e formata. Inutile sarebbe stato fare le fondamenta, se esse non avessero poi dovuto sorreggere le mura e il tetto, se su esse non avessero poi avuto ad innalzarsi le mura. E impossibile sarebbe stato alzare le mura e sostenere il tetto, se non fossero state fatte per prime le fondamenta solide, proporzionate a si gran mole.
Così, con questa dipendenza delle parti, una dall'altra, sorgerà anche il Tempio novello.
Nei secoli voi lo edificherete appoggiandolo sulle fondamenta che Io gli ho dato, perfette, per la sua mole. Lo edificherete con la direzione di Dio, con la bontà delle cose usate a innalzarlo: spiriti che Dio inabita.
Dio nel vostro cuore, a fare di esso pietra polita e senza incrinature per il Tempio nuovo.
Il suo Regno stabilito con le sue leggi nel vostro spirito. Altrimenti sareste mattoni malcotti, legno tarlato, pietre scheggiate e farinose che non reggono e che il costruttore, se avveduto, respinge, o che fallano, cedono, facendo crollare una parte se il costruttore, i costruttori preposti dal Padre alla costruzione del Tempio, sono costruttori idoli che si pavoneggiano nel loro onore senza vegliare e faticare sulla costruzione che si innalza e sui materiali usati per farla.
Costruttori idoli, tutori idoli, custodi idoli, ladri! Ladri della fiducia di Dio, della stima degli uomini, ladri e orgogliosi che si compiacciono di aver modo di aver guadagno, e modo di avere numeroso mucchio di materiali, e non osservano se sono buoni o scadenti, causa di rovina.
Voi, novelli sacerdoti e scribi del novello Tempio, ascoltate.
Guai a voi e a chi dopo voi si farà idolo e non veglierà e sorveglierà se stesso e gli altri, i fedeli, per osservare, saggiare la bontà delle pietre e del legname, senza fidarsi delle apparenze, e causerà rovine lasciando che materiali scadenti, o addirittura nocivi, siano lasciati usare per il Tempio, dando scandalo e provocando rovina.
Guai a voi se lascerete crearsi crepacci e muraglie insicure, storte, facili al crollo non essendo equilibrate sulle basi che sono solide e perfette.
Non da Dio, Fondatore della Chiesa, ma da voi verrebbe il disastro, e ne sareste responsabili davanti al Signore e agli uomini.
Diligenza, osservazione, discernimento, prudenza! La pietra, il mattone, la trave debole, che in un muro maestro sarebbero rovina, possono servire per parti di minore importanza, e servire bene. Così dovete saper scegliere. Con carità per non disgustare le deboli parti, con fermezza per non disgustare Dio e rovinare il suo Edificio.
E se vi accorgete che una pietra, già posta a sorreggere un angolo maestro, non è buona o non è equilibrata, siate coraggiosi, audaci, e sappiatela levare da quel posto, mortificatela squadrandola con lo scalpello di un santo zelo.
Se urla di dolore non importa. Vi benedirà poi nei secoli, perché voi l'avrete salvata.
Spostatela, mettetela ad altro ufficio. Non abbiate paura anche di allontanarla del tutto se la vedete oggetto di scandalo e rovina, ribelle al vostro lavoro.
Meglio poche pietre che molta zavorra. Non abbiate fretta. Dio non ha mai fretta, ma ciò che crea è eterno, perché ben ponderato prima di eseguirlo. Se non eterno, è duraturo quanto i secoli.
Guardate l'Universo. Da secoli, da migliaia di secoli, è come Dio lo fece con operazioni successive. Imitate il Signore. Siate perfetti come il Padre vostro. Abbiate la sua Legge in voi, il suo Regno in voi. E non fallirete. Ma, se non foste così, crollerebbe l'edificio, invano vi sareste affaticati a innalzarlo.
(…)
1.3 Noi spesso confondiamo la Chiesa con le sue gerarchie, ma la Chiesa è in realtà una entità spirituale, mistica, il cui Fondatore e Capo è Gesù: essa è l’unità spirituale di tutti i credenti, e delle gerarchie – che non sempre, in quanto umane, sanno comportarsi bene anche se dentro di essa pullulano i santi.
Della Chiesa, della sua funzione ed importanza, non ce ne parla tuttavia solo Gesù ma anche Azaria, l’Angelo Custode di Maria Valtorta.
In una delle sue numerose ‘lezioni’ alla mistica – parlando della Parola di Dio – le dice che la stessa è posta innanzi agli uomini come elemento di confronto fra il Bene e il Male e - a seconda di che pasta gli uomini sono fatti – essi reagiscono bene o male di fronte alla Parola.
E Dio allora giudica.
Dio – continua l’Angelo – fa ascoltare la sua ‘Voce’ nei momenti di tranquillità spirituale, quando il nostro ‘io’ non è frastornato e distratto dal ‘mondo’ che ci circonda, quando insomma l’uomo è solo con se stesso.
Non basta essere battezzati ma bisogna imparare a crescere nello spirito, e quella che ci aiuta a crescere (ed è questo l’elemento centrale di questa lezione di Azaria) è la Chiesa, che è Santa, perché è a lei che Gesù ha affidato la missione di prendersi cura e di fare crescere spiritualmente i suoi ‘figli’ grazie alla Redenzione e ai ‘tesori’ spirituali che Egli le ha lasciato prima di ascendere al Cielo.
Egli ha lasciato infatti i Sette Sacramenti perché appunto la Chiesa potesse distribuirli.
Il cristiano battezzato – spiega al riguardo Azaria – si può considerare come un piccolo fanciullino che deve accogliere gli alimenti che gli dà la Madre.
Se il piccolo li rifiuta, o li prende insufficientemente e malvolentieri perché gli fanno nausea, se preferisce mescolarli ad altri alimenti meno o per nulla nutrienti, ecco che egli – se non muore per denutrizione – cresce debole, rachitico, oppure immaturo, stato questo che non è di per sé colpa grave ma che lo obbligherà – per aver voluto rifiutare gli alimenti che gli erano stati posti gratuitamente a disposizione per la sua crescita spirituale – ad una lunga sosta in Purgatorio per espiare le sue colpe, purificarsi, e raggiungere lì in tale maniera l’età spiritualmente perfetta che sola gli consentirà l’ingresso in Paradiso.
Il ‘fanciullo’, in quanto ‘figlio’ di Dio, è sotto tutti i punti di vista ‘erede’, cioè avente pienamente diritto al Paradiso, ma finché rimane ‘fanciullo’ egli ha bisogno – come nel quadro legislativo della nostra vita civile - di un tutore, e la Madre Chiesa svolge appunto questo compito perché essa sa come perfettamente guidarlo nelle cose dello spirito.
Infatti nel fanciullo spirituale, ancorché battezzato e cioè mondato della Colpa del Peccato originale, permangono pur sempre le sue conseguenze, cioè i ‘fomiti’, e questi sono come quei carboni ardenti che riprendono colore e calore al primo soffio dell’alito di Satana, fino a diventare fiamma che divampa e brucia.
Per divenire ‘spirituale’ il ‘fanciullo’ ha bisogno dello Spirito di Dio e quest’ultimo gli viene attraverso la Chiesa e attraverso i Sacramenti elargiti dalla Chiesa stessa.
Senza volere appartenere alla Chiesa è difficile mantenere una spiritualità che l’uomo dovesse, anche per grazia, avere ricevuta.
Guai pensare di avere Dio in sé – come non solo i comunemente battezzati ma anche gli ‘strumenti’ potrebbero pensare – e ritenere superbamente di starsene fuori dalla Chiesa ritenendo di non averne bisogno.
Quelli che così pensassero apparirebbero ‘sozzi’ agli occhi di Dio.
Proprio per queste ragioni, fondamentali per la crescita del Cristiano, Gesù ebbe a dire che la Chiesa – con le sue gerarchie - sarebbe stata eterna e che contro di essa non avrebbero mai prevalso le forze dell’Inferno.
Contingenze storiche – chiarisce ancora Azaria - potranno ridurla in soggezione, farla sembrare quasi travolta, in un mondo invaso dalla perversione, ma sarà proprio a quel punto che l’Umanità sentirà il bisogno di respirare ‘aria pura’, aprirà le finestre e l’ossigeno alimenterà fino a fare brillare di nuova e potente fiamma quella Chiesa che sembrava ridotta allo stato di brace destinata a consumarsi e spegnersi sotto la cenere.
Quanto più Satana afferrerà con l’Odio l’Umanità, scaraventandola violentemente come una palla sul terreno fangoso, tanto più – dice Azaria -  quella palla rimbalzerà con forza verso l’alto.
Sarà questo il momento dello Spirito Santo, l’Era dello Spirito Santo, l’Era della Luce che illuminerà le tenebre attuali dando finalmente il via al Regno di Dio in terra che succederà all’attuale regno di Satana, Regno – quello di Dio in terra – che darà la forza all’Umanità, in futuro, per affrontare l’ultima battaglia finale con Satana.  
Azaria invita quindi i ‘figli di Dio’ a non avere paura perché essi – anche non sapendo ben pregare – avranno dentro se stessi lo Spirito di Dio che pregherà per loro dicendo: ‘Abba! Padre!’.
Non deve dunque temere nulla chi dentro di sé può dire a Dio: ‘Padre!’.
I ‘figli’ di Dio – se si comportano come tali - non sono dei ‘servi’ che possano essere licenziati, perché essi hanno un naturale diritto ereditario sui beni del Padre, ed il Regno dei Cieli è intoccabile e nessuna forza del Male lo può raggiungere.
Davvero Interessante – pur nella mia sintesi - questa spiegazione semplice e chiara che Azaria dà sul ruolo della Chiesa. Anzi le vive immagini alle quali è ricorso sembrano anch’esse una parabola per noi ‘fanciullini spirituali’ e anche un poco ‘rachitici’.
Noi – dunque - confondiamo spesso la Chiesa con le sue gerarchie, ma la Chiesa è in realtà una entità spirituale, mistica, il cui Fondatore e Capo è Gesù: essa è l’unità spirituale di tutti i credenti, e delle gerarchie.
Esse non sempre, in quanto umane, sanno comportarsi bene anche se dentro la Chiesa pullulano i santi. Le gerarchie ne sono la ‘mano’ operativa, quella che dispensa appunto non solo la Dottrina, che in quanto spirituale è infallibile perché guidata dallo Spirito Santo, ma i Sette Sacramenti.
Particolarmente davvero immaginifico l’esempio del cristiano ‘infante spirituale’ che per diventare ‘cristiano spiritualmente adulto’ – ammesso che arrivi mai ad essere tale – ha appunto bisogno della Madre Chiesa che lo sappia ‘alimentare’ per farlo crescere spiritualmente dotato.
Degno inoltre di ulteriore messa a fuoco quel riferimento di Azaria a Satana, riferimento che qui sotto ritrascrivo, con l’Umanità da lui scagliata con odio come una ‘palla’ giù nel ‘fango’, palla che però rimbalza verso l’alto.
Questa immagine è però seguita da quello strano accenno di Azaria all’Era successiva dello Spirito Santo.
^^^^
Quanto più Satana afferrerà con l’Odio l’Umanità, scaraventandola violentemente come una palla sul terreno fangoso, tanto più – dice Azaria -  quella palla rimbalzerà con forza verso l’alto. Sarà questo il momento dello Spirito Santo, l’Era dello Spirito Santo, l’Era della Luce che illuminerà le tenebre attuali dando finalmente il via al Regno di Dio in terra che succederà all’attuale regno di Satana, Regno – quello di Dio in terra – che darà la forza all’Umanità, in un futuro, per affrontare l’ultima battaglia finale con Satana.
^^^^
Questo concetto espresso da Azaria nella sua ‘lezione’, che io ho parafrasato, ci deve essere di conforto proprio ora nei tempi anticristici dell’attuale regno di Satana, tempi di odio e di grande apostasia che stiamo tutti vivendo.
Quanto più la ‘palla’ dell’Umanità verrà scagliata in basso, tanto più tenderà per reazione e quasi per legge fisica a rimbalzare verso l’alto, verso una più perfetta spiritualità: l’Era – appunto – dello Spirito Santo e del Regno di Dio in terra.
Quello di Azaria è anche un velato riferimento all’Apocalisse dove – secondo l’interpretazione letterale e non ‘allegorica’ – in un determinato momento della Storia si scatenerà sulla Terra la pienezza del regno di Satana, rappresentato dalle due Bestie del ‘mare’ e della ‘terra’, simbolo di due demoni servitori dell’Anticristo, il quale dominerà sia pur temporaneamente su una Umanità del tutto pervertita.
L’Umanità – che Satana avrebbe voluto distruggere servendosi dell’Anticristo – rimbalzerà però verso l’alto, aprendo disperatamente la bocca all’ossigeno della spiritualità, e sarà quel grido disperato e strozzato invocante ‘aria’, ciò che indurrà il Verbo-Gesù - su un ‘cavallo bianco’ alla guida dei ‘cavalieri’ degli eserciti celesti - a scendere in campo contro l’Anticristo e Satana per sconfiggere la ‘bestia e il falso profeta’, e con essi sconfiggere le ‘nazioni’ apostate per poi ‘governarle con verga di ferro’, per realizzare finalmente in terra – dopo una ‘purificazione’ - quel Regno di Dio, nel cuore degli uomini di cui parla Azaria, il Regno che invochiamo con la preghiera del ‘Padre nostro’ insegnataci da Gesù.
Sarà, quella, la cosiddetta battaglia di Armagheddon menzionata nell’Apocalisse alla fine della quale - sempre nell’Apocalisse - si legge appunto che seguirà l’incatenamento di Satana ed un conseguente periodo di pace spirituale: il Regno di Dio in terra per ‘mille anni’ (parola ripetuta ben sei volte in pochi versetti), come a voler fare intendere un periodo limitato ma nello stesso tempo lunghissimo visto che - per Dio - mille anni sono come un giorno ma un giorno è come mille anni.
Dopo di che Satana - che era stato reso inoffensivo dagli Angeli per tutto questo periodo e quindi messo nell’impossibilità di ‘sedurre’ gli uomini - verrà liberato.
Egli percorrerà ancora un’ultima volta in lungo e in largo la Terra per sedurre ancora gli uomini, raccoglierà i suoi ‘amici’ e scatenerà la battaglia finale contro la Chiesa dei fedeli in quella che nell’Apocalisse viene chiamata la guerra di Gog e Magog.
La guerra si concluderà con la sconfitta definitiva di Satana, dei suoi demoni e degli uomini che lo avranno seguito, e con la fine della Storia dell’Umanità e con il Giudizio universale.
La prossima riflessione sulla nostra settima affermazione del Credo sarà dedicata a:
2. TUTTO L’ORBE CONOSCERÀ ALLORA LA CHIESA ROMANA, PERCHÉ IL VANGELO RISUONERÀ DAI POLI ALL’EQUATORE E DA UN LATO ALL’ALTRO DEL GLOBO.
2. TUTTO L’ORBE CONOSCERÀ ALLORA LA CHIESA ROMANA, PERCHÉ IL VANGELO RISUONERÀ DAI POLI ALL’EQUATORE E DA UN LATO ALL’ALTRO DEL GLOBO.
2.1 Le ragioni della nomina di Pietro e non di Giovanni a Capo della Chiesa.
Nella riflessione precedente abbiamo parlato in maniera relativamente approfondita su cosa debba intendersi per ‘Chiesa’.
Parlando tuttavia della ‘Chiesa di Dio’, Gesù – in una suo Dettato alla mistica Valtorta – spiegava che non bisogna incorrere nell’errore di pensare che Dio sia di pertinenza dei soli cattolici.
Dio ha infatti creato le anime di tutti gli uomini, anche dei credenti di altre religioni, verso i quali i cattolici si devono prodigare affinché diventino anch’essi ‘cattolici’ perché possano usufruire e beneficiare dei Doni che Gesù ha lasciato alla Chiesa da lui fondata, come già spiegato nella precedente riflessione.
Dio – diceva ancora Gesù ricorrendo ad una bella immagine allegorica - circola come una sorta di sangue vitale nelle vene di tutto il corpo dell’Universo, di questo gran corpo creato da Lui, di cui la Cattolicità è il centro.
Egli è dunque anche presso gli uomini di diversa fede che (indirettamente) lo onorano, convinti in buona fede di essere della religione giusta.
Molti cattolici – spiega ancora il Gesù valtortiano – sono ‘sprovvisti’ di Dio più di quanto non lo sia un selvaggio perché essi, di ‘figli’ di Dio, hanno solo il nome.
Custode della vera Fede in Dio – spiega Gesù in un altro brano - è la Chiesa cattolica apostolica romana che – come ‘roccaforte’ – custodisce la Verità che vi ha deposto lo stesso Gesù.
La Fede non è soggetta a cambiamenti di tempi e di costumi, perché è Verità divina e come tale non può cambiare.
Inutile e pericoloso - mi viene da aggiungere – fare come tanti teologi ‘modernisti’ che vorrebbero pretendere di ‘aggiornare’ la fede e la dottrina ai tempi ‘moderni’ – peraltro tempi di manifesta apostasia - per renderla più accettabile alla ‘gente’.
Credere non significa essere ‘creduloni’ ma – alla luce della intelligenza – significa credere alla parola dei Santi che sono stati ispirati e hanno parlato e parlano a nome di Dio.
Guai per un cuore l’essere privo di fede, ma neppure mai giudicare gli increduli, piuttosto pregare perché la Fede venga in loro.
Parlando della Chiesa cristiana è logico porsi il problema – di fronte a tante sette che nei secoli passati se ne sono distaccate – chi sia il vero rappresentante di Gesù in terra.
Il Gesù valtortiano è chiarissimo al riguardo, il Suo Vicario in terra è il Papa, il successore di Pietro, il Capo della Chiesa cattolica apostolica romana.
Sorge però un problema.
Pietro era un pescatore, come del resto lo era anche Giovanni.
Giovanni – e questo emerge anche dai Vangeli – era il prediletto di Gesù, apostolo che Gesù amava con amore di predilezione ed al quale Gesù – dalla Croce – aveva affidato persino Sua Mamma.
Egli era l’Apostolo al quale Gesù 2000 anni fa fece anche il dono eccelso non solo del Vangelo più profondo e mistico ma anche il dono - in tardissima età - dell’Apocalisse: la grande Rivelazione profetica dei tempi futuri dell’Umanità, fino alla fine del mondo!
Perché allora affidare a Pietro – che peraltro lo aveva rinnegato nel corso della cattura del Getsemani, contrariamente a Giovanni - e non allo stesso Giovanni la rappresentanza in terra della Sua Chiesa, facendone il Capo?
La ragione ce la spiega lo stesso Gesù che parla alla nostra mistica (i grassetti sono miei):
^^^^
20 luglio 1943
Dice Gesù:
«E scrivi dunque. Nel soprannaturale non bisogna mai avere paura. Chi ti detta sa quello che si dice e chi ti legge capisce perché ho messo lui pure in condizioni di capire.
Perciò via tutti i retropensieri umani. Ricòrdati che sei il mio portavoce, quindi devi dire quanto ti dico senza riflettere, umanamente, sull’impressione che altri ne possano avere.
Dunque: Le ragioni per cui feci di Pietro il capo delta Chiesa invece di fare capo il mio Prediletto, sono diverse e tutte giuste.
Non state a mettere sulla bilancia l’amore di Pietro e quello di Giovanni per trarre da questo il motivo della scelta. I vostri pesi e le vostre misure non hanno corso in Cielo.
Furono due amori diversi come diverse erano le indoli, le età, le forme dell’amore.
Diversi e ugualmente volti alto stesso scopo: Io, e ugualmente cari a Me. Dunque eliminate il ma e il se dell’amore da questo.
Pietro era il più maturo degli apostoli, già rispettato come capo da altri pescatori, divenuti poi apostoli; egli, come ho detto1, conosceva la vita in tutte le sue pieghe di luce e di ombra, era dotato di forza di carattere, di ardimento e di una impulsività che ci voleva in quelle circostanze. Egli, per sua penosa esperienza, conobbe la debolezza di un’ora e poté capire le debolezze degli altri nelle ore di dubbio e pericolo.
L’ho già detto.
Non era quello che mi amava di più. Era uno che mi amava con tutta la sua capacità d’amare, come del resto tutti gli altri dodici, Giuda compreso finché non prestò orecchio al seduttore.
Nella Chiesa, che si doveva formare tra tante lotte e insidie, vi era bisogno di uno che per età, autorità, esperienza e irruenza, sapesse imporsi agli altri.
E chi come Pietro, in queste quattro doti necessarie alla formazione della mia Chiesa?
Giovanni era il più giovane. Anima di fiore, non sapeva il male della vita. Era un giglio dal boccio ancora serrato sul candore del suo interno. Si aprì nell’ora che il mio sguardo gli scese in cuore e non seppe più che vedere Me. Era un bimbo dal cuore di eroe e di colomba.
Pietro era il sostegno del mio Cuore che vedeva il presente e il futuro, ma Giovanni era il conforto.
Quanto conforto solo dal suo sorriso dolce, dal suo sguardo puro, dalle sue rade parole, ma sempre così amorose! Essere vicino a Giovanni era per Me come riposare presso un pozzo fresco, ombreggiato da piante su un tappeto di fiori. Emanava pace.
Ma potevo Io imporlo, per prudenza e per giustizia, agli altri più anziani? Occorre avere presente che erano uomini, destinati alla perfezione, ma uomini ancora.
Ecco perché la mia Intelligenza prescelse Pietro adulto, conoscitore delle miserie spirituali, impulsivo, autoritario, a Giovanni mite, sognatore, giovane, ignaro.
Pietro era la “pratica”, il genio pratico. Giovanni era la “poesia”, il genio poetico.
Ma quando i tempi sono duri, ci vogliono non solo penne di poeta ma pugni di ferro per tenere dura la barra del timone.
In compenso, al mio Prediletto ho dato la visione dei tempi futuri dopo avergli dato le mie confidenze più segrete e mia Madre. Potrei dire che Giovanni è l’ultimo, nell’ordine del tempo, e il primo, nell’ordine dell’avvenire, dei profeti grandi. Perché egli chiude il ciclo iniziato da Mosè riguardo all’Agnello che con la sua immolazione salva il mondo e vi alza il velo che avvolge l’ultimo giorno.
Ma credete però che in Cielo il mio fulgore incorona la fronte di Pietro e di Giovanni della stessa luce, e sarebbe bene per voi non fare confronti umani su esseri che sono sopraumani.»
(…)

2.2 Le porte dell’Inferno non prevarranno contro la Chiesa!
Vi sono state situazioni storiche in cui – specie nei primi secoli - sembrava che la Chiesa dovesse essere distrutta a causa delle persecuzioni e – in quelli successivi – a causa di non pochi importanti scismi.
Gesù aveva detto: "Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell'Inferno non prevarranno contro di essa".
Nell’epoca che noi stiamo attraversando la Chiesa pare tuttavia ancora una volta in grande difficoltà, forse la più grande della sua storia.
Molti, con un occhio all’Apocalisse, si attendono - per via dei tanti ‘segni’ che appaiono sempre più manifesti e delle numerose rivelazioni profetiche anche del passato ma riferite ai nostri tempi - una terribile persecuzione anticristica.
E’ dunque inevitabile che - di fronte all’ateismo, al laicismo imperante di tanti cristiani, al fanatismo religioso che sovente si traduce in odio anticristiano e stragi in tutto il mondo - tanti fedeli si pongano con ansia ancora una volta questa domanda: ‘Siamo davvero sicuri che le porte dell’inferno non prevarranno?’
Ecco allora, a loro maggior conforto, cosa diceva Gesù – nel luglio del 1943, fra gli orrori della seconda guerra mondiale - parlando alla nostra mistica con particolare riferimento ai periodi di decadenza della Chiesa con i suoi ministri, ed ai tempi futuri dell’Anticristo che ne saranno l’inevitabile conseguenza:
^^^^
23 luglio 1943
Dice Gesù:
«Quando il tempo verrà, molte stelle saranno travolte dalle spire di Lucifero che per vincere ha bisogno di diminuire le luci delle anime.
Ciò potrà avvenire perché non solo i laici, ma anche gli ecclesiastici hanno perso e perdono sempre più quella fermezza di fede, di carità, di forza, di purezza di distacco dalle seduzioni del mondo, necessarie per rimanere nell’orbita della luce di Dio.
Comprendi chi sono le stelle di cui parlo? Sono quelli che Io ho definito sale della terra e luce del mondo: i miei ministri.
Studio dell’acuta malizia di Satana è di spegnere, travolgendoli, questi luminari che sono luci riflettenti la mia Luce alle turbe.
Se con tanta luce che ancora la Chiesa sacerdotale emana, le anime stanno sempre più sprofondando nelle tenebre, è intuitivo quale tenebra schiaccerà le turbe quando molte stelle si spegneranno nel mio cielo.
Satana lo sa e semina i suoi semi per preparare la debolezza del sacerdozio, onde poterlo travolgere facilmente in peccati, non tanto di senso quanto di pensiero.
Nel caos mentale sarà per lui facile provocare il caos spirituale.
Nel caos spirituale i deboli, davanti alle fiumane delle persecuzioni, commetteranno peccato di viltà, rinnegando la fede.
Non morrà la Chiesa perché Io sarò con essa.  Ma conoscerà ore di tenebre e orrore simili a quelle della mia Passione, moltiplicate nel tempo perché così deve essere.
Deve essere che la Chiesa soffra quanto sofferse il suo Creatore, avanti di morire per risuscitare in forma eterna.
Deve essere che la Chiesa soffra molto più a lungo perché la Chiesa non è, nei suoi membri, perfetta come il suo Creatore, e se Io soffersi delle ore essa deve soffrire delle settimane e settimane di ore.
Come sorse perseguitata e alimentata da potere soprannaturale nei primi tempi e nei migliori suoi figli, così ugualmente sarà di lei quando verranno i tempi ultimi in cui esisterà, sussisterà, resisterà alla marea satanica e alle battaglie dell’Anticristo coi suoi figli migliori. Selezione dolorosa, ma giusta.
È logico che in un mondo in cui tante luci spirituali saranno morte si instauri, palesemente, il regno breve ma tremendo dell’Anticristo, generato da Satana così come il Cristo fu generato dal Padre.
Cristo figlio del Padre, generato dall’Amore con la Purezza.
Anticristo figlio di Satana, generato dall’Odio con l’Impurità triplice.
Come ulive fra le mole del frantoio, i figli del Cristo saranno perseguitati spremuti, stritolati dalla Bestia vorace. Ma non inghiottiti, poiché il Sangue non permetterà che siano corrotti nello spirito.
Come i primi, gli ultimi saranno falciati come manipoli di spighe nella persecuzione estrema e la terra beverà il loro sangue. Ma beati in eterno per la loro perseveranza coloro che muoiono fedeli al Signore
(…)

2.3 Spingiamo ora lo sguardo nella profondità dei tempi prossimi e più lontani della Chiesa.
Nell’Opera valtortiana le rivelazioni profetiche di Gesù sui tempi ‘escatologici’, cioè quelli del futuro dell’Umanità, talvolta sono chiare ma tal altra lasciano nel dubbio di aver ben capito.
In uno stesso Dettato – ad esempio, e questo lo aveva spiegato una volta lo stesso Gesù - i tempi della grande tribolazione nel periodo dell’Anticristo nel corso della Storia sembrano talvolta confondersi con quelli di Satana alla fine della Storia.
I tempi – inoltre - della instaurazione del Regno di Dio in terra nel cuore degli uomini si confondono talvolta con quelli dell’instaurazione del Regno di Dio nei Cieli, che sono del resto la realizzazione più importante della missione redentiva di Gesù fra gli uomini.
Gesù aveva infatti una volta spiegato che quando parlava del Regno di Dio in terra nel corso della Storia Egli metteva poi sempre, a corona conclusiva, dei riferimenti al Regno di Dio in Cielo.
Lo stile profetico del Gesù valtortiano, inoltre, è talvolta volutamente ‘velato’ come del resto erano velate molte profezie dell’Antico Testamento (come ad esempio quella famosa delle ‘settanta settimane’ di Daniele circa l’epoca dell’avvento in Terra del Messia) dove a parlare ai Profeti era sempre lo stesso Verbo, Parola di Dio.
Le profezie sono spesso velate – cioè non chiaramente comprensibili – perché esse servono a far intuire che bisogna rimettersi in carreggiata ma, per misericordia divina, non ce ne vengono rivelati i particolari né la loro reale data di avveramento.
L’avveramento a posteriori di quanto profetizzato in precedenza è d’altronde segno della fonte divina di quella certa precedente profezia.
Infine molte profezie dell’Antico come del Nuovo Testamento erano e sono condizionate e non di rado ripetitive, cioè destinate ad avverarsi se gli uomini non dovessero ravvedersi, oppure anche a ripetersi se gli uomini dovessero ricadere in certi comportamenti già puniti da Dio in epoche precedenti.
Abbiamo sopra letto che, nonostante future prove tremende, la Chiesa non morrà per cui le porte dell’inferno non prevarranno su di essa, ma vi ho anche detto quanto basta per lasciarvi dei dubbi circa la cronologia - rispetto agli anni ’40 in cui Gesù parlava alla mistica - degli avvenimenti concernenti l’Umanità e la Chiesa universale.
Eccovi però ora qui sotto un altro brano valtortiano di quel periodo che ha il pregio non di ‘datare’ ma di schematizzare con grande chiarezza la natura e l’ordine di successione degli avvenimenti.
Dunque la Chiesa – come abbiamo già letto e come ora potrete di seguito ancora rilevare – non morrà, e – anzi - non solo avrà un suo trionfo durante il Regno di Dio in terra, figura del Regno di Dio in Cielo, ma – nonostante la discesa in campo finale di Satana alla fine del mondo, quando quest’ultimo sarà definitivamente sconfitto nella guerra di Gog e Magog - essa avrà il suo esaltante trionfo finale… in Cielo: (i grassetti sono miei):
^^^^
Maria Valtorta: I Quadernetti, pag. 240 - 2a edizione 2006 - Ed. C.E.V.
Nota iniziale dell’Editore: “Senza data e senza alcun’altra premessa”
I° periodo: l’attuale, detto dei ‘Precursori’ dell’Anticristo.
II° periodo: quello dell’Anticristo vero e proprio, il quale sarà aiutato dalle due manifestazioni della Bestia: il violento e l’altro che vince con finta dolcezza.
Sarà un periodo di lotte tremende, tanto umane (guerre ecc.) che sovrumane (tentazioni di dottrine ecc.).
Durante questo tempo Iddio cercherà di richiamare l’uomo mediante castighi santi perché usati per santificare.
Esauriti senza buon frutto i medesimi, Satana sarà per qualche tempo incatenato, con la sconfitta dell’Anticristo e dei suoi alleati naturali (potenti della terra) e soprannaturali (le due manifestazioni di Satana).
III° periodo: epoca di sosta per radunare le forze dell’uomo e convogliarle al Cielo.
Il mio Regno della (nella?) terra.
Sarà il prodigio della Grazia che verrà effusa come un diluvio per salvare.
Ma per un fatto contrario a quello di Noè la maggior parte degli uomini (dei cuori?) si chiuderà, barricandosi nelle fortezze lasciate da Satana e solo i non satanici, restando fuori di esse, saranno sommersi, lavati, illuminati dalla Grazia.
IV° periodo: esaurito il tempo destinato dalla mia Sapienza all’estrema prova, lascerò Satana venire per l’ultima volta.
Il tempo di Satana sarà 7 volte 7 più crudele di quello dell’Anticristo.
Il re del male scorrazzerà ovunque per riunire i suoi adepti quando il Male sarà sconfitto dal Bene e maledetto in eterno là dove (…) nel suo regno infernale come io ho (…) i miei nel regno celeste.
(Nota dell’Editore: tutta la frase è di difficile lettura e alcune parole le abbiamo omesse perché illeggibili)
V° periodo: Il Giudizio supremo. La mia ora di trionfo poiché sarà l’ora in cui il mio essere avrà raggiunto lo scopo per cui è: ossia la salvezza del genere umano che si è ricordato d’esser figlio dell’Altissimo.
(Nota finale dell’Editore: “Lo scritto è sulle prime tre facciate di un foglietto piegato in due. In capo alla quarta facciata è la firma: Maria Valtorta”).
^^^^
Cosa possiamo meglio comprendere dallo scritto suddetto? Ve lo commenterò aggiungendo qualche particolare maggiormente esplicativo.
Dovrebbe essere un ‘Dettato’ di Gesù, un chiarimento alle domande interiori che Maria Valtorta certo si poneva sui tempi escatologici che – come vi ho già spiegato – non sono facili da interpretare.
Anche se il brano non è preceduto dall’usuale ‘Dice Gesù’ e non è trascritto su un usuale Quaderno (che forse la mistica non aveva in quel momento sottomano) ma su tre facciate di comuni fogli ed è firmato ‘Maria Valtorta’ (forse per far capire che era stata lei personalmente a trascriverlo)  dalla frase del III° periodo dove si parla del ‘mio’ Regno in Terra si comprende che a parlare è Gesù e così pure la frase finale del periodo fa capire che a ‘dettare’ è Gesù perché parla della ‘mia’ ora di trionfo perché sarà quella l’ora del ‘mio’ essere.
Sta di fatto che:
I - Il periodo ‘attuale’ di cui si parla (e cioè degli anni ’40) era quello dei ‘precursori’ dell’Anticristo. Era insomma il periodo dei grandi dittatori del Novecento e delle loro nefande ideologie che avevano provocato e stavano provocando milioni e milioni di vittime sia nella prima che nella seconda guerra mondiale.
II - A questo primo periodo - di circa 70 anni fa – avrebbe fatto seguito quello dell’Anticristo vero e proprio che – è bene non dimenticarlo – viene nell’Apocalisse designato con il numero 666 con la precisazione che si tratta di un uomo, e quindi non semplicemente di un ‘spirito anticristico’ in senso lato.
L’Anticristo – secondo l’Apocalisse - avrà due ‘aiutanti’ che si muoveranno contestualmente a lui:
La Bestia del mare: potentissimo demone che simbolicamente rappresenta la violenza più proterva dell’ego umano e quindi – amplificando – il desiderio di potenza della politica sopraffattrice dei governi mondiali.
La Bestia della terra, detta anche ‘falso profeta’, è un secondo potentissimo demone ma anche un termine simbolico che può avere contemporaneamente più significati: in particolare anche quello di ispiratore delle tremende ideologie dell’ottocento e novecento che – ‘con finta dolcezza’  e cioè con il sottile fascino della loro capacità di convinzione – hanno indotto centinaia di milioni di persone ad abbracciarle e sono state alla base della giustificazione di tante violenze e sofferenze.
C’è da osservare che il Gesù valtortiano anche in altri brani si riferiva a questo periodo dicendo che sarebbe stata un’epoca di guerre atroci ed autentico orrore, anche spirituale per la Chiesa che avrebbe abbandonato la sana Dottrina ed avrebbe perso la Fede.
L’Anticristo sarebbe anzi stato persona molto in alto, anzi ‘un astro del suo esercito’, e – agli astanti che leggevano quanto la mistica andava scrivendo – il Gesù valtortiano aveva anche detto che essi non avrebbero comunque dovuto preoccuparsi perché all’epoca della sua manifestazione essi sarebbero stati già morti, mentre già allora (era il 1943) ‘molti erano già sulla Terra ed il loro ‘seme’ sarebbe stato sette volte sette più demoniaco di essi’.
III - Dopo il secondo periodo che vede la sconfitta dell’Anticristo e dei suoi alleati ‘naturali’, e cioè i ‘potenti’ della Terra, e dei suoi alleati ‘soprannaturali’, e cioè i due demoni, segue il terzo periodo in cui Satana viene ‘incatenato’. Questo periodo sembra appunto corrispondere a quello dei mille anni di incatenamento di cui parla anche l’Apocalisse.
Sarà questo un periodo di sosta, quello del Regno di Dio in Terra, durante il quale l’Umanità si ritemprerà nello spirito riavvicinandosi finalmente a Dio. Non scompare il Male, perché gli uomini porteranno comunque sino alla fine ‘i fomiti’ conseguenza del Peccato originale con relative invidie, egoismi ed aggressività, ma senza l’aggravante dell’intervento di Satana e dei suoi demoni tentatori e comunque sarà un periodo in cui i ‘cattivi’ saranno costretti alla ‘difensiva’, chiusi nei loro ‘fortini’ mentre i ‘buoni’ avranno libertà di azione.
IV - Segue infine il quarto periodo in cui Satana (sempre dopo i ‘mille anni’ di cui parla l’Apocalisse) sarà di nuovo lasciato libero – probabilmente perché l’Umanità avrà voluto nuovamente allontanarsi da Dio, ormai dimentica degli antichi orrori dell’epoca dell’Anticristo – e scatenerà un’ultima guerra le cui crudeltà ed orrore saranno ‘sette volte sette’ peggiori di quelle del tempo dell’Anticristo. Satana verrà a quel punto sconfitto definitivamente.
V - Il quinto periodo sarà quello della fine del mondo e del Giudizio universale: quello appunto, come già sopra accennato, che Gesù chiama ‘la mia ora di trionfo poiché sarà l’ora in cui il mio essere avrà raggiunto lo scopo per cui è: ossia la salvezza del genere umano che si è ricordato d’esser figlio dell’Altissimo’.
A ben vedere, la cronologia escatologica della Chiesa universale sembra seguire del tutto fedelmente – secondo il Gesù valtortiano - la cronologia che ci mostra l’Apocalisse nella sua interpretazione letterale e non allegorica, e smentisce la tesi di quei teologi che collocano la manifestazione dell’Anticristo non nel corso della Storia ma alla fine della Storia o che addirittura lo identificano nella figura dello stesso Satana.
Il Gesù valtortiano - con riferimento a quanto io vi avevo spiegato in precedenza circa le ‘mie’ difficoltà a capire con chiarezza l’esatta cronologia escatologica della Chiesa universale - sempre negli anni ’40 del secolo scorso, diceva però ancora a Maria Valtorta (i grassetti sono miei):
^^^^
27.8.43
«Anche nell’Apocalisse pare che i periodi si confondano, ma non è così. Sarebbe meglio dire: si riflettono nei tempi futuri con aspetti sempre più grandiosi.
Ora siamo al periodo che Io chiamo: dei precursori dell’Anticristo. Poi verrà il periodo dell’Anticristo che è il precursore di Satana. Questo sarà aiutato dalle manifestazioni di Satana: le due bestie nominate nell’Apocalisse. Sarà un periodo peggiore dell’attuale. Il Male cresce sempre di più.
Vinto l’Anticristo, verrà il periodo di pace per dare tempo agli uomini, percossi dallo stupore delle sette piaghe e della caduta di Babilonia, di raccogliersi sotto il segno mio.
L’epoca anticristiana assurgerà alla massima potenza nella sua terza manifestazione, ossia quando vi sarà l’ultima venuta di Satana.
Avete capito? Credere occorre, e non cavillare. Veramente tu avevi capito, appunto perché non cavilli.
I dettati non si contraddicono fra loro. Occorre saperli leggere con fede e semplicità di cuore.
Come uno a cui prema di far intendere una cosa, Io vado sempre dritto alla cosa che più importa e che qui è il mio Regno. Perché nel Regno è la giustificazione del mio essermi incarnato e morto. Perché nel Regno è la prova della mia infinita potenza, bontà, sapienza.
Perché nel Regno è la prova della vita eterna, della risurrezione della carne, del mio potere di Giudice. Perciò quando ho parlato per spiegare l’Apocalisse ho, ai singoli punti spiegati, messo quasi sempre a corona il mio Giudizio, il mio trionfo, il mio Regno, la sconfitta di Satana in se stesso, nella sua creatura, nei precursori.
Leggete bene e vedrete bene che non vi è contraddizione. Quello che ho detto ho detto.»
^^^^
Ma il Gesù di Maria Valtorta – sempre nel 1943, poco più di due mesi dopo - aggiungeva ancora:
^^^^
11 - 11.1
Dice Gesù:
«Spingiamo insieme lo sguardo nei tempi che, come placida alba successa a notte di bufera, precederanno il Giorno del Signore.
Tu non vi sarai più. Ma dal luogo del tuo riposo ne gioirai, perché vedrai prossimo a finire il combattimento dell’uomo e già il dolore affievolirsi per dare ai viventi tempo di ritemprarsi per l’ultima breve convulsione della Terra, prima di udire il comando che la aduna in tutti i suoi viventi e in tutti i suoi avuti, dal tempo di Adamo in poi.
Già te l’ho detto2. La mia Chiesa avrà il suo giorno di osanna prima dell’estrema passione.
Poi verrà l’eterno trionfo.
I cattolici - e tutto l’orbe conoscerà allora la Chiesa Romana, perché il Vangelo risuonerà dai poli all’equatore e da un lato all’altro del globo, come una fascia d’amore, andrà la Parola - i cattolici, usciti da lotta ferocissima di cui questa è unicamente il preludio, sazi di uccidersi e di seguire brutali dominatori, dalla sete di uccidere insaziabile e dalla violenza insuperabile, si volgeranno verso la Croce trionfante, ritrovata dopo tanto loro accecamento.
Sopra tanto fragore di stragi e tanto sangue udranno la Voce che ama e perdona e vedranno la Luce, candida più del giglio, che scende dai Cieli per istruirli ai Cieli.
Come una marcia di milioni e milioni di tribù, gli uomini andranno col loro spirito verso Cristo e porranno la loro fiducia nell’unico ente della Terra in cui non è sete di sopraffazioni e voglia di vendetta.
Sarà Roma che parlerà. Ma non la Roma più o meno grande e durevolmente grande che possono ottenere dei capi-popolo.
Sarà la Roma di Cristo. Quella che ha vinto i Cesari, li ha vinti senza armi e senza lotte, con un’unica forza: l’amore; con un’unica arma: la Croce; con un’unica oratoria: la preghiera.
Sarà la Roma dei grandi Pontefici che in un mondo, oscurato dalle invasioni barbariche e inebetito dalle distruzioni, ha saputo conservare la civiltà e spanderla fra gli incivili.
Sarà la Roma che ha tenuto testa ai prepotenti e per bocca dei suoi santi Vegliardi ha saputo prendere la parte dei deboli e mettere l’aculeo di una spirituale punizione anche in quelli che in apparenza erano refrattari a qualsiasi rimorso.
Non potete fra voi, o popoli diversi, giungere a durevole accordo. Avete tutti le stesse aspirazioni e gli stessi bisogni, e come piatto di bilancia il peso della buona parte dell’uno va a detrimento dell’altro.
Vivete per avere sempre la parte maggiore e vi uccidete per questo. È un’alterna vicenda che si fa sempre più grave.
Ascoltate la voce di chi non ha sete di dominio e vuole regnare, in nome del suo Re Santissimo, unicamente sugli spiriti.
Verrà quel giorno in cui, disillusi degli uomini, vi volgerete a Colui che è già più spirito che uomo e dell’umanità conserva quel tanto necessario a farvi persuasi della sua presenza.
Verrà dalla sua bocca, che Io ispiro, la parola simile a quella che Io vi direi, io, Principe della Pace.
Vi insegnerà la perla preziosissima del perdono reciproco e vi persuaderà che non vi è più bell’arma del vomere e della falce che ferisce le glebe per renderle opime e che taglia le erbe per farle più belle.
Vi insegnerà che la fatica più santa è quella che si compie per procurare un pane, una veste, una casa ai fratelli, e che solo amandosi da fratelli non vi è più conoscenza di veleno d’odio e di torture di guerre.
Figli, iniziate la marcia verso la Luce del Signore. Non andate oltre brancolando fra le tenebre cieche.
I miei prediletti alla testa, vincendo ogni umano timore poiché io sono con voi, o più cari al mio Cuore, gli altri trascinati dall’esempio dei miei santi, iniziate questo novello Esodo verso la nuova Terra che Io vi prometto e che sarà la vostra stessa Terra, ma mutata dall’amore cristiano.
Separatevi da coloro che sono degli idolatri di Satana, del mondo e della carne. Senza sprezzo separatevene.
Lo sprezzo non giova. Rovina senza giovare. Ma separatevene per non essere contagiati da loro.
Amateli di un amore di redentori, mettendo fra voi e loro la vostra fede nel Cristo come un baluardo.
Non siete abbastanza forti per potere vivere in mezzo ad essi senza pericolo. Troppi secoli di decadimento spirituale sempre più forte vi hanno indeboliti. Imitate i primi cristiani.
Sappiate vivere nel mondo ma isolati dal mondo in forza del vostro amore per Dio.
E non piegatevi mai a credere un superuomo il misero uomo che non differisce dai bruti perché come essi ha tutta la sua parte migliore nell’istinto: unica cosa che non faccia di lui peggio di un bruto.
Il Profeta dice: “Lasciate dunque l’uomo che ha lo spirito nelle narici”3. Voglio che interpretiate in questo senso la frase. L’animale privo di respiro altro non è che spoglia immonda. L’unica sua vita è nel respiro. Chiuse le narici a questo soffio, cessa di esistere e diviene una carogna.
Vi sono molti uomini che non sono superiori ad esso, non avendo altra vita fuorché quella animale che dura per quanto dura in loro il respiro. Lo spirito è morto, lo spirito fatto per i Cieli.
Giusto è dunque dire che vi sono uomini che hanno per spirito il respiro delle loro narici e dai quali è meglio stare spiritualmente lontani, perché l’alito di Satana, e della bestialità che esce da loro, non intacchi la vostra umanità e la renda simile alla loro.
Pregate per essi, o voi benedetti. Ciò è carità. E poi basta. Le parole non entrano nei chiusi alla Parola. E non lo crediate eccelso colui che fuma e soffia la sua prepotenza e la sua superbia dalle narici come belva furente.
Eccelso è solo colui che ha vivo lo spirito ed è perciò figlio di Dio. Gli altri sono povere cose la cui elevazione fittizia è destinata a gran crollo e la cui memoria non sopravvive altro che come memoria di scandalo ed orrore.»
Nota dell’Editore:
l La scrittrice aggiunge a matita: Isaia cap. II v. 2-4
2 Nel dettato del 29 ottobre, pag. 342.
3 La scrittrice aggiunge a matita: Cap. II v. 22
---
Avete letto testi valtortiani che per essere compresi nelle loro varie e sottili implicazioni anche profetiche vanno attentamente soppesati e meditati.
Certamente così facendo riuscirete anche a ricavarne sensi che io volutamente non ho messo in evidenza – tranne in certe sottolineature - lasciandoli alla vostra perspicacia.
Comunque, anche se non completamente perché molto ci sarebbe ancora da dire ma il limite dello spazio che mi sono concesso me lo impedisce ho affrontato l’argomento della Chiesa, vista sia in senso generale che nel suo sviluppo nei secoli futuri.
La prossima riflessione sulla nostra settima affermazione del Credo sarà dedicata a:
3. COMUNIONE DEI SANTI: CIELO, TERRA E PURGATORIO SI AIUTANO E SI COMPLETANO VICENDEVOLMENTE, E NELLO STESSO MODO I MEMBRI DELLA CHIESA MILITANTE DEVONO AIUTARSI E COMPLETARSI VICENDEVOLMENTE…
3. COMUNIONE DEI SANTI: CIELO, TERRA E PURGATORIO SI AIUTANO E SI COMPLETANO VICENDEVOLMENTE, E NELLO STESSO MODO I MEMBRI DELLA CHIESA MILITANTE DEVONO AIUTARSI E COMPLETARSI VICENDEVOLMENTE…
3.1 Le preghiere dei giusti salvano il mondo dalla distruzione: Dio è pronto ad usare misericordia anche ai peccatori e salvarli dalla punizione, se fra essi vi sono giusti che pregano.
Nelle due riflessioni precedenti abbiamo approfondito l’argomento ‘Chiesa’ spiegando che essa è ‘santa’ perché è a Lei che Gesù ha affidato la missione di prendersi cura e di fare crescere spiritualmente i suoi ‘figli’.
Ciò grazie alla Redenzione ed ai ‘tesori’ spirituali che Egli le ha lasciato prima di ascendere al Cielo: più in particolare i sette Sacramenti che la Chiesa – quale una sorta di tutore ‘legale’ - avrebbe dovuto in seguito distribuire per aiutare l’uomo ‘fanciullo’ a divenire un ‘adulto spirituale’.
La Chiesa è in sostanza un corpo spirituale il cui ‘Capo Mistico’ invisibile è Gesù, mentre il Romano Pontefice ne è invece il Capo visibile.
Parlando di Chiesa abbiamo poi spinto uno sguardo nel suo futuro – così come si può evincere dalle rivelazioni dell’Opera della mistica - con particolare riferimento ai tempi escatologici di cui parla anche l’Apocalisse di San Giovanni.
Lo stesso Gesù valtortiano ha assicurato che la Chiesa – pur sempre fatta di uomini imperfetti e molto fallibili – nonostante tutte le future traversie non perirà e le porte dell’Inferno non prevarranno su di essa perché essa è sostenuta direttamente da Dio.
Per far comprendere meglio il concetto con una immagine figurata dirò che quanto più Satana dovesse cercare di spingerla a fondo tanto più essa – come una palla immersa sott’acqua e poi lasciata improvvisamente libera – per una spinta contraria balzerebbe fuori con forza come a voler respirare aria pura.
Scrivono i teologi che la Chiesa è un ‘Corpo mistico’, cioè un organismo soprannaturale che completa la realtà umano-divina del Cristo-Capo, in virtù dell’influenza animatrice del suo Spirito, risultandone la ‘Persona Mistica’ di un Cristo-totale, che nell’eminenza della sua perfezione salva e potenzia l’autonomia personale di ciascuno dei suoi membri. Mentre le membra del corpo umano sono congiunte e ‘contemporaneamente’ coesistono, quelle del Corpo mistico sono disperse nello spazio, si succedono nel tempo e appartengono al Cristo-Capo nei modi più diversi, secondo la loro corrispondenza alla grazia...’
Non è che il modo di scrivere dei teologi sia poi tanto chiaro… ma per farla semplice potremmo allora dire che il ‘Corpo mistico’ è come una ‘Società di santi’, e che quest’ultima potremmo anche chiamarla ‘Comunione dei Santi’.
Chiesa, Corpo mistico e Comunione dei Santi sono quindi delle realtà interconnesse talché parlare di una di queste tre significa parlare anche in parte delle altre due.
Perdonerete pertanto se nel parlare di ‘Comunione dei Santi’ mi sentirete parlare anche nuovamente di Chiesa o di ‘Corpo mistico’.
Come fare tuttavia – esprimendoci con un linguaggio semplice - a capire un poco meglio cosa sia e come ‘funzioni’ la ‘Comunione dei santi’?
Quest’ultima - sempre parlando fra di noi terra-terra - la potreste immaginare come una delle tante ‘Società’ di diritto commerciale appartenenti al mondo economico in cui viviamo.
Più in particolare potremmo assimilarla ad una sorta di ‘cooperativa’ i cui ‘soci’ lavorino insieme mettendo in comune il frutto del loro lavoro che poi viene ridistribuito a vantaggio di tutti.
Oppure potreste immaginare la ‘Comunione dei Santi’ come una ‘grande unita famiglia patriarcale’ di lavoratori della terra - composta da capo famiglia, madre e tanti figli – dove a seconda della fertilità dei terreni in cui si ara e si getta seme o delle forze che ciascun socio/lavoratore riesce a dedicarvi, vi è chi produce di più, chi di meno e infine chi niente per cui l’ultimo – se non aiutato dagli altri – sarebbe condannato a morire di fame.
Ma per carità paterna - perché si tratta di una stessa famiglia i cui membri condividono ideali e portano amore l’un verso l’altro – i frutti del ‘lavoro’ in campagna di ciascuno vengono messi ‘in comune’ fra tutti, cucinati e trasformati alla sera in un saporito e nutriente minestrone nel cui pentolone, posto al centro della tavola, la ‘Madre’ che ‘amministra’ la famiglia affonda un bel mestolo per riempire il piatto a tutti, specie ai più ‘affamati’ che avevano ‘prodotto’ poco o niente.
La ‘Comunione dei santi’ dobbiamo quindi considerarla come una delle più belle ed importanti ‘invenzioni’ di Dio perché essa è sinonimo di Carità: infatti in essa non si distribuisce a tutti per una sorta di ‘giustizia sociale’ - sempre imperfetta perché nel nostro mondo imperfetto e viziato dal Peccato originale non di rado quel che viene dato ad uno viene tolto con violenza ad un altro - ma per un ben superiore senso, attivo e volontario, di Amore.  
Chi sarebbero però i ‘santi’ che ne fanno parte?
Sono le anime della Chiesa Militante, di quella Purgante e i membri della Trionfante.
La Chiesa militante è l’insieme di tutti gli uomini che vivono sulla terra in perenne combattimento contro le forze del male e del proprio stesso ‘io’.
La Chiesa purgante è quella costituita da quelle anime che – salve, non avendo meritato l’inferno ma nemmeno ancora il Paradiso - devono tuttavia espiare e purificarsi nel Purgatorio.  
La Chiesa trionfante è invece quella costituita da chi è in Paradiso e può godere della visione beatifica di Dio e della gloria eterna nonché aiutare i membri della chiesa militante e purgante.
Ora – se non volete invece saperne molto di più consultando il Catechismo attraverso il link in nota – ne sappiamo almeno quanto basta per continuare il nostro discorso sulla ‘Comunione dei santi’.
Il Gesù valtortiano aveva una volta detto (i grassetti sono miei):
^^^^
‘Io ho fondato una società vera in cui i membri sono, nel mio pensiero, uno per l’altro, uno di sostegno all’altro.
Dal più grande al più piccolo avete tutti la vostra ragione di essere nella stupenda compagine della mia Chiesa, una nell’essenza e trina nella forma, come il Suo Re e Pontefice divino che è Uno e Trino col Padre e lo Spirito.
La Comunione dei santi unisce i cattolici che furono con quelli che sono i cattolici che penano con quelli che lottano e con quelli che godono.
Cielo, terra e purgatorio si aiutano e si completano vicendevolmente, e nello stesso modo i membri della Chiesa militante devono aiutarsi e completarsi vicendevolmente…’.
^^^^
Abbiamo dunque appreso che nella suddetta ‘cooperativa’ tutti ‘lavorano’ pregando o sacrificandosi l’uno per l’altro.
In particolare i membri della Chiesa militante pregano non solo per gli altri ‘militanti’ in terra che fossero bisognosi di sostegno ma anche per coloro che sono in Purgatorio.
Questi ultimi possono a loro volta anch’essi pregare per la Chiesa militante, mentre i membri della Chiesa Trionfante possono pregare per quelli della Purgante e Militante.
Per potere appartenere alla Comunione dei ‘Santi’ bisogna però essere dei ‘giusti’.
A quest’ultimo riguardo ricordo un brano di una ‘lezione’ che Azaria – l’Angelo custode della nostra mistica Valtorta – le aveva tenuto, lezione breve ma potente nella forma, nella dialettica, e poeticamente.  
^^^^
17 novembre 1946
Dice Azaria:
« Le colpe dei popoli sono tali e tante che se non fosse infinita la benignità di Dio e la sua divina pazienza, da tempo il mondo sarebbe distrutto come orrore dell'Universo, orrore che va tolto, perché nella creazione perfetta non devono sussistere cose obbrobriose.
Ma nel mondo, che è veramente ormai il vestibolo dell'Inferno e il feudo di Satana, sono sempre dei giusti.
Rari come stelle in una notte di tempesta, come palme nella vastità arida dei deserti. E come già si comprende dall'episodio di Abramo, Dio è pronto ad usare misericordia anche ai peccatori e salvarli dalla punizione, se fra essi sono giusti che pregano.
Salvarli dalle sventure materiali e morali finché dura il loro giorno, lasciando tempo sino alla loro sera di tornare al Signore.
Non salvarli oltre la vita, se hanno meritato castigo, perché nel Giorno di Dio non servono più le intercessioni dei giusti a rendere salute ai morti alla Grazia.
La Giustizia vuole il suo corso. E se anche con ira e ribellione essi urlano al Giudice Eterno: "Tu ci odi e ci defraudi della nostra parte di bene", Egli risponderà loro con giustizia: "No. Vi ho dato la vostra parte. Volevate godere. Godere ricchezze, potenze, lussurie, gozzoviglie, ottenute con ogni mezzo. Le avete avute. Vi ho lasciato godere come volevate. Voi avete scelto. Io rispetto la vostra scelta e ve la lascio in eterno. Nel mio Regno entrano quelli che hanno vissuto casti, temperanti, giusti, misericordiosi, quelli che hanno sofferto e pianto anche per causa vostra, e che hanno amato Dio, il prossimo, e anche voi che li angustiavate. Andate. Non dicevate forse che era stoltezza rimettere al futuro la gioia e che era saggio godere del certo presente? Così vi concedo. Avete goduto nel piccolo presente; ora soffrite nell'eterno presente".
I giusti pregano per i peccatori. Guai se così non fosse!
Al lavacro quotidiano e perpetuo del Sangue Divino si mescono le preghiere e le lacrime dei giusti. E questa rugiada di carità deterge il mondo da quel soprappiù di lordura che l'Infinita Misericordia non potrebbe sopportare. Onde il mondo può durare benché l'Occhio di Dio lo guardi con una severità che impressiona noi angeli.
Se per un caso passasse un solo giorno senza che neppure un'opera di giustizia venisse compiuta in tutto l'Orbe, se per un caso venisse un giorno nel quale i giusti divenissero peccatori, la luce non tornerebbe ad illuminare la Terra, perché essa non sarebbe più.
La Giustizia, nella notte, l'avrebbe cancellata di fra le opere creative.
(…)
^^^^
Riflettiamo ora insieme su alcune cose che ci ha detto l’Angelo Azaria facendone noi una sintesi:
1) I ‘giusti’ pregano per i peccatori - anche se sono di religione diversa dalla nostra o addirittura pagani - e guai se così non fosse perché il mondo si è ormai ridotto tanto male da apparire come una anticamera dell’Inferno e Dio lo avrebbe già distrutto se non fosse per quei pochi giusti che intercedono presso di Lui, come aveva fatto - ai suoi tempi - Abramo.
2) In virtù della preghiera dei giusti Dio può infatti usare misericordia salvando dalle punizioni materiali e morali i peccatori impenitenti finché dura la loro vita in terra.
3) Dio può anche concedere ai peccatori maggior tempo di vita per pentirsi ma, in difetto di ciò, dopo la loro morte giunge inesorabile la punizione eterna: come essi hanno infatti disprezzato l’opportunità di salvezza offerta loro da Dio e voluto godere – nonostante gli aiuti divini - del loro ‘piccolo presente’, così essi dovranno ‘godere’, all’Inferno, del loro ‘eterno presente’.
Fra i concetti espressi dall’Angelo Azaria ve ne è però uno che mi ha particolarmente colpito, quando dice che Dio avrebbe già distrutto il mondo attuale, considerato un vestibolo dell’Inferno, se non fosse per quei pochi giusti che intercedono presso di Lui, come aveva fatto Abramo ai suoi tempi.
Cosa aveva dunque fatto Abramo?
Se non ve ne scandalizzate, ve lo racconto sempre alla buona, con parole mie.
E’ un episodio narrato in Genesi.
Il Signore si manifesta - sotto sembianze materiali umane - ad Abramo mentre questi se ne sta seduto all’ombra davanti alla sua tenda in una calda giornata.
Si tratta di tre uomini, che tuttavia lo spirito di Abramo intuisce trattarsi di entità soprannaturali, dove uno di costoro è il Signore e gli altri sono i due angeli che lo accompagnano e che poi proseguiranno per Sodoma.
Abramo si prostra ed invita i tre personaggi a fermarsi presso la sua tenda per riposarsi e rifocillarsi all’ombra dell’albero presso il quale egli stava.
I tre accettano ed Abramo - rientrato nella tenda dove sua moglie Sara occhieggiava verso l’esterno, ‘orecchiando’ quanto i tre e suo marito dicevano fra loro - le ordina di darsi alla svelta una ‘mossa’ e preparare il necessario per il pranzo perché sono giunti tre ospiti inattesi e quello dell’ospitalità verso i pellegrini era un dovere ‘sacro’ del mondo di allora.
Il pranzo viene servito dalla donna e, mentre i tre personaggi mangiano, Abramo se ne sta ritto, un poco discosto, in atteggiamento reverenziale.
Quelli con noncuranza gli chiedono dove fosse andata sua moglie ed Abramo risponde che lei è là nella tenda.
Non so se lei a quei tempi avesse il chador e nemmeno il bourka, ma è certo che - anche se non era abitudine che le donne si mostrassero agli estranei se il marito non lo diceva loro - certo anche da dietro la tenda lei non perdeva una sillaba.
Uno dei tre, quello che pareva il più autorevole, dice allora ad Abramo che sarebbe tornato fra un anno, aggiungendo che a quell’epoca sua moglie Sara avrebbe già avuto un figlio.
Dice la Genesi che Sara e Abramo in quel momento erano molto vecchi, l’uomo aveva circa cento anni e la donna una novantina.
Logico pertanto che lei – da dietro la tenda – fosse rimasta scettica e in certo qual modo se la ridesse sulla battuta dei tre forestieri e facesse magari in cuor suo anche qualche auto-ironico commento.
Ma i loro Ospiti non sono ospiti comuni perché - anche se Sara è nascosta dentro la tenda il Signore le legge nel cuore. Ed Infatti l’Ospite si rivolge ad Abramo domandandogli con aria severa come mai Sara avesse riso fra sé e sé, chiedendosi come avrebbe lei potuto – così vecchia ed in menopausa e con Abramo pure vecchio – avere dei figli.
Nulla è impossibile a Dio! Sara avrebbe invece avuto un figlio!
Non so se Abramo, che doveva essere molto imbarazzato, abbia dato di voce a Sara dicendole di uscire fuori da là dentro. Fatto sta che quella esce, vede la faccia dell’Ospite, prova paura e cerca di negare di avere riso. Ma l’Ospite la guarda penetrante nel profondo degli occhi e di rimando le dice severo: ‘No! Tu hai riso’.
Tutte uguali le donne? Non credo, ma anche Eva interrogata da Dio nel Paradiso terrestre aveva cercato di negare l’evidenza di aver voluto disubbidire, cogliendo il frutto dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male, e – interrogata da Dio – aveva respinto la propria responsabilità attribuendone la colpa al ‘Serpente’ che l’aveva ingannata.
Chiuso l’incidente con Sara, i tre forestieri si incamminano verso Sodoma, mentre Abramo li segue deferentemente per un tratto per accomiatarsi da loro, anche se forse si domandava fra sé e sé cosa mai andassero a fare a Sodoma.
Considerata la sua predilezione verso quel giusto che era appunto Abramo  - al quale proprio per questo, in precedenza, Dio già aveva promesso una sterminata discendenza dicendogli che da sua moglie Sara gli sarebbe nato un figlio al quale avrebbe posto il nome di Isacco -  il Signore (mentre i due Angeli proseguono per Sòdoma e Gomorra) decide di renderlo compartecipe delle sue intenzioni: Il clamore delle colpe di quelle popolazioni – con una diffusa sodomia - era giunto sino in Cielo ed il Signore era dunque sceso in terra per constatare di persona e distruggere quei popoli.
Abramo, ormai lo sapete anche voi, era un giusto e come giusto e come ci insegna Azaria egli amava anche i peccatori.
Allora – dimenticando per un attimo di essere, lui povero uomo, nientemeno che davanti al Signore - si permette di pregare insistentemente per quei peccatori.
Dice infatti la Genesi:
« Quegli uomini partirono di lì e andarono verso Sodoma, mentre Abramo stava ancora davanti al Signore. Allora Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l'empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lungi da te il far morire il giusto con l'empio, così che il giusto sia trattato come l'empio; lungi da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?».
Rispose il Signore: «Se a Sodoma troverò cinquanta giusti nell'ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutta la città».
Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere... Forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?».
Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne trovo quarantacinque».
Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta».
Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta».
Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta».
Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta».
Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti».
Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti».
Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola; forse là se ne troveranno dieci».
Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci».
Poi il Signore, come ebbe finito di parlare con Abramo, se ne andò e Abramo ritornò alla sua abitazione».
Insomma - ‘Il Signore rispose’…, ‘Abramo riprese’…‘Il Signore rispose’…, ‘Abramo riprese’ e via continuando - possiamo noi concludere che Abramo oltre che un giusto era un testardo nella preghiera ma che la pazienza e soprattutto l’amore di Dio verso i giusti è davvero grande se a Dio sarebbero bastati solo dieci giusti per salvare l’intero popolo di Sodoma e Gomorra, dove però – evidentemente, tenendo conto del fatto che le due città furono poi distrutte - non c’erano nemmeno quei pochi.

3.2 I ‘santi’ ed il nostro stesso Angelo Custode intercedono per noi presso Dio presentandoGli le nostre buone azioni e prospettando le nostre possibili ‘attenuanti’ e Dio – per amor loro – misericordiosamente finisce per accondiscendere.
Sono davvero tanti i punti dell’Opera valtortiana dove si parla più o meno indirettamente di aspetti che concernono la ‘Comunione dei Santi’.
Un altro esempio di ‘Comunione dei santi’ è quello di sopportare le offese che riceviamo per offrire la nostra sofferenza a Dio per la redenzione di chi ci offende.
E’ una grande offerta perché il dominarsi quando ci si sente feriti nel proprio orgoglio e dignità significa infliggersi una autoviolenza e ciò talvolta è davvero impresa ‘eroica’.
Oltretutto anche noi pecchiamo e, se non perdonassimo e fossimo troppo intransigenti con gli altri, Dio potrebbe essere a sua volta intransigente con noi.
Dobbiamo dunque essere misericordiosi verso gli altri per poter avere a nostra volta misericordia da Dio per i nostri peccati.
Quindi… anche il perdono è un atto che appartiene alla ‘comunione dei santi’.
Indipendentemente dalla Comunione dei Santi, molti non sanno che l’Angelo Custode - che vive nella perfetta aderenza alla volontà di Dio ed ha avuto l’incarico di proteggerci sin dal concepimento amando il suo custodito come una madre che veglia sul figlio - – perora la nostra ‘causa’ presso Dio presentandogli nel modo migliore possibile le nostre buone azioni o comunque gli ‘sforzi’ che facciamo per tendere al bene.
Il fatto è che l’uomo – che sopporta in terra le conseguenze del Peccato originale, anche dopo la Redenzione, e le sopporterà fino alla fine della storia umana con il Giudizio universale – non è in condizione di ‘difendersi’ da sé, cioè di non peccare, pentirsi e salvarsi, e ciò perché il peccato ha reso debole il suo spirito. Allora c’è Dio che lo aiuta - e lo aiuta anche attraverso il ‘tesoro’ ammassato grazie alla Comunione dei Santi - infondendogli forze soprannaturali che lo rendono capace di comprendere, pentirsi, agire e salvarsi.
Quindi Terra e Cielo sono uniti da una sorta di catena di mutuo soccorso.
La Comunione dei santi è davvero una cosa poco conosciuta nella sua essenza e ‘funzionamento’ ed ha per scopo di favorire la salvezza non solo dei viventi ma anche dare aiuto ai purganti per aumentare il fuoco dello Spirito Santo a bruciare le loro imperfezioni e insegnare loro ad amare quel Dio che in terra non hanno amato in maniera giusta.
Anche le Messe di suffragio per i defunti sono infatti uno strumento potente di aiuto: chi fa celebrare la S. Messa offre i meriti infiniti del Sacrificio Eucaristico di Gesù Cristo che si compie sull’Altare a favore della persona in Purgatorio che si vorrebbe fosse aiutata.
Tali meriti – attraverso l’offerta della S. Messa – possono essere però offerti anche per persone viventi che abbiamo bisogno di sostegno spirituale o anche di guarigione fisica.
Meglio se l’offerta è fatta dopo una Confessione e comunione per rendere la nostra richiesta almeno degna di ascolto da parte di Dio.
E’ peraltro dalla Comunione dei Santi che vengono tratte le Indulgenze, e se i meriti del ‘forziere delle grazie’ non si rivelasse in ipotesi sufficiente ci penserebbe Gesù a reintegrarlo fondendo i meriti ‘finiti’ dei santi con quelli del Suo Sangue che sono infiniti. Insomma si tratta di una ‘fonte’ di grazie praticamente inesauribile.
Anche se in pura ipotesi la Gerarchia ecclesiastica – che di norma nelle questioni di culto è divinamente guidata ma che è pur sempre ‘umana’- applicasse erratamente una certa indulgenza ad una determinata pratica o festività per cui la cosa non dovesse essere giusta, Gesù non permetterebbe mai che le anime fossero ingannate nella loro fiducia.
Gesù onora sempre – per ritornare ai paragoni con il nostro mondo economico – le ‘cambiali’ o gli ‘assegni’ firmati dai suoi ‘ministri’, anche se per accidente o per errore fossero stati emessi ‘a vuoto’, cioè senza ‘copertura di fondi’
Ciò perché Gesù premia immancabilmente il merito e la fede delle persone che vi credono.
Bisogna tuttavia tener conto del fatto che Gesù corrisponde alle richieste di chi intercede per altri anche in proporzione alla ‘condizione di giustizia’ di chi le chiede.
In buona sostanza quando si chiede a Dio una grazia per qualcuno bisogna non solo essere di norma dei ‘giusti’ ma – in occasione della richiesta - bisogna preoccuparsi di indossare il ‘vestito della festa’: cioè essere confessati ed in grazia, meglio ancora se ‘comunicati’.
Nelle faccende umane, un vestito ‘decoroso’ ed un aspetto lindo ed ordinato sono il minimo che si possa pretendere da qualcuno che ad esempio si presenta ad un ‘superiore’ per perorare una causa o ad un datore di lavoro per farsi assumere. Se è così fra gli uomini perché non molto di più con Dio?
Ricordo una volta due persone, marito e moglie, che avevano una casa infestata da spiriti, più precisamente anime dei genitori di lui che si erano anche manifestate in sogno numerose volte alla figlia dei due, cioè alla loro nipote.
Quelle due persone temevano che la figlia, prossima al matrimonio, fosse lei stessa ‘infestata’ - visto che era soprattutto la sua personale camera da letto a subire devastazioni - e che il futuro marito, dopo averla sposata, ne potesse rimanere impressionato e la potesse poi abbandonare.  
Avevano chiamato degli esorcisti e fatto anche dire delle Messe di liberazione ma senza alcun risultato. Erano talmente spaventati ed esasperati che stavano persino pensando di vendere, anzi praticamente svendere, la loro villa in un bellissimo parco naturale per trasferirsi in un’altra casa in città.
Mi chiesero una opinione e – ascoltando la loro storia e quella dei genitori di lui – mi feci l’idea che quelle potessero essere anime che volessero richiamare l’attenzione per ricevere preghiere ed aiuto.
Alla mia domanda: ‘Ma voi, prima di far fare gli esorcismi avete scelto un sacerdote ‘santo’? E avete offerto delle Sante Messe? E prima di chiedere l’esorcismo e offrire Sante Messe, vi siete ben confessati dei peccati di una vita ed avete partecipato a quegli esorcismi e offerto quelle Messe facendo preventivamente anche la Comunione?’.
Mi guardarono molto imbarazzati facendomi segno assolutamente di no con la testa, non erano dei ‘praticanti’, non ci avevano neanche pensato né alcuno glielo aveva detto: avevano solo chiesto gli esorcismi, pagato un obolo per l’esorcismo e un altro per far dire la Messa e via.
‘Allora provate a confessarvi molto bene, a fare dei seri proponimenti per il futuro e a comunicarvi, suggerii loro, perché - quando si chiede una grande grazia al Signore, grande poiché ne va della felicità vostra, di vostra figlia e per di più dei vostri stessi interessi economici - bisogna almeno presentarsi al Signore con le carte ben in regola, con la veste pulita e con l’intenzione di sforzarsi di mantenerla tale anche per il futuro’.
Seppi incidentalmente - anni dopo - che essi avevano seguito il consiglio: i disturbi in casa erano cessati, la figlia si era sposata ed essi abitano ancora nella loro bella villa.
La famosa frase di Gesù di porgere l’altra guancia a chi ti colpisce, non va banalizzata come se fosse solo una ‘battuta’ o una ‘iperbole’. Essa non sottintende solo il superamento della ‘legge del taglione’ e non è solo il consiglio evangelico di ‘non reagire’ per ‘mansuetudine’, ma sottintende anche il suggerimento di esercitare piuttosto una violenza contro se stessi, fatto che potrebbe anche stupire e far riflettere l’offensore il quale - di fronte alla mancanza di reazione violenta da parte dell’offeso - potrebbe essere indotto a pentirsi del proprio atto, magari dovuto a spontaneismo non premeditato. E se eventualmente l’offensore non arrivasse a pensarci da solo ci potrebbe pensare Dio – grazie all’autosacrificio dell’offeso - a farlo riflettere su questo aspetto.
Anche una cosa del genere, se fatta in questo spirito di amore, è dunque ‘comunione dei santi’.
Nel fare una elemosina, avere cura di farla con il sorriso non distogliendo lo sguardo come infastiditi ed umiliando così il postulante ma guardando anzi negli occhi quel ‘poveraccio’ malvestito che ci si avvicina, che è sempre un ‘uomo’, facendogli capire che comprendete la sua situazione di difficoltà, anche se dentro di voi poi immaginate che egli sia ‘sfruttato’ da altri a quello scopo o che lui stesso ‘ci marci’.
E’ un poveretto che soffre di questa situazione, ed il vostro sorriso farà bene alla sua anima perché per una volta sentirà di non essere disprezzato ma di essere compreso: e la sua anima potrebbe trarne un principio di beneficio. Anche questa è ‘comunione dei santi’ e per quel vostro sorriso, che è come una sorta di bicchiere d’acqua all’assetato, il Signore un giorno disseterà voi, ma molto di più.
L’Angelo custode vostro e l’Angelo suo, riconoscente per il vostro atto nei confronti del suo assistito, saranno infatti presenti – comprenderanno il vostro agire nelle implicazioni nascoste - e lo scriveranno sul vostro Libro della Vita in Cielo.
Aiutare con il nostro sacrificio di offerta a far divenire buono il prossimo significa dare amore a Dio che è sempre – come avevo letto una volta in un colorito brano valtortiano – come un ‘Dio affamato’ che ha bisogno di anime da salvare e da amare: Dio cerca amore e non lo trova per cui dobbiamo provare a tendere alla perfezione quanto più le nostre capacità e forze ce lo consentono, perché coloro che non lo fanno è come se levassero tanti ‘pani’ alla fame spirituale di Gesù, che è Amore.
Avevamo sopra accennato al fatto – parlando della Comunione dei Santi alla quale partecipano la Chiesa Militante, Penante e Trionfante – che i defunti in Cielo pregano per la Chiesa militante in terra.
Essi infatti – pur vivendo in una sfera ormai soprannaturale dove non si hanno più le ‘passioni’ dell’umanità - non si disinteressano né ignorano quanto avviene ai propri cari che hanno lasciato sulla terra.
Ormai ‘santi’ in Cielo, ed amando quelli della terra di amore non più ‘sentimentalmente umano’ ma caritativamente spirituale, essi intercedono presso Dio prospettandoGli amorevolmente le possibili attenuanti dei loro cari, e Dio – per amor di questi santi –finisce misericordiosamente per accondiscendere.
Per capire meglio questo modo di operare – ma anche per farvi ‘rilassare’ allentando la vostra concentrazione - vi racconterò un bellissimo, toccante e anche divertente, episodio de ‘L’Evangelo’ che riguarda anche l’apostolo Pietro, dove vediamo – una delle rare volte – Gesù sorridere apertamente.
Era il secondo anno della vita pubblica di Gesù ed Egli aveva raccolto un orfanello, di nome Jabè, nome poi cambiato in Marziam dalla stessa Maria SS..
Aveva perso i genitori, aveva dodici anni ma proprio non li dimostrava perché le sofferenze e la fame lo avevano reso gracile e piccolino, anche se molto buono e intelligente.
Era stato lo stesso nonno, malato e morto anch’egli qualche tempo dopo, ad affidare il fanciullo a Gesù per il viaggio a Gerusalemme per la prossima Pasqua, visto che il ‘dodicenne’ avrebbe potuto partecipare presso il Tempio all’esame ‘scolastico’ ed alla cerimonia della maggiore età, divenendo così adulto e socialmente responsabile in proprio a tutti gli effetti legali.
Il fanciullo era diventato la ‘mascotte’ del Gruppo apostolico sempre in cammino e Pietro – che con sua moglie Porfirea (detta anche ‘Porpora’) non aveva potuto avere figli - stravedeva per lui al punto che avrebbe voluto adottarlo come figlio e ne aveva fatto richiesta a Gesù sicuro che anche sua moglie ne sarebbe stata felice.
Gesù – che sapeva nelle questioni di spirito essere anche inflessibile - glielo aveva però negato perché voleva che Pietro fosse libero da qualsiasi attaccamento famigliare che gli avesse potuto impedire la sua futura missione di Capo della Chiesa nascente.
Per inciso, questa è una delle varie ragioni per cui la Chiesa cattolica romana pretende il celibato dai suoi sacerdoti che non dovrebbero avere altro interesse che quello di Dio: il celibato sacerdotale deriva dalla Tradizione apostolica, e nell’Opera valtortiana, c’è un breve brano in cui Gesù stesso suggerisce ‘caldamente’ ai suoi apostoli di non sposarsi per il futuro se volevano essere perfetti, anche se alcuni di essi lo erano già ed avevano anche dei figli.
Pietro aveva umilmente accettato il ‘no’ all’adozione da parte di Gesù ma ne era rimasto profondamente addolorato.
Il Gruppo apostolico era dunque in marcia verso Gerusalemme per poi proseguire fino a Betania dove c’era ad attenderlo Lazzaro - con le sorelle Maria Maddalena e Marta -  nella sua sontuosa magione di campagna accanto alla quale c’era confinante anche la casa di Simone lo Zelote, compagno di Lazzaro fin dalla giovinezza, che vi ospitava sovente l’intero Gruppo e – talvolta - anche discepoli e discepole.
Arrivato e ripartito da Gerusalemme, il Gruppo giunge finalmente nella pace di Betania.
Durante una conversazione intima fra Gesù e sua Mamma, Lei si confida con il Figlio e si rammarica con sofferenza di come Giuda Iscariota non fosse un ‘buono’ e che offendesse persino Pietro che – secondo Lei – era invece ‘degno di ogni rispetto’.
Gesù conferma l’opinione di Maria su Pietro e le risponde:
^^^^
8«Sì. Pietro è molto buono. Per lui farei qualunque cosa, perché lo merita».
«Se ti sentisse direbbe col suo buon sorriso schietto: "Ah! Signore, ciò non è vero!". E avrebbe ragione».
«Perché, Madre?». Ma Gesù sorride già perché ha capito.
«Perché Tu non lo accontenti dandogli un figlio. Mi ha detto tutte le sue speranze, i suoi desideri... e le tue ripulse».
«E non ti ha detto le ragioni con cui le ho giustificate?».
«Sì. Me le ha dette ed ha aggiunto: "E’ vero... ma io sono un uomo, un povero uomo.
Gesù si ostina a vedere in me un grande uomo. Ma io so di essere ben meschino, e perciò... mi potrebbe dare un bambino. Mi ero sposato per averne... muoio senza averne".
E ha detto - accennando al bambino che, felice della bella veste comperata da Pietro, lo aveva baciato dicendogli: "Padre amato" - ha detto: "Vedi, quando questo esserino, che  solo dieci giorni sono non conoscevo ancora, mi dice così, io mi sento diventare più morbido del burro e più dolce del miele, e piango perché... ogni giorno che passa me lo porta via questo bambino..."
Maria tace osservando Gesù, studiandolo in volto, aspettando una parola...
Ma Gesù ha messo il gomito sul ginocchio, la testa sulla mano, e tace guardando la distesa verde del frutteto.
Maria gli prende la mano e la carezza e dice: «Simone ha questo grande desiderio...
Mentre andavo con lui non ha fatto che parlarmene, e con ragioni così giuste che... non ho potuto dire nulla per farlo tacere. Erano le stesse ragioni che pensiamo tutte noi, donne e madri.
Il bambino non è robusto. Fosse stato come eri Tu... oh! allora avrebbe potuto andare incontro alla vita del discepolo senza paura. Ma è così esile!... Molto intelligente, molto buono... ma nulla di più.
Quando un tortorino è delicato non si può lanciarlo a volo presto, come si fa con i forti.
I pastori sono buoni... ma sempre uomini. I bambini hanno bisogno delle donne.
Perché non lo lasci a Simone? Finché gli neghi una creatura proprio nata da lui, comprendo il motivo. Un piccino nostro è come un’àncora. E Simone, destinato a tanta sorte, non può avere àncore che lo trattengano. Ma però, devi convenire che egli deve essere il "padre” di tutti i figli che Tu gli lascerai.
Come può essere padre se non ha fatto scuola con un bambino? Dolce deve essere un padre. Simone è buono, ma dolce no.
E’ impulsivo e intransigente. Non c'è che una creaturina che gli possa insegnare l'arte sottile del compatimento per chi è debole...
Considera questa sorte di Simone... È bene il tuo successore! Oh! che la devo pur dire questa atroce parola!
Ma per tutto il dolore che mi costa a dirla, ascoltami. Mai ti consiglierei cosa che non fosse buona.
Marjziam... Tu ne vuoi fare un perfetto discepolo... Ma è ancora bambino. Tu... te ne andrai prima che lui sia uomo. A chi allora darlo, per completarne la formazione, meglio che a Simone?
Infine, povero Simone, Tu sai come è stato tribolato, anche per causa di Te, dalla suocera sua; eppure non ha ripreso un granello del suo passato, della sua libertà di or è un anno, per essere lasciato in pace dalla suocera, che neppur Tu hai potuto mutare.
E, quella povera creatura di sua moglie? Oh! ha un tale desiderio di amare e di essere amata.
La madre... oh!... Il marito? Un caro prepotente...
Mai un affetto che le si sia dato senza troppo esigere... Povera donna!... Lasciale il bambino.
Ascolta, Figlio. Per ora lo portiamo con noi. Verrò anche io in Giudea. Mi porterai con Te da una mia compagna nel Tempio, e quasi parente, perché da Davide viene. Sta a Betsur. La vedrò volentieri, se ancora vive. Poi, al ritorno in Galilea, lo daremo a Porpora.
Quando saremo nei pressi di Betsaida Pietro lo prenderà. Quando verremo qui, lontano, il bambino starà con lei.
Ah! ma Tu sorridi ora! Allora fai contenta la tua Mamma. Grazie, mio Gesù».
«Sì, sia fatto come tu vuoi».
9Gesù si alza e chiama forte: «Simone di Giona, vieni qui».
Pietro ha uno scatto e fa di corsa gli scalini: «Che vuoi, Maestro?».
«Vieni qui, uomo usurpatore e corruttore!».
«Io? Perché? Che ho fatto, Signore?».
«Mi hai corrotto la Madre. Per questo volesti essere solo. Che ti devo fare?». Ma Gesù sorride e Pietro si rassicura.
«Oh!» dice «mi hai fatto proprio paura! Ma ora ridi... Che vuoi da me, Maestro? La vita?
Non ho più che quella, perché mi hai preso tutto... Ma se vuoi te la do».
«Non ti voglio prendere. Ma ti voglio dare. Però non approfittartene della vittoria e non dare il segreto agli altri, furbissimo uomo che vinci il Maestro con l'arma della parola materna. Avrai il bambino ma…».
Gesù non può più parlare perché Pietro, che si era inginocchiato, salta in piedi e bacia Gesù con tale impeto che gli mozza la parola.
«Ringrazia Lei, non Me. Ma però ricorda che questo ti deve essere di aiuto, non di ostacolo...»
«Signore, non avrai a pentirti del dono... Oh! Maria! Che tu sia sempre benedetta, santa e buona...».
E Pietro, che è riscivolato in ginocchio, piange proprio, baciando la mano di Maria...
^^^^^
E ora che l’avete vista all’opera, avete capito perché Gesù dice sempre di affidarsi alla Madonna che è la Mediatrice di tutte le grazie?
Avete visto con quale dolce abilità Lei sa perorare la nostra causa presso il Figlio, presentando al meglio le nostre buone ragioni?
Avete visto quante ‘attenuanti’ Lei sa trovare e con quale ferma dolcezza le sa presentare al punto che persino Dio – per amore nei suoi confronti - è costretto ad arrendersi?
Amate Maria e troverete Gesù sul Suo Cuore!
In fin dei conti anche questa è ‘Comunione dei santi’.

3.3 La Comunione dei santi ed i sacrifici fatti per amore: il valore dell’offerta del sacrificio per ottenere grazie dal Signore.
Siamo alla fine del secondo anno di vita pubblica di Gesù e siamo anche in pieno inverno perché si sta avvicinando la festa delle Encenie, nel mese ebraico di Casleu corrispondente al nostro mese di Dicembre.
La festa delle Encenie (detta anche festa dei Lumi, o della Dedicazione del Tempio o della Purificazione) - contrariamente ad altre feste ebraiche che si celebravano con pellegrinaggi al Tempio di Gerusalemme - veniva vissuta per lo più in famiglia forse anche per la rigida stagione invernale che rendeva disagevoli i viaggi a piedi.
Nelle case si faceva festa in intimità e si accendevano tanti lumi, ed era per questo che veniva anche chiamata Festa delle Luci.
Gesù – poiché, come appena detto, la stagione invernale e le piogge rendevano troppo difficile la predicazione all’aperto ed i viaggi a piedi per strade fangose – aveva dato libertà agli apostoli di rientrare presso le loro famiglie per un meritato riposo, pronti però a riprendere le loro peregrinazioni di evangelizzazione, sempre a piedi, non appena le rigide condizioni metereologiche del periodo si fossero attenuate e lo avessero in seguito permesso.
L’anno precedente Gesù e gli apostoli non avevano trascorso la Festa in famiglia ma nella magnifica ed accogliente residenza di Lazzaro, insieme ai pastori della Natività che lo avevano nel frattempo ritrovato adulto e … Messia, ed erano stati invitati da Lazzaro, essendo peraltro divenuti ardenti discepoli di Gesù nella evangelizzazione.
In quell’occasione sia i pastori che Gesù avevano rievocato le circostanze di quella sua nascita a Betlemme il 25 del mese di Casleu, Festa appunto delle Luci, giorno in cui – straordinaria circostanza - la ‘Luce del mondo’ era nata... trentadue anni prima.
Gesù però, in questo secondo anno di cui vi parlavo poc’anzi, riesce a trascorrere la Festa delle Luci a Nazareth nella propria casa - finalmente in intimità con la Sua Mamma che era costretto a lasciare per lunghi periodi per via della incessante predicazione - con la vicinanza anche degli altri parenti.
Potrebbe meravigliare il rilevare – nell’Opera valtortiana – lo straordinario amore e tenerezza che legavano vicendevolmente Gesù e Sua Mamma, con manifestazioni affettuose che a noi moderni sembrerebbero del tutto eccessive. Ma non deve stupire: sia Gesù che Sua Mamma erano il Nuovo Adamo e la Nuova Eva, privi entrambi di Macchia originale, e pertanto essi – integri nello spirito, nella affettività e pieni di Grazia - sapevano amare spiritualmente con perfezione, una perfezione di sentimenti e di affetti che a noi oggi è del tutto sconosciuta.
Anche il dolore di Maria in tutta la vita e specialmente nell’imminenza della Passione e nella Passione stessa, proprio per questa ragione, è stato ‘perfetto’ e solo un dolore perfetto per la sorte del Figlio, oltre che un amore perfetto verso Dio, le poteva meritare il ruolo di Corredentrice.
A Nazareth vi erano però ospiti anche alcuni discepoli, oltre al piccolo Marziam, discepolo ‘in erba’: il primo dei discepoli bambini.
Anche l’apostolo Simone lo Zelote, che non aveva famiglia, era quest’anno ospite di Gesù oltre ai due cugini di Gesù, Giacomo e Giuda d’Alfeo, che però avevano casa a Nazareth, dove vivevano gli altri due fratelli (Giuseppe e Simone) e la mamma Maria di Alfeo, quest’ultimo fratello di San Giuseppe.
In un ambiente più famigliare e raccolto – mentre fuori fa freddo e in casa il fuoco è acceso – Gesù non manca le occasioni per perfezionare apostoli e discepoli nella loro formazione, con l’aiuto anche di Maria sempre Maestra di Sapienza, anche se Lei – che pur lo aveva istruito da bambino e da ragazzo - si considerava ora, umilmente, solo la prima ‘discepola’ di Gesù.
Per introdurre però l’argomento sul quale desidero attirare la vostra riflessione, e cioè il valore dell’offerta, vi faccio osservare che talvolta basta un piccolo sacrificio per ottenere da Dio una grande grazia, e questo specie se il sacrificio o la preghiera sono di un bambino dall’anima pura nella quale il Signore si riflette e si bea.
Bisogna insegnare ai bambini a pregare il Signore con convinzione e fede, perché è molto più facile che il Signore non resista loro e – per la loro purezza – si intenerisca e li li esaudisca anche per rafforzarli nella fede nella prospettiva delle difficoltà della vita: questo è un ‘insegnamento’ da non dimenticare sia per i genitori che per i … nonni.
Da bambini ci insegnavano a fare i ‘fioretti’, anche se ora molti adulti ci ridono sopra considerandoli un ‘infantilismo’, ma essi sono invece importanti non solo educativamente per i bambini ma soprattutto anche per gli adulti.
Ecco quanto si legge dunque nel seguente brano valtortiano.
Il ‘soggetto’ centrale è sempre Marziam che – come avete già letto – era davvero buono e che con Gesù, nel periodo appunto della Festa delle Encenie che durava vari giorni, si reca a far visita ad una anziana di Nazareth: una certa Giovanna.
^^^^
21 ottobre 1945.
1Li accoglie una povera casa dove è una nonnetta circondata da un bel mucchietto di bambini dai dieci anni ai, sì e no, due anni. La casa è in mezzo a campicelli poco curati, molti tornati a prato, dal quale emergono superstiti piante da frutto.
«La pace a te, Giovanna. Va meglio oggi? Sono venuti a darti aiuto?».
«Sì, Maestro e Gesù. E mi hanno detto che torneranno a seminare. Verrà in ritardo, ma mi dicono che verrà ancora».
«Certo verrà. Ciò che sarebbe miracolo della terra e del seme diventerà miracolo di Dio.
Perciò miracolo perfetto. I tuoi campi saranno i più belli di questa regione, e questi uccellini che ti stanno intorno avranno grani in abbondanza per le loro bocche. Non piangere più.
L'anno che viene andrà di già molto meglio. Ma Io ti aiuterò ancora. O meglio, ti aiuterà una che ha il tuo stesso nome e che non è mai sazia di essere buona. Guarda, questo è per te. Con questo potrai andare avanti fino ai raccolti».
La vecchia prende la borsa e la mano di Gesù insieme, e bacia questa mano piangendo.
Poi chiede: «Dimmi chi è questa creatura buona, che io dica il suo nome al Signore».
«Una discepola mia e sorella tua. Il nome è noto a Me e al Padre dei Cieli».
«Oh! sei Tu!...».
«Io sono povero, Giovanna. Do quanto mi danno. Di mio non posso dare che miracolo. E mi spiace di non avere saputo prima la tua sventura. Sono venuto appena Susanna me l'ha detta. Tardi ormai. Ma così splenderà di più l'opera di Dio».
«Tardi! Sì. Tardi! Così rapida fu la morte a falciare qui! E ha preso i giovani. Non me, inutile. Non questi, incapaci. Ma quelli validi al lavoro. Maledetta luna di elul, carica di maligni influssi!».
«Non maledire il pianeta. Non c'entra... 2Sono buoni questi piccoli? Venite qui. Vedete?
Anche questo è un bambino senza padre e senza madre. E neppure può vivere col nonno. Ma Dio non lo abbandona lo stesso. E non lo abbandonerà finché sarà buono. Non è vero, Marziam?».
Marziam assente e parla ai piccoli che gli si sono stretti intorno, piccoli per età più di lui, ma alcuni sono più alti di lui di un bel po'.
Dice: «Oh! davvero che Dio non abbandona. Io lo posso dire. Per me ha pregato il nonno. E certo anche la madre e il padre dall'altra vita. E Dio ha ascoltato quelle preghiere, perché Egli è buonissimo e sempre ascolta le preghiere dei giusti, morti o vivi che siano. Per voi certo hanno pregato i vostri morti e questa nonnina cara. Le volete bene?».
«Sì, sì...». Il pigolio dell'orfana nidiata si alza entusiasta.
Gesù tace per ascoltare il colloquio del suo piccolo discepolo e degli orfanelli.
«Fate bene. I vecchi non bisogna farli piangere. Già non si deve fare piangere nessuno, perché chi dà dolore al prossimo dà dolore a Dio. Ma i vecchi poi! Il Maestro tratta bene tutti. Ma coi vecchi poi è tutto carezze come coi bambini. Perché i bambini sono innocenti e i vecchi sofferenti. Hanno tanto pianto già! Bisogna amarli due volte, tre volte, dieci volte, per tutti quelli che non li amano più. Gesù dice sempre che chi non onora il vecchio è malvagio due volte, come chi maltratta il bambino. Perché vecchi e bambini non si possono difendere. Voi perciò siate buoni con la vecchia madre».
«Io qualche volta non l'aiuto...», dice uno dei grandini.
«Perché? Mangi pure il pane che ella ti porge con la sua fatica! Non ci senti il sapore del pianto quando l'affliggi? 3E tu, donna, (la donna avrà al massimo dieci anni ed è una molto esile e pallida creatura) l'aiuti?».
I fratellini in coro dicono: «Oh! Rachele è buona! Veglia fino a tardi per filare quel poco di lana e stame che abbiamo, e si è presa le febbri per lavorare nel campo per prepararlo al seme mentre il padre moriva».
«Dio te ne compenserà», dice serio Marziam.
«Mi ha già compensato col levare di pena la nonna».
Gesù interviene: «Non chiedi di più?».  
«No, Signore».
«Ma sei guarita?».
«No, Signore. Ma non importa. Ora, anche se muoio, la nonna è sovvenuta. Prima mi spiaceva morire perché l'aiutavo».
«Ma la morte è brutta, bambina...».
«Dio, come mi aiuta in vita, mi aiuterà in morte e andrò dalla mamma... Oh! non piangere, nonna! Voglio bene anche a te, cara. Non lo dirò più se questo ti deve fare piangere. Anzi, se lo vuoi, dirò al Signore di guarirmi... Non piangere, mammetta mia...», e abbraccia la vecchietta desolata.
«Falla guarire, Signore. Mio nonno lo hai fatto felice, per me. Fa' felice questa vecchia, ora».
«Le grazie si ottengono con sacrificio. Tu che sacrificio fai per ottenerla?», chiede serio Gesù.
Marziam pensa... Cerca la cosa più penosa a rinunciarsi... poi sorride: «Non prenderò più miele per tutta una luna».
«Poco! Quella di casleu è già ben avanti...».
«Dico luna per dire quattro fasi. E pensa... che in questi giorni c'è la festa dei Lumi e le focacce di miele...».
«É vero. Ebbene, allora Rachele guarirà per merito tuo. 4Ora andiamo. Addio, Giovanna.
Prima di partire verrò ancora. Addio Rachele, e tu Tobiolo. Sii sempre buono. Addio, tutti voi, piccoli. Resti su voi la mia benedizione e in voi la mia pace».
Escono seguiti dalle benedizioni della vecchia e dei fanciulli.
Marziam, finito di essere «apostolo e vittima», si dà a saltare come un capretto correndo avanti…
(…)

3.4 Gesù: la Comunione dei santi è proprio questo operare continuo, come continuamente e con tutti i modi opera Iddio, per dare aiuto ai fratelli, sia nei loro bisogni materiali come nei loro bisogni spirituali o in ambedue.
Quale insegnamento possiamo trarre dal precedente episodio?
Non basta chiedere a Dio favori o grazie – per sé stessi o per altri – per poter ottenere ascolto. Meno che mai quando ricorriamo a Lui solo quando ce ne ricordiamo nel momento del bisogno: potrebbe rinfacciarcelo e accusarci di opportunismo ed ipocrisia.
Il sacrificio – in un modo o nell’altro, fosse anche lo sforzo continuo di vivere da ‘giusti’, che è il vero combattimento spirituale contro il nostro ‘io’ – è molto importante e a volte basta poco per ottenere molto come abbiamo visto sopra nell’episodio con Marziam, anche se quel poco – considerata la sua fanciullezza e la vera passione che egli aveva per il miele e la focaccia con il miele – per lui era un ‘grande’ sacrificio e anche per un lungo periodo di tempo.
Ogni sacrificio va infatti valutato non per se stesso ma per quel che comporta per chi lo fa.
Per taluni è più difficile sacrificare un pranzo, per un altro rinunciare al caffè per tutta una giornata o più giorni, come fare a meno per qualche giorno delle amate sigarette, anche se sul pacchetto è scritto che ‘il fumo uccide’.
Marziam – dopo l’Ascensione di Gesù al Cielo e alla successiva scuola di Pietro, suo padre adottivo e primo Pontefice - diventerà un vero grande discepolo e poi morirà martire, ma già da fanciullo continua a farci imparare ancora qualcosa.
Nazareth, rispetto a Cafarnao che è sul Lago di Tiberiade, è situata una trentina di chilometri in linea d’aria verso l’interno, equivalenti a circa quattro cinque ore di marcia a buon passo.
E’ passato appena un giorno dall’episodio precedente quando Pietro, non resistendo più allo star lontano sia da Gesù sia dal suo figlio adottivo Marziam, si presenta all’improvviso a Nazareth alla porta della casa di Maria, carico di ceste e sacchetti con ogni ben di Dio da mangiare ma tanto felice da sentirsi immune dalla fatica del peso e del lungo cammino.
Anche Porfirea – che era rimasta a casa - aveva insistito perché partisse da Cafarnao e portasse dei regali al bambino fra i quali le agognate… focacce al miele ed altre leccornie che lei gli aveva preparato in casa.
Marziam - nell’osservare le cose buone da mangiare che vengono tirate fuori dalle sacche - piange però silenziosamente.
Maria SS. – nel vedere tutto quel ben di Dio – che copre la tavola chiede infatti a Pietro perché mai si è sacrificato tanto, e Simon-Pietro risponde (i grassetti sono miei):
^^^^
«Sacrificato? No. Ho pescato molto e con molto utile. Questo per il pesce. Per il resto, roba di casa. Non costa nulla e dà in compenso tanta gioia a portarla. E poi... Sono le Encenie ormai... È uso. No?! Non assaggi il miele?».
«Non posso», dice serio Marziam.
«Perché? Stai male?».
«No. Ma non posso mangiarlo».
«Ma perché?».
Il bambino diventa rosso ma non risponde. Guarda Gesù e tace. Gesù sorride e spiega: «Marziam ha fatto un voto per ottenere una grazia. Non può prendere miele per quattro settimane».
«Ah! bene! Lo mangerai dopo... Prendi il vaso lo stesso... Ma guarda! Non lo credevo così... così...».
«Così generoso, Simone. Chi si inizia alla penitenza da bambino troverà facile il cammino della virtù per tutta la vita», dice Gesù mentre il bambino va via col suo vasetto fra le mani.
Pietro lo guarda andare, ammirato.
^^^^
La giornata segue comunque il suo corso finché rivediamo il gruppo riunito a cena.
^^^^
23 ottobre 1945.
1Non so se sia lo stesso giorno, ma lo suppongo per la presenza di Pietro alla tavola familiare di Nazaret.
Il pasto è quasi ultimato e Sintica si alza per mettere sulla tavola delle mele, noci, uva e mandorle che terminano la cena, perché è sera e le lucerne sono già accese.
Sulle lucerne verte proprio il discorso mentre Sintica porta la frutta.
Pietro dice: «Quest'anno noi ne accenderemo una di più, poi sempre di più, per te, figlio mio. Perché la vogliamo accendere noi per te, anche se sei qui. La prima volta che l'accendiamo per un bambino...», e Simone si commuove un poco terminando: «Certo... se c’eri anche tu era più bello...».
«L'anno passato ero io, Simone, che sospiravo così per il Figlio lontano, e con me Maria d'Alfeo e Salome, e anche Maria di Simone, nella sua casa di Keriot, e la madre di Tommaso...».
«Oh! la madre di Giuda! Quest'anno avrà il figlio... ma non credo che sarà più felice...
Lasciamo andare... Noi eravamo da Lazzaro. Quanti lumi!...
Pareva un cielo d'oro e fuoco. Quest'anno Lazzaro ha sua sorella... Ma sono certo di dire il vero dicendo che sospireranno pensando che Tu non ci sei. 2E l'anno che viene? Dove saremo?»
«Io sarò molto lontano...», mormora Giovanni.
Pietro si volta a guardarlo, perché lo ha di fianco, e sta per chiedere qualche cosa, ma fortunatamente si sa frenare per il richiamo di un'occhiata di Gesù.
Marziam chiede: «Dove sarai?».
«Per la misericordia del Signore spero in seno ad Abramo...».
«Oh! vuoi morire? Non vuoi evangelizzare? Non ti spiace di morire senza averlo fatto?».
«La parola del Signore deve uscire da labbra sante. Molto è se mi ha permesso di udirla e di redimermi per essa. Mi sarebbe piaciuto... Ma è tardi...».
«Eppure tu evangelizzerai. Lo hai già fatto. Tanto da attirare su te l'attenzione. Perciò sarai chiamato ugualmente discepolo evangelizzatore, anche se non peregrinerai spargendo la Buona Novella; ed avrai nell'altra vita il premio riserbato ai miei evangelizzatori».
«La tua promessa mi fa desiderare la morte... Ogni minuto di vita può celare un'insidia, ed io, debole come sono, non potrei forse superarla. Se Dio mi accoglie, pago di ciò che ho compiuto, non è grande bontà che va benedetta?».
«In verità ti dico che la morte sarà somma bontà per molti, che in tal modo conosceranno sino a che punto l'uomo si indemonia da un punto dove la pace li consolerà di questa conoscenza e la muterà in osanna, perché sarà connessa alla inesprimibile gioia della liberazione dal Limbo».
«E gli anni dopo dove saremo, Signore?», chiede attento Simone Zelote.
«Dove all'Eterno piacerà. Vuoi tu prenotare il tempo lontano, quando non siamo sicuri del momento che viviamo e se ci sarà concesso di finirlo? Del resto, qualunque sia il posto dove avvengano le future Encenie, sempre santo sarà se ivi sarete per compiere la volontà di Dio».
«Sarete? E Tu?», chiede Pietro.
«Io sempre sarò dove saranno i miei diletti».
Maria non ha mai parlato. Ma i suoi occhi non hanno lasciato per un momento di scrutare il viso del Figlio...
3La riscuote l'osservazione di Marziam che dice: «Perché, Madre, non hai messo in tavola le focacce col miele? A Gesù piacciono e a Giovanni farebbero bene per la sua gola.
E poi piacciono anche al padre mio...».
«E anche a te», termina Pietro.
«Per me... è come non ci fossero. Ho promesso...».
«E’ per questo, caro, che non le ho messe...», dice Maria accarezzandolo, perché Marziam è fra Lei e Sintica su un lato della tavola, mentre i quattro uomini sono sul lato opposto.
«No, no. Le puoi portare. Anzi, le devi portare. E le darò io a tutti».
Sintica prende una lucerna, esce, torna con le focacce. E Marziam le prende il vassoio e inizia la distribuzione. La più bella, dorata, sollevata a maestria di pasticciere, la dà a Gesù. Una, seconda in perfezione, a Maria. Poi è la volta di Pietro, poi di Simone, poi di Sintica. Ma per darla a Giovanni il bambino si alza e va al fianco del vecchio e malato pedagogo e gli dice: «A te la tua e la mia, più un bacio, per tutto quello che insegni». Poi torna al suo posto posando risolutamente il vassoio in mezzo alla tavola e incrociando le braccia.
«Mi fai andare per traverso questa delizia», dice Pietro vedendo che Marziam non ne prende proprio. E aggiunge: «Almeno un pezzettino. Toh! della mia, tanto per non morire di voglia. Soffri troppo... Gesù te lo concede».
«Ma se non soffrissi non avrei merito, padre mio. É ben perché sapevo che mi avrebbe fatto soffrire, che ho offerto questo sacrificio... E del resto... Sono così contento da quando l'ho fatto che mi pare di essere pieno di miele. Ne sento il sapore da per tutto, mi pare persino di respirarlo con l'aria...».
«É perché ne muori di voglia».
«No. È perché so che Dio mi dice: "Bene fai, figlio mio».
«Il Maestro ti avrebbe fatto contento anche senza questo sacrificio. Ti ama tanto!».
«Sì. Ma non è giusto che, perché sono amato, me ne approfitti. Egli lo dice, del resto, che grande è la ricompensa in Cielo anche per una coppa d'acqua offerta in suo nome. Penso che, se è grande per un calice dato ad altri in suo nome, lo sarà anche per una focaccia o un poco di miele negato a se stessi per amore di un fratello. 4Dico male, Maestro?».
«Parli con saggezza. Io potevo, infatti, concederti ciò che mi chiedevi per la piccola Rachele anche senza il tuo sacrificio, perché era cosa buona da farsi ed il mio cuore la voleva. Ma con più gioia l'ho fatto perché aiutato da te.
L'amore per i nostri fratelli non si limita a mezzi e limiti umani, ma si alza a ben più alti luoghi. Quando è perfetto tocca assolutamente il trono di Dio e si fonde con la sua infinita carità e bontà.
La comunione dei santi è proprio questo operare continuo, come continuamente e con tutti i modi opera Iddio, per dare aiuto ai fratelli, sia nei loro bisogni materiali come nei loro bisogni spirituali o in ambedue, come lo è nel caso di Marziam che, ottenendo la guarigione di Rachele, la solleva dalla malattia e nello stesso tempo solleva lo spirito abbattuto della vecchia Giovanna e accende una confidenza sempre più grande nel Signore nel cuore di tutti di quella famiglia.
Anche una cucchiaiata di miele sacrificata può servire a riportare pace e speranza ad un afflitto, così come la focaccia, o altro cibo non mangiato per scopo d'amore, può ottenere un pane, miracolosamente offerto, ad un affamato lontano e che sarà per noi sempre sconosciuto; e la parola d'ira, anche se giusta, trattenuta per spirito di sacrificio, può impedire un delitto lontano, così come resistere alla voglia di cogliere un frutto, per amore, può servire a dar pensiero di resipiscenza ad un ladrone e così sventare un ladrocinio.
Nulla va perso nell'economia santa dell'amore universale.
Non l'eroico sacrificio di un bambino davanti ad un piatto di focacce come non l'olocausto di un martire.
Anzi, vi dico che l'olocausto di un martire ha sovente origine dalla educazione eroica che egli si è data fin dall'infanzia per amore di Dio e del prossimo».
5«Allora è proprio bene che io faccia sempre sacrifici. Per il tempo in cui saremo perseguitati», dice convinto Marziam.
«Perseguitati?», chiede Pietro.
«Sì. Non ti ricordi che Egli lo ha detto? "Sarete perseguitati per causa mia". Me lo hai detto tu, quando sei venuto per la prima volta da solo a evangelizzare a Betsaida, nell'estate».
«Si ricorda tutto, questo bambino», commenta Pietro ammirato.
La cena ha termine. Gesù si alza. Prega per tutti e benedice. E poi, mentre le donne vanno ai loro lavori di riordino delle stoviglie, Gesù con gli uomini si mette in un angolo della stanza intagliando un pezzo di legno, che sotto gli sguardi ammirati di Marziam si trasforma in una pecorella...
^^^^
Gesù diceva che il più povero degli uomini può essere il più ricco e beneficare un numero senza misura di fratelli, se sa amare sino al sacrificio, per cui anche qualora un uomo fosse ridotto in totale miseria egli potrebbe sempre beneficare pregando e soffrendo per i fratelli.
Se un piccolo sacrificio, come un semplice ‘fioretto’ – fatto che è pur sempre una piccola ‘sofferenza’ - può attirare grazie dal Cielo, la vera sofferenza voluta ed offerta per la salvezza degli altri - nella Comunione dei santi - è il gradino più alto dell’amor di prossimo.
Fu infatti l’offerta che per primo offrì Gesù, Uomo-Dio, per il riscatto e la salvezza dell’Umanità.
E’ anche quella, minore ma sempre molto importante, che offrì a Gesù l’anima-vittima Maria Valtorta e che le valse – oltre che la gloria in cielo - anche il dono dell’Opera che – dopo duemila anni - narra oggi vita, insegnamenti, miracoli, morte e Resurrezione di Gesù, permettendoci così di poterlo conoscere e amare come mai avremmo potuto.
La prossima riflessione sulla nostra settima affermazione del Credo sarà dedicata a:
4. GESÙ: «VEDO IL MIO DOLORE MUTARSI IN GAUDIO ETERNO PER UNA MOLTITUDINE DI CREATURE. E ABBRACCIO IL DOLORE COME LA PIÙ GRANDE FORZA PER RAGGIUNGERE LA FELICITÀ PERFETTA, CHE È QUELLA DI AMARE IL PROSSIMO SINO A SOFFRIRE PER DARGLI LA GIOIA. SINO A MORIRE PER ESSO».
4. GESÙ: «VEDO IL MIO DOLORE MUTARSI IN GAUDIO ETERNO PER UNA MOLTITUDINE DI CREATURE. E ABBRACCIO IL DOLORE COME LA PIÙ GRANDE FORZA PER RAGGIUNGERE LA FELICITÀ PERFETTA, CHE È QUELLA DI AMARE IL PROSSIMO SINO A SOFFRIRE PER DARGLI LA GIOIA. SINO A MORIRE PER ESSO».
4.1 Le preghiere dei giusti: la sofferenza per la propria malattia, offerta da Lazzaro per strappare al demonio la sorella Maria Maddalena, gli fa meritare da parte di Dio un premio futuro, per cui di Lazzaro ‘parleranno le genti e gli angeli’.
Nella ‘riflessione’ precedente avevamo affrontato l’argomento delle preghiere dei giusti che salvano il mondo dalla distruzione da parte di Dio.
Avevamo anche detto che Dio è pronto ad usare misericordia verso i peccatori e salvarli dalla punizione se fra essi vi sono dei giusti - come ad esempio lo fu Abramo - che pregano per loro.
Avevamo inoltre aggiunto che i ‘santi’ in Cielo e i nostri stessi Angeli custodi possono intercedere per noi presso Dio prospettando le nostre possibili attenuanti e come Dio – per amor loro – possa misericordiosamente accondiscendere.
Infine avevamo parlato dell’importanza dei sacrifici offerti per amore sottolineando il valore dell’offerta del sacrificio per ottenere grazie dal Signore e che la Comunione dei santi é un operare continuo, come Dio in tutti i modi continua ancor oggi ad operare, per dare un aiuto al prossimo nei suoi bisogni materiali o in quelli spirituali oppure in entrambi.
Ora, sempre a proposito delle preghiere dei ‘giusti’ ai fini della ‘comunione dei santi, vorrei parlarvi di un ulteriore episodio dell’Opera valtortiana.
È un episodio che si era svolto in occasione della terza Pasqua del terzo anno di vita pubblica di Gesù, a Betania.
È aprile e Gesù sta con il Gruppo apostolico e con molti discepoli.
Fra i discepoli vi è Stefano (il futuro Santo e primo Martire cristiano, già discepolo del grande Rabbi Gamaliele) che aveva voluto mettersi al seguito di Gesù abbracciandone la Dottrina come avrebbe fatto in seguito lo stesso Rabbi Gamaliele, dopo la Crocifissione di Gesù.
Gesù è in casa di Lazzaro che è più che mai infermo. Dalla sua futura morte e resurrezione lo separano ancora circa nove mesi.
Gesù – mentre gli altri discepoli passeggiano lentamente nei cortili o sul terrazzo della casa – è seduto vicino al letto di Lazzaro. Questi aveva delle terribili ulcerazioni alle vene delle gambe, praticamente inguaribili per la medicina di quei tempi e anzi suscettibili – come in effetti accadrà – di trasformarsi in cancrena intossicando il sangue e tutti gli altri organi e di condurlo alla morte.
Alcune discepole sono presenti vicino a Gesù che intrattiene e cerca di distrarre Lazzaro parlandogli degli ultimi viaggi apostolici, descrivendo i paesi attraversati e le relative accoglienze.
Si continua a parlare del più e del meno.
Ad un certo punto, parlando di sofferenza, Gesù dice a Lazzaro – che nonostante tutto sembra stare fisicamente un poco meglio e che in effetti si stava interiormente domandando se questo benessere fisico non fosse per caso opera di un qualche intervento di Gesù – che è la Sua pace che Egli infonde nella sua anima quella che lo fa sentire fisicamente meglio, perché essa lenisce la sofferenza delle sue membra ma poi – continua Gesù - è invece decreto di Dio ‘che egli soffra’…, parola quest’ultima alla quale Lazzaro aggiunge con rassegnazione un … ‘…e muoia’.
^^^^
4 febbraio 1946.
(…)
«Ma non stai un poco meglio, fratello mio?», chiede Marta.
«Da ieri mi sembri più sollevato...».
«Sì. E me ne stupisco io stesso. Forse Gesù...».
«No, amico. È che Io verso in te la mia pace. La tua anima ne è satura, e ciò sopisce il soffrire delle membra. È decreto di Dio che tu soffra».
«E muoia. Dillo pure. Ebbene... sia fatta la sua volontà, come Tu insegni. Da questo momento non chiederò più guarigione né sollievo. Ho tanto avuto da Dio (e guarda involontariamente Maria, sua sorella) che è giusto che ricambi il tanto avuto con la mia sommissione...»
«Fa' di più, amico mio. Già molto è essere rassegnati e subire il dolore. Ma tu da' ad esso un valore maggiore».
«Quale, mio Signore?».
«Offrilo per la redenzione degli uomini».
«Sono un povero uomo io pure, Maestro. Non posso aspirare ad essere un redentore».
«Tu lo dici. Ma sei in errore. Dio si è fatto Uomo per aiutare gli uomini. Ma gli uomini possono aiutare Dio.
Le opere dei giusti saranno unite alle mie nell'ora della Redenzione.
Dei giusti, morti da secoli, viventi, o futuri. Tu unìscivi le tue, da ora.
È così bello fondersi alla Bontà infinita, aggiungervi ciò che possiamo dare della nostra bontà limitata e dire: "Io pure coopero, o Padre, al bene dei fratelli".
Non ci può essere amore più grande, per il Signore e per il prossimo, di questo di saper patire e morire per dare gloria al Signore e salvezza eterna ai fratelli nostri. Salvarsi per se stessi?
È poco. È un "minimo" di santità. Bello è salvare. Darsi per salvare. Spingere l'amore fino a farsi rogo immolatore per salvare. Allora l'amore è perfetto. E grandissima sarà la santità del generoso».
«Come è bello tutto ciò, non è vero, sorelle mie?», dice Lazzaro con un sorriso sognante nel volto affilato.
Marta annuisce col capo, commossa.
4Maria, che è seduta su un cuscino, ai piedi di Gesù, nella sua posa abituale di umile e ardente adoratrice, dice: «Forse che io costo queste sofferenze al fratello mio? Dimmelo, Signore, perché la mia ambascia sia completa!...».
Lazzaro esclama: «No, Maria, …dovevo morire di ciò. Non metterti frecce nel cuore».
Ma Gesù, sincero fino all'estremo, dice: «Certo che sì! Io l'ho sentito il buon fratello nelle sue preghiere, nei suoi palpiti. Ma questo non ti deve dare ambascia che appesantisce. Bensì volontà di divenire perfetta, per ciò che costi. E giubila! Giubila perché Lazzaro, per averti strappata al demonio...».
«Non io! Tu, Maestro»
«...per averti strappata al demonio, ha meritato da Dio un premio futuro, per cui di lui parleranno le genti e gli angeli. E come per Lazzaro, di altri, e specie di altre, che hanno strappato a Satana la preda col loro eroismo».
(…)
^^^^
Ebbene, cosa comprendiamo meditando questo piccolo brano che io vi ho reso più comprensibile evidenziando alcune parole con i miei ‘grassetti’?
Primo, che Lazzaro aveva offerto le sofferenze della sua malattia per la redenzione della sorella Maria Maddalena, una volta dissoluta e ‘posseduta da sette demoni’, come dicono i Vangeli.
Secondo, che l’averla strappata al demonio - con l’offerta delle sue sofferenze - gli ha meritato (da parte di Dio che restituisce il ‘centuplo’ in Cielo ma anche sovente in terra) un premio futuro, per cui ‘di Lazzaro parleranno le genti e gli Angeli’.
Gesù non chiarisce ai presenti in cosa consista tale premio ma per noi che conosciamo il resto della ‘storia’ di Lazzaro è possibile immaginare che si tratti della sua futura resurrezione dopo quattro giorni nella tomba, avvenimento davvero straordinario che dopo duemila anni continua a colpire l’immaginazione di noi tutti.
Incredibile quanto possiamo apprendere da un semplice approfondimento dei brani valtortiani, anche da una sola parola. È come se un velo si squarciasse davanti ai nostri occhi e ci facesse dire: ‘Ah, sì, adesso finalmente capisco…’.

4.2 Lazzaro: «Ma da Pasqua l'anima mia ha raccolto una grande parola. E amo la morte. Signore, te l'offro per la tua stessa intenzione…».
Nell’Opera valtortiana si apprende che a Betania – sempre presso la casa di Lazzaro - vi è ancora un altro episodio significativo sul valore della sofferenza nella Comunione dei santi.
Avviene qualche tempo dopo la terza Pasqua del terzo anno di vita pubblica di Gesù (Pasqua di cui si è appena parlato nel brano precedente) e più precisamente una cinquantina di giorni dopo, in occasione della Pentecoste.
Abbiamo detto che Gesù ed il Gruppo apostolico non mancavano mai di partecipare alle grandi Festività Sacre presso il Tempio: essi volevano e dovevano dare l’esempio per primi.
Gesù – come ormai succedeva sempre più spesso – viene volutamente provocato, ed è coinvolto suo malgrado al Tempio in una accesa disputa con i dottori, disputa che sfocia in un tumulto da parte di questi che provoca l’intervento dei legionari romani che intervengono per sedare e proteggere Gesù, ben visto da Roma ed apprezzato per la sua ‘mansuetudine’ e sapienza’ di ‘grande filosofo’, considerato certamente non nemico di Roma.
Egli viene poi invitato a pranzo con tutti gli apostoli in casa di un potente fariseo sinedrista, Elchia, peraltro suo acerrimo nemico ma che cercava di nascondere il suo odio.
Gesù – pur sapendolo perfettamente - non vuole tuttavia offenderlo con un rifiuto e accetta ma - a casa di Elchia, contornato da altri suoi pari – vengono rivolte a Gesù domande ed insinuazioni capziose al fine di comprometterlo e trovare pretesti per accusarlo ufficialmente.
Il ‘dialogo’ ed il pranzo finiscono per degenerare ed è qui che Gesù, indignato e terribile, pronuncia la famosa invettiva ‘storica’ contro farisei e dottori della Legge di cui parla il Vangelo di Luca.
Lasciata Gerusalemme, è il tramonto quando il Gruppo giunge finalmente alla propria base ‘logistica’ di Betania, dove oltre all’ospitalità di Lazzaro (non solo semplice amico di Gesù ma anche protettore politicamente potente, in quanto ben visto dai romani per via di importanti cariche pubbliche che suo padre aveva ricoperto in passato in Siria per conto di Roma) vi era anche la capacità di accoglienza della attigua casa di Simone lo Zelote:
^^^^
11 aprile 1946.
1Il tramonto arrossa il cielo quando Gesù giunge a Betania. Accaldati, polverosi, lo seguono i suoi. E sono, Gesù e gli apostoli, gli unici che sfidino la fornace della via, alla quale poco da riparo fanno gli alberi che si prolungano dal monte degli Ulivi fino alle pendici di Betania.
L'estate infuria. Ma più ancora infuria l'odio. I campi sono spogli e arsi, fornaci che riverberano fiati di fuoco. Ma gli animi dei nemici di Gesù sono ancor più spogli di, non dico amore, ma di onestà, di morale anche umana, arsi dall'odio...
E non c'è che una casa per Gesù. Che un rifugio: Betania. Là è l'amore, il refrigerio, la protezione, la fedeltà... Il Pellegrino perseguitato vi si dirige col suo abito bianco, col suo viso addolorato, col suo passo stanco di chi non può sostare perché pungolato alle reni dai nemici, con lo sguardo rassegnato di chi già contempla la morte che si avvicina ad ogni ora, ad ogni passo, e che già accetta per ubbidienza a Dio...
La casa, in mezzo al suo vasto giardino, è tutta chiusa e muta, in attesa di ore più fresche.
Il giardino è vuoto e muto, e solo il sole vi regna dispotico.
2Tommaso dà la voce col suo vocione baritonale.
Una tenda si sposta, un viso sbircia... Poi un grido: «Il Maestro!», e i servi corrono fuori, seguiti dalle stupite padrone che non attendevano certo Gesù a quell'ora ancora di fuoco.
«Rabbonì!», «Mio Signore!».
Marta e Maria salutano da lontano, già curve, pronte alla prostrazione che fanno non appena, aperto il cancello, Gesù non è più separato da loro.
«Marta, Maria, la pace a voi e alla vostra casa».
«La pace a Te, Maestro e Signore... Ma come a quest'ora?», chiedono le sorelle licenziando i servi perché Gesù possa parlare liberamente.
«Per riposare corpo e spirito dove non mi si odia...», dice mestamente Gesù, tendendo le mani come a dire: «Mi volete?», e si sforza a sorridere, ma è un ben triste sorriso, smentito dallo sguardo degli occhi dolorosi.
«Ti hanno fatto del male?», chiede Maria avvampando.
«Che t'è accaduto?», chiede Marta e, materna, aggiunge: «Vieni, ti darò ristoro. Da quando cammini, che sei così stanco?».
«Dall'alba... e posso dire di continuo, perché la breve sosta in casa di Elchia il sinedrista fu peggio che un lungo cammino...».
«Lì ti hanno angosciato?...».
«Sì... e prima al Tempio...».
«Ma perché vi sei andato da quella serpe?», interroga Maria.
«Perché il non andarvi avrebbe servito a giustificare il suo odio, che mi avrebbe accusato di sprezzare i membri del Sinedrio. Ma ormai... che Io vada o non vada, la misura dell'odio farisaico è colma... e non ci sarà più tregua...».
«A questo siamo? Sta' con noi, Maestro. Qui non ti faranno del male...».
«Mancherei alla mia missione... Molte anime attendono il loro Salvatore. Devo andare...».
«Ma ti impediranno di andare!».
«No. Mi perseguiteranno, facendomi andare per studiare ogni mio passo, facendomi parlare per studiare ogni parola, sorvegliandomi come i segugi la preda per avere... un che, che possa parere colpa... e tutto servirà...»
Marta, sempre così riguardosa, è tanto colpita da pietà che alza la mano come per una carezza sulla guancia smagrita, ma si arresta arrossendo e dicendo: «Perdona! Mi hai fatto la stessa pena che mi fa Lazzaro nostro! D'averti amato da fratello sofferente perdonami, Signore!».
«Sono il Fratello sofferente... Amatemi con puro amor di sorelle... 3Ma Lazzaro che fa?».
«Langue, Signore...», risponde Maria, e alle lacrime che già le pungono gli occhi dà libero sfogo con questa confessione, che si unisce alla pena di vedere il suo Maestro così afflitto.
«Non piangere, Maria. Né per Me, né per lui. Noi facciamo la divina volontà. Piangere si deve su chi questa volontà non la sa fare...».
Maria si china a prendere la mano di Gesù e la bacia sulla punta delle dita.
Sono arrivati intanto alla casa ed entrano andando subito da Lazzaro, mentre gli apostoli sostano rinfrescandosi con quanto i servi porgono.
Gesù si china sullo smunto, sempre più smunto Lazzaro, e lo bacia sorridendo per sollevare la tristezza del suo amico.
«Maestro, come mi ami! Non hai neppure atteso la sera per venire a me. Con questo caldo...».
«Amico mio, Io godo di te e tu di Me. E il resto è nulla».
«È vero. È nulla. Anche il mio soffrire non mi è più nulla... Ora so perché soffro e cosa posso col mio soffrire», e Lazzaro sorride di un intimo, spirituale sorriso.
«Così è, Maestro. Quasi si direbbe che Lazzaro nostro veda con piacere la malattia e...».
Un singhiozzo spezza la voce di Marta, che tace.
«Ma sì, dillo pure: e la morte. Maestro, di' loro che mi devono aiutare, come fanno i leviti presso i sacerdoti».
«A che, amico mio?».
«A consumare il sacrificio...».
«Eppure, tu tremavi della morte fino a poco tempo fa! Non ci ami dunque più? Non ami il Maestro più? Non lo vuoi servire?...», chiede, più forte ma pallida di pena, Maria, carezzando la mano giallastra del fratello.
«E lo chiedi tu, proprio tu, anima ardente e generosa? Non ti sono fratello? Non ho il tuo stesso sangue e i tuoi stessi santi amori: Gesù, le anime, e voi, sorelle dilette?... Ma da Pasqua l'anima mia ha raccolto una grande parola. E amo la morte. Signore, te l'offro per la tua stessa intenzione».
«Non mi chiedi dunque più guarigione?».
«No, Rabbonì. Ti chiedo benedizione per saper soffrire e... morire... e se troppo non è chiedere, e per redimere... Tu lo hai detto...».
«L'ho detto. E ti benedico per darti ogni forza». E gli impone le mani e poi lo bacia.
4«Staremo insieme e mi istruirai…»
«Non ora, Lazzaro. Non sosto. Sono venuto per poche ore. A notte partirò».
«Ma perché?», chiedono i tre fratelli, delusi.
«Perché non posso sostare... Tornerò in autunno. E allora... molto starò e molto farò qui... e nei dintorni...».
Un silenzio triste. Poi Marta prega: «Allora almeno prendi riposo, ristoro...».
«Nulla mi ristorerà più del vostro amore. Fate riposare gli apostoli miei e lasciatemi stare qui, fra voi, così in pace...».
Marta esce lacrimando per tornare con delle tazze di latte freddo e delle frutta primaticce...
«Gli apostoli hanno mangiato e dormono stanchi. Maestro mio, non vuoi proprio riposare?».
«Non insistere, Marta. Non sarà ancora l'alba che essi mi cercheranno qui, al Getsemani, da Giovanna, in ogni casa ospitale. Ma all'alba Io sarò già lontano».
«Dove vai, Maestro?», chiede Lazzaro.
«Verso Gerico, ma non dalla via usuale... Piego verso Tecua e poi torno indietro verso Gerico».
«Strada penosa in questa stagione!...», mormora Marta.
«Appunto per questo che è solitaria. Cammineremo di notte. Le notti sono chiare anche prima dell'alzarsi della luna... E l'alba viene così sollecita...».
«E poi?», interroga Maria.
«E poi l'Oltre-Giordano. E all'altezza della Samaria, nel suo settentrione, passerò il fiume venendo da questa parte».
«Va' a Nazaret presto. Sei stanco...», dice Lazzaro.
«Prima devo andare alle sponde del mare... Poi... andrò in Galilea. Ma mi perseguiteranno anche là...».
«Avrai sempre tua Madre che ti conforta...», dice Marta.
«Sì, povera Mamma!».
«Maestro, Magdala è tua. Lo sai», ricorda Maria.
«Lo so, Maria... Tutto il bene e tutto il male so...».
5«Separàti così!... per tanto tempo! Mi ritroverai vivo, Maestro?».
«Non averne dubbio. Non piangete... Anche alle separazioni occorre abituarsi. E utili sono a provare la forza degli affetti. Si capiscono meglio i cuori amati vedendoli con occhio spirituale, da lontano. Quando, non sedotti da piacere umano per la vicinanza fisica dell'amato, si può meditare sul suo spirito e sul suo amore... si comprende di più l'io del lontano... Io sto certo che, pensando al Maestro vostro, lo comprenderete meglio ancora quando vedrete e contemplerete in pace le mie azioni e i miei affetti».
«Oh! Maestro! Ma noi non abbiamo dubbi su Te!».
«Né Io su voi. Lo so. Ma ancor più mi conoscerete. E non vi dico di amarmi, perché conosco il vostro cuore. Dico solo: pregate per Me».
I tre fratelli piangono... Gesù è così triste!... Come non piangere?
«Che volete? Dio aveva messo l'amore fra gli uomini. Ma gli uomini vi hanno surrogato l'odio... E l'odio divide non solo i nemici fra loro, ma si insinua a separare gli amici».
Un silenzio lungo. Poi Lazzaro dice: «Maestro, va' via dalla Palestina per qualche tempo...».
«No. Il mio posto è qui. Per vivere, evangelizzare, morire».
«Ma hai pure provveduto a Giovanni e alla greca. Va' con loro».
«No. Essi andavano salvati. Io devo salvare. E questa è la differenza che spiega tutto.
L'altare è qui, e qui è la cattedra. Io non posso andare altrove. E del resto... Credete che ciò muterebbe ciò che è deciso? No. Né in Terra né in Cielo. Soltanto offuscherebbe la purezza spirituale della figura messianica. Sarei "il vile" che si salva con la fuga. Devo dare l'esempio, ai presenti e ai futuri, che nelle cose di Dio, nelle cose sante, non bisogna essere vili...».
«Hai ragione, Maestro», sospira Lazzaro...
6E Marta, scostando la tenda, dice: «Hai ragione... La sera si avanza. Non c'è più sole...».
Maria si mette a piangere angosciosamente, come se questa parola avesse avuto il potere di sciogliere la sua forza morale, che conteneva il suo pianto in silenzioso lacrimare.
Piange più straziatamente che nella casa del Fariseo, quando col pianto chiedeva perdono al Salvatore...
«Perché piangi così?», interroga Marta.
«Perché tu hai detto la verità, sorella! Non c’è più sole... Il Maestro se ne va... Non c'è più sole per me... per noi...».
«Siate buoni. Vi benedico e resti la mia benedizione su voi. Ed ora lasciatemi con Lazzaro, che è stanco e abbisogna di silenzio. Vegliando il mio amico, riposerò.
Provvedete agli apostoli e fate che siano pronti per l'ora delle ombre...».
Le discepole si ritirano e Gesù resta silenzioso, raccolto in Se stesso, seduto presso l'amico languente che, pago di quella vicinanza, si addormenta con un lieve sorriso sul volto.
^^^^
Cosa comprendiamo da questo quadretto di vita vissuta in quel di Betania?
Comprendiamo che Lazzaro, oltre ad aver offerto la propria sofferenza fisica per la redenzione della sorella Maria, aveva poi offerto anche la propria vita, per aiutare Gesù nella sua missione di Redenzione universale, perché ad un certo punto aveva detto: «Ma da Pasqua l'anima mia ha raccolto una grande parola. E amo la morte. Signore, te l'offro per la tua stessa intenzione».
-
Ancora una volta, dunque… ‘Comunione dei santi’.

4.3 Marziam: «…Ma io penso, nell'offrire suffragi, alle anime per le quali nessuno prega, e dico: se al padre mio ciò non occorre più, vadano questi sacrifici per coloro a cui nessuno pensa».
Ricordo anche un ulteriore successivo piccolo episodio, sempre del terzo anno della vita pubblica di Gesù, episodio che offre – ancora una volta grazie al fanciullo Marziam - un grande insegnamento sul valore del sacrificio nella Comunione dei santi, e su come Dio lo possa premiare.
^^^^
30 maggio 1946 (Ascensione).
1«Dove hai lasciato le barche, Simone, quando sei venuto a Nazaret?», chiede Gesù mentre cammina in direzione nord est, volgendo le spalle alla piana di Esdrelon e procedendo in direzione del Tabor.
«Le ho rimandate alla pesca, Maestro. Ma ho detto di trovarsi a Tarichea di tre in tre giorni... Non sapevo quanto sarei rimasto con Te».
«Molto bene. Chi di voi vuole andare ad avvertire mia Madre e Maria d'Alfeo di raggiungerci a Tiberiade? Alla casa di Giuseppe è il ritrovo».
«Maestro,... vorremmo tutti. Ma di' Tu chi deve andare e sarà meglio».
«Allora Matteo, Filippo, Andrea e Giacomo di Zebedeo. Gli altri vengano con Me a Tarichea. Direte alle donne il motivo del ritardo. E di chiudere casa e di venire. Staremo insieme per tutta una luna. Andate. Ché qui è il bivio. E la pace sia con voi».
Bacia i quattro che si separano e riprende la marcia con gli altri. Ma dopo pochi passi si ferma e osserva Marziam, che cammina a capo chino un poco indietro. Quando il giovinetto lo raggiunge, Gesù gli passa la mano sotto il mento, forzandolo ad alzare il viso.
Due righe di pianto sono sul volto brunetto.
«Andresti volentieri anche tu a Nazaret?».
«Sì, Maestro... Ma fa' ciò che Tu vuoi».
«Voglio che tu abbia conforto, figlio mio... Va'... Corri dietro a quelli. La Madre ti consolerà».
Lo bacia e lo lascia andare, e Marziam si dà a correre raggiungendo presto i quattro.
2«È ancora un fanciullo...», osserva Pietro.
«E soffre molto... Mi diceva ieri sera, ché l'ho trovato a piangere in un angolo della casa:
"È come se fossero morti ieri il padre e la madre... La morte del vecchio padre mi ha riaperto tutto il cuore..."», dice Giovanni.
«Povero figlio!... Ma è stata buona cosa che fosse presente a quella morte...», dice lo Zelote.
«Si era tanto illuso di poter giovare al vecchio!... Mi diceva Porfirea che faceva sacrifici d'ogni sorta per poter mettere insieme il denaro.
Ha lavorato nei campi, ha fatto fascine per i forni, ha pescato, non ha mangiato le formaggelle per venderle, il miele per venderlo... Aveva quel chiodo in cuore e voleva con sé il vecchio... Mah! », dice Pietro.
«È un uomo di propositi seri. Non gli pesa sacrificio e lavoro. Buone doti», dice Bartolomeo.
«Sì, è un buon figlio e sarà un discepolo fra i migliori. Vedete con che disciplina si regola anche nei momenti più turbati...
Il suo cuore afflitto desiderava Maria, ma non ha chiesto di andare. Ha così bene compreso ciò che è forza nella preghiera, che supera molti adulti», dice Gesù.
«Credi che faccia i sacrifici con uno scopo prefisso?», domanda Tommaso.
«Ne sono sicuro».
«È vero. Ieri dette le frutta ad un vecchio dicendogli: "Prega per il padre di mio padre che mi è morto da poco", ed io gli ho osservato: "Egli è in pace, Marziam. Non credi valida l'assoluzione di Gesù?".
Mi ha risposto: "La credo valida. Ma io penso, nell'offrire suffragi, alle anime per le quali nessuno prega, e dico: se al padre mio ciò non occorre più, vadano questi sacrifici per coloro a cui nessuno pensa". E io ne sono rimasto edificato», dice Giacomo d'Alfeo.
«Già. Ieri è venuto da me e, gettandomi le braccia al collo, perché è ancora bambino, in fondo, mi ha detto: "Ora tu mi sei proprio padre... e io ti rendo ciò che la tua bontà mi aveva fatto mettere insieme. Non serve più quel denaro al vecchio padre,... e tu e Porfirea fate tanto per me...".
Io, e facevo fatica a stare senza lacrime, gli ho risposto: "No, figlio mio. Useremo quel denaro in elemosine ai vecchi miseri o per degli orfanelli poveri, e Dio userà le tue elemosine per aumentare la pace al povero vecchio".
E Marziam mi ha dato due baci così forti che,... ecco,... io non ho più potuto trattenere le lacrime. E come ti è grato, Bartolomeo, di esserti fatto pagatore delle spese. Mi diceva: "Per me l'onore dato al vecchio non ha prezzo. Dirò a Bartolomeo di tenermi per servo"».
«Oh! povero figlio! Nemmeno per un'ora! Lui serve il Signore e ci edifica tutti. Ho onorato un giusto. Lo potevo fare, perché il mio nome è conosciuto e mi è facile trovare chi mi anticipa. Da Betsaida provvederò al saldo del piccolo debito, un'inezia in fondo...».
«Sì. Come denaro è poco, perché quelli di Jezrael furono generosi. Ma il tuo amore verso il condiscepolo non è un'inezia. Perché ogni atto d'amore è di grande valore.
(…)
^^^^
Fa ben riflettere quella frase di Marziam: «Ma io penso, nell'offrire suffragi, alle anime per le quali nessuno prega, e dico: se al padre mio ciò non occorre più, vadano questi sacrifici per coloro a cui nessuno pensa".
Quante persone pensano mai di offrire suffragi di Sante Messe a Gesù per le anime più bisognose del Purgatorio, quelle alle quali appunto più nessuno pensa o per dimenticanza o per mancanza di fede o perché sono ormai morti tutti i loro parenti e amici di una volta per cui quelle anime potrebbero rimanere ad espiare in Purgatorio anche decenni e decenni se non anche secoli?
Una volta avevo letto un Dettato del Gesù valtortiano alla mistica in cui Egli diceva che era davvero una grande opera di carità pregare per le anime dimenticate del Purgatorio le quali peraltro - una volta liberate – avrebbero ricambiato ardentemente pregando a loro volta per i loro ‘benefattori’.

4.4 Gesù: È il sacrificio quello che dà il merito. Più grande il sacrificio e più grande il merito. Completo il sacrificio e completo il merito.
Continuando il discorso, sempre nell’ambito dello stesso episodio di poco sopra, Gesù chiarisce poi agli apostoli di quale natura debba essere l’offerta di sacrificio a favore della ‘Comunione dei santi’ per averne merito in Cielo, aggiungendo:
^^^^
(…)
Ma per meritare bisogna compiere, con sforzo, qualcosa di superiore alla nostra natura.
Non è un merito mangiare, ad esempio.
Ma può divenire un merito il saper mangiare parcamente, facendo veri sacrifici per dare ciò che risparmiamo ai poveri.
Non è un merito stare zitti.
Ma lo diviene quando si sta zitti non ribattendo un'offesa.
E così via. Ora tu comprendi che Dio non ha bisogno di sforzare Se stesso che è perfetto, infinito. Ma l'Uomo-Dio può sforzare Se stesso, umiliando l'infinita Natura divina a limitazione umana, vincendo la natura umana che non è assente o metaforica in Lui ma è reale, con tutti i suoi sensi e sentimenti, con le sue possibilità di sofferenza e di morte, con la sua volontà libera.
Nessuno ama la morte, specie se è dolorosa, precoce e immeritata. Nessuno l'ama.
Eppure ogni uomo deve morire. Perciò dovrebbe guardare la morte con la stessa calma con cui vede finire tutto ciò che ha vita.
Ebbene, Io sforzo la mia Umanità ad amare la morte.
Non solo. Io ho eletto la vita per potere avere la morte. Per l'Umanità.
Perciò Io, nella mia veste di Uomo-Dio, acquisto quei meriti che, rimanendo Dio, non potevo acquistare.
E con essi, che sono infiniti per la forma come li acquisto, per la Natura divina congiunta all'umana, per le virtù di carità e di ubbidienza con le quali mi sono messo in condizione di meritarli, per la fortezza, per la giustizia, temperanza, prudenza, per tutte le virtù che ho messe nel mio cuore a renderlo accetto a Dio, Padre mio, Io avrò una potenza infinita non solo come Dio, ma come Uomo che si immola per tutti, ossia che raggiunge il limite massimo della carità.
È il sacrificio quello che dà il merito. Più grande il sacrificio e più grande il merito.
Completo il sacrificio e completo il merito.
Perfetto il sacrificio e perfetto il merito. E usabile secondo la santa volontà della vittima, alla quale il Padre dice: "Sia come tu vuoi!", perché essa lo ha amato senza misura ed ha amato il prossimo senza misura.
Ecco, Io ve lo dico. Il più povero degli uomini può essere il più ricco e beneficare un numero senza misura di fratelli, se sa amare sino al sacrificio.
Io ve lo dico: anche non aveste neppur più una briciola di pane, un calice d'acqua, un brandello di veste, voi potete beneficare sempre. Come? Pregando e soffrendo per i fratelli.
Beneficare chi? Tutti. In che modo? In mille modi tutti santi, perché, se voi saprete amare, saprete come Dio operare, insegnare, perdonare, amministrare e, come l'Uomo-Dio, redimere».
8«O Signore, donaci questa carità!», sospira Giovanni.
«Dio ve la dà, perché a voi si dona. Ma voi dovete accoglierla e praticarla sempre più perfettamente. Nessun evento deve essere per voi disgiunto da carità. Dai materiali a quelli dello spirito. Tutto sia fatto con carità e per la Carità.
Santificate le vostre azioni, le vostre giornate, mettete il sale alle vostre orazioni, la luce nelle vostre operazioni.
La luce, il sapore, la santificazione, è la carità.
Senza di essa, nulli sono i riti e vane le preghiere e false le offerte.
In verità vi dico che il sorriso con cui un povero vi saluta come fratelli è più di valore del sacco di monete che uno vi può gettare ai piedi solo per essere notato. Sappiate amare e Dio sarà con voi, sempre».
«Insegnaci ad amare così, Signore».
«Sono due anni che ve lo insegno. Fate ciò che mi vedete fare e sarete nella Carità, e la Carità sarà in voi, e su voi sarà il sigillo, il crisma, la corona che vi farà veramente riconoscere per ministri di Dio-Carità. Ora sostiamo in questo luogo ombroso. Vi è erba folta e alta, e le piante mitigano il calore. Proseguiremo a sera...».
4.5 Natura ed importanza del valore salvifico. Gesù: «Io non guardo l'ora. Guardo le conseguenze che l'ora può creare nell'eternità. Il mio episodio cessa, ma il suo frutto dura. Il mio dolore ha termine, ma i valori di quel mio dolore non terminano».
L’argomento della ‘Comunione dei santi’ ed in particolare quello della importanza del dolore salvifico è tuttavia troppo importante perché non lo approfondiamo – ancora una volta – per terminare questa nostra meditazione.
Si tratta di un episodio che avviene vari mesi dopo il precedente, anzi nei primissimi mesi dell’anno successivo, anno che è l’ultimo della predicazione di Gesù prima della Pasqua finale.
Lazzaro, già morto da poco, era stato resuscitato da Gesù non tanto o non solo per amore dell’amico ma soprattutto per dare gloria a Dio Padre e cercare di convincere la Casta di Israele con un miracolo del tutto straordinario che Egli era veramente il Messia, il Figlio di Dio fattosi Uomo, come aveva cercato invano di convincere per tre anni affinché accogliesse la Sua Dottrina.
La reazione al miracolo della resurrezione di Lazzaro non poteva però essere peggiore.
Sacerdoti del Tempio, scribi, farisei, sadducei, erodiani – prima in conflitto fra di loro e poi uniti perché tutti preoccupatissimi che questo miracolo strepitoso convincesse l’intera Palestina del fatto che Gesù doveva essere veramente il Messia predetto da i profeti (figura che gli ebrei nel successivo corso dei secoli avevano finito per interpretare nel loro immaginario come quella di un grande Condottiero, un uomo d’armi) riuniscono il Sinedrio e – per preservare ciascuna setta o partito politico il suo potere – decidono senza alcun ulteriore indugio la condanna a morte di Gesù.
Viene addirittura emesso un Bando di cattura che sarebbe stato esposto in tutte le sinagoghe di Israele affinché chiunque avesse visto Gesù ne denunciasse al Sinedrio la presenza per consentirne l’arresto.
Non era però ancora giunto il tempo previsto da Dio. Gesù era, infatti, pronto all’immolazione per redimere l’Umanità ma questa doveva avvenire in occasione della ormai prossima Pasqua, affinché Egli dovesse essere sacrificato sulla Croce come l’Agnello pasquale.
Gesù ed il Gruppo apostolico – informati di quanto stesse bollendo in pentola - partono subito verso una destinazione segreta in Samaria, terra di confine dove i Giudei non avevano giurisdizione e dove i samaritani - che peraltro erano in pessimi rapporti politici e religiosi con i giudei – erano ben lieti di accoglierlo perché Gesù non li disprezzava ma anzi li amava e donava a loro i lumi della sua Sapienza.
Gesù si rifugia nella cittadina di Efraim, accolto in una casa ospitale, mentre gli apostoli vengono mandati in giro ad evangelizzare nel corso della settimana salvo tornare ad Efraim – dove Gesù rimaneva ad attenderli - per passare il sabato tutti insieme con Lui.
Dopo un incontro segreto notturno con Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea all’interno di una grotta, dove gli viene confermata la ferma decisione del Sinedrio di braccarlo, Gesù - rimane solo come in attesa finché - sotto una pioggia torrenziale - si rifugia nella grotta un ‘saforim’, cioè una sorta di allievo di una Scriba.
L’uomo è inzuppato – vede un fuoco acceso ma non vede persone, pensa che se ne siano già andate – e comincia a togliersi e strizzare i propri abiti bagnati parlando e lamentandosi fra sé a voce alta.
Non si avvede di Gesù che è là nel fondo, finché è lo stesso Gesù che gli parla dal buio e lo invita a cambiarsi di veste dandogli la propria.
L’uomo rimane stupito dall’atto ma ancora di più dalla dolcezza delle parole di Gesù che prima mostra di sapere che Lui era in cerca del Messia per ucciderlo o catturarlo per portarlo a morte a Gerusalemme e poi gli si disvela per essere il Cristo stesso.
Dialogo bellissimo e commovente, fatto sta che l’uomo – di nome Samuele – si converte e si prostra piangente ai piedi di Gesù che poi se lo porta con sé ad Efraim, accettandolo come discepolo.
Questo è l’antefatto, ma ora vediamo l’episodio successivo concernente il nuovo discepolo Samuele e… Giuda, episodio che getterà un breve cono di luce sulla complessa figura di Giuda ma che è soprattutto ulteriormente chiarificatorio – come già detto - sulla natura ed importanza del dolore salvifico (i grassetti sono miei):
^^^^
10 febbraio 1947.
1E ancora è Gesù che, solo e assorto, va lentamente verso il fitto del bosco che è ad ovest di Efraim. Dal torrente sale frusciar d'acque e dalle piante scendono canti d'uccelli. La luce del sole primaverile e vivace è dolce sotto l'intrico dei rami, e silenzioso è il cammino sul tappeto erboso tutto in rigoglio. I raggi solari fanno un mobile tappeto di dischi o di striature dorate sul verde delle erbe, e qualche fiore ancor rugiadoso, colpito in pieno da un dischetto di luce mentre tutto all'intorno è ombra, splende come se i suoi petali fossero scaglie preziose.
Gesù sale, sale verso un greppo che sporge come un balcone sul vuoto sottostante. Un balcone su cui erge una pianta colossale di quercia e dal quale pendono rami flessibili di more selvatiche o di rose canine, edere e vitalbe che, non trovando posto e appoggio sul luogo natìo, troppo angusto per la loro esuberante vitalità, si rovesciano nel vuoto come una chioma scapigliata e disciolta, e si tendono sperando di potersi avvinghiare a qualcosa.
Ecco Gesù all'altezza del greppo. Si dirige alla sua punta più protesa, scostando l'intrico dei cespugli. Uno stormo di uccellini fuggono via con un frullo e un cinguettio di paura.
2Gesù sosta osservando l'uomo che lo ha preceduto lassù e che, bocconi sull'erba, quasi al limite del greppo, i gomiti puntati al suolo, il volto puntellato sulle mani, guarda nel vuoto, verso Gerusalemme. L'uomo è Samuele, l'ex-allievo di Gionata ben Uziel. È pensieroso. Sospira. Crolla il capo...
Gesù scuote dei rami per attirare la sua attenzione e, visto vano il suo tentativo, raccoglie un sasso fra l'erba e lo fa rotolare giù dal sentiero. Il rumore del sasso, rimbalzante giù per la china, scuote il giovane, che si volta sorpreso dicendo: «Chi è qui?».
«Io, Samuele. Tu mi hai preceduto in uno dei miei luoghi preferiti di preghiera», dice Gesù mostrandosi da dietro il tronco possente della quercia messa al limite del sentierino che conduce là. E lo fa come se fosse arrivato in quel momento.
«Oh! Maestro! Mi spiace... Ma ti lascerò libero subito il posto», dice alzandosi in fretta e raccogliendo il mantello che s'era levato e aveva steso al suolo sotto di sé.
«No. Perché? C'è posto per due. È così bello il luogo! Così isolato, solitario, sospeso nel vuoto, con tanta luce e orizzonte davanti! Perché lo vuoi lasciare?».
«Ma... per lasciarti libero di pregare...».
«E non possiamo farlo insieme, o anche meditare, parlando fra noi, elevando lo spirito in Dio... e dimenticando gli uomini e le loro manchevolezze pensando a Dio, nostro Padre e Padre buono di tutti coloro che lo cercano e amano con buona volontà?».
Samuele ha un atto di sorpresa quando Gesù dice «dimenticare gli uomini e le loro manchevolezze...». Ma non ribatte parola. Si torna a sedere.
3Gesù gli si siede accosto sull'erba e gli dice: «Siedi qui. E stiamo insieme. Guarda come è limpido l'orizzonte oggi. Se avessimo occhi d'aquila, potremmo vedere biancheggiare i paesi che sono sulle cime dei monti che fanno corona a Gerusalemme. E, chissà, forse vedremmo un punto splendente come una gemma nell'aria che ci farebbe battere il cuore: le cupole d'oro della Casa di Dio...
Guarda. Là è Betel. Se ne vedono biancheggiare le case, e là, oltre Betel, è Berot. Che acuta furbizia quella degli antichi abitanti del luogo e di quelli vicini! Ma uscì in bene, per quanto l'inganno non sia mai arma buona. Uscì in bene perché li mise al servizio del vero Dio. Conviene sempre perdere gli onori umani per acquistare la vicinanza col divino.
Anche se gli onori umani erano molti e di valore, e la vicinanza col divino è umile e sconosciuta. Non è vero?».
«Sì, Maestro, dici bene. Così è accaduto a me».
«Ma tu sei triste, nonostante che il cambio dovrebbe farti felice. Sei triste. Soffri. Ti isoli. Guardi verso i luoghi lasciati. Sembri un uccello captivo che, stretto contro i ferri della sua prigione, guarda con tanto rimpianto verso il luogo dei suoi amori. Io non ti dico di non fare questo. Sei libero. Puoi andare e...».
«Signore, Giuda ti ha forse parlato male di me, che Tu parli così?».
«No. Giuda non mi ha parlato. A Me non ha parlato. Ma a te, sì.
E tu sei triste per questo. E ti isoli sconfortato per questo».
«Signore, se Tu sai queste cose senza che nessuno te le abbia dette, saprai anche allora che non è per desiderio di lasciarti, per pentimento di essermi convertito, per nostalgia del passato... e neppure per paura degli uomini, di quella paura dei loro castighi che mi si vorrebbe insinuare, che sono triste.
4Guardavo là. È vero. Guardavo verso Gerusalemme. Ma non per ansia di tornarvi.
Dico: tornarvi per quello che ero prima. Perché, di tornarvi come israelita che ama entrare nella Casa di Dio e adorare l'Altissimo, certo è in me ansia, come in tutti noi, né credo che Tu me ne possa rimproverare».
«Io per primo, nella mia duplice Natura, ho desiderio di quell'altare, e vorrei vederlo circondato di santità come si conviene.
Come Figlio di Dio, ogni cosa che è a Lui onore ha per Me voce soave, e come Figlio dell'uomo, come Israelita, e perciò Figlio della Legge, vedo il Tempio e l'altare come il luogo più sacro d'Israele, quello nel quale la nostra umanità può accostarsi al Divino e profumarsi dell'aura che circonda il trono di Dio.
Io non annullo la Legge, Samuele. Mi è sacra perché data dal Padre mio. La perfeziono e vi metto le parti nuove. Come Figlio di Dio lo posso fare. A questo mi ha mandato il Padre.
Vengo per fondare il Tempio spirituale della mia Chiesa, contro il qual Tempio né uomini né demoni non prevarranno. Ma le tavole della Legge non avranno che un posto d’onore in esso. Perché eterne sono, perfette, intoccabili. Il "non fare questo e quel peccato" contenuto in quelle tavole, che contengono nella loro lapidaria brevità quanto necessita per essere giusti agli occhi di Dio, non è annullato dalla mia parola. Anzi!
Io pure vi dico quei dieci comandi. Solo vi dico di farli con perfezione, ossia non per paura dell'ira di Dio sui trasgressori, ma per amore al Dio vostro che è Padre. Io vengo a mettere la vostra mano di figli in quella del Padre vostro. Quanti secoli sono che quelle mani sono divise! Il castigo divideva. E la Colpa divideva. Venuto il Redentore, ecco che il peccato è per essere annullato. Cadono le barriere. Voi siete di nuovo i figli di Dio».
«È vero. Tu sei buono e conforti. Sempre. E sai.
Non ti dirò perciò il mio affanno. 5Ma ti chiedo: perché gli uomini sono così perversi e folli e stolti? Come, che arti hanno per poterci così diabolicamente suggestionare al male? E noi, come siamo così ciechi da non vedere la realtà e credere così alle menzogne? E come possiamo divenire così demoni? E persistere quando si è vicino a Te?
Io guardavo là, e pensavo... Sì. Pensavo a quanti rivoli di tossico escono di là a turbare i figli di Israele. Pensavo come la sapienza dei rabbi può sposarsi a tanta nequizia che altera le cose per trarre in inganno. Pensavo, soprattutto questo, perché...».
Samuele, che aveva parlato con foga, si arresta e china il capo.
Gesù termina la frase: «...perché Giuda, mio apostolo, è quale è, e dà dolore a Me e a chi mi circonda o viene a Me come tu sei venuto. Lo so. Giuda tenta di allontanarti di qui e ti fa insinuazioni e scherni...»
«E non a me solo. Sì. Mi avvelena la mia gioia di essere entrato nella giustizia. Me la avvelena con tant'arte che io penso di essere qui come un traditore, di me stesso e di Te. Di me, perché mi illudo di essere migliore mentre sarò causa della tua rovina. Io infatti non mi conosco ancora... e potrei, incontrando quelli del Tempio, cedere nel mio proposito ed essere... Oh! lo avessi fatto allora, avrei avuto la scusante di non conoscerti per quel che sei, perché di Te sapevo ciò che mi si diceva per fare di me un maledetto. Ma se lo facessi ora! Quale maledizione sarà quella del traditore del Figlio di Dio!
Io ero qui... Pensieroso, sì. Pensavo dove fuggire per mettermi al sicuro da me stesso e da loro. Pensavo fuggire in qualche luogo lontano, per unirmi a quelli della Diaspora...
Via, via, per impedire al demonio di farmi peccare... Egli ha ragione, il tuo apostolo, di diffidare di me. Egli mi conosce. Poiché conosce noi tutti, conoscendo i Capi... E ha ragione di dubitare di me. Quando dice: "Ma non sai che Egli lo dice a noi, che noi saremo deboli? Pensa, noi che siamo gli apostoli e che siamo con Lui da tanto. E tu, appestato come sei del vecchio Israele, appena venuto, e venuto in momenti che fanno tremare noi, credi di avere forza di mantenerti giusto?", ha ragione».
L'uomo, sconfortato, abbassa il capo.
6«Quante tristezze sanno darsi i figli dell'uomo! In verità Satana sa usare di questa loro tendenza per terrorizzarli affatto e separarli dalla Gioia che viene loro incontro per salvarli. Perché la tristezza dello spirito, la paura del domani, le preoccupazioni sono sempre armi che l'uomo mette in mano del suo avversario. Il quale lo spaura con gli stessi fantasmi che l'uomo si crea. E vi sono altri uomini che, in verità, si alleano a Satana per aiutarlo a spaurire i fratelli. Ma, figlio mio, non c'è dunque un Padre in Cielo? Un Padre che, come provvede a questo filo d'erba in questa fessura nella roccia -questa fessura colma di terriccio, fatta in modo che l'umidore delle rugiade, scorrendo sul sasso liscio, si raccolga in quel solco sottile, perché il filo d'erba possa vivere e fiorire con questo fiorellino minuto, che è non meno mirabile di bellezza del gran sole che splende lassù: l'uno e l'altro opera perfetta del Creatore - un Padre che, come ha cura del filo d'erba nato su una roccia, non possa aver cura di un suo figlio che vuole fermamente servirlo?
Oh! in verità Dio non delude i buoni desideri dell'uomo. Perché è Lui stesso che li accende nei vostri cuori. È Egli, provvido e sapiente, che crea le circostanze per favorire il desiderio dei suoi figli, non solo, ma per raddrizzare e perfezionare un desiderio di onorarlo, che va per vie imperfette, a desiderio di onorarlo per vie giuste.
Tu eri fra questi. Credevi, volevi, eri convinto di onorare Dio perseguitando Me. Il Padre ha visto che nel tuo cuore non era odio a Dio, ma anelito a dar gloria a Dio levando dal mondo Colui che ti avevano detto essere nemico di Dio e corruttore di anime.
Ed allora ha creato le circostanze per esaudire il tuo desiderio di dar gloria al tuo Signore. Ed ecco che tu sei ora fra noi.
E puoi pensare che Dio ti abbandoni, ora che qui ti ha portato? Solo se tu lo abbandonerai potrà soverchiarti la forza del male».
«Io non voglio questo. È sincera la mia volontà!», proclama l'uomo.
«E allora di che ti preoccupi? Della parola di un uomo? Lascialo dire. Egli pensa col suo pensiero. Pensiero d’uomo e sempre imperfetto. 7Ma provvederò a questo».
«Io non voglio che Tu lo rimproveri. Mi basta che Tu mi assicuri che io non peccherò».
«Te lo assicuro. Non ti accadrà perché tu non vuoi che ti accada. Perché vedi, figlio mio, non ti gioverebbe andare nella Diaspora e anche ai confini della Terra per preservare la tua anima dall'odio verso il Cristo e dal castigo per quest'odio.
Molti in Israele materialmente non si macchieranno del Delitto, ma non saranno meno colpevoli di quelli che mi condanneranno ed eseguiranno la sentenza. Con te posso parlare di queste cose. Perché tu sai già che tutto è disposto per questo. Sai i nomi e i pensieri dei più accaniti contro di Me.
Lo hai detto: "Giuda tutti ci conosce perché conosce tutti i Capi". Ma se egli vi conosce, anche voi, minori, perché voi siete come stelle minori vicino ai pianeti maggiori, altrettanto voi sapete ciò che si lavora e come si lavora e chi lavora, e che complotti si fanno, e quali mezzi si studiano... Perciò posso parlare con te. Non lo potrei con gli altri... Ciò che Io so patire e compatire, altri non sanno...».
«Maestro, ma come puoi, sapendo così, essere così... 8Chi sale dal sentiero?».
Samuele si alza per vedere. Esclama: «Giuda!».
«Sì. Sono io. Mi hanno detto che era passato di qui il Maestro e invece trovo te. Torno indietro allora, lasciandoti ai tuoi pensieri», e ride con la sua risatina che è più lugubre di un lamento di civetta, tanto è insincera.
«Ci sono anche Io. Mi si vuole al paese?», dice Gesù apparendo dietro le spalle di Samuele.
«Oh! Tu! Allora eri in buona compagnia, Samuele! E anche Tu, Maestro...».
«Sì. È sempre buona la compagnia di uno che abbraccia la giustizia. Volevi Me per stare con Me, allora. E vieni. C'è posto per te come anche per Giovanni, se fosse con te».
«Egli è giù, alle prese con degli altri pellegrini».
«Allora bisognerà che Io vada, se ci sono dei pellegrini».
«No. Si fermano tutto domani. Giovanni li sta sistemando nei nostri letti per la sosta.
9Egli è felice di farlo. Già tutto lo fa felice. Proprio vi assomigliate. E non so come facciate ad esser felici sempre e di tutte le cose più... crucciose».
«La stessa domanda che stavo per fare io quando tu sei venuto!», esclama Samuele.
«Ah! sì! Allora anche tu non ti senti felice e ti stupisci che altri, in condizioni ancor più... difficili delle nostre, possano esserlo».
«Io non sono infelice. Non parlo per me. Ma penso da quali sorgenti venga la serenità del Maestro, che non ignora il suo futuro e che pure non si turba di cosa alcuna».
«Ma dalle sorgenti celesti! È naturale! Egli è Dio! Lo dubiti forse?
Può un Dio soffrire? Egli è al disopra del dolore.
L'amore del Padre è per Lui come... come un vino inebriante. E un vino inebriante gli è la convinzione che le sue azioni... sono la salute del mondo.
E poi... Può Egli avere le reazioni fisiche che noi, umili uomini, abbiamo?
Ciò è contrario al buon senso. Se Adamo innocente non conosceva il dolore di nessuna specie, né lo avrebbe conosciuto mai se innocente fosse rimasto, Gesù il... Superinnocente, la creatura... non so se dirla increata essendo un Dio, o creata perché ha dei parenti... oh! quanti "perché" insolubili ai futuri, Maestro mio! Se Adamo era esente dal dolore per la sua innocenza, può forse pensarsi che Gesù abbia a soffrire?».
Gesù sta a capo chino.
Si è tornato a sedere sull'erba. I capelli gli fanno velo al volto. Non vedo perciò la sua espressione.
Samuele, in piedi, di fronte a Giuda pure in piedi, ribatte: «Ma se deve essere il Redentore, deve realmente soffrire. Non ricordi Davide e Isaia?».
«Li ricordo! Li ricordo! Ma essi, pur vedendo la figura del Redentore, non vedevano l'immateriale ausilio che il Redentore avrebbe avuto per essere... diciamo pure: torturato, senza sentirne dolore».
«E quale? Una creatura potrà amare il dolore, o subirlo con rassegnazione, a seconda della sua perfezione di giustizia. Ma lo sentirà sempre. Altrimenti... se non lo sentisse... non sarebbe dolore».
«Gesù è Figlio di Dio».
«Ma non è un fantasma! È vera Carne! La carne soffre se è torturata. È vero Uomo! Il pensiero dell'uomo soffre se è offeso e fatto oggetto di sprezzo».
«L'unione sua con Dio elimina in Lui queste cose dell'uomo».
10Gesù alza la testa e parla: «In verità ti dico, o Giuda, che Io soffro e soffrirò come ogni uomo, e più di ogni uomo. Ma Io posso essere felice ugualmente, della santa e spirituale felicità di coloro che hanno ottenuto la liberazione dalle tristezze della Terra perché hanno abbracciato la volontà di Dio per loro unica sposa. Lo posso perché ho superato il concetto umano della felicità, l'inquietudine della felicità, così come gli uomini se la figurano.
Io non inseguo ciò che secondo l'uomo costituisce la felicità; ma metto la mia gioia proprio in ciò che è all'opposto di quel che l'uomo insegue per tale. Quelle che sono cose fuggite e sprezzate dall'uomo, perché sono riputate peso e dolore, rappresentano per Me la cosa più dolce.
Io non guardo l'ora. Guardo le conseguenze che l'ora può creare nell'eternità. Il mio episodio cessa, ma il suo frutto dura. Il mio dolore ha termine, ma i valori di quel mio dolore non terminano.
E che me ne farei di un'ora del così detto "esser felici" sulla Terra, un'ora raggiunta dopo un inseguimento ad essa di anni e lustri, quando poi quell'ora non potrebbe venire con Me nell'eternità come gaudio, quando l'avessi dovuta godere da Me solo, senza farne parte a quelli che amo?».
«Ma se Tu trionfassi, noi, tuoi seguaci, avremmo parte della tua felicità!», esclama Giuda.
«Voi? E chi siete voi, rispetto alle moltitudini passate, presenti, future, alle quali il mio dolore darà la gioia? Io vedo più in là della felicità terrena. Io spingo lo sguardo oltre essa nel soprannaturale.
Vedo il mio dolore mutarsi in gaudio eterno per una moltitudine di creature. E abbraccio il dolore come la più grande forza per raggiungere la felicità perfetta, che è quella di amare il prossimo sino a soffrire per dargli la gioia. Sino a morire per esso».
«Non capisco questa felicità», proclama Giuda.
«Non sei sapiente ancora. Altrimenti la capiresti».
«E Giovanni lo è? È più ignorante di me!».
«Umanamente, sì. Ma possiede la scienza dell'amore».
«Va bene. Ma non credo che l'amore impedisca ai bastoni di essere bastoni e ai sassi di essere sassi e dar dolore alle carni che percuotono.
Tu dici sempre che t'è caro il dolore perché è per Te amore. Ma quando realmente sarai preso e torturato, sempre che sia possibile ciò, non so se avrai ancora questo pensiero. Pensaci mentre puoi sfuggire al dolore. Sarà tremendo, sai? Se gli uomini ti potranno prendere... oh! non ti useranno riguardi!».
Gesù lo guarda.
È pallidissimo. I suoi occhi, bene aperti, sembrano vedere, oltre il volto di Giuda, tutte le torture che lo aspettano, eppure nella loro mestizia restano miti e dolci, e soprattutto sereni: due limpidi occhi di innocente in pace.
Risponde: «Lo so. So anche quello che tu non sai. Ma spero nella misericordia di Dio.
Egli, che è misericordioso ai peccatori, userà misericordia anche a Me.
Non gli chiedo di non soffrire, ma di saper soffrire. 11Ed ora andiamo. Samuele, precedici di un poco e avverti Giovanni che presto sarò in paese».
Samuele si inchina e se ne va svelto.
Gesù comincia a scendere. Il sentiero è così stretto che devono procedere uno dietro l'altro. Ma questo non impedisce a Giuda di parlare: «Tu ti fidi troppo di quell'uomo, Maestro. Te l'ho detto chi è. È il più esaltato ed esaltabile dei discepoli di Gionata. Già, ormai, è tardi. Ti sei messo nelle sue mani. Egli è una spia ai tuoi fianchi. E Tu, che più di una volta, e più gli altri di Te, avete pensato lo fossi io! Io non sono una spia».
Gesù si ferma e si volta. Dolore e maestà si fondono nel suo viso e nel suo sguardo che fissa l'apostolo. Dice: «No. Non una spia. Sei un demonio. Hai rubato al Serpente la sua prerogativa di sedurre e ingannare per staccare da Dio. Il tuo comportamento non è né sasso né bastone. Ma mi ferisce più di percossa di sasso o bastone. Oh! nel mio atroce patire non ci sarà cosa più grande del tuo comportamento, atta a dare martirio al Martire».
Gesù si copre il volto con le mani, come per nascondersi l'orrore, e poi si dà a scendere a corsa per il sentiero.
Giuda gli grida dietro: «Maestro! Maestro! Perché mi addolori? Quel falso ti ha detto certo delle calunnie... Ascoltami, Maestro!».
Gesù non ascolta. Corre, vola giù dai pendii. Passa senza fermarsi presso i boscaioli o i pastori che lo salutano. Passa, saluta, ma non si arresta. Giuda si rassegna a tacere...
(…)
^^^^
Bene, abbiamo terminato. Ma non dobbiamo meravigliarci se già pochi decenni dopo l’inizio del Cristianesimo hanno cominciato a diffondersi eresie sulla vera natura di Gesù, umana o divina, e sulla sua reale capacità di provare dolore, visto che Giuda – il futuro Deicida che qui già si disvela nella sua sottile opera di convinzione e traviamento - ne è in questo brano anticipatore negando a Gesù il dolore nella Redenzione e sminuendone così il valore salvifico, non solo per Gesù Uomo-Dio ma anche per tutte quelle persone della Chiesa Militante, come ad esempio Maria Valtorta, che soffrono e… offrono nella Comunione dei Santi.
Nel prossimo ciclo di riflessioni approfondiremo l’affermazione del Credo:
8. LA REMISSIONE DEI PECCATI, LA RISURREZIONE DELLA CARNE, LA VITA ETERNA.
1. LA REMISSIONE DEI PECCATI: IL SACERDOZIO HA QUESTO GRANDE COMPITO, QUELLO DI RIMETTERE I PECCATI, MA PER FARLO DEVE RISPETTARE SETTE CONDIZIONI.
1.1 La sostanza intrinseca del peccato e le sue varie tipologie.
Siamo ormai giunti alla fine delle nostre riflessioni sul Credo (Simbolo apostolico) e dobbiamo ora affrontare un altro piccolo sforzo per sviluppare gli ultimi tre temi in cui per nostra comodità didattica le abbiamo suddivise.
Ovviamente inizieremo dal primo tema, quello concernente la remissione dei peccati.
E’ bene rifarci tanto per cominciare al Catechismo e in particolare – nel nostro caso – al Catechismo Maggiore di San Pio X, dove – parlando al Capo XI del Decimo articolo: la remissione dei peccati - viene chiarito:
1. Il decimo articolo del Credo c'insegna che Gesù Cristo ha lasciato alla sua Chiesa la potestà di rimettere i peccati.
2. La Chiesa può rimettere tutti i peccati per quanto siano molti e gravi, perché Gesù Cristo le ha data piena potestà di sciogliere e legare.
3. Coloro che nella Chiesa esercitano la potestà di rimettere i peccati sono in primo luogo il Papa, il quale solo possiede la pienezza di tale potestà; poi i Vescovi, e, sotto la dipendenza dei Vescovi, i sacerdoti.
4. La Chiesa rimette i peccati pei meriti di Gesù Cristo, conferendo i sacramenti da esso istituiti a questo fine, principalmente il Battesimo e la Penitenza, ma anche l’Unzione degli infermi.
Semplificando possiamo dire che Gesù ha costituito la Chiesa, affidandola – prima di salire al cielo - ai suoi apostoli e continuatori, dandole fra l’altro il compito di perdonare i peccati.
A questo fine sono fondamentali il Sacramento del Battesimo (che toglie la Macchia del Peccato originale e se lo prendiamo da adulti anche tutti i peccati attuali) e quello della Confessione-Penitenza che consente il perdono degli altri peccati da parte del Sacerdote per conto del Signore.
Ma che cosa è il ‘peccato’? In cosa consiste?
Esso è sostanzialmente una mancanza di amore – più o meno grave - nei confronti di Dio e del prossimo.
È una violazione della legge dell’Amore, legge libera da seguire e da volere, che Dio ha inciso nella nostra anima e che potremmo identificare nella Legge naturale dei ‘Dieci comandamenti’.
Perché il peccato venga perdonato è ovviamente necessario un sincero pentimento e la ferma intenzione di non peccare più.
Gesù insegnava la legge del perdono dicendo agli apostoli che bisognava perdonare settanta volte sette, e ciò non per mera iperbole ma per far capire che non c’è limite – di fronte al pentimento – alla Misericordia e volontà di perdono da parte di Dio.
Per ottenere il perdono di Dio – quello che chiediamo anche nella preghiera del ‘Padre nostro’ – bisogna tuttavia volere anche perdonare a coloro che hanno peccato nei nostri confronti.
Non deve stupirci questo fatto. Come potremmo infatti chiedere perdono a Dio per i peccati che noi facciamo nei suoi confronti e nei confronti del prossimo se poi non usiamo altrettanta misericordia verso il nostro stesso prossimo che pecca nei nostri confronti?
Ecco perché è così importante l’esercizio del perdono che Gesù comandava.
Gesù ci insegnava infatti ad amare soprattutto i nostri nemici, perché - in fin dei conti - non c’è nessun merito ad amare i propri amici.
La carità è un mezzo potente di remissione dei peccati, così’ come il fare elemosina è un mezzo di espiazione.
Anche le indulgenze servono alla remissione dei peccati, e alla cancellazione della pena, come pure il Martirio cristiano.
Ma di che tipo sono i peccati?
I principali sono – come abbiamo già detto – quelli legati al Decalogo: ognuno li comprende proprio perché – misericordia ed amore di Dio - fanno parte della Legge naturale inserita da Dio nell’anima di ogni uomo di qualsiasi razza e religione per insegnarci come condurci e salvarci anche senza aver conosciuto la religione giusta.
Il rispetto della Legge naturale - ad esempio il non uccidere, il non rubare, il non desiderare la donna d’altri, ecc. – è tuttavia il minimo sufficiente per la salvezza della nostra anima, insomma quel minimo che è necessario ad entrare nell’ultima fila di quelli che sono ammessi ad entrare per vedere lo ‘spettacolo’ del Paradiso.
Gesù – se, come Egli ha detto, non è venuto per cambiare uno jota della Legge mosaica, di per sé perfetta per l’epoca in cui era stata data ed ancor oggi attuale essendo Verità divina – era tuttavia venuto per perfezionarla dandole l’impronta dell’amore e del ‘fare’ anziché quella del ‘non fare’.
Tutti cristiani avremmo quindi il dovere di conoscere i suoi consigli di perfezione, contenuti nel celebre ‘Discorso della montagna’, discorso che tuttavia qui non ci è consentito di affrontare ed approfondire senza andare fuori tema, tanto più che – dall’Opera valtortiana – si apprende che non si tratta di una semplice elencazione di ‘detti’ o mere affermazioni di principio, come forse a prima vista potrebbe sembrare nel Vangelo di Matteo, ma di una serie di discorsi articolati e complessi che Gesù ha tenuto alle folle nel corso addirittura di sette giorni consecutivi, uno al giorno.
Il Gesù valtortiano – nell’Opera da Lui affidata alla nostra mistica Valtorta - ha parlato innumerevoli volte del Peccato, spesso dedicandovi brevi ‘flash’ sparsi – nell’ambito di discorsi più ampi - come tante pagliuzze d’oro nelle migliaia di pagine dell’Opera stessa.
Me ne sono tuttavia annotati parecchi, ed alcuni ve li potrei illustrare e spiegare nei termini semplificati che vi dirò di seguito.
Gesù spiegava ad esempio che i peccati sono come polvere o massi.
I ‘massi’ sono i peccati mortali, la ‘polvere’ quelli veniali.
Il mondo può anche non accorgersi di questi peccati veniali, ma non sfuggono all’Occhio di Dio.
Anche le imperfezioni sono ‘polvere’, più fina ma sempre polvere.
Bisogna spazzolarla via perché se essa si accumula finisce per rendere l’anima sporca e per asfissiarla.
Ecco perché sono importanti il pentimento ed il Sacramento della Confessione con la Remissione dei peccati.
Il mondo vive – oggi più che una volta – nel peccato.
La stessa vita cristiana- oggi come oggi, a causa della diffusa apostasia - è quasi ovunque morta o vegeta a stento in molti. Solo in pochi è rigogliosa.
La maggioranza dei cristiani – e questo è un autentico dramma - non ha più Cristo come Dio, ma il potere, il denaro, il sesso e comunque il piacere della ‘carne’.
Colpa degli altri? No, anche nostra perché abbiamo la ‘colpa’ di non aver pregato a sufficienza e bene per loro, mancando così alla legge dell’amore.
Persino i bimbi, al giorno d’oggi, sono meno innocenti di una volta: televisione e Scuola che dovrebbero ‘educare’ sono infatti spesso ‘ambienti di corruzione’, anziché di sana educazione.

1.2 La regola del ‘sette’: Chi, Cosa, Dove, Come, Con che o con chi, Perché, Quando.
Abbiamo parlato dei peccati e della possibilità che ha la Chiesa per la loro Remissione, ma non sarebbe male affrontare il tema di quali sono le ‘regole’ che i sacerdoti dovrebbero tenere ben presenti per comprendere se il peccato sussiste e fino a che punto sia grave per poterlo ‘rimettere’ a ragion veduta, anche e soprattutto nell’interesse del ‘pentito’.
Il Gesù valtortiano ne enumera addirittura sette.
Il fatto avviene nel corso della primavera che precede la Pasqua, l’ultima di Gesù, la quarta Pasqua dall’inizio della sua predicazione pubblica.
Accade qualche tempo dopo la morte di Lazzaro, fatto talmente straordinario e sinonimo di ‘potenza’ che – come abbiamo già detto – aveva definitivamente convinto il Sinedrio ad emettere un Bando di ricerca nei confronti di Gesù per poterlo arrestare, processare e condannare a morte prima che Egli potesse trovare troppo seguito presso il popolo.
Gesù sapeva ovviamente tutto e – anche nella Sua Umanità – aveva accettato l’idea di farsi catturare, processare e crocifiggere, perché il Verbo si era incarnato in Lui proprio per adempiere insieme all’Uomo quella Missione redentiva dell’Umanità.
Tuttavia – quale divino Agnello pasquale che con il proprio Sangue doveva liberare e salvare gli uomini dalla schiavitù del Demonio, così come il sangue dell’agnello pasquale sugli stipiti delle porte aveva salvato gli ebrei dall’angelo vendicatore e dalla strage dei primogeniti – era scritto nella volontà di Dio che il Sacrificio dell’Uomo-Dio Gesù dovesse avvenire in occasione della Pasqua, per sostituire con la vera Vittima, quei simbolici agnelli così come era avvenuto a suo tempo in terra d’Egitto.
Il Gruppo apostolico si era dunque messo in salvo rifugiandosi in Samaria, come a dire ‘oltreconfine’, dove i samaritani – nemici storici dei Giudei – sentendosi amati da Gesù lo ricambiavano moltissimo, a maggior ragione sapendolo perseguitato in Giudea e altrove da quelli del ‘Tempio’.
È dunque nel paese di Efraim, in Samaria, che va ambientato il discorso fra Gesù e Pietro che poco più sotto trascriveremo.
Gesù è ospite di una casa amica. È notte e Gesù come al solito prega, questa volta seduto su un lettuccio in una piccola stanza.
Un rumor di passi e Gesù alza la testa, guarda verso la porta, la apre e …. Vede Pietro di fuori.
Piero – che è molto umile – voleva parlargli per dirgli che si sentiva inadeguato al ruolo di Apostolo e vorrebbe che Gesù non lo mandasse in giro – nel corso della settimana – ad evangelizzare con gli altri apostoli i paesi vicini, ma che lo tenesse vicino a sé.
Pietro tiene gli occhi bassi, come incerto.
Gesù – che anche come Uomo legge nei cuori con la sua introspezione perfetta di ‘Uomo privo di Peccato d’Origine’ - lo fissa e gli chiede se quello è veramente tutto ciò che avrebbe avuto da dirgli.
Pietro pare sulle spine, incerto. E Gesù lo invita invece a parlare perché quel che Pietro ha in mente non è ‘mormorazione’ ma desiderio di informare Gesù per il bene del prossimo. Capiterà in futuro che lui e gli altri apostoli dovranno ascoltare le confidenze dei cuori e sapere come comportarsi e giudicare. Pietro risponde che Gesù non può imporgli una cosa del genere, sapendo lui di essere una ‘nullità’, ma Gesù lo conforta dicendogli che Egli – futuro sacerdote della Chiesa – potrà farlo grazie all’aiuto dello Spirito Santo.
In altre parole, Gesù gli tiene una lezione sulla Confessione.
Per inciso, si apprende - continuando la lettura dopo la ‘catechesi’ di Gesù sulla Remissione dei peccati – che Pietro voleva scambiare il proprio ruolo con Giuda Iscariota.
Gli apostoli evangelizzavano tutta la settimana per tornare ad Efraim nella casa comune il venerdì pomeriggio, prima dell’inizio del Sabato ebraico. Gesù aveva però deciso di trattenere presso di sé a casa Giuda per prudenza ed evitare scandali nella evangelizzazione. Infatti Giuda si preparava al tradimento finale, era irascibile, sardonico, aggressivo, malcontento di tutto, provocava gli apostoli, offendeva Gesù che - pur sapendo che sarebbe stato inutile - cercava di essere dolce nel tentativo estremo di redimerlo. Nello stesso tempo Giuda soffriva di dover restare con Gesù e di non poter andare con gli altri, perché ci teneva anche a mettersi in mostra e farsi ammirare facendo vedere che lui sapeva un sacco di cose.
Ebbene Pietro voleva dire a Gesù di mandare in giro Giuda al suo posto, ma temeva che il dirlo fosse come una sorta di ‘denuncia’, insomma una mormorazione.
Gesù lo conforta spiegando a Pietro di non poterlo accontentare. Quello di Giuda – gli spiega Gesù – non è un castigo ma una ‘medicina’ che anche se non avesse giovato allo spirito di Giuda avrebbe giovato al proprio spirito perché non avrebbe potuto rimproverarsi di aver omesso alcun tentativo per ‘santificare’ Giuda.
Questa spiegazione sul timore e sulla richiesta di Pietro avviene dunque dopo ma per ritornare all’inizio ed alla Catechesi di Gesù sulla Remissione dei peccati ecco qui una spiegazione valida per i sacerdoti ma anche per noi tutti che ora ci apprestiamo a leggere:
^^^^
15 gennaio 1947.
1Gesù è solo in una piccola stanza. Seduto sul lettuccio, pensa o prega. Un lumicino ad olio su una scansia palpita con la sua fiammolina giallastra. Deve essere notte, perché non c'è rumore alcuno per la casa e nella via. Solo il torrente pare frusciare più forte, fuor della casa, nel silenzio della notte.
Gesù alza il capo guardando l'uscio. Ascolta. Si alza e va ad aprire. Vede Pietro fuor dell'uscio. «Tu? Vieni. Che vuoi, Simone? Ancora alzato, tu che devi fare tanto cammino?». Lo ha preso per mano e tirato dentro, rinchiudendo l'uscio senza far rumore. Se lo fa sedere accanto sulla sponda del letto.
«Volevo dirti, Maestro... Sì, volevo dirti che, lo hai visto anche oggi ciò che valgo. Sono capace soltanto di fare divertire dei poveri bambini, consolare una vecchierella, mettere pace fra due pastori che questionano per un'agnella risultata di petto cieco. Sono un povero uomo. Tanto povero che non capisco neppure ciò che Tu mi spieghi. Ma questa è un'altra cosa. Ora io volevo dirti che, proprio per questo, Tu mi tenessi qui. Io non ci tengo ad andare in giro quando Tu non sei con noi. E non sono capace di fare... Accontentami, Signore».
Pietro parla con calore, ma tenendo gli occhi puntati sui rozzi mattoni sbocconcellati del pavimento.
«Guardami, Simone», comanda Gesù. E poiché Pietro ubbidisce, Gesù lo fissa acutamente chiedendo: «E questo è tutto? Tutta la ragione del tuo vegliare? Tutta la ragione del tuo pregare di tenerti qui? Sii sincero, Simone. Non è mormorare dire al tuo Maestro l'altra parte del tuo pensiero.
Bisogna saper distinguere fra parola oziosa e parola utile. È oziosa, e generalmente nell'ozio fiorisce il peccato, quando si parla delle manchevolezze altrui con chi non può nulla su esse. Allora è semplicemente mancanza di carità, anche se le cose dette sono vere. Come è mancanza di carità rimproverare più o meno acerbamente senza unire al rimprovero il consiglio. E parlo di rimproveri giusti. Gli altri sono ingiusti e sono peccato contro il prossimo. Ma quando uno vede un suo prossimo che pecca, e ne soffre perché peccando colui offende Dio e danneggia la sua anima, e da solo sente che non è capace di misurare l'entità dell'altrui peccato, né si sente sapiente a dire parole di conversione e allora si rivolge ad un giusto, ad un sapiente, e confida il suo affanno, allora non fa peccato, perché le sue confidenze sono volte a por fine ad uno scandalo e a salvare un'anima.
È come uno che avesse un parente malato di una malattia che è vergognosa. È certo che egli cercherà di tenerla nascosta al popolo, ma in segreto andrà a dire al medico: "Il mio parente secondo me ha questo e questo, né io so consigliarlo e curarlo. Vieni tu o dimmi ciò che devo fare".
Manca forse costui di amore al parente? No. Anzi! Mancherebbe se fingesse di non accorgersi della malattia e la lasciasse progredire, portando alla morte, per un malinteso sentimento di prudenza e di amore.
2Un giorno, e non passeranno anni, tu, e con te i tuoi compagni, dovrete ascoltare le confidenze dei cuori. Non così come le ascoltate ora, da uomini, ma come sacerdoti, ossia medici, maestri e pastori delle anime, così come Io sono Medico, Maestro e Pastore.
Dovrete ascoltare e decidere e consigliare. Il vostro giudizio avrà valore come se Dio stesso lo avesse pronunciato...».
Pietro si svincola da Gesù, che lo teneva stretto al suo fianco, e dice alzandosi: «Ciò non è possibile, Signore. Non ce lo imporre mai. Come vuoi che si giudichi come Dio, se non sappiamo neppure giudicare come uomini?».
«Allora saprete, perché lo Spirito di Dio si librerà su voi e vi penetrerà delle sue luci.
Saprete giudicare, considerando le sette condizioni dei fatti che vi verranno proposti per avere consiglio o perdono.
Ascolta bene e cerca di ricordare.
A suo tempo lo Spirito di Dio ti ricorderà le mie parole. Ma tu cerca ugualmente di ricordare con la tua intelligenza, perché Dio te l'ha data perché tu la adoperi senza infingardie e presunzioni spirituali, che portano ad attendere e pretendere tutto da Dio.
Quando tu sarai maestro, medico e pastore al posto mio e in mia vece, e quando un fedele verrà a piangere ai tuoi piedi i suoi turbamenti per azioni proprie o azioni altrui, tu devi sempre aver presente questo settenario di interrogativi.
Chi: chi ha peccato?
Cosa: quale è la materia del peccato?
Dove: in che luogo?
Come: in che circostanze?
Con che o con chi: lo strumento o la creatura che fu materia al peccato.
Perché: quali gli stimoli che hanno creato l'ambiente favorevole al peccato?
Quando: in che condizioni e reazioni, e se accidentalmente o per abitudine malsana.
Perché vedi, Simone, la stessa colpa può avere infinite sfumature e gradi, a seconda di tutte le circostanze che l'hanno creata e degli individui che l'hanno compiuta.
Ad esempio...
Prendiamo in considerazione due peccati che sono i più diffusi: quello della concupiscenza carnale o della concupiscenza delle ricchezze.
Una creatura ha peccato di lussuria, o crede aver peccato di lussuria. Perché talora l'uomo confonde il peccato con la tentazione, oppure giudica uguali lo stimolo creato artificiosamente per un malsano appetito, e uguali quei pensieri che sorgono per riflesso ad una sofferenza di malattia, o anche perché la carne e il sangue delle volte hanno delle improvvise voci che risuonano nella mente prima che essa abbia tempo dì mettersi in guardia per soffocarle.
Viene da te e ti dice: "Io ho peccato di lussuria". Un sacerdote imperfetto direbbe: "Anatema su te".
Ma tu, il mio Pietro, non devi dire così. Perché tu sei Pietro di Gesù, sei il successore della Misericordia. E allora, prima di condannare, devi considerare e toccare dolcemente e prudentemente il cuore che ti piange davanti per sapere tutti i lati della colpa o della supposta colpa, dello scrupolo.
Ho detto dolcemente e prudentemente.
Ricordare che, oltre che maestro e pastore, sei medico. Il medico non invelenisce le piaghe. Pronto a recidere se c'è della cancrena, sa però anche scoprire e medicare con mano leggera se vi è soltanto ferita con lacerazione di parti vive che vanno riunite, non strappate via. E ricordare che, oltre che medico e pastore, sei maestro.
Un maestro regola le sue parole a seconda dell'età dei suoi discepoli.
Sarebbe uno scandalo quel pedagogo che a fanciullini svelasse leggi animali che gli innocenti ignoravano, dando così cognizioni e malizie precoci.
Anche nel trattare le anime bisogna avere prudenza nell'interrogare.
Rispettarsi e rispettare. Ti sarà facile se in ogni anima tu vedrai un tuo figlio.
Il padre è naturalmente maestro, medico e guida dei suoi figli. Perciò, quale che sia la creatura che ti è davanti turbata da colpa, o da timore di colpa, tu amala con paterno amore, e saprai giudicare senza ferire e senza scandalizzare. 3Mi segui?».
«Sì, Maestro. Capisco molto bene. Dovrò essere cauto e paziente, persuadere a scoprire le ferite, ma guardarvi da me, senza attirare l'occhio altrui su esse, e soltanto quando vedessi che c'è proprio ferita allora dire: "Vedi? Qui ti sei fatto del male per questo e questo".
Ma, se vedo che la creatura ha soltanto paura di esser ferita per aver visto fantasmi, allora... soffiare via le nebbie senza dare delle luci, per zelo inutile, atte a illuminare vere fonti di colpa. Dico bene?».
«Molto bene. Dunque. Se uno ti dice: "Ho peccato di lussuria", tu considera chi hai di fronte. Vero è che il peccato può sorgere a tutte le età. Ma sarà più facile riscontrarlo in un adulto che non in un fanciullo, e diverse saranno perciò le interrogazioni e le risposte da fare e da dare ad un uomo o ad un fanciullo.
Viene di conseguenza, dalla prima indagine, la seconda sulla materia del peccato, e poi la terza sul luogo del peccato, e la quarta sulle circostanze del peccato, e la quinta su chi fu complice al peccato, e la sesta sul perché del peccato, e la settima sul tempo e sul numero del peccato.
Vedrai che, generalmente, mentre per un adulto, e adulto vivente nel mondo, ad ogni domanda ti apparirà corrispondente una circostanza di vera colpa, per creature fanciulle di età o di spirito, a molte domande dovrai risponderti: "Qui c'è un fumo, non sostanza di colpa".
Anzi, vedrai talora in luogo di fango esservi un giglio che trema di essere stato schizzato di fango, e confonde la goccia di rugiada scesa sul suo calice con lo spruzzo della mota. Anime tanto desiderose di Cielo che temono come macchia anche l'ombra di una nube, che le oscura per un momento frapponendosi fra loro e il sole, ma poi passa, e non vi è traccia di essa sulla candida corolla.
Anime tanto innocenti e vogliose di restarlo, che Satana spaventa con tentazioni mentali o aizzando i fomiti della carne o la carne stessa, coll'approfittarsi di vere malattie della carne.
Queste anime vanno consolate e sorrette, perché sono non già peccatrici, ma martiri.
Ricordalo sempre.
E ricorda sempre di giudicare anche chi peccò di avidità alle ricchezze o cose altrui con lo stesso metodo.
Perché, se è colpa maledetta essere avidi senza bisogno e senza pietà, rubando al povero e contro giustizia vessando i cittadini, i servi, o i popoli, meno grave, molto meno grave è la colpa di chi, avendo avuto negato un pane dal suo prossimo, lo ruba per sfamare se stesso e le sue creature.
Ricorda che, se tanto per il lussurioso come il ladro è di misura nel giudicare: il numero, le circostanze e la gravità della colpa, è anche di misura nel giudicare la conoscenza, da parte del peccatore, del peccato che ha commesso e nel momento che lo commetteva.
Perché, se uno fa con piena conoscenza, pecca più di chi fa per ignoranza.
E chi fa con libero consenso della volontà pecca più di chi è forzato al peccato.
In verità ti dico che talora vi saranno fatti dall'apparenza di peccato e che saranno martirio, e avranno il premio dato per un patito martirio.
E ricorda soprattutto che in tutti i casi, prima di condannare, dovrai ricordarti che tu pure fosti uomo e che il Maestro tuo, che nessuno poté trovare in peccato, mai, non condannò mai alcuno che si fosse pentito di aver peccato.
Perdona settanta volte sette, e anche settanta volte settanta, i peccati dei tuoi fratelli e dei figli tuoi. Perché chiudere le porte della Salute ad un malato, solo perché ricaduto nella malattia, è volerlo fare morire. 4Hai compreso?».
^^^^
La Lezione di Gesù sulla ‘Remissione dei peccati’ vi è sembrata troppo lunga e dispersiva?
Male, non sono mai dispersive le lezioni di Gesù, semmai – come Egli aveva detto una volta - sono ‘ripetitive’ ma solo perché noi abbiamo la ‘testa dura’.
Allora sentiamo una sintesi ‘ripetitiva’ dello stesso Gesù.
Questo fatto avviene dopo la Resurrezione di Gesù, sul Monte Tabor in Galilea, dove Egli aveva convocato i suoi apostoli e discepoli per una serie di ultimi ammaestramenti di perfezione prima di ascendere al Cielo (i grassetti sono miei):
^^^^
(…)
La dignità del cristiano è tale che, lo ripeto, è di poco inferiore ad un sacerdozio. Dove vivono i sacerdoti? Nel Tempio. E un cristiano sarà un tempio vivo. Che fanno i sacerdoti? Servono Dio con le preghiere, i sacrifici e con la cura dei fedeli. Così avrebbero dovuto fare... E il cristiano servirà Dio con la preghiera e il sacrificio e con la carità fraterna.
8E ascolterete la confessione dei peccati così come Io ho ascoltato le vostre e quelle di molti e ho perdonato dove ho visto vero pentimento.
Vi agitate? Perché? Avete paura di non saper distinguere? Ho già parlato altre volte sul peccato e sul giudizio sul peccato. Ma ricordate, nel giudicare, di meditare sulle sette condizioni per le quali una azione può essere o non essere peccato, e di gravità diversa.
Riassumo.
Quando si è peccato e quante volte, chi ha peccato, con chi, con che, quale la materia del peccato, quale la causa, perché si è peccato.
Ma non temete. Lo Spirito Santo vi aiuterà.
Quello che con tutto il mio cuore vi scongiuro di osservare è una vita santa.
Essa aumenterà talmente in voi le luci soprannaturali che giungerete a leggere senza errore nel cuore degli uomini e potrete, con amore o con autorità, dire ai peccatori, pavidi di svelare la loro colpa o ribelli a confessarla, lo stato del loro cuore, aiutando i timidi, umiliando gli impenitenti.
Ricordatevi che la Terra perde l'Assolutore e che voi dovete essere ciò che Io ero: giusto, paziente, misericordioso, ma non debole.
Vi ho detto: ciò che slegherete in Terra sarà sciolto in Cielo e ciò che legherete qui sarà legato in Cielo. Perciò con misurata riflessione giudicate ogni uomo senza lasciarvi corrompere da simpatie o antipatie, da doni o minacce, imparziali in tutto e per tutto come è Dio, avendo presente la debolezza dell'uomo e le insidie dei suoi nemici.
Vi ricordo che talora Dio permette anche le cadute dei suoi eletti, non perché a Lui piaccia vederli cadere, ma perché da una caduta può venire un bene futuro più grande.
Porgete dunque la mano a chi cade, perché non sapete se quella caduta non sia la crisi risolutiva di un male che muore per sempre, lasciando nel sangue una purificazione che produce salute. Nel nostro caso: che produce santità.
Siate invece severi con quelli che non avranno rispetto al Sangue mio e, con l'anima appena monda dal lavacro divino, si getteranno nel fango una e cento volte.
Non malediteli, ma siate severi, esortateli, richiamateli settanta volte sette, e ricorrete all'estremo castigo del reciderli dal popolo eletto solo quando la loro pertinacia in una colpa, che scandalizza i fratelli, vi obbliga ad agire per non farvi complici delle loro azioni.
Ricordatevi cosa ho detto: "Se tuo fratello ha peccato, correggilo fra te e lui solo. Se non ti ascolta, correggilo alla presenza di due o tre testimoni. Se non basta, fallo sapere alla Chiesa. Se non ascolta neppure questa, consideralo come un gentile e un pubblicano".
(…)

1.3 I peccati dei ‘Potenti’ delle Nazioni e quelli collettivi dei loro popoli.
Abbiamo all’inizio parlato dei peccati individuali ma poi – oltre ai peccati individuali – vi sono quelli collettivi che noi commettiamo come ‘popoli’ delle singole nazioni.
Dio non pretende che gli uomini siano tutti perfetti, perché il peccato individuale a causa delle conseguenze del Peccato originale, è inevitabile, ma è certo che se i cittadini di una nazione non si comportano bene anche i loro Capi faranno altrettanto e anzi di più.
Quando talvolta a Messa si invoca l’illuminazione del Signore affinché influisca con la sua Luce sui governanti, il Signore potrà esaudirci nella misura in cui noi cittadini per primi sappiamo meritare questo aiuto comportandoci il meglio possibile perché – nella economia del peccato e del perdono collettivo – è la massa dei peccati minori dei cittadini quella che alla fin fine consente anche ai governanti di peccare.
Applicando il tema del peccato ad una nazione, se vogliamo che un intero popolo sia salvato non basta neanche più il merito di singoli che magari si ‘offrono’ ma è necessario che tutto il popolo lasci la vita di peccato per riavvicinarsi al Signore.
Se guardandoci intorno vediamo che le nostre nazioni ‘vanno molto male’ non cerchiamo la colpa solo negli ‘altri’ o in chi ci governa ma facciamoci un personale esame di coscienza e riflettiamo anche sulle nostre colpe individuali.
Quando vediamo che un paese cade troppo in basso, Dio è costretto a punire complessivamente tutti, anche i ‘buoni’ che vi abitano.
Non pare giusto? Umanamente pare ingiusto, ma spiritualmente – che è quel che conta nella economia della salvezza e nella prospettiva di una vita eterna – noi ne verremo consolati in Cielo, anche e ancora di più per aver pagato per colpe non nostre.
Nella valutazione dei peccati non dobbiamo tuttavia limitarci a quelli più evidenti dei dieci comandamenti, tipo il ‘non ammazzare’ o il ‘non rubare’.
Molti peccati sono più ‘sottili’ ma non perciò ‘meno’ peccati.
Peccato anche molto grave può essere - oltre ad un voto sacro non rispettato o una unione matrimoniale convalidata da un giuramento di fedeltà ed indissolubilità di fronte a Dio e poi calpestata - un venir meno a promesse verso amici che riponevano fiducia in noi, oppure azioni di governanti che - arbitri del destino dei loro popoli - provocano turbolenze che poi si traducono in sofferenze e sangue per il proprio popolo e per quelli altrui, oppure azioni di governanti che vengono meno a patti solenni di alleanza che non riescono a mantenere e divengono nemici di altri popoli.
Forse troppo poco si riflette – nel nostro mondo globalizzato e strettamente interconnesso – sui peccati di coloro che sono dei ‘Potenti’.
Spesso essi trionfano, ma si tratta di un trionfo effimero, finché Dio lo permette.
Costoro fanno ribrezzo a Dio ma Dio spesso li sopporta, almeno fino al punto in cui è costretto ad intervenire, e ciò perché Dio non può alla lunga convalidare il loro operato avendo essi per padre Satana.
Dio - pur rispettando il nostro libero arbitrio individuale e collettivo - può quindi modificare il corso delle nazioni e la Storia dell’Umanità.
Perché peccano i governanti?
Perché sono spesso malvagi in proprio, oppure perché – superbi – non chiedono l’aiuto del Signore e sono quindi privi della sua illuminazione.
Sul piano sociale, non vi è alcuna categoria che non abbia colpe. Grandi od umili, tutti gli uomini hanno le loro colpe.
Se la gente vede talvolta la punizione dei ‘grandi’ spesso non nota quelle dei ‘piccoli’, perché il ‘grande’ che cade desta clamore mentre il piccolo passa inosservato.
Tutti però vengono purificati, o in questa vita o nell’altra.
Dio ha tanti modi per punire i ‘grandi’ e anche le loro nazioni, usandoli l’uno contro l’altro, nazione contro nazione o – più in piccolo – parenti contro parenti, amici contro amici: in sostanza Dio persegue le colpe di un uomo o di un popolo attraverso le colpe di un altro uomo o un altro popolo.
Se uno opprime, prima o poi Dio lascia che questi venga a sua volta oppresso.
Se un governante o un popolo invade un paese, Dio lascia che il suo paese venga a sua volta invaso. A Dio la scelta dei tempi e delle modalità.
Non è nemmeno da pensare che Dio abbia bisogno in assoluto di ‘punire’ di suo, ma semplicemente che Egli può permettere - senza impedirlo - che altri puniscano, cioè lascia con il suo ‘non intervento’ che gli uomini si puniscano insomma da se stessi.
Agli uomini non mancano certo le occasioni di far del male o di dover subire il male dopo averne fatto.
Trascorso il momento del castigo, allora Dio interviene e soccorre il popolo provato che si è pentito e ravveduto.
Anche questa è ‘Remissione dei peccati’ da parte di Dio: grazie al dolore ed all’espiazione, vale a dire Penitenza e … Assoluzione.
Talvolta qualcuno – di fronte a grandi disgrazie naturali – proclama trattarsi della ‘punizione’ di Dio.
Spesso non è affatto vero e la sola idea fa indignare chi non riesce ad ammettere che Dio possa ‘permettersi’ di punire gli uomini.
Queste sono persone in buona fede ma che non conoscono la ‘pedagogia’ di Dio.
Ad esempio il Diluvio universale, usualmente considerato solo un castigo, fu in realtà una ‘necessità’.
Fu un’opera di Giustizia e di Amore.
Stupisce questa affermazione? A quell’epoca gran parte dell’Umanità si era quasi completamente corrotta, scesa moralmente e spiritualmente quasi al livello dell’Inferno.
Fu Giustizia perché i peccatori impenitenti furono colpiti e cacciati all’inferno.
Fu Amore perché quelli ancora incapaci di intendere o volere o addirittura non ancora nati e quindi non ancora corrotti o gravi peccatori, ma suscettibili di divenire tali vicino alle ‘mele marce’, finirono salvi nel Limbo o nel Purgatorio da dove pur dopo lunga attesa sarebbero ascesi al Cielo al compiersi della espiazione e Redenzione, come abbiamo già spiegato in precedenti riflessioni.
Ancora Amore perché Dio, recidendo alla base il tronco della pianta in cancrena, lasciò come ‘pollone’ fruttifero la famiglia di Noè, affinché dal suo ceppo (non corrotto) rinascesse una nuova generazione umana.
Noi – tutti i miliardi di uomini che siamo sulla Terra passati, presenti e futuri - dobbiamo a quel Diluvio il fatto di esistere, con le gioie della vita, della famiglia e di tutto quanto di bello ci circonda.
Ma è anche vero che quando l’Umanità nel suo complesso supera ogni lecito limite e respinge collettivamente Dio, Egli – che è Ordine e mantiene l’Ordine nell’Universo e nel nostro mondo – si ritira e lascia posto al Disordine che non è solo disordine delle forze naturali ma anche di Satana che è Disordine per eccellenza.
Nulla avviene senza che Dio lo permetta. Le grandi disgrazie planetarie naturali, sociali o belliche avvengono dunque quasi sempre perché sono non tanto ‘provocate’ da Dio quanto da Lui ‘permesse’ a fin di bene a giusta punizione ed espiazione per il perverso comportamento degli uomini, e cioè per richiamarli al pentimento, a farli rinsavire e in ultima istanza a salvarli attraverso il dolore.
Quando è passata l’ora del castigo, Dio raccoglie le folle disperse e riconcede loro benessere e pace poiché – non bisogna mai dimenticarlo – Egli è sempre Padre.
Anche i ‘grandi’ della Chiesa possono peccare, e molto, quando non vogliono curare amorevolmente e ‘pascere’ i loro ‘agnelli’, cioè i fedeli.
Il Giudizio di Dio in questi casi è terribile.
Insomma, parlando di Remissione dei peccati, ho voluto parlare soprattutto delle varie forme di peccato, in particolare anche quelle dei grandi peccatori.
Ci sembra che Dio non li punisca nonostante che infieriscano sulla gente? Ma anche la gente – lo abbiamo già detto – non è senza peccato. Anziché rimproverare Dio di non punire i grandi peccatori, bisognerebbe togliere la trave dal nostro occhio prima di togliere la pagliuzza dall’occhio altrui.
Quante volte ci indigniamo, ad esempio, perché tanti ricchi non pagano le tasse?
Ma quante volte non le paghiamo neanche noi – e chi è senza peccato scagli la prima pietra - evadendo nel nostro piccolo con tanti lavori fatti fare ‘in nero’ e giustificandoci e anestetizzando la nostra coscienza con il dire che tanto – se non paghiamo l’IVA – è perché lo Stato ci deruba e ci opprime con la sua mala gestione? E’ vero, ma anche noi così facendo rubiamo allo Stato. A chi non è capitato? O ci sono ancora dei santi?
Se Dio dovesse sempre punire i ‘grandi’ di un popolo dovrebbe analogamente colpire i piccoli dei loro rispettivi e numerosi peccati.
Se i ‘grandi’ avessero di fronte un popolo moralmente sano non oserebbero fare quello che poi fanno.
È la gran catasta delle tante piccole colpe singole che – costituendone la base - procura le tante colpe dei grandi: i Vangeli vengono trascurati, i Comandamenti derisi.
Quindi tutti pecchiamo e tutti abbiamo bisogno che i nostri peccati ci vengano rimessi: se vogliamo essere salvati – poiché non siamo ‘noi’ ma è solo Dio che ci può salvare - Egli lo fa appunto attraverso laRemissione dei peccati’ affidata ai suoi sacerdoti che, suoi ministri, lo rappresentano visibilmente in terra.
La nostra miseria spirituale è tale che vorremmo oggi adattare persino il Vangelo alla nostra vita, con la scusa di renderlo ‘più moderno e consono’ all’evoluzione dei tempi.
Ma in realtà – diciamocelo francamente - molti lo vorrebbero più consono ai loro ‘comodi’.
È l’eterna psicologia laicista che non vuole ammettere che gli insegnamenti di Gesù siano regole di Verità divina ma siano semplicemente norme ‘morali’ soggette a seguire l’evoluzione dei costumi di ogni singola epoca.
Quanto alla morte del grande peccatore, essa è orribile ma non lo è meno la sua vita.
Non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze esterne né dalle onoranze esteriori, ad esempio quelle di Stato.
Queste sono come una vernice che copre la verità. Solo coloro che sono in Cielo possono vedere ciò che rimane invisibile alla vista umana ed essi rimangono inorriditi nel contemplate la perfezione del male nei peccatori ostinati e impenitenti.
Vi sono giganti nel Peccato perché la loro posizione li rende giganti nella società ma poi, è bene non dimenticarlo mai, ve ne sono altri piccoli come noi confusi fra la folla che non si distinguono per cose speciali ma sono corrotti dentro anch’essi sin nel midollo.
La prossima riflessione della nostra ottava affermazione del Credo sarà dedicata a:
2. GESÙ: ‘… LA CARNE RISORGERÀ E SI RIUNIRÀ ALL'ANIMA IMMORTALE RIFORMANDO UN TUTTO, VIVO COME E MEGLIO CHE NON SIA VIVA LA MIA E LA VOSTRA PERSONA ORA, MA NON PIÙ SOGGETTO ALLE LEGGI E SOPRATTUTTO AGLI STIMOLI E ABUSI CHE VIGONO ORA...’.
2. GESÙ: «… LA CARNE RISORGERÀ E SI RIUNIRÀ ALL'ANIMA IMMORTALE RIFORMANDO UN TUTTO, VIVO COME E MEGLIO CHE NON SIA VIVA LA MIA E LA VOSTRA PERSONA ORA, MA NON PIÙ SOGGETTO ALLE LEGGI E SOPRATTUTTO AGLI STIMOLI E ABUSI CHE VIGONO ORA…»
2.1 La donna alla risurrezione, di chi sarà dunque moglie?
Quello della resurrezione finale dei morti è un tema che mi ha molto affascinato ed ha molto stuzzicato la mia immaginazione.
Nelle mie fantasticherie di tanti anni fa mi ero chiesto come una cosa del genere fosse possibile.
Certamente sbagliando – perché la realtà di Dio supera sempre ogni umana immaginazione – mi ero allora detto che forse la nostra Anima nell’Aldilà, oltre a conservare i propri ricordi, come ad esempio l’immagine dei propri cari ed amici, conservasse dentro di sé – come succede appunto con il software di un computer – una sorta di memoria storica del suo ormai dissolto corpo umano.
Una memoria – per rimanere nel linguaggio elettronico del software di un computer -  fatta di ‘bit’ (cioè di impalpabili particelle di ‘informazione’) concernenti organi, e ‘forme’ per cui al clik di Dio sulla ‘icona’ di quell’anima, ecco che da essa ed intorno ad essa – come dal clik sull’icona di un computer - si materializza il corpo antico di quell’anima, anzi non l’invecchiato corpo fisico antico ma quello dell’età più bella vissuta nel corso della vita terrena, tuttavia un corpo con marcate caratteristiche spirituali, pur essendo costituito materialmente da atomi, molecole, cellule e carne ‘piena’ rivestita di pelle e colore degli occhi come quello di una volta.
I sadducei che vivevano al tempo di Gesù – al pari degli epicurei materialisti e degli stoici greci - non credevano affatto, contrariamente ai farisei, ad una vita dell’anima dell’aldilà. Quindi non potevano credere ad una resurrezione dei corpi.
Eppure il nostro Catechismo (Catechismo di San Pio X) che deriva dalla Dottrina cristiana – contro ogni logica materialistica umana - li sfida sostenendo testualmente (i grassetti sono miei):
^^^^
CAPO XII.
Dell'undecimo articolo.
- L' undecimo articolo del Credo c'insegna che tutti gli uomini risusciteranno, ripigliando ogni anima il corpo che ebbe in questa Vita.
- La risurrezione dei morti avverrà per virtù di Dio onnipotente, a cui nulla è impossibile.
- La risurrezione di tutti i morti avverrà alla fine del mondo, e allora seguirà il giudizio universale.
- Dio vuole la risurrezione dei corpi, perché, avendo l'anima operato il bene o il male unita al corpo, sia ancora insieme con esso premiata o punita.
- Vi sarà grandissima differenza tra i corpi degli eletti e i corpi dei dannati, perché i soli corpi degli eletti, avranno a somiglianza di Gesù Cristo risorto le doti dei corpi gloriosi.
- Le doti che adorneranno i corpi gloriosi degli eletti sono: 1.° la impassibilità, per cui non potranno più essere soggetti a mali, a dolori di veruna sorta, né a bisogno di cibo, di riposo o d'altro; 2.° la chiarezza, per cui risplenderanno a guisa del sole e d'altrettante stelle; 3.° l'agilità per cui potranno passare in un momento e senza fatica da un luogo all' altro e dalla terra al cielo; 4.° la sottigliezza, per cui senza ostacolo potranno penetrare qualunque corpo, come fece Gesù Cristo risorto.
- I corpi dei dannati saranno privi delle doti dei corpi gloriosi dei Beati, e porteranno l'orribile marchio dell'eterna riprovazione.
^^^^
Gesù nella sua predicazione ha peraltro affermato più volte l’esistenza dell’Aldilà con i suoi premi o pene e, quanto alla resurrezione della carne, la confermava con assoluta sicurezza come si evince anche dai seguenti versetti del Vangelo di Luca:
^^^^
27Gli si avvicinarono alcuni sadducei - i quali dicono che non c'è risurrezione - e gli posero questa domanda: 28«Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello.
29C'erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli.
30Allora la prese il secondo
31e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli.
32Da ultimo morì anche la donna.
33La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie».
34Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito;
35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito:
36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio.
37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui»
^^^^
La spiegazione di Gesù – schematizzando - parrebbe chiara anche nelle conseguenti mie deduzioni che vi si possono collegare:
1) le regole di questo mondo sono diverse da quelle dell’aldilà;
2) coloro che vivono in questo mondo terrestre hanno evidentemente una ‘sessualità’ finalizzata al matrimonio per generare figli destinati in prospettiva e nel limite del possibile a divenire ‘figli di Dio in Cielo’;
3) una volta nell’aldilà cade quindi l’esigenza di avere figli, e conseguentemente quella di sposarsi, e pertanto nei nostri corpi non vi saranno neanche più gli stimoli della ‘carne’, come non c’erano d’altronde in Adamo ed Eva (prima del Peccato Originale) o in Gesù e Maria SS.;
4) inoltre i risorti non possono più morire in quanto, dopo la loro resurrezione, divengono ‘dèi’, immortali come Dio;
5) non deve stupire che gli uomini muoiano ma rimangano vivi in spirito e poi risorgano anche con il corpo, perché Dio a Mosè disse di essere un ‘Dio dei ‘viventi’ e non di morti e perché l’anima creata da Dio è immortale.
La mistica Valtorta ha tuttavia avuto in visione l’episodio evangelico di Luca sopra trascritto.
Vediamo dunque se dal suo racconto potremo ricavare qualche ulteriore elemento di valutazione rispetto alle poche stringate parole forniteci dal Vangelo.
Gesù – nel corso di questo episodio dell’Opera valtortiana - è giunto a Gerusalemme dalla Samaria poco prima della sua ultima Pasqua seguendo la strada di Gerico - per partecipare alle solenni festività ebraiche che duravano vari giorni.
Egli fa ‘tappa’ a Betania, ospite di Lazzaro, e nei giorni successivi vi sarà l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme in quella che noi chiamiamo ‘Domenica delle palme’.
Dopo di questa prende avvio la cosiddetta ‘Settimana Santa’ che – dopo l’Ultima Cena del Giovedì Santo – si concretizzerà nel Venerdì di Passione e nella finale domenica di Resurrezione.
Nel corso della Settimana Santa, e più precisamente il Martedì secondo l’Opera della mistica, Gesù è con gli apostoli nel Tempio dove di norma Egli ‘predica’ alla presenza di moltissime persone ansiose di ascoltare la sua sapiente parola e dove poi Egli non manca mai di risanare malati nel corpo e nello spirito che sempre accorrono nella speranza di essere guariti.
Ogni occasione è però buona – da parte della Casta – per cercare di metterlo in difficoltà.
Infatti gli si avvicinano dei saforim, dei dottori della legge e degli erodiani, i quali ipocritamente lo salutano con finto ossequio e – dicendogli che essi ben apprezzano la sua sapienza – gli chiedono se sia lecito pagare il tributo a Cesare.
La perspicace risposta di Gesù - nel farsi dare una moneta e poi nel renderla loro, lasciandoli di sasso - la conoscete.
Nel pomeriggio è invece la volta dei sadducei ad avvicinarglisi, dicendo (i grassetti sono miei):  
^^^^  
(…)  
«Maestro, hai risposto così sapientemente agli erodiani che ci è venuto desiderio di avere noi pure un raggio della tua luce.
Senti. Mosè ha detto: "Se uno muore senza figli, il suo fratello sposi la vedova, dando discendenza al fratello". Ora c'erano fra noi sette fratelli. Il primo, presa in moglie una vergine, morì senza lasciar prole e perciò lasciò la moglie al fratello. Anche il secondo morì senza lasciar prole, e così il terzo che sposò la vedova dei due che lo precederono, e così sempre, sino al settimo. In ultimo, dopo aver sposato tutti i sette fratelli, morì la donna. Di' a noi: alla risurrezione dei corpi, se è pur vero che gli uomini risorgono e che a noi sopravviva l'anima e si ricongiunga al corpo all'ultimo giorno riformando i viventi, quale dei sette fratelli avrà la donna, posto che l'ebbero sulla Terra tutti e sette?».
«Voi sbagliate. Non sapete comprendere né le Scritture né la potenza di Dio. Molto diversa sarà l'altra vita da questa, e nel Regno eterno non saranno le necessità della carne come in questo. Perché, in verità, dopo il Giudizio finale la carne risorgerà e si riunirà all'anima immortale riformando un tutto, vivo come e meglio che non sia viva la mia e la vostra persona ora, ma non più soggetto alle leggi e soprattutto agli stimoli e abusi che vigono ora.
Nella risurrezione, gli uomini e le donne non si ammoglieranno né si mariteranno, ma saranno simili agli angeli di Dio in Cielo, i quali non si ammogliano né si maritano, pur vivendo nell'amore perfetto che è quello divino e spirituale.
In quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto come Dio dal roveto parlò a Mosè? Che disse l'Altissimo allora? "Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe".
Non disse: "Io fui", facendo capire che Abramo, Isacco e Giacobbe erano stati ma non erano più.
Disse: "Io sono". Perché Abramo, Isacco e Giacobbe sono. Immortali. Come tutti gli uomini nella parte immortale, sino a che i secoli durano, e poi, anche con la carne risorta per l'eternità.
Sono, come lo è Mosè, i profeti, i giusti, come sventuratamente è Caino e sono quelli del diluvio, e i sodomiti, e tutti coloro morti in colpa mortale. Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi».
«Anche Tu morrai e poi sarai vivente?», lo tentano. Sono già stanchi di essere miti.  
L'astio è tale che non sanno contenersi.
«Io sono il Vivente e la mia Carne non conoscerà sfacimento. L'arca ci fu levata e l'attuale sarà levata anche come simbolo.
Il Tabernacolo ci fu tolto e sarà distrutto. Ma il vero Tempio di Dio non potrà essere levato e distrutto. Quando i suoi avversari crederanno di averlo fatto, allora sarà l'ora che si stabilirà nella vera Gerusalemme, in tutta la sua gloria. Addio».
E si affretta verso il cortile degli Israeliti, perché le tube d'argento chiamano al sacrificio della sera.

2.2 La morte dell’Universo e la Resurrezione dei corpi.
E’ interessante – quanto alla resurrezione dei morti - una famosa visione del Profeta Ezechiele, quella delle ‘ossa inaridite’.
---
1 La mano del Signore fu sopra di me e il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella pianura che era piena di ossa; 2mi fece passare accanto a esse da ogni parte. Vidi che erano in grandissima quantità nella distesa della valle e tutte inaridite.
3Mi disse: «Figlio dell'uomo, potranno queste ossa rivivere?».
Io risposi: «Signore Dio, tu lo sai».
4Egli mi replicò: «Profetizza su queste ossa e annuncia loro:
«Ossa inaridite, udite la parola del Signore. 5Così dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete.
6Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo spirito e rivivrete. Saprete che io sono il Signore»».
7Io profetizzai come mi era stato ordinato; mentre profetizzavo, sentii un rumore e vidi un movimento fra le ossa, che si accostavano l'uno all'altro, ciascuno al suo corrispondente.
8Guardai, ed ecco apparire sopra di esse i nervi; la carne cresceva e la pelle le ricopriva, ma non c'era spirito in loro.
9Egli aggiunse: «Profetizza allo spirito, profetizza, figlio dell'uomo, e annuncia allo spirito:
«Così dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano».
10Io profetizzai come mi aveva comandato e lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, sterminato.
11Mi disse: «Figlio dell'uomo, queste ossa sono tutta la casa d'Israele. Ecco, essi vanno dicendo: «Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti».
12Perciò profetizza e annuncia loro: «Così dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d'Israele. 13Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. 14Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L'ho detto e lo farò».
Oracolo del Signore Dio.
^^^^
E’ parimenti ancor più interessante il commento che Gesù fa alla nostra mistica su questo passo di Ezechiele:
^^^^
15 aprile 1945.
Ezechiele, cap. 37, v. dal 1° al 14°.
Dice Gesù: “io ti domando come domandò il Signore ad Ezechiele: ‘Pensi tu che queste ossa rivivranno?’ ”.
Io, come Ezechiele, rispondo: “Tu lo sai, Signore Iddio”, perché capisco quale è il senso della parola “ossa” usata per dire “uomini”. Comprendo cioè che Gesù non mi chiede se risorgeranno i morti all’ultimo Giorno. Questo è fede, e non v’è dubbio su questo. Ma Egli dà nome di “ossa” a questa povera umanità attuale, così tutta materia e niente spirito.
Lo comprendo perché, come le ho spiegato già tante volte, quando Dio mi prende perché io sia il suo portavoce, la mia intelligenza si amplifica e si eleva a una potenza che è molto superiore a quella consentita agli umani. E io “vedo”, “odo”, “comprendo” secondo lo spirito.
Gesù sorride perché vede che ho compreso la sua domanda, e spiega:
«Così è. Ora l’Umanità non è che ossa, che ruderi calcinati, pesanti, morti, sprofondati nei solchi fetidi dei vizi e delle eresie. Lo spirito non è più. Lo spirito che è vita nella carne e vita nell’eternità. Lo spirito che è quello che differenzia l’uomo dall’animale. L’uomo ha ucciso se stesso nella parte migliore.
È una macchina? È un bruto? È un cadavere? Si. È tutto questo.
Macchina, perché compie la sua giornata con la meccanicità di un congegno che opera perché deve operare per forza delle sue parti messe in moto. Ma che lo fa senza comprendere il bello di ciò che fa. Anche l’uomo si alza, si corica, dopo avere mangiato, lavorato, passeggiato, parlato, senza mai comprendere quello che fa nel suo bello o nel suo brutto. Semplicemente perché, privo come è di spirito, non distingue più il bello dal brutto, il bene dal male.
È bruto perché si appaga di dormire, di mangiare, di accumulare grasso sul corpo e riserve nella tana, né più né meno di come fa il bruto che di queste operazioni fa lo scopo della sua vita e la gioia della sua esistenza, e tutto giustifica, egoismi e ferocie, per questa legge bassa e brutale della necessità di predare per essere satollo.
È cadavere perché ciò che fa dire di un uomo che è vivo è la presenza nella carne dello spirito. Quando l’anima si esala, l’uomo diviene il cadavere. In verità l’uomo attuale è un cadavere tenuto ritto e in moto per un sortilegio della meccanica o del demonio. Ma è un cadavere.
Orbene Io dico: “Ecco che Io infonderò in voi, aride ossa, lo spirito, e rivivrete.
Farò risalire su voi i nervi e ricrescere le carni e distendere su voi la pelle e vi darò lo spirito e rivivrete e conoscerete che io sono il Signore”. Sì, che questo io farò. Verrà il tempo in cui io riavrò un popolo di “vivi” e non di cadaveri.
Intanto ecco che Io, ai migliori, non morti, ma scheletriti per mancanza del cibo spirituale, do il nutrimento della mia parola. Non voglio la vostra morte per consunzione.
Questa è la sostanziosa manna che con dolcezza vi dà vigore. Oh! nutritevene, figli del mio amore e del mio sacrificio! E perché devo vedere che tanti hanno fame, e tanto cibo è per essi preparato dal Salvatore, e ad esso non è attinto per coloro che hanno fame? Nutritevi, rizzatevi in piedi, uscite dai sepolcri.
Uscite dall’inerzia, uscite dai vizi del secolo, venite alla conoscenza, venite a “riconoscere” il Signore Iddio vostro.
^^^^
Gesù ha tuttavia mostrato alla mistica una visione della morte dell’Universo seguita dalla Resurrezione finale dei corpi che ha molti punti di analogia con quella del Profeta Ezechiele, una visione più completa e per di più commentata dal Gesù valtortiano (i grassetti sono miei):
^^^^
29 - 1 - 44.
Avrei qui da dirle due cose che la interessano certo e che avevo deciso di scrivere non appena tornata dal sopore. Ma siccome c’è dell’altro più pressante, scriverò poi.
Ciò che io vedo questa sera:
Una immensa estensione di terra. Un mare, tanto è senza confini.
Dico “terra” perché vi è della terra come nei campi e nelle vie. Ma non vi è un albero, non uno stelo, non un filo d’erba. Polvere, polvere e polvere.
Vedo questo ad una luce che non è luce. Un chiarore appena disegnato, livido, di una tinta verde-viola quale si nota in tempo di fortissimo temporale o di eclissi totale. Una luce, che fa paura, di astri spenti.
Ecco. Il cielo è privo di astri. Non ci sono stelle, non luna, non sole. Il cielo è vuoto come è vuota la terra.
Spogliato l’uno dei suoi fiori di luce, l’altra della sua vita vegetale e animale. Sono due immense spoglie di ciò che fu.
Ho tutto l’agio di vedere questa desolata visione della morte dell’universo, che penso sarà dello stesso aspetto dell’attimo primo, quando era già cielo e terra ma spopolato il primo d’astri e la seconda nuda di vita, globo già solidificato ma ancora inabitato, trasvolante per gli spazi in attesa che il dito del Creatore le donasse erbe e animali.
Perché io comprendo che è la visione della morte dell’universo?
Per una di quelle “seconde voci” che non so da chi vengano, ma che fanno in me ciò che fa il coro nelle tragedie antiche: la parte di indicatrici di speciali aspetti che i protagonisti non illustrano di loro. È proprio quello che le voglio dire e che le dirò dopo.
Mentre giro lo sguardo su questa desolata scena di cui non comprendo la necessità, vedo, sbucata non so da dove, ritta nel mezzo della piana sconfinata, la Morte.
Uno scheletro che ride con i suoi denti scoperti e le sue orbite vuote, regina di quel mondo morto, avvolta nel suo sudario come in un manto. Non ha falce. Ha già tutto falciato. Gira il suo sguardo vuoto sulla sua messe e ghigna.
Ha le braccia congiunte sul petto. Poi le disserra, queste scheletriche braccia, e apre le mani senza più altro che ossa nude e, poiché è figura gigante e onnipresente - o meglio detto: onnivicina - mi appoggia un dito, l’indice della destra, sulla fronte. Sento il ghiaccio dell’osso pontuto che pare perforarmi la fronte ed entrare come ago di ghiaccio nella testa. Ma comprendo che ciò non ha altro significato che quello di voler richiamare la mia attenzione a ciò che sta avvenendo.
Infatti col braccio sinistro fa un gesto indicandomi la desolata distesa su cui ci ergiamo essa, regina, ed io unica vivente.
Al suo muto comando, dato con le dita scheletriche della mano sinistra e col volgere a destra e a manca ritmicamente il capo, la terra si fende in mille e mille crepe e nel fondo di questi solchi scuri biancheggiano bianche cose sparse che non comprendo che siano.
Mentre mi sforzo di pensare che sono, la Morte continua ad arare col suo sguardo e il suo comando, come con un vomere, le glebe, e quelle sempre più si aprono fino all’orizzonte lontano; e solca le onde dei mari privi di vele, e le acque si aprono in voragini liquide.
E poi da solchi di terra e da solchi di mare sorgono, ricomponendosi, le bianche cose che ho visto sparse e slegate. Sono milioni e milioni e milioni di scheletri che affiorano dagli oceani, che si drizzano su dal suolo.
Scheletri di tutte le altezze. Da quelli minuscoli degli infanti dalle manine simili a piccoli ragni polverosi, a quelli di uomini adulti, e anche giganteschi, la cui mole fa pensare a qualche essere antidiluviano. E stanno stupiti e come tremanti, simili a coloro che sono svegliati di soprassalto da un profondo sonno e non si raccapezzano del dove si trovano.
La vista di tutti quei corpi scheletriti, biancheggianti in quella “non luce” da Apocalisse, è tremenda.
E poi intorno a quegli scheletri si condensa lentamente una nebulosità simile a nebbia sorgente dal suolo aperto, dagli aperti mari, prende forma e opacità, si fa carne, corpo simile a quello di noi vivi; gli occhi, anzi le occhiaie, si riempiono d’iridi, gli zigomi si coprono di guance, sulle mandibole scoperte si stendono le gengive e le labbra si riformano e i capelli tornano sui crani e le braccia si fanno tornite e le dita agili e tutto il corpo torna vivo, uguale a come è il nostro.
Uguale, ma diverso nell’aspetto.
Vi sono corpi bellissimi, di una perfezione di forme e di colori che li fanno simili a capolavori d’arte.
Ve ne sono altri orridi, non per sciancature o deformazioni vere e proprie, ma per l’aspetto generale che è più da bruto che da uomo.
Occhi torvi, viso contratto, aspetto belluino e, ciò che più mi colpisce, una cupezza che si emana dal corpo aumentando il lividore dell’aria che li circonda.
Mentre i bellissimi hanno occhi ridenti, viso sereno, aspetto soave, e emanano una luminosità che fa aureola intorno al loro essere dal capo ai piedi e si irradia all’intorno.
Se tutti fossero come i primi, l’oscurità diverrebbe totale al punto di celare ogni cosa.
Ma in virtù dei secondi la luminosità non solo perdura ma aumenta, tanto che posso notare tutto per bene.
I brutti, sul cui destino di maledizione non ho dubbi poiché portano questa maledizione segnata in fronte, tacciono gettando sguardi spauriti e torvi, da sotto in su intorno a sé, e si aggruppano da un lato ad un intimo comando che non intendo ma che deve esser dato da qualcuno e percepito dai risorti.
I bellissimi pure si questi bellissimi, cantano un coro lento e soave di benedizione a Dio.
Non vedo altro. Comprendo di aver visto la risurrezione finale.
Quello che le volevo dire all’inizio è questa cosa.
Lei oggi mi diceva come avevo potuto sapere i nomi di Hillel e Gamaliele e quello di Sciammai.
È la voce che io chiamo “seconda voce”, quella che mi dice queste cose. Una voce ancor meno sensibile di quella del mio Gesù e degli altri che dettano.
Queste sono voci - glie l’ho detto e glie lo ripeto - che il mio udito spirituale percepisce uguali a voci umane.
Le sento dolci o irate, forti o leggere, ridenti o meste. Come se uno parlasse proprio vicino a me. Mentre questa “seconda voce” è come una luce, una intuizione che parla nel mio spirito. “Nel”, non “al” mio spirito. È una indicazione.
Così, mentre io mi avvicinavo al gruppo dei disputanti e non sapevo chi era quell’illustre personaggio che a fianco di un vecchio disputava con tanto calore, questo “che” interno mi disse: “Gamaliele - Hillel”.
Si. Prima Gamaliele e poi Hillel. Non ho dubbi. Mentre pensavo chi erano costoro, questo indicatore interno mi indicò il terzo antipatico individuo proprio mentre Gamaliele lo chiamava a nome. E così ho potuto sapere chi era costui dal farisaico aspetto.
Oggi questo indicatore interno mi fa comprendere che io vedevo l’universo dopo la sua morte.
E così molte volte nelle visioni. È quello che mi fa capire certi particolari che da me non afferrerei e che sono necessari di capirsi.
Non so se mi sono spiegata bene. Ma smetto perché comincia a parlare Gesù.
Dice Gesù:
Quando il tempo sarà finito e la vita dovrà essere unicamente Vita nei cieli, il mondo universo tornerà, come hai pensato, ad essere quale era all’inizio, prima d’esser dissolto completamente.
Il che avverrà quando io avrò giudicato.
Molti pensano che dal momento della fine al Giudizio universale vi sarà un attimo solo. Ma Dio sarà buono sino alla fine, o figlia. Buono e giusto.
Non tutti i viventi dell’ora estrema saranno santi e non tutti dannati.
Vi saranno fra quei primi coloro che sono destinati al Cielo ma che hanno un che da espiare.
Ingiusto sarei se annullassi ad essi l’espiazione che pure ho comminata a tutti coloro che li hanno preceduti trovandosi nelle loro medesime condizioni alla loro morte.
Perciò, mentre la giustizia e la fine verranno per altri pianeti, e come faci su cui uno soffia si spegneranno uno ad uno gli astri del cielo, e oscurità e gelo andranno aumentando, nelle mie ore che sono i vostri secoli - e già si è iniziata l’ora dell’oscurità, nei firmamenti come nei cuori - i viventi dell’ultima ora, morti nell’ultima ora, meritevoli di Cielo ma bisognosi di mondarsi ancora, andranno nel fuoco purificatore.
Aumenterò gli ardori di quel fuoco perché più sollecita sia la purificazione e non troppo attendano i beati di portare alla glorificazione la loro carne santa e di far gioire anche la stessa vedendo il suo Dio, il suo Gesù nella sua perfezione e nel suo trionfo.
Ecco perché hai visto la terra priva di erbe e alberi, di animali, di uomini, di vita, e gli oceani privi di vele, distesa ferma di acque ferme poiché non sarà più necessario ad esse il moto per dar vita ai pesci delle acque, come non più necessario calore alla terra per dar vita alle biade e agli esseri.
Ecco perché hai visto il firmamento vuoto dei suoi luminari, senza più fuochi e senza più luci. Luce e calore non saranno più necessari alla terra, ormai enorme cadavere portante in sé i cadaveri di tutti i viventi da Adamo all’ultimo figlio di Adamo.
La Morte, mia ultima ancella sulla Terra, compirà il suo ultimo incarico e poi cesserà d’essere essa pure. Non vi sarà più Morte. Ma solo Vita eterna.
Nella beatitudine o nell’orrore.
Vita in Dio o vita in Satana per il vostro io ricomposto in anima e corpo.
Ora basta. Riposa e pensa a Me.»
E anche questa sera, che non volevo scrivere perché ero sfinita, ho dovuto scrivere l2 facciate!...
Senza commenti.
Dimenticavo dirle che i corpi erano tutti nudi ma che non faceva senso, come se la malizia fosse morta essa pure: in loro e in me. E poi, ai corpi dei dannati faceva schermo la loro oscurità e a quello dei beati faceva veste la loro stessa luce.
Perciò, ciò che è animalità in noi scompariva sotto l’emanazione dello spirito interno, signore ben lieto o ben disperato della carne.

2.3 Maria SS.: ‘…Ma che la bontà dell'Eterno avesse riserbato alla sua ancella il gaudio di risentire sulle sue membra il tocco della mano del Figlio mio, il suo abbraccio, il suo bacio, e di riudire con le mie orecchie la sua voce, di vedere col mio occhio il suo volto, questo non potevo pensare che mi venisse concesso, né lo desideravo...’.
Avevamo dunque detto - fin dall’inizio di questa riflessione - che il Catechismo della Chiesa cattolica di S. Pio X, ci assicura che gli uomini risusciteranno, con l’anima ed il corpo che avevano avuto in vita e che gli ‘eletti’ – con il loro corpo glorioso - potranno anche attraversare qualsiasi corpo solido come fece il Gesù risorto e spostarsi da un luogo all’altro e dalla Terra al Cielo.
Già, ma quale ‘luogo’ e quale ‘Terra’, se questa attuale morirà riducendosi nuda ed deserta come all’inizio con la morte anche dell’attuale Universo?
Quale è il significato dei famosi ‘Nuovi Cieli e Nuova Terra’ di cui i testi sacri tanto parlano? Significato allegorico o reale?
Può avere senso l’idea di una Terra tornata immota come primo pianeta all’inizio, senza astri, ma destinata poi ad essere ritrasformata per essere nuovamente abitata?
Sono solo domande, è vero, ma non è illecito e privo di senso porsele.
Nulla è d’altronde impossibile a Dio che ha l’abitudine di creare dal Nulla.
Una cosa che può colpire di più l’immaginazione è forse quella della corporeità e della solidità tattile dei corpi dei risorti destinati ad essere assunti nel Paradiso.
Quale sarà mai la natura del Corpo fisico di Gesù asceso al Cielo? I Vangeli e la Dottrina della Chiesa ci confermano che Egli è asceso in Cielo con il proprio Corpo glorioso salvo poi sparire alla vista degli astanti.
E sempre con riferimento al nostro corpo in Paradiso, che dire poi dell’altro Dogma del corpo di Maria SS., anch’essa assunta in Cielo in anima e corpo?
Gioverà a questo proposito – per cercare di trovare almeno alcune risposte ai suddetti vari quesiti - leggere come Lei stessa, nell’Opera valtortiana, descrive la sua ‘Assunzione’ e come a sua volta la commenta lo stesso Gesù (i grassetti sono i miei):
^^^^
651. Sul transito, sull'assunzione e sulla regalità di Maria Ss.
18 aprile 1948.
Dice Maria:
«Io morii?
, se si vuol chiamare morte la separazione della parte eletta dello spirito dal corpo.
No, se per morte si intende la separazione dell'anima vivificante dal corpo, la corruzione della materia non più vivificata dall'anima e, prima, la lugubrità del sepolcro e, per prima tra tutte queste cose, lo spasimo della morte.
Come morii, o meglio, come trapassai dalla Terra al Cielo, prima con la parte immortale, poscia con quella peribile?
Come era giusto per Colei che non conobbe macchia di colpa.
Quella sera, già s'era iniziato il riposo sabatico, parlavo con Giovanni. Di Gesù. Delle cose sue. L'ora vespertina era piena di pace. Il sabato aveva spento ogni rumore di opere umane.
E l'ora spegneva ogni voce d'uomo o di uccello. Soltanto gli ulivi intorno alla casa frusciavano al vento della sera, e sembrava che un volo d'angeli sfiorasse le mura della casetta solitaria.
Parlavamo di Gesù, del Padre, del Regno dei Cieli.
Parlare della Carità e del Regno della Carità è accendersi del fuoco vivo, consumare i serrami della materia per liberare lo spirito ai suoi voli mistici. E se il fuoco è contenuto nei limiti che Dio mette per conservare le creature sulla Terra, al suo servizio, vivere ed ardere si può, trovando nell'ardore non consumazione ma completamento di vita.
Ma quando Dio toglie i limiti e lascia libertà al Fuoco divino di investire e attirare a Sé lo spirito senza più misura, allora lo spirito, a sua volta rispondendo senza misura all'Amore, si stacca dalla materia e vola là dove l'Amore lo sprona ed invita. Ed è la fine dell'esilio e il ritorno alla Patria.
Quella sera, all'ardore incontenibile, alla vitalità senza misura del mio spirito, si unì un dolce languore, un misterioso senso di allontanamento della materia da quanto la circondava, come se il corpo si addormentasse, stanco, mentre l'intelletto, ancor più vivo nel suo ragionare, si inabissava nei divini splendori.
Giovanni, amoroso e prudente testimone di ogni mio atto da quando mi era divenuto figlio d'adozione, secondo il volere del mio Unigenito, dolcemente mi persuase a trovare riposo sul lettuccio e mi vegliò pregando.
L'ultimo suono che sentii sulla Terra fu il mormorio delle parole del vergine Giovanni.
Mi furono come la ninna-nanna di una madre presso la cuna. E accompagnarono il mio spirito nell'ultima estasi, troppo sublime per esser detta. Me lo accompagnarono sino al Cielo.
Giovanni, unico testimone di questo mistero soave, da solo mi compose, avvolgendomi nel manto bianco, senza mutarmi veste e velo, senza lavacri e imbalsamazioni.
Lo spirito di Giovanni, come appare chiaro dalle sue parole del secondo episodio di questo ciclo che va dalla Pentecoste alla mia Assunzione, già sapeva che non mi sarei corrotta, ed istruì l'apostolo sul da farsi.
Ed egli, casto, amoroso, prudente verso i misteri di Dio e i compagni lontani, pensò di custodire il segreto e di attendere gli altri servi di Dio, perché mi vedessero ancora e, da quella vista, trarre conforto e aiuto per le pene e le fatiche della loro missione. Attese, come fosse sicuro della loro venuta.
Ma diverso era il decreto di Dio.
Buono come sempre per il Prediletto. Giusto come sempre per tutti i credenti.
Appesantì al primo le palpebre, perché il sonno gli risparmiasse lo strazio di vedersi rapire anche il mio corpo.
Donò ai credenti una verità di più che li confortasse a credere nella risurrezione della carne, nel premio di una vita eterna e beata concessa ai giusti, nelle verità più potenti e dolci del Nuovo Testamento: la mia immacolata Concezione, la mia divina Maternità verginale, nella Natura divina e umana del Figlio mio, vero Dio e vero Uomo, nato non per voler carnale ma per sponsale divino e per divino seme deposto nel mio seno; e infine perché credessero che nel Cielo è il mio Cuore di Madre degli uomini, palpitante di trepido amore per tutti, giusti e peccatori, desideroso di avervi tutti seco nella Patria beata, per l'eternità.
Quando dagli angeli fui tratta dalla casetta, già il mio spirito era tornato in me?
No. Lo spirito non doveva più ridiscendere sulla Terra.
Era, adorante, davanti al trono di Dio.
Ma quando la Terra, l'esilio, il tempo e il luogo della separazione dal mio Uno e Trino Signore furono per sempre lasciati, lo spirito mi tornò a splendere al centro dell'anima, traendo la carne dalla sua dormizione, onde è giusto dire che fui assunta in Cielo in anima e corpo, non per capacità mia propria, come avvenne per Gesù, ma per aiuto angelico.
Mi destai da quella misteriosa e mistica dormizione, sorsi, volai infine, perché ormai la mia carne aveva conseguito la perfezione dei corpi glorificati. E amai.
Amai il mio ritrovato Figlio e mio Signore, Uno e Trino, lo amai come è destino di tutti gli eterni viventi».
5 gennaio 1944.
Dice Gesù:
«Venuta la sua ultima ora, come un giglio stanco che, dopo aver esalato tutti i suoi profumi, si curva sotto le stelle e chiude il suo calice di candore, Maria, mia Madre, si raccolse sul suo giaciglio e chiuse gli occhi a tutto quanto la circondava per raccogliersi in un'ultima serena contemplazione di Dio.
Curvo sul suo riposo, l'angelo di Maria attendeva trepido che l'urgere dell'estasi separasse quello spirito dalla carne, per il tempo segnato dal decreto di Dio, e lo separasse per sempre dalla Terra, mentre già dai Cieli scendeva il dolce e invitante comando di Dio.
Curvo, a sua volta, su quel misterioso riposo, Giovanni, angelo terreno, vegliava a sua volta la Madre che stava per lasciarlo. E quando la vide spenta vegliò ancora, perché inviolata da sguardi profani e curiosi rimanesse, anche oltre la morte, l'immacolata Sposa e Madre di Dio, che dormiva così placida e bella.
Una tradizione dice che nell'urna di Maria, riaperta da Tommaso, vi furono trovati solo dei fiori.
Pura leggenda. Nessun sepolcro inghiottì la salma di Maria, perché non vi fu mai una salma di Maria, secondo il senso umano, dato che Maria non morì come muore chiunque ebbe vita.
Ella si era soltanto, per decreto divino, separata dallo spirito, e con lo stesso, che l'aveva preceduta, si ricongiunse la sua carne santissima.
Invertendo le leggi abituali, per le quali l'estasi finisce quando cessa il rapimento, ossia quando lo spirito torna allo stato normale, fu il corpo di Maria che tornò a riunirsi allo spirito, dopo la lunga sosta sul letto funebre.
Tutto è possibile a Dio.
Io sono uscito dal Sepolcro senz'altro aiuto che il mio potere.
Maria venne a Me, a Dio, al Cielo, senza conoscere il sepolcro col suo orrore di putredine e di lugubrità.
E’ uno dei più fulgidi miracoli di Dio.
Non unico, in verità, se si ricordano Enoc ed Elia, che, perché cari al Signore, furono rapiti alla Terra senza conoscere la morte e trasportati altrove, in un luogo noto a Dio solo e ai celesti abitanti dei Cieli.
Giusti erano, ma sempre un nulla rispetto a mia Madre, inferiore, in santità, solo a Dio.
Per questo non ci sono reliquie del corpo e del sepolcro di Maria. Perché Maria non ebbe sepolcro, e il suo corpo fu assunto in Cielo».
---
8 e 15 luglio 1944.
Dice Maria:
«Un'estasi fu il concepimento del Figlio mio. Una più grande estasi il darlo alla luce.
L'estasi delle estasi il mio transito dalla Terra al Cielo.
Soltanto durante la Passione nessuna estasi rese sopportabile l'atroce mio soffrire.
La casa, da dove fui assunta al Cielo, era una delle innumerevoli generosità di Lazzaro per Gesù e la Madre sua. La piccola casa del Getsemani, presso il luogo della sua Ascensione.
Inutile cercarne i resti. Nella distruzione di Gerusalemme ad opera dei romani fu devastata e le sue rovine furono disperse nel corso dei secoli».
---
18 dicembre 1943.
Dice Maria:
«Come mi fu estasi la nascita del Figlio e, dal rapimento in Dio, che mi prese in quell'ora, tornai presente a me stessa e alla Terra col mio Bambino fra le braccia, così la mia impropriamente detta "morte" fu un rapimento in Dio.
Fidando nella promessa avuta nello splendore del mattino di Pentecoste, io pensavo che l'avvicinarsi del momento della venuta ultima dell'Amore, per rapirmi con Sé, dovesse manifestarsi con un aumento del fuoco d'amore che sempre m'ardeva.
Né feci errore.
Da parte mia, più la vita passava, più aumentava in me il desiderio di fondermi all'eterna Carità.
Mi spronava a ciò il desiderio di riunirmi al Figlio mio e la certezza che mai avrei fatto tanto per gli uomini come quando fossi stata, orante e operante per essi, ai piedi del trono di Dio. E con moto sempre più acceso e accelerato, con tutte le forze dell'anima mia, gridavo al Cielo: "Vieni, Signore Gesù! Vieni, eterno Amore!".
L'Eucarestia, che era per me come una rugiada per un fiore assetato, era, sì, vita, ma più il tempo passava e più diveniva insufficiente a soddisfare l'incontenibile ansia del mio cuore. Non mi bastava più ricevere in me la mia divina Creatura e portarla nel mio interno nelle sacre Specie, come l'avevo portata nella mia carne verginale.
Tutta me stessa voleva il Dio uno e trino, ma non sotto i veli scelti dal mio Gesù per nascondere l'ineffabile mistero della Fede, ma quale era, è e sarà nel centro del Cielo.
Lo stesso mio Figlio, nei suoi trasporti eucaristici, mi ardeva con abbracci di desiderio infinito, e ogni volta che a me veniva, con la potenza del suo amore, quasi svelleva l'anima mia nel primo impeto, poi rimaneva, con tenerezza infinita, chiamandomi “Mamma!” ed io lo sentivo ansioso di avermi con Sé.
Non desideravo più altro. Neppure il desiderio di tutelare la nascente Chiesa era più in me, negli ultimi tempi del mio vivere mortale.
Tutto era annullato nel desiderio di possedere Dio, per la persuasione che avevo di tutto potere quando lo si possiede.
Giungete, o cristiani, a questo totale amore. Tutto quanto è terreno perda valore. Mirate solo Dio. Quando sarete ricchi di questa povertà di desiderio, che è immisurabile ricchezza, Dio si chinerà sul vostro spirito per istruirlo prima, per prenderlo poi, e voi ascenderete con esso al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo, per conoscerli ed amarli per la beata eternità e per possedere le loro ricchezze di grazie per i fratelli.
Non si è mai tanto attivi per i fratelli come quando non si è più tra di essi, ma si è luci ricongiunte alla divina Luce.
L'avvicinarsi dell'Amore eterno ebbe il segno che pensavo.
Tutto perse luce e colore, voce e presenza sotto il fulgore e la Voce che, scendendo dai Cieli, aperti al mio sguardo spirituale, si abbassavano su me per cogliere l'anima mia.
Suol dirsi che io avrei giubilato d'essere assistita, in quell'ora, dal Figlio mio.
Ma il mio dolce Gesù era ben presente col Padre quando l'Amore, ossia lo Spirito Santo, terza Persona della Trinità eterna, mi dette il suo terzo bacio nella mia vita, quel bacio così potentemente divino che in esso l'anima mia si esalò, perdendosi nella contemplazione come goccia di rugiada aspirata dal sole nel calice di un giglio.
Ed io ascesi col mio spirito osannante ai piedi dei Tre che avevo sempre adorato.
Poi, al giusto momento, come perla in castone di fuoco, aiutata prima, seguita poi dalla teoria degli spiriti angelici venuti ad assistermi nel mio eterno celeste natale, attesa già prima delle soglie dei Cieli dal mio Gesù, e sulle soglie di essi dal mio giusto sposo terreno, dai Re e Patriarchi della mia stirpe, dai primi santi e martiri, entrai Regina, dopo tanto dolore e tanta umiltà di povera ancella di Dio, nel regno del gaudio senza limite.
E il Cielo si rinchiuse sulla gioia di avermi, di avere la sua Regina, la cui carne, unica tra tutte le carni mortali, conosceva la glorificazione avanti la risurrezione finale e l'ultimo giudizio».
---
Dicembre 1943.
Dice Maria:
«La mia umiltà non poteva farmi permettere di pensare che tanta gloria mi fosse riserbata in Cielo.
Nel mio pensiero era la quasi certezza che la mia umana carne, fatta santa dall'aver portato Dio, non avrebbe conosciuto la corruzione, poiché Dio è Vita e, quando di Sé stesso satura ed empie una creatura, questa sua azione è come aroma preservatore da corruzione di morte.
Io non soltanto ero rimasta immacolata, non solo ero stata unita a Dio con un casto e fecondo abbraccio, ma m'ero saturata, sin nelle mie più profonde latebre, delle emanazioni della Divinità nascosta nel mio seno e intenta a velarsi di carni mortali.
Ma che la bontà dell'Eterno avesse riserbato alla sua ancella il gaudio di risentire sulle sue membra il tocco della mano del Figlio mio, il suo abbraccio, il suo bacio, e di riudire con le mie orecchie la sua voce, di vedere col mio occhio il suo volto, questo non potevo pensare che mi venisse concesso, né lo desideravo.
Mi sarebbe bastato che queste beatitudini venissero concesse al mio spirito, e di ciò sarebbe stato già pieno di felicità beata il mio io.
Ma, a testimonianza del suo primo pensiero creativo a riguardo dell'uomo, da Lui, Creatore, destinato a vivere, trapassando senza morte dal Paradiso terrestre a quello celeste, nel Regno eterno, Dio volle me, Immacolata, in Cielo in anima e corpo. Subito che fosse cessata la mia vita terrena.
Io sono la testimonianza certa di ciò che Dio aveva pensato e voluto per l'uomo: una vita innocente e ignara di colpe, un placido passaggio da questa vita alla Vita eterna, per cui, come uno che passa la soglia di una casa per entrare in un reggia, l'uomo, col suo essere completo, fatto di corpo materiale e di anima spirituale, sarebbe passato dalla Terra al Paradiso, aumentando la perfezione del suo io, a lui data da Dio, con la perfezione completa, e della carne e dello spirito, che era, nel pensiero divino, destinata ad ogni creatura che fosse rimasta fedele a Dio e alla Grazia.
Perfezione che sarebbe stata raggiunta nella luce piena che è nei Cieli, e li empie, venendo da Dio, Sole eterno che li illumina.
Davanti ai Patriarchi, Profeti e Santi, davanti agli Angeli e ai Martiri, Dio pose Me, assunta in anima e corpo alla gloria del Cielo, e disse:
Ecco l'opera perfetta del Creatore.
Ecco ciò che Io creai a mia più vera immagine e somiglianza fra tutti i figli dell'uomo, frutto di un capolavoro divino e creativo, meraviglia dell'universo, che vede chiuso in un solo essere il divino nello spirito eterno come Dio e come Lui spirituale, intelligente, libero, santo, e la creatura materiale nella più innocente e santa delle carni, alla quale ogni altro vivente, nei tre regni del creato, è costretto ad inchinarsi.
Ecco la testimonianza del mio amore per l'uomo, per il quale volli un organismo perfetto e una beata sorte di eterna vita nel mio Regno.
Ecco la testimonianza del mio perdono all'uomo al quale, per la volontà di un Trino Amore, ho concesso riabilitazione e ricreazione agli occhi miei.
Questa è la mistica pietra di paragone, questa è l'anello di congiunzione tra l'uomo e Dio, questa è Colei che riporta i tempi ai giorni primi e dà ai miei occhi divini la gioia di contemplare un'Eva quale Io la creai, ed ora fatta ancor più bella e santa, perché Madre del mio Verbo e perché Martire del più gran perdono.
Per il suo Cuore immacolato che non conobbe mai macchia alcuna, neanche la più lieve, Io apro i tesori del Cielo, e per il suo Capo che mai conobbe superbia, del mio fulgore faccio un serto e l'incorono, poiché mi è santissima, perché sia vostra Regina.
Nel Cielo non vi sono lacrime. Ma in luogo del gioioso pianto, che avrebbero avuto gli spiriti se ad essi fosse concesso il pianto - umore che stilla spremuto da un'emozione - vi fu, dopo queste divine parole, uno sfavillare di luci, un trascolorare di splendori in più vividi splendori, un ardere di incendi caritativi in un più ardente fuoco, un insuperabile ed indescrivibile suonare di celesti armonie, alle quali si unì la voce del Figlio mio, in laude a Dio Padre e alla sua Ancella in eterno beata».
---
1 maggio 1946.
Dice Gesù:
«Vi è differenza tra la separazione dell'anima dal corpo per morte vera, e momentanea separazione dello spirito dal corpo e dall'anima vivificante per estasi o rapimento contemplativo.
Mentre il distacco dell'anima dal corpo provoca la vera morte, la contemplazione estatica, ossia la temporanea evasione dello spirito fuor dalle barriere dei sensi e della materia, non provoca la morte.
E questo perché l'anima non si distacca e separa totalmente dal corpo, ma lo fa solo con la sua parte migliore, che si immerge nei fuochi della contemplazione.
Tutti gli uomini, finché sono in vita, hanno in sé l'anima, morta o viva che sia, per peccato o per giustizia; ma soltanto i grandi amanti di Dio raggiungono la contemplazione vera.
Questo sta a dimostrare che l'anima, conservante l'esistenza sinché è unita al corpo - e questa particolarità è in tutti gli uomini uguale - ha in se stessa una parte più eletta: l'anima dell'anima, o spirito dello spirito, che nei giusti sono fortissimi, mentre in coloro che disamano Dio e la sua Legge, anche solo con la loro tiepidezza e i peccati veniali, si fanno deboli, privando la creatura della capacità di contemplare e conoscere, per quanto lo può fare un'umana creatura, a seconda del grado di perfezione raggiunta, Dio ed i suoi eterni veri.
Più la creatura ama e serve Dio con tutte le sue forze e possibilità, e più la parte più eletta del suo spirito aumenta la sua capacità di conoscere, di contemplare, di penetrare le eterne verità.
L'uomo, dotato d’anima razionale, è una capacità che Dio empie di Sé.
Maria, essendo la più santa d'ogni creatura dopo il Cristo, fu una capacità colma - sino a traboccare sui fratelli in Cristo di tutti i secoli, e per i secoli dei secoli - di Dio, delle sue grazie, carità e misericordie.
Trapassò sommersa dalle onde dell'amore.
Ora, nel Cielo, fatta oceano d'amore, trabocca sui figli a Lei fedeli, e anche sui figli prodighi, le sue onde di carità per la salvezza universale, Lei che è Madre universale di tutti gli uomini».
^^^^
Ebbene, se avete letto e meditato con attenzione, avrete rilevato che – secondo le rivelazioni valtortiane - non vi è alcun contrasto con le verità del Catechismo.
In Cielo, o Paradiso che si voglia chiamarlo, dopo il Giudizio Universale ci si andrà (se saremo dalla parte giusta) con un corpo glorificato.
Si tratta di un corpo solido che dispone dei propri sensi, con la sensibilità tattile dell’abbraccio, con l’udito delle proprie orecchie che odono in viva voce, con la vista dei propri occhi, perché Maria SS. addirittura precisa:
«…Ma che la bontà dell'Eterno avesse riserbato alla sua ancella il gaudio di risentire sulle sue membra il tocco della mano del Figlio mio, il suo abbraccio, il suo bacio, e di riudire con le mie orecchie la sua voce, di vedere col mio occhio il suo volto, questo non potevo pensare che mi venisse concesso, né lo desideravo…».
Pur senza voler fare da parte mia affermazioni certe, mi pare anche di capire che il ‘Paradiso’ più che uno ‘stato’ sia un ‘luogo’ del Regno eterno – laddove Maria SS. dice:
«…Ma, a testimonianza del suo primo pensiero creativo a riguardo dell'uomo, da Lui, Creatore, destinato a vivere, trapassando senza morte dal Paradiso terrestre a quello celeste, nel Regno eterno, Dio volle me, Immacolata, in Cielo in anima e corpo. Subito che fosse cessata la mia vita terrena.
Io sono la testimonianza certa di ciò che Dio aveva pensato e voluto per l'uomo: una vita innocente e ignara di colpe, un placido passaggio da questa vita alla Vita eterna, per cui, come uno che passa la soglia di una casa per entrare in un reggia, l'uomo, col suo essere completo, fatto di corpo materiale e di anima spirituale, sarebbe passato dalla Terra al Paradiso, aumentando la perfezione del suo io, a lui data da Dio, con la perfezione completa, e della carne e dello spirito, che era, nel pensiero divino, destinata ad ogni creatura che fosse rimasta fedele a Dio e alla Grazia...».
---
Maria SS. – altra cosa importante - conferma qui che se Adamo ed Eva non avessero compiuto il Peccato originale essi – e tutti i loro discendenti – erano destinati a vivere sani e felici per un periodo lunghissimo sulla terra, salvo essere assunti senza morire ma in una sorta di estatica dormizione, nel Paradiso celeste quando Dio Padre lo avesse ritenuto opportuno.
2.4 Un luogo ‘misterioso’! Dove se ne stanno Enoc ed Elia?
Gesù, nel commentare l’Assunzione in Cielo di Maria SS., precisava:
«Tutto è possibile a Dio. Io sono uscito dal Sepolcro senz'altro aiuto che il mio potere. Maria venne a Me, a Dio, al Cielo, senza conoscere il sepolcro col suo orrore di putredine e di lugubrità. E’ uno dei più fulgidi miracoli di Dio.
Non unico, in verità, se si ricordano Enoc ed Elia, che, perché cari al Signore, furono rapiti alla Terra senza conoscere la morte e trasportati altrove, in un luogo noto a Dio solo e ai celesti abitanti dei Cieli».
---
Se l’Opera valtortiana testimonia – e noi lo sappiamo bene poiché la studiamo da decenni – la assoluta credibilità di quanto dice Gesù, che valore e significato dovremmo dare in merito al ‘miracolo’ concernente i famosi e misteriosamente scomparsi Enoc ed Elia che furono rapiti alla Terra, senza conoscere la morte, per essere trasportati altrove, in un luogo noto a Dio solo e ai celesti abitanti dei Cieli?
Enoc – discendente di Adamo lungo la linea di Set – era stato padre di Matusalemme e nonno di Noè. Narra la Genesi (Gn 5, 21-23) che Enoch all’età di 65 anni generò Matusalemme, camminò con Dio ancora 300 anni e generò figli e figlie. Visse in tutto 365 anni continuando a camminare con Dio finché non fu più veduto, perché Iddio lo prese. Nella lettera agli Ebrei (Ebrei 11,5) è poi scritto che ‘Per la sua fede Enoc fu tolto senza che vedesse la morte, non fu più trovato, perché Dio lo aveva portato via. Infatti, prima della sua scomparsa aveva ricevuto l’attestazione che egli era accetto a Lui…’.
Quanto ad Elia, nel secondo libro dei Re (Re 2, 11) si dice di lui che ‘Or, mentre continuavano a camminare e a discorrere insieme, ecco un carro di fuoco e dei cavalli pure di fuoco separarli l’uno dall’altro. Elia salì al cielo in un turbine mentre Eliseo stava a guardare e gridava…’.
A prima vista sembrerebbero ‘figure’, racconti allegorici per fare intendere che i due erano morti senza che se ne sapesse più nulla, ma il Gesù valtortiano precisa qui invece, ‘autenticando’ il racconto sia di San Paolo nella lettera agli Ebrei che quello dei Re, che essi furono rapiti senza conoscere la morte e  trasportati ‘altrove’  in anima e corpo ma che soprattutto – continua oggi il Gesù valtortiano nel suo Dettato di questi tempi moderni – ‘in un luogo noto a Dio solo ed ai celesti abitanti dei Cieli’.
Ora, di quale ‘luogo’ misterioso si tratta, visto anche che essi ci andarono con anima e corpo?
Quante cose non sappiamo, a cominciare dalle leggi della natura nella quale viviamo e ci muoviamo.
Possibile che il Gesù che per migliaia e migliaia di pagine ha parlato senza mai sbagliare a Maria Valtorta, si sia ‘sbagliato’ ora riguardo ad Enoc ed Elia?
Possibile poi che si sia sbagliato anche lo Spirito Santo che – riguardo ad Enoc ed Elia – nella sue ‘Lezioni sull’Epistola ai Romani’ conferma quanto ha detto sopra Gesù? (i grassetti sono miei):
^^^^
Lezione 46ª – 2. 11. 1950 - C.  XI v. 2536.
Uno dei segni della venuta finale di Dio e del Giudizio che seguirà alla fine del mondo, è la conversione d’Israele, che sarà l’estrema conversione del mondo a Dio.
Perché loro gli ultimi, essi che furono i primi ad esser popolo di Dio? Per decreto eterno e per decreto umano.
Né paia ingiusto il decreto eterno. Essi, che già primi  anzi: unici  erano nel conoscere le verità soprannaturali, avrebbero dovuto essere i primissimi nel nuovo popolo di Dio: il popolo dei cristiani; così come Adamo e la sua compagna avrebbero dovuto essere i primissimi del popolo celeste. Ma la volontà non buona fece dei primi gli ultimi. E mentre è detto nella Scrittura che Enoc ed Elia furono, viventi, rapiti da Dio fuor dal mondo, in un altro mondo migliore, per tornare, al giusto tempo, a predicare penitenza e combattere l’Anticristo quando il mondo sarà fatto Babilonia e Anticristo  e ciò per la loro giustizia straordinaria  altrettanto nella Scrittura è detto che per i suoi peccati Israele sarà riprovato da Dio e da primo diverrà ultimo ad entrare nel Regno di Cristo.
Adamo è ben figura di ciò che vuol dire cadere nella riprovazione di Dio. Ben egli dovette attendere secoli e millenni negli inferi, nonostante avesse già lungamente espiato sulla Terra il suo peccato, avanti di rientrare nel Paradiso almeno terrestre, dove Enoc ed Elia già da secoli godevano della letificante amicizia di Dio.
Anche per il popolo ebreo, pur non essendo per esso inesorabilmente chiuso il Regno di Dio per averlo respinto quando poteva accoglierlo, dovranno passare secoli e millenni prima che Israele torni amico di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Prima diverranno “popolo di Dio” gli altri popoli. Ultimi essi: i giudei. Ultimi, anche se sempre da Sion verranno coloro che saranno salvezza.
Sion sta qui per dire Israele, e Israele sta qui per dire “popolo dei figli di Dio”.
Da Israele venne Gesù.
Da Israele vennero Enoc ed Elia, e torneranno. A preparare, questi, il ritorno del Figlio di Dio: il Cristo, perché alla sua venuta l’empietà o l’abominio della desolazione, secondo la parola evangelica, non siano come palude corrotta su tutta la Terra e in tutti i luoghi di essa, e perché tutti, anche quelli che per secoli furono protervi, tutti i predestinati alla Vita, l’abbiano prima che il tempo non sia più.
La nostra lunga riflessione è terminata.
Lascio a voi il compito di almanaccare e cercare di trovare le risposte che io non ho trovato.
La prossima riflessione della nostra ottava affermazione del Credo sarà dedicata a:
---
3. LA VITA ETERNA, PRIMA PARTE. IN PARADISO: ‘… ALLA RESURREZIONE DEI CORPI, COLUI CHE ERA ALTO SARÀ ALTO, COLUI CHE ERA ESILE SARÀ ESILE, COLUI CHE ERA ROBUSTO SARÀ ROBUSTO, E IL BIONDO, BIONDO, E IL BRUNO, BRUNO, E COSÌ VIA. SPARIRANNO PERÒ LE IMPERFEZIONI, PERCHÉ NEL REGNO DI DIO TUTTO È BELLEZZA, PUREZZA, SALUTE E VITA, COSÌ COME ERA STABILITO CHE FOSSE ANCHE NEL PARADISO TERRESTRE, SE L’UOMO NON VI AVESSE PORTATO PECCATO, MORTE E DOLORI D’OGNI SPECIE, DALLE MALATTIE AGLI ODI, TRA UOMO E UOMO… DUNQUE NESSUNA IMPERFEZIONE DELLO SPIRITO E DELL’INTELLETTO SUSSISTERÀ PIÙ. E ANCHE LE IMPERFEZIONI FISICHE, CHE FURONO CROCE E TORMENTO, MERITATO SE VENUTE DA VITA IMMONDA, O IMMERITATO SE VENUTE DA EREDITÀ DEI PADRI O DA FEROCIA D’UOMINI, SPARIRANNO. I CORPI GLORIFICATI DEI FIGLI DI DIO SARANNO QUALI SAREBBERO STATI SE L’UOMO FOSSE RIMASTO, IN TUTTO, INTEGRO QUALE DIO L’AVEVA CREATO, PERFETTO NELLE TRE PARTI CHE LO COMPONGONO, COME PERFETTO ERA STATO FATTO DA DIO...’.
3. LA VITA ETERNA, PRIMA PARTE. IN PARADISO: «… ALLA RESURREZIONE DEI CORPI, COLUI CHE ERA ALTO SARÀ ALTO, COLUI CHE ERA ESILE SARÀ ESILE, COLUI CHE ERA ROBUSTO SARÀ ROBUSTO, E IL BIONDO, BIONDO, E IL BRUNO, BRUNO, E COSÌ VIA. SPARIRANNO PERÒ LE IMPERFEZIONI, PERCHÉ NEL REGNO DI DIO TUTTO È BELLEZZA, PUREZZA, SALUTE E VITA, COSÌ COME ERA STABILITO CHE FOSSE ANCHE NEL PARADISO TERRESTRE, SE L’UOMO NON VI AVESSE PORTATO PECCATO, MORTE E DOLORI D’OGNI SPECIE, DALLE MALATTIE AGLI ODI, TRA UOMO E UOMO… DUNQUE NESSUNA IMPERFEZIONE DELLO SPIRITO E DELL’INTELLETTO SUSSISTERÀ PIÙ. E ANCHE LE IMPERFEZIONI FISICHE, CHE FURONO CROCE E TORMENTO, MERITATO SE VENUTE DA VITA IMMONDA, O IMMERITATO SE VENUTE DA EREDITÀ DEI PADRI O DA FEROCIA D’UOMINI, SPARIRANNO. I CORPI GLORIFICATI DEI FIGLI DI DIO SARANNO QUALI SAREBBERO STATI SE L’UOMO FOSSE RIMASTO, IN TUTTO, INTEGRO QUALE DIO L’AVEVA CREATO, PERFETTO NELLE TRE PARTI CHE LO COMPONGONO, COME PERFETTO ERA STATO FATTO DA DIO…»
3.1 La vita eterna secondo Maria SS. nell’Opera valtortiana, e secondo Il Catechismo, i Vangeli, gli Apostoli.
Nella precedente ‘riflessione’ sul Credo concernente la ‘resurrezione della carne’, il Gesù ‘valtortiano’ - in linea perfetta con quanto dice il Catechismo della Chiesa cattolica - aveva testualmente detto: ‘…la carne risorgerà e si riunirà all'anima immortale riformando un tutto, vivo come e meglio che non sia viva la mia e la vostra persona ora, ma non più soggetto alle leggi e soprattutto agli stimoli e abusi che vigono ora…’.
Sarà dunque questa la ‘realtà’ futura dei salvati, nella ‘vita eterna’, dopo il Giudizio finale.
Tuttavia, per quanti sforzi noi cerchiamo di fare, non siamo in condizioni di immaginare che ‘cosa’ sia davvero questa ‘vita eterna’.
Certamente la parola -  abbastanza astratta sia nel suo significato pratico quanto nel suo modo di svolgersi e di essere - ci richiama comunque alla mente un ‘qualcosa’ di durata lunghissima, anzi infinita. Ma che cosa?
Gesù – narrano I Vangeli – resuscitò dall’Aldilà la giovane figlia del Sinagogo Giairo, poi il figlio della vedova di Naim ed infine Lazzaro di Betania.
Essi - per qualche minuto la prima, per alcune ore il secondo, per quattro giorni il terzo - ebbero l’occasione di sperimentare in qualche modo la realtà dell’Aldilà, cioè di come e dove si vive la Vita eterna.
La domanda che molte persone da secoli si pongono è se l’Aldilà, dove appunto si svolge la vita eterna, sia un luogo specifico in qualche modo ‘materiale’, oppure uno ‘stato’ di carattere spirituale, o infine un ‘luogo-stato’.
Nella precedente riflessione non può non averVi colpito – parlando della Assunzione in Cielo di Maria SS. in anima e corpo – quel Suo stesso commento che propongo nuovamente alla vostra riconsiderazione perché anche qui si parla di ‘Cielo’ e della realtà della ‘vita eterna’ (i grassetti sono miei):
^^^^
Dicembre 1943.
Dice Maria:
«La mia umiltà non poteva farmi permettere di pensare che tanta gloria mi fosse riserbata in Cielo.
Nel mio pensiero era la quasi certezza che la mia umana carne, fatta santa dall'aver portato Dio, non avrebbe conosciuto la corruzione, poiché Dio è Vita e, quando di Sé stesso satura ed empie una creatura, questa sua azione è come aroma preservatore da corruzione di morte.
Io non soltanto ero rimasta immacolata, non solo ero stata unita a Dio con un casto e fecondo abbraccio, ma m'ero saturata, sin nelle mie più profonde latebre, delle emanazioni della Divinità nascosta nel mio seno e intenta a velarsi di carni mortali.
Ma che la bontà dell'Eterno avesse riserbato alla sua ancella il gaudio di risentire sulle sue membra il tocco della mano del Figlio mio, il suo abbraccio, il suo bacio, e di riudire con le mie orecchie la sua voce, di vedere col mio occhio il suo volto, questo non potevo pensare che mi venisse concesso, né lo desideravo.
Mi sarebbe bastato che queste beatitudini venissero concesse al mio spirito, e di ciò sarebbe stato già pieno di felicità beata il mio io.
Ma, a testimonianza del suo primo pensiero creativo a riguardo dell'uomo, da Lui, Creatore, destinato a vivere, trapassando senza morte dal Paradiso terrestre a quello celeste, nel Regno eterno, Dio volle me, Immacolata, in Cielo in anima e corpo. Subito che fosse cessata la mia vita terrena.
Io sono la testimonianza certa di ciò che Dio aveva pensato e voluto per l'uomo: una vita innocente e ignara di colpe, un placido passaggio da questa vita alla Vita eterna, per cui, come uno che passa la soglia di una casa per entrare in un reggia, l'uomo, col suo essere completo, fatto di corpo materiale e di anima spirituale, sarebbe passato dalla Terra al Paradiso, aumentando la perfezione del suo io, a lui data da Dio, con la perfezione completa, e della carne e dello spirito, che era, nel pensiero divino, destinata ad ogni creatura che fosse rimasta fedele a Dio e alla Grazia.
Perfezione che sarebbe stata raggiunta nella luce piena che è nei Cieli, e li empie, venendo da Dio, Sole eterno che li illumina.
Davanti ai Patriarchi, Profeti e Santi, davanti agli Angeli e ai Martiri, Dio pose Me, assunta in anima e corpo alla gloria del Cielo, e disse:
«Ecco l'opera perfetta del Creatore.
Ecco ciò che Io creai a mia più vera immagine e somiglianza fra tutti i figli dell'uomo, frutto di un capolavoro divino e creativo, meraviglia dell'universo, che vede chiuso in un solo essere il divino nello spirito eterno come Dio e come Lui spirituale, intelligente, libero, santo, e la creatura materiale nella più innocente e santa delle carni, alla quale ogni altro vivente, nei tre regni del creato, è costretto ad inchinarsi.
Ecco la testimonianza del mio amore per l'uomo, per il quale volli un organismo perfetto e una beata sorte di eterna vita nel mio Regno.
Ecco la testimonianza del mio perdono all'uomo al quale, per la volontà di un Trino Amore, ho concesso riabilitazione e ricreazione agli occhi miei.
Questa è la mistica pietra di paragone, questa è l'anello di congiunzione tra l'uomo e Dio, questa è Colei che riporta i tempi ai giorni primi e dà ai miei occhi divini la gioia di contemplare un'Eva quale Io la creai, ed ora fatta ancor più bella e santa, perché Madre del mio Verbo e perché Martire del più gran perdono.
Per il suo Cuore immacolato che non conobbe mai macchia alcuna, neanche la più lieve, Io apro i tesori del Cielo, e per il suo Capo che mai conobbe superbia, del mio fulgore faccio un serto e l'incorono, poiché mi è santissima, perché sia vostra Regina».
Nel Cielo non vi sono lacrime. Ma in luogo del gioioso pianto, che avrebbero avuto gli spiriti se ad essi fosse concesso il pianto - umore che stilla spremuto da un'emozione - vi fu, dopo queste divine parole, uno sfavillare di luci, un trascolorare di splendori in più vividi splendori, un ardere di incendi caritativi in un più ardente fuoco, un insuperabile ed indescrivibile suonare di celesti armonie, alle quali si unì la voce del Figlio mio, in laude a Dio Padre e alla sua Ancella in eterno beata».
^^^^
A ben meditare il testo precedente, nella realtà della Vita eterna - una realtà sia pur completamente diversa da quella della vita terrena che risponde a leggi fisiche differenti -  come ho già avuto occasione di accennare dovrebbero avere diritto di cittadinanza non solo la nostra anima spirituale ma anche un corpo misteriosamente solido, sensibile al tatto ed all’abbraccio fisico, orecchie sensibili alla voce, un corpo al quale dovrebbe tuttavia essere possibile ‘trasformarsi’ ad un solo comando del pensiero in un entità corporea ‘immateriale’,  come quella del Gesù, risorto nella Gloria, che volle darci una indicazione di quanto Egli avesse con il suo Sacrificio e Redenzione ‘guadagnato’ a  nostro favore per meglio alimentare la nostra speranza umana.
Tutto ciò parrebbe incredibile ma del resto – dopo la Resurrezione, come già detto – Gesù apparve agli apostoli nel Cenacolo attraversando le mura esterne della casa, materializzandosi davanti a loro, solido, sensibile al tatto, capace di mangiare, parlare, farsi udire a viva voce per fare capire di essere in tutto e per tutto un ‘uomo’ e non un ‘fantasma’.
Anche noi, di fronte a questa possibilità al di là di ogni umana immaginazione, dovremmo – come disse nei Vangeli Gesù a Tommaso – imparare ad essere ‘non increduli ma fedeli’, cioè ‘credenti’ nella realtà del Paradiso e della Vita eterna che Gesù ci ha messo a disposizione con il suo Sacrificio e Redenzione.
Saremo anche noi un giorno resuscitati da Dio per essere in qualche modo simili a Gesù, simili con il ‘nostro’ corpo – per di più sublimato nella gloria.
Dio ha voluto che una volta in Cielo noi - aggrappati come siamo alla nostra ‘umanità’ - non ci sentissimo in qualche modo ‘snaturati’ in quanto privati della nostra corporeità e sembianze di volto e di forme, anche se questa ‘materialità’ non sappiamo ora come ‘interpretarla’ o definirla.
Parimenti è stato un altro sublime e psicologico gesto d’amore di Dio il far sì che in Paradiso il Verbo-Gesù fosse visibile agli uomini con le sue forme umane, ben sapendo come sarebbe stato per gli uomini più appagante adorare un Dio-Gesù di forma umana di quanto non lo sarebbe per essi amare una astratta ed invisibile Divinità meramente spirituale.
Nella Vita eterna ci attende dunque una realtà talmente irreale, dal punto di vista umano, che non riusciamo neanche lontanamente ad immaginarla.
Ritornando però ai tre resuscitati di cui parlavamo più sopra, il ‘loro’ Aldilà non si poteva definire – quanto alla loro situazione, ‘luogo’ o ‘stato spirituale’ che fosse – come una situazione destinata a durare ‘eterna’.
Le anime dei tre resuscitati non potevano essere all’Inferno, dal quale Gesù mai li avrebbe potuti richiamare in vita in quanto quella condanna è del tutto definitiva subito dopo la morte.
Credo quindi di poter dedurre che esse potessero essere nel Purgatorio – che è pur sempre Salvezza e Vita, anche se non ancora perfetta -  oppure nel Limbo degli innocenti e dei giusti dove del resto attendevano da millenni gli antichi Patriarchi.
Dall’Opera valtortiana – ed in particolare da un discorso che si svolge fra Gesù e Lazzaro qualche tempo dopo la resurrezione di quest’ultimo – sappiamo che egli non ricordava assolutamente nulla della sua Vita nell’Aldilà durante i quattro giorni trascorsi dal suo corpo nella tomba.
La sua anima ne era infatti tornata ‘smemorata’ perché Dio non consente all’uomo di riportare nell’Aldiquà esperienze della realtà ‘ultima’ che è uno dei Suoi più custoditi segreti di Dio.
Dall’origine dell’Umanità sono nati e morti miliardi di persone, ma nessun uomo resuscitato – anche quando il miracolo, sempre grazie a Dio che lo rende possibile, è stato operato nella Storia da Santi famosi - ha mai potuto raccontare quanto egli ebbe a vedere nel luogo della Vita eterna.
Ci stiamo dunque avventurando in un tema, quello appunto di cosa sia la ‘vita eterna’, che è forse il più difficile e dove le spiegazioni fornite dal Catechismo appaiono alla fin fine alquanto astratte ma dove le rivelazioni valtortiane – anche se insufficienti perché Dio non ci consente di conoscere di più – saranno comunque una ‘conoscenza’ preziosa sulla quale riflettere ed immaginare - pur facendo attenzione alle fonti dottrinarie e catechistiche - senza cadere nell’errore di fare della ‘fanta-teologia’.
Cominciamo quindi - per non sbagliare - da ciò che il Catechismo della Chiesa Cattolica ci insegna e più in particolare (i grassetti sono miei):
^^^^
1. Dopo la vita presente vi è un'altra vita o eternamente beata per gli eletti in paradiso, o eternamente infelice pei dannati all'inferno.
2. Noi non possiamo comprendere la felicità del paradiso, perché supera le cognizioni della nostra mente limitata, e perché i beni del cielo non possono paragonarsi ai beni di questo mondo.
3. La felicità degli eletti consiste nel vedere, amare e possedere per sempre Dio, fonte di ogni bene.
4. L'infelicità dei dannati consiste nell'essere sempre privi della vista di Dio e puniti da eterni tormenti nell'inferno.
5. I beni del paradiso e i mali dell'inferno sono adesso solamente per le anime, perché solo le anime sono adesso in paradiso o nell'inferno; ma dopo la risurrezione della carne, gli uomini, nella pienezza di loro natura, cioè in anima e in corpo, saranno o felici o tormentati per sempre.
6. I beni del paradiso per i beati, e i mali dell'inferno per i dannati, saranno uguali nella sostanza e nella eterna durata; ma nella misura, ossia nei gradi, saranno maggiori o minori, secondo i meriti, o demeriti di ciascuno.
7. La parola Amen in fine delle preghiere significa: Così sia; in fine del Credo significa: Cosi è; vale a dire: credo essere verissimo tutto quello che in questi dodici articoli si contiene, ed io ne sono più certo che se lo vedessi cogli occhi miei.
^^^^
Quanto detto nel Catechismo di San Pio X dovrebbe già essere sufficiente a chiudere l’argomento di questa nostra riflessione.
Questi pochi concetti – per quanto generici ma nello stesso tempo precisi - sono infatti fino ad oggi bastati a molte centinaia di milioni di persone per sapere quanto strettamente necessario e – tranne che nel caso dei dannati – per avere a ben sperare nella vita eterna.
Ma a noi? A noi che scriviamo e leggiamo e possiamo disporre – dono inestimabile – delle rivelazioni fatte a Maria Valtorta?
A noi che su tali rivelazioni abbiamo a lungo avuto la grazia di meditare addirittura sulle esatte parole dette al riguardo dal Gesù Valtortiano e dallo Spirito Santo che parla sovente – di Suo – alla nostra mistica?
Procediamo dunque nelle nostre riflessioni.
---
San Paolo – in una delle sue epistole – aveva detto che se Gesù non fosse risorto il nostro credere sarebbe stato vano.
Io – molto più modestamente – aggiungo che se non credessimo all’esistenza della vita eterna sarebbe inutile credere persino nello stesso Gesù.
Non si contano peraltro i brani del Vangelo e degli Apostoli dove si parla della Vita eterna.
Per citarne solo alcuni:
"Dio ci ha dato la sua vita eterna e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita. Questo vi ho scritto perché sappiate che possedete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio" (1Gv 5,11-13).
"Io sono la vita" (Gv 14,6); "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno" (Gv 11,25-26).
"In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini" (Gv 1,4) ed è venuto perché gli uomini "abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza" (Gv 10,10) e dà loro la vita eterna e non andranno mai perduti e nessuno li rapirà dalla sua mano (cf. Gv 10,28).
"Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo" (Gv 17,3).
"Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è" (1Gv 3,2).
---
Eppure i sadducei del tempo di Gesù – lo abbiamo visto in quella nostra precedente riflessione concernente la loro domanda in merito a quale dei sette fratelli sarebbe andata in sposa, alla resurrezione dei corpi, la moglie del primo marito prematuramente morto – non credevano alla vita eterna, contrariamente ai farisei.
Nemmeno i moderni ‘sadducei’, cioè gli odierni atei ‘materialisti’, non credendo all’anima, tantomeno credono ad una sua vita eterna.
Friedrich Nietzsche diceva che i cristiani alimentavano speranze ultraterrene assurde dove la valorizzazione della vita eterna otteneva l’unico risultato di indurre a disprezzare quella terrena.
Non parliamo poi degli Illuministi come Rousseau e Voltaire.
Quanti non hanno poi rivolto l’accusa ai cristiani di una dannosa funzione sociale con il demotivare l’uomo nella sua vita terrena seguendo il miraggio di una inesistente vita ideale nell’Eternità!
Già…, l’Eternità!
Cosa è mai l’Eternità?
Vita eterna ed Eternità sono concetti che in qualche modo si integrano.
Ad esempio, Dio è eterno, cioè non ha principio né fine.
L’anima dell’uomo invece - pur destinata a vivere in eterno - non è ‘eterna’, perché essa ha avuto un principio con la sua creazione da parte di Dio.
Diremo allora che l’anima dell’uomo è immortale, perché una volta creata non morirà in eterno.
Noi viviamo nello spazio-tempo, dove il tempo è per noi costituito da un passato, un presente e un futuro.
Ma parlando delle creature spirituali che vivono in Cielo – per ora solo in spirito in attesa, quanto agli uomini, della resurrezione dei corpi – bisogna cercare di immaginare il tempo lassù come un ‘eterno presente’ dove passato, presente e futuro, scorrono al presente nell’Eterno Pensiero di Dio, senza cioè che via sia un passato e un futuro.
E’ davvero difficile per noi immaginare questa realtà ‘temporale’ di un ‘eterno presente’ perché è al di fuori della nostra esperienza sensibile.
E’ anzi impossibile come lo sarebbe per un cieco-nato immaginare il colore azzurro del cielo, il verde dei prati, la trasparenza dell’acqua e così tante altre belle cose che ci circondano, che Dio ci ha donato e che non sappiamo neppure apprezzare.
Quello dell’Eterno Presente di Dio è un concetto che si presta a speculazioni filosofiche che peraltro non riescono a giungere ad alcuna conclusione ma che in pratica è ben difficile da immaginare perché la nostra mente funziona sulla base di un rapporto di causa-effetto, dove una cosa avviene nel futuro solo perché vi è a monte una causa precedente (il passato) che la provoca.
L’Eternità – per dirla con il Gesù valtortiano - la possiamo invece tradurre con una parola: ‘Ora!’.

3.2 La Vita eterna spiegata da Gesù ad uno Scriba: ‘Due saranno le cose che resteranno: il Cielo, l'Abisso; il Paradiso, l'Inferno. Due le categorie: i beati, i dannati’.
Ricordo un episodio dell’Opera valtortiana in cui Gesù – al tempo della sua predicazione – aveva parlato dell’Aldilà e della vita eterna chiarendo meglio con uno scriba alcuni dei concetti che ho sopra prospettato.
L’episodio avviene verso la fine del suo secondo anno di predicazione.
Il Lago di Genezareth (detto anche di Tiberiade, o Mar di Galilea) – sul quale si affacciavano a nord ridenti cittadine come Tiberiade, Magdala, Cafarnao, Betsaida e Corazim, ben note dai Vangeli – era stato il luogo non solo dell’inizio della evangelizzazione di Gesù, dove Egli aveva ‘arruolato’ i primi apostoli, ma anche quello dove molto aveva evangelizzato anche se poi con l’intero Gruppo apostolico aveva girato in lungo e in largo l’intera Palestina e oltre.
Erano decine e decine, talvolta centinaia ed in qualche caso migliaia,  le persone che seguivano Gesù di paese in paese, a volte precedendolo quando riuscivano a sapere dove si sarebbe poi recato: le spingevano la necessità di ottenere guarigione, consigli spirituali, mera curiosità di vedere miracoli straordinari, ma anche il bisogno di ascoltare le sue divine parole di … vita eterna o – non di rado – la speranza di ascoltare qualcosa che fosse atto a denunciarlo di eresia alle Autorità del Tempio e di sedizione – quale supposto Messia rivoluzionario – all’Autorità di Roma.
In questo episodio il Gruppo apostolico si trova all’estremità-sud del Lago di Genezareth, presso la cittadina e la penisoletta di Tarichea.
Gli apostoli sono sempre in ansia perché temono che dei nemici si intrufolino fra la gente per tendere a Gesù tranelli, se non anche aggredirlo fomentando disordini. Ma Gesù non ha di queste paure. Egli si dirige verso la folla dei malati e benevolo e paziente li guarisce all’istante uno dopo l’altro come pure il figlioletto gravemente ammalato che uno scriba gli aveva posto davanti.
Gli scribi, o dottori della Legge, erano molto colti, conoscitori delle Scritture, spesso interpellati per fornire pareri ‘legali’ in materia religiosa.
Dal contatto con questo personaggio nasce un interessante e colorito dialogo (i grassetti sono miei):
^^^^
1Quando Gesù mette piede sulla rive destra del Giordano, a un buon miglio, forse più, dalla penisoletta di Tarichea, là dove non vi è che campagna bella verde - perché il terreno, ora asciutto, ma umido nel profondo, mantiene vive le piante anche più esili - trova molta gente ad attenderlo.
Gli vengono incontro i cugini con Simone Zelote: «Maestro, le barche ci hanno indicato… Forse anche Mannaen è stato un indice…».
«Maestro», si scusa Mannaen, «io sono partito di notte per non essere visto e non ho parlato con nessuno. Credilo. Mi hanno chiesto in molti dove eri. Ma io a tutti ho detto solo: “È partito”. Ma credo che il male lo abbia fatto un pescatore dicendo che ti aveva dato la barca…».
«Quell'imbecille di mio cognato!», tuona Pietro.
«E glielo avevo detto di non parlare! E gli avevo detto che andavamo a Betsaida! E gli avevo detto che se parlava gli strappavo la barba! E lo farò! Oh, se lo farò! E ora? Addio pace, isolamento, riposo!».
«Buono, buono, Simone. Noi abbiamo già avuto le nostre giornate di pace. E, del resto, parte dello scopo che perseguivo l'ho avuto: ammaestrarvi, consolarvi e calmarvi per impedire offese e urti fra voi e i farisei di Cafarnao. Ora andiamo da questi che ci attendono. A premiare la loro fede e il loro amore. Anche questo amore, non è cosa che solleva? Noi soffriamo di quello che è odio. Qui è amore. Perciò godimento».
Pietro si calma come un vento che cade di colpo. E Gesù va verso la folla dei malati, che lo attendono con il desiderio inciso sul volto, e li guarisce uno dopo l'altro, benevolo, paziente anche verso uno scriba che gli presenta il figlioletto ammalato.
2È questo scriba che gli dice: «Lo vedi? Tu fuggi. Ma inutile è farlo. Odio e amore sono sagaci nel trovare. Qui l'amore ti ha trovato come è detto nel Cantico. Ormai per troppi Tu sei come lo Sposo dei Cantici. E si viene a Te come la Sulamite va allo sposo, sfidando le guardie di ronda e le quadriglie di Aminadab».
«Perché dici questo? Perché?».
«Perché è vero. Venire è pericolo perché sei odiato. Non lo sai che ti posteggia Roma e ti odia il Tempio?».
«Perché mi tenti, uomo? Tu metti l'insidia nelle tue parole per portare al Tempio e a Roma le mie risposte. Non con insidia Io ho curato tuo figlio…».
Lo scriba, sotto al dolce rimprovero, china il capo confuso e confessa: «Vedo che realmente Tu vedi i cuori degli uomini. Perdona. Io vedo che realmente Tu sei santo. Perdona. Ero venuto, sì, fermentando in me il lievito che altri vi aveva messo…».
«E che aveva trovato in te il calore adatto per fermentare».
«Sì. È vero… Ma ora ne parto senza lievito. Ossia con un lievito nuovo».
«Lo so. E non ho rancore. Molti sono in colpa per propria volontà, molti per volontà altrui. Diversa sarà la misura con cui saranno giudicati dal giusto Iddio. Tu, scriba, sii giusto e non corrompere in avvenire come fosti corrotto. Quando le pressioni del mondo ti premeranno, guarda la grazia vivente che è tuo figlio, salvato da morte, e sii riconoscente a Dio».
«A Te».
«A Dio. A Lui ogni onore e lode. Io sono il suo Messia e sono il primo a lodarlo e a glorificarlo. Il primo ad ubbidirlo. Perché l'uomo non si avvilisce onorando e servendo Dio in verità, ma si degrada servendo il peccato».
«Bene dici. Sempre così parli? Per tutti?».
«Per tutti. Parlassi ad Anna o a Gamaliele, o parlassi al mendico lebbroso su una carraia, le parole sono le stesse perché la Verità è una».
«Parla, allora, perché tutti siamo qui, mendichi di una tua parola o di una tua grazia».
«Parlerò. Acciò non si dica che ho preconcetti verso chi è onesto nelle sue convinzioni».
«Sono morte quelle che avevo. Ma è vero. Ero onesto in esse. Credevo servire Dio combattendo Te».
«Sei sincero. E per questo meriti di comprendere Dio che non è mai menzogna. Ma le tue convinzioni non sono ancora morte. Io te lo dico. Sono come gramigne bruciate. Alla superficie sembrano morte e in verità hanno avuto un duro assalto che le ha sfinite. Ma le radici sono vive. Ma il terreno le nutre. Ma le rugiade le invitano a gettare nuovi rizomi, e questi nuove foglie. Bisogna sorvegliare perché ciò non avvenga, o sarai di nuovo invaso dalle gramigne. 3Israele è duro a morire!».
«Deve dunque morire Israele? È pianta malvagia?».
«Deve morire per risorgere».
«Una rincarnazione spirituale?».
«Una evoluzione spirituale. Non ci sono rincarnazioni in nessun genere».
«C'è chi vi crede».
«Sono in errore».
«L'ellenismo ha messo anche in noi queste credenze. E i dotti se ne pascono e gloriano come di un cibo nobilissimo».
«Contraddizione assurda in quelli che gridano l'anatema per la trascuranza di uno dei seicentotredici precetti minori».
«È vero. Ma… così è. Piace imitare ciò che pur si odia».
«Allora imitate Me, posto che mi odiate. E meglio per voi sarà».
Lo scriba deve sorridere argutamente, per forza, per questa uscita di Gesù.
La gente sta a bocca aperta ad ascoltare, e i lontani si fanno ripetere dai vicini le parole dei due.
«Ma Tu, in confidenza, che credi della rincarnazione?».
«Che è errore. L'ho detto».
«Vi è chi sostiene che i vivi si generano dai morti e i morti dai vivi, perché ciò che è non si distrugge».
«Ciò che eterno è non si distrugge, infatti. Ma dimmi. Secondo te, il Creatore ha limiti a Se stesso?».
«No, Maestro. Pensarlo sarebbe menomazione».
«Tu lo hai detto. E può allora pensarsi che Egli permetta che uno spirito rincarni perché più che tanti spiriti non ce ne possono essere?».
«Non si dovrebbe pensare. Eppure vi è chi lo pensa».
«E, ciò che è peggio, lo pensa Israele. Questo pensiero di una immortalità dello spirito - che è già grande, anche se unito all'errore di una valutazione ingiusta di come avvenga questa immortalità, in un pagano, dovrebbe essere perfetto in un Israelita. Invece, in chi lo ammette nei termini della tesi pagana, diviene pensiero ridotto, abbassato, colpevole.
Non gloria del pensiero, che mostra di essere degno di ammirazione per avere rasentato da solo la Verità e che perciò testimonia della natura composita dell'uomo, come lo è nel pagano, per questa sua intuizione di una perenne vita della cosa misteriosa che ha nome anima e che ci distingue dai bruti. Ma menomazione del pensiero che, conoscendo la divina Sapienza e il Dio vero, materialista diventa anche in cosa così altamente spirituale.
4Lo spirito non trasmigra che dal Creatore all'essere e dall'essere al Creatore, al quale si presenta dopo la vita per avere giudizio di vita o di morte. Questa è verità. E là dove è mandato, là resta. In eterno».
«Non ammetti il Purgatorio?».
«Sì. Perché lo chiedi?».
«Perché dici “dove è mandato resta”. Il Purgatorio è temporaneo».
«Appunto lo assorbo nel mio pensiero alla Vita eterna.
Il Purgatorio è già “vita”. Tramortita, legata, ma vitale sempre. Finita la temporanea sosta nel Purgatorio, lo spirito conquista la perfetta Vita, la raggiunge più senza limiti e legami.
Due saranno le cose che resteranno: il Cielo, l'Abisso; il Paradiso, l'Inferno.
Due le categorie: i beati, i dannati.
Ma da quei tre regni che ora sono, nessuno spirito tornerà mai a vestire carne. E ciò fino alla risurrezione finale, che chiuderà per sempre l'incarnazione degli spiriti nelle carni, dell'immortale nel mortale».
«Dell'eterno no?».
«Eterno è Dio. L'eternità è non avere un principio e una fine. E ciò è Dio. L'immortalità è continuare a vivere da quando si è iniziato a vivere. E ciò è per lo spirito dell'uomo. Ecco la differenza».
«Tu dici “vita eterna”».
«Sì. Da quando uno è creato alla vita, può, per lo spirito, per la grazia e per la volontà, conseguire la vita eterna. Non l'eternità. Vita presuppone inizio. Non si dice “vita di Dio”, perché Dio non ha avuto principio».
«E Tu?».
«Io vivrò perché anche carne sono, e allo spirito divino ho unito l'anima del Cristo in carne d'uomo».
«Dio è detto “il Vivente”».
«Infatti non conosce morte. Egli è Vita. L'inesauribile Vita. Non vita di Dio. Ma Vita. Solo questo. Sono sfumature, o scriba. Ma è nelle sfumature che si ammanta Sapienza e Verità».
5«Parli così ai gentili?».
«Non così. Non capirebbero. Mostro loro il Sole. Ma così come lo mostrerei ad un bambino fino allora cieco e stolto, e miracolosamente tornato a vista e intelligenza. Così: come astro. Senza addentrarmi a spiegarne la composizione. Ma voi di Israele non siete né ciechi né stolti. Da secoli il dito di Dio vi ha aperto gli occhi e snebbiato la mente…».
«È vero, Maestro. Eppure siamo ciechi e stolti».
«Vi siete fatti tali. E non volete il miracolo di chi vi ama».
«Maestro…».
«È verità, scriba».
Costui china la testa e tace. Gesù lo lascia andando oltre e, nel passare, carezza Marziam e il figlioletto dello scriba che si sono messi a giocare con dei sassolini multicolori.
Più che una predicazione, la sua è una conversazione con questo o quel gruppo. Ma è una continua predicazione, perché risolve ogni dubbio, chiarisce ogni pensiero, riassume o dilata cose già dette o concetti ritenuti in parte da qualcuno. E le ore passano così…

3.3 Il senso e valore della nostra vita in terra: è come un ‘talento, una moneta in anticipo dell’Eternità.
Quanti di noi – indipendentemente dalla Fede – non si sono almeno una volta domandati quale sia il senso di questa nostra vita terrena?
Nasciamo, cresciamo, moriamo, veniamo sepolti e poi tutto si disintegra nel nulla della materia, nel nulla dei ricordi e degli affetti, tutti destinati ad essere del tutto dimenticati dalla successiva terza generazione in poi se non prima ancora.
Ma che scopo avrebbe una vita di questo genere che essa si scioglie perfino nell’oblio dei discendenti?
Vivere tanto per vivere, senza alcun nobile scopo, sapendo che poi si muore e tutto svanisce come non fosse mai esistito?
Che senso avrebbe l’esistenza dell’Universo con le sue distanze incommensurabili, le sue nebulose, i suoi astri, le migliaia di galassie - visibili con i radiotelescopi astronomici - contenenti ciascuna centinaia di miliardi di stelle e pianeti come la nostra stessa Via Lattea di cui il sistema solare fa parte?
Galassie che si muovono tutte intorno ad un ‘qualcosa’ - tanto lontano che non riusciamo ad individuarlo - come ad esempio fanno i pianeti del nostro sistema solare ruotando intorno al sole che per suo conto ruota intorno a qualche cos’altro seguendo una misteriosa traiettoria dalla precisione millimetrica e ad una velocità costante nei millenni?
Quale è il senso della Natura bellissima che ci circonda?
Quale in senso della vita animale e vegetale sul pianeta Terra, una vita piena di perfezioni ancora oggi comprese solo in minima parte?
Cosa è e come si è formato il complessissimo Dna di cui conosciamo solo una decisamente minima parte e di cui è impossibile immaginare l’origine se non ricorrendo all’idea di un Creatore dalla fantasia e dalla capacità davvero infinita?
Cosa è poi la vita stessa, cioè il principio vitale che ci anima?
A cosa serve questa nostra vita in terra, quale ne è insomma il senso vero?
Ricordo al riguardo e vi trascrivo un brano valtortiano in cui Gesù diceva che Dio - nel darci la vita in terra - è come se ci desse una ‘moneta dell’eternità’, cioè un talento, costituito dalla nostra vita terrena, per farlo fruttare al fine di guadagnarci l’eternità in Cielo.
Dobbiamo quindi usare bene questo ‘talento’ della nostra vita che ci è offerta in terra in funzione del guadagno che ne potremo avere in Cielo.
Chi ne fa buon uso entra subito in Cielo, chi non ne fa uso adeguato va in Purgatorio, chi ne fa cattivo uso va all’inferno, e tutto per … l’eternità.
^^^^
(…)
«Ogni vivente ed ogni cosa dei viventi muore e dilegua per non più tornare. Gioia, dolore, salute, malattia, vita, sono episodi che vengono e si dissolvono, prima o poi, né tornano, in quella forma, mai più.
Potrà la gioia o il dolore, la salute o la malattia, tornare con altre forme e altri volti. Ma quella data gioia, quel dato dolore, quella malattia, quella salute non tornano più. È cosa del momento. Passato quel momento, verrà un altro momento consimile, ma non mai più quello.
E la vita... Oh! la vita, passata che sia, non torna mai più.
Vi è data un’ora di eternità, un momento di eternità per conquistarvi l’Eternità.
Non hai mai riflettuto che potrebbe essere questo motivo applicato alla parabola delle mine di cui parla Luca?
Vi è data una moneta di eternità. Il Signore ve la affida e vi dice: “Andate. Negoziate la vostra moneta finché io ritorno”. E al suo ritorno, anzi al vostro ritorno a Lui, Egli vi chiede: “Che ne hai fatto della moneta avuta?”.
E il servo fedele, lui felice, può rispondere: “Ecco, mio Re. Con questa moneta di eternità ho fatto questo, questo e questo lavoro. E, non per calcolo mio, ma per parola angelica, so di aver guadagnato dieci volte tanto”.
E a lui il Signore dice: “Bravo servo fedele! Poiché sei stato fedele nel poco, avrai potere su dieci città e, nel tuo caso, regnerai qui, dove io regno per l’eternità, subito, poiché hai lavorato come più e meglio non potevi”.
Un altro, chiamato da Dio, dirà: “Con la tua moneta ho fatto questo e questo. Vedi, mio Re, ciò che di me è scritto”. Ed lo dirò: “Anche tu entra, poiché hai lavorato come e quanto hai potuto”.
Ma a colui che mi dirà: “Ecco: la moneta è tale a quale. Io non l’ho negoziata perché avevo paura della tua giustizia”, dirò: “Va’ a conoscere l’Amore nel Purgatorio e lavora là a conquistarti il regno, poiché sei stato un servo ignavo né ti sei dato pena di conoscere chi io sono e mi hai giudicato ingiusto, dubitando della giustizia mia e dimenticando che io sono l’Amore. Il tuo denaro sia mutato in espiazione”.
E a quello che mi si presenterà dicendo: “io ho dilapidato la tua moneta e me la sono goduta poiché non credevo che vi fosse realmente questo Regno e ho voluto godere l’ora che mi era data”, io dirò sdegnato: “Servo stolto e bestemmiatore! Ti sia levato il mio dono e sia versato nel Tesoro eterno, e tu va’ dove Dio non è e non è Vita, poiché hai voluto non credere e hai voluto godere. Hai goduto. Hai avuto dunque già la tua gioia di carne senza anima. Basta. Il Regno d’eternità ti è per sempre chiuso”.
Quante volte non dovrei tuonare queste parole, se fossi soltanto Giustizia!
Ma l’Amore è più grande della mia Giustizia. Perfetta l’una e perfetto l’altro. Ma l’Amore è la mia natura e ha la precedenza sulle mie altre perfezioni.
Ecco perché temporeggio col peccatore operando in modo che non perisca del tutto il colpevole.
Vi do tempo. Questo è amore ed è giustizia insieme. Che direste se vi percuotessi al primo errore? Direste: “Ma, Signore! Se mi davi tempo da riflettere mi sarei pentito!”.
Vi lascio tempo. Una, due, dieci, settanta volte mancate e potrei colpirvi. Vi do tempo. Perché non possiate dirmi: “Non hai avuto benignità”.
No. Siete voi che non siete benigni con voi stessi. E vi defraudate della ricchezza che io ho creata per voi. E vi suicidate levandovi la Vita che vi ho creata.
La maggioranza di voi disperde o fa mal uso della moneta di eternità che io vi dono, e della giornata terrena fate non già la vostra eterna gloria ma il mezzo di una eterna sofferenza.
La minoranza, avendo paura della mia Giustizia, sta inerte e si condanna a imparare chi è Dio-Amore fra le fiamme dell’amore purgativo.
Solo una parte piccolissima sa apprezzare la mia moneta e farla fruttare al dieci per uno, sa tuffarsi nell’amore come pesce in limpida peschiera e risalire la corrente per giungere alla sorgente, al Dio suo, e dirgli: “Eccomi. Ho creduto, amato, sperato in Te. Tu sei stato la mia fede, il mio amore, la mia speranza. Ora vengo, e la mia fede e la mia speranza cessano e tutto diviene amore. Poiché ora non ho più bisogno di credere che Tu sei, ora non ho più bisogno di sperare in Te e in questa Vita. Ora ti ho, mio Dio. E l’amarti, unicamente l’amarti, è l’eterno compito di questa mia eterna Vita”.
Sii di queste, anima mia, e la mia pace sia con te per aiutarti a questa opera.»
^^^^
C’è tuttavia anche un altro concetto spiegato alla mistica in merito all’Eterno Presente della Vita di Dio e quindi anche della Vita eterna degli spiriti.
Ecco, ancora, cosa le dice Gesù (i grassetti sono miei):
^^^^
(…)
Cosa volete considerare, voi che vivete per lo spirito, le cose secondo la carne?
Cosa avete chiesto a Dio? Di fare di voi delle creature spirituali.
Le creature spirituali, simili a Dio, in che tempo vivono? in quello di Dio.
Quale è il tempo di Dio? Un eterno presente. Un eterno “ora”.
Non vi è in Cielo, per l’eterno Padre vostro, un passato, non vi è un futuro. Vi è l’attimo eterno.
Dio non conosce nascita e non morte, non alba e non tramonto, non principio e non fine.
Gli angeli, spirituali come Lui 2, non conoscono che “un giorno”. Un giorno che ha avuto principio dall’attimo in cui furono creati e che non conoscerà termine.
I santi, dal momento che nascono al Cielo, divengono possessori di questo immutabile tempo del Cielo che non conosce scorrere e che è fisso nel suo splendore di diamante acceso da Dio, nelle ère del mondo che rotano intorno a questa sua fissità immutabile come i pianeti al sole, che si formano e si dissolvono, che imperano e si disgregano, mentre esso è sempre quello, e quello sarà. Per quanto? Per sempre.
Pensa, Maria. Se tu potessi contare tutti i granelli di rena che sono nei mari di tutto il globo, nel fondo e sulle rive dei laghi, degli stagni, dei fiumi, torrenti e rii, e mi dicessi 3: “Mutali in tanti giorni”, avresti ancora un limite a questo numero di giorni. Vi unissi tutte le gocce d’acque che sono nei mari, nei laghi, nei fiumi, torrenti e ruscelli, che tremolano sulle fronde bagnate di pioggia o di rugiada, e vi unissi anche tutta l’acqua che è nelle nevi alpine, nelle nuvole vaganti, nei ghiacciai che vestono di cristallo i picchi montani, avresti ancora un limite a questo numero di giorni. Vi unissi anche tutte le molecole che formano i pianeti, le stelle e le nebulose, tutto quanto vola per il firmamento e lo empie di musiche che solo gli angeli odono - perché ogni astro nella sua corsa canta, come fulgente arpista che scorra le mani su arpe di azzurro, le lodi del Creatore, e il firmamento è pieno di questo concerto d’organo immane - ancora avresti un numero limitato di giorni. Vi unissi la polvere sepolta nella terra, polvere che è terra di uomini tornati colla loro materia al nulla, e che da centinaia di secoli attende il comando per tornare uomo e vedere il trionfo di Dio - e sono miliardi di miliardi di atomi di polvere-uomo, appartenuti a miliardi d’uomini che si credettero tanto, e da secoli e secoli sono nulla, e il mondo ignora persino che vissero - avresti ancora un numero limitato di giorni.
(…)

3.4 Gesù: «Ma qui non vi è età. Lo spirito è eternamente giovane come nel momento in cui Dio lo creò per darvelo come anima alla vostra carne. Sino al momento in cui la risurrezione della carne vi ricoprirà di carne glorificata, gli spiriti sono incorporei e uguali».
Parlando in conclusione non più dell’Eternità di Dio ma della nostra Vita eterna, possiamo tranquillamente concludere che per noi uomini le prospettive finali di Vita eterna sono due: il Paradiso e l’Inferno.
Sarà dunque importante poter approfondire alcuni aspetti di queste due realtà, che sono le uniche che ci interessano in maniera ‘vitale’, partendo da alcuni punti fermi e ponendoci di seguito alcune domande.
Abbiamo appurato – quanto alla nostra sorte dopo la morte – che vi sono due distinte fasi.
La prima è quella immediatamente successiva alla morte stessa: l’uomo – inteso come mera unità psichica cosciente e pensante - va nell’eterno Aldilà, ma ci va solo con il proprio spirito: un ‘qualcosa’ che potremmo immaginare come una sorta di scintilla, invisibile ai nostri occhi materiali ma visibile a quelli spirituali degli abitanti dei Cieli.
La seconda fase è quella della resurrezione finale dei corpi, quando l’anima si riveste del proprio corpo di carne ridiventando una unità psico-somatica, come nella vita terrena, anzi meglio ancora nel caso in cui l’anima si sia salvata, rimanendo come tale nella Vita eterna.
Ma quale aspetto avranno le anime che interagiscono con altre anime in queste due distinte e successive fasi?
Inoltre se Gesù aveva detto inoltre agli apostoli: ‘Vado a prepararvi un posto…’, di quale ‘posto’ mai si tratterà?
Un posto uguale per tutti? E dove starebbe allora il merito? E se il posto non è uguale per tutti dove sarebbe l’eguaglianza? Non c’è il rischio di delusioni?
Apprendiamo dall’Opera valtortiana che le anime al momento della loro creazione da parte di Dio e prima della loro infusione nel concepito sono tutte ugualmente perfette ed intelligenti, sia pur con ‘missioni’ o vocazioni diverse assegnate da Dio, vocazioni o ‘chiamate’ in seguito avvertite a livello di inconscio ma che le anime – dopo l’incorporazione - sono tuttavia libere di assecondare o meno.
Ci si può domandare - pur essendo state create, in quanto anime, uguali – se esse saranno in Cielo più colte ed intelligenti grazie agli studi o ad esperienze più ampie e stimolanti di vita umana di cui hanno potuto beneficiare in terra.
Le anime, inoltre – quando autorizzate da Dio – possono apparire e rendersi  riconoscibili agli uomini talora con le sembianze della loro forma e condizione fisica reale di una certa età, talaltra in una forma decisamente migliore: quella che potremmo definire dell’età ‘perfetta’, infine con sembianze più giovani o più vecchie adatte a farsi riconoscere dalla persona che le aveva conosciute in un certo periodo della loro vita, per non dire dei casi in cui esse sono autorizzate da Dio a ‘materializzarsi’ per rendersi più sensibili e anche ‘tangibili’ alla nostra umanità.
Quali risposte si possono dare a queste congetture?
Procediamo con ordine.
Una volta - mentre la mistica  meditava sulla triste morte di una bambina che lei conosceva , una certa Nennolina, una bimba di poco più di sette anni – Gesù le aveva spiegato  che per avere una idea ancor minima della potenza di Dio bastava sapere che l’anima di una creaturina appena nata che aveva raggiunto un solo barlume di ragione, qualora fosse morta – lassù nella Patria dei Figli di Dio – avrebbe posseduto una intelligenza ed un sapere per nulla inferiore di quello del più dotto e più longevo dei mistici dottori. E poi Gesù aggiungeva (i grassetti sono miei):
^^^^
Il mio e tuo Giovanni, morto centenario dopo aver conosciuto i misteri più alti di Dio; Paolo, l’apostolo scienziato; Tommaso, l’angelico dottore; e con questi tutti i giganti del vero sapere, non possono aggiungere una luce a quella Piccola, mia santa.
Lo Spirito Santo, di cui fu precoce sposa sulla terra, e alla quale in abbracci di fuoco insegnava ciò che non insegna ai sapienti superbi e umani, fondendola a Lui in questa Patria beata - sulla soglia della quale trovate a dirvi: “Entra e godi, o mia diletta” il Dio Uno a Trino - ha infuso la perfezione del sapere a questa Piccola così come l’infonde agli adulti e ai dotti. Perché ogni vostra sapienza è sempre imperfetta e solo diviene perfetta quando possedete Dio. Dio Verità. Dio Amore.
Qui nulla vi è di imperfetto.
Ai suoi santi Dio comunica le sue proprietà. Vi fa simili a Lui che vi rimane Re, per giustizia, massima Perfezione perciò, ma che vi è Re che vi apre tutti i suoi tesori e di essi vi copre e penetra.
Quando hai visto il Paradiso hai detto che ti sembrava che gli spiriti avessero, là, un’età unica, e che solo nella gravità dello sguardo e dei tratti si rivela l’età più o meno adulta.
Questo ti è stato mostrato perché tu sei ancora della terra e non avresti potuto comprendere e distinguere altrimenti.
Ma qui non vi è età.
Lo spirito è eternamente giovane come nel momento in cui Dio lo creò per darvelo come anima alla vostra carne.
Sino al momento in cui la risurrezione della carne vi ricoprirà di carne glorificata, gli spiriti sono incorporei e uguali.
Quando vi appaiono, nelle apparizioni che io permetto per vostro bene, vi appaiono in forma corporea per pietà della vostra umana incapacità di percepire ciò che non è materia.
Si materializzano perciò per esser sensibili a voi.
^^^^
Risolto il problema della intelligenza e sapienza delle anime che sono salve in Paradiso, e chiarito quanto attiene all’aspetto con il quale esse si manifestano talvolta agli uomini, rimane da capire quale sarà l’aspetto delle persone dopo la resurrezione dei corpi.
Anche qui ci viene in aiuto un altro brano valtortiano (i grassetti sono miei):
^^^^
v. 17° -
Gesù, nel suo Corpo glorificato, di una bellezza inconcepibile, è e non è diverso da quale era in Terra.
È diverso perché ogni corpo glorificato assume una maestà e una perfezione che nessun mortale, per bello, maestoso e perfetto che sia, può avere; ma non è diverso perché la glorificazione della carne non altera i tratti della persona.
Quindi, alla resurrezione dei corpi, colui che era alto sarà alto, colui che era esile sarà esile, colui che era robusto sarà robusto, e il biondo, biondo, e il bruno, bruno, e così via.
Spariranno però le imperfezioni, perché nel Regno di Dio tutto è Bellezza, Purezza, Salute e Vita, così come era stabilito che fosse anche nel Paradiso terrestre, se l’uomo non vi avesse portato peccato, morte e dolori d’ogni specie, dalle malattie agli odi, tra uomo e uomo.
Il Paradiso terrestre era la figura materiale di quello che sarà il Paradiso celeste abitato dai corpi glorificati.
Gli aspetti naturali del paradiso terrestre saranno anche in quello celeste, ossia nel regno eterno, ma vi saranno in forma soprannaturalizzata.
Così il sole, la luna, le stelle, che erano luci di diversa potenza create da Dio per illuminare la dimora di Adamo, saranno sostituite dal Sole Eterno (Apoc. c.XXI v.23), dalla vaghissima e purissima Luna, dalle innumerevoli stelle: ossia da Dio Luce che della sua luce veste Maria (Apoc. c. XII v. l) alla quale è base la luna e corona le stelle più belle del Cielo; da Maria, la Donna dal nome stellare che per la sua immacolata purezza ha vinto Satana; dai santi che sono le stelle del nuovo cielo, lo splendore di Dio essendo comunicato ai giusti (Matteo c.l3 v.43).
E il fiume che irrorava il terrestre Paradiso, e che, poiché stava a simboleggiare il mezzo con cui l’umanità sarebbe stata irrorata da acque che l’avrebbero detersa dai peccati e resa fertile al nascere e crescere delle virtù e degna di piacere al suo Creatore, aveva 4 braccia come la Croce dalla quale il fiume del Sangue divino si effuse per lavare, fertilizzare, rendere gradita a Dio l’umanità decaduta, sarà sostituito dal fiume d’acqua viva scaturente dal Trono di Dio e dell’Agnello che scorre nella città di Dio (Apoc. c.22 v. l).
E l’albero della vita, anch’esso simbolo dell’Albero che avrebbe ridato la vera Vita a quelli che l’avevano perduta: la Croce dalla quale pendette il Frutto Ss. che dà la Vita e venne la Medicina per tutte le malattie dell’io, che possono dare la morte vera, sarà sostituito con gli alberi “di qua e di là del fiume”, di cui è detto nell’Apocalisse c.22° v.2°.
Spariranno tutte le imperfezioni, ho detto.
Gli abitanti della Gerusalemme celeste, ormai giunti alla perfezione, e non più suscettibili a cadute - perché nella Città di Dio, come non possono entrarvi i peccatori ancora impuri, non può entrarvi cosa atta a produrre impurità, abominazione o menzogna - saranno senza imperfezioni di sorta.
Il gran seduttore, che poté penetrare nel Paradiso sensibile, non potrà insinuarsi nel Paradiso celeste. Lucifero, già precipitato dal Cielo agli inferi per la sua ribellione (Isaia c.l4° v.l2-l5), sarà sepolto e reso “nullo” alla fine dei tempi, avanti che venga il nuovo cielo e la nuova terra, perché non possa più agire, nuocere, dare dolore a quanti ormai avranno superato ogni prova e ogni purificazione, e vivranno nel Signore.
Dunque nessuna imperfezione dello spirito e dell’intelletto sussisterà più. E anche le imperfezioni fisiche, che furono croce e tormento, meritato se venute da vita immonda, o immeritato se venute da eredità dei padri o da ferocia d’uomini, spariranno.
I corpi glorificati dei figli di Dio saranno quali sarebbero stati se l’uomo fosse rimasto, in tutto, integro quale Dio l’aveva creato, perfetto nelle tre parti che lo compongono, come perfetto era stato fatto da Dio.
Gesù, l’Uomo-Dio, perfettissimo perché Dio incarnato, integro perché innocente e santo, senza lesione in alcuna delle parti, che sia menomazione o vergogna, perché le 5 ferite son gemme di gloria e non marchio d’infamia, tanto luminoso, essendo “Luce” come Dio, essendo “Gloriosissimo” come Uomo Ss., da parer bianco nelle carni, vesti e nei capelli, quale divenne sul Tabor, in veste talare, perché “Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech” (Salmo l09, v.4), ossia per ordinazione direttamente divina, fatto tale dal Padre, con cintura d’oro perché Pontefice in eterno, apparirà a tutti qual era come Uomo, e ognuno lo riconoscerà, e qual è come Gloriosissimo per avere, per obbedienza all’Amore, gustato la morte per dare a tutti la Vita, e i beati giubileranno in vederlo.
^^^^
Ecco dunque come saranno gli uomini che si saranno guadagnati in Cielo la Vita eterna, ed ecco come ci si mostrerà Gesù che - pur essendo Verbo divino - si mostrerà a noi come Dio-umanizzato: “Gloriosissimo” come Uomo Ss., da parer bianco nelle carni, vesti e nei capelli, quale divenne sul Tabor, in veste talare, perché “Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech” ed apparendo a tutti come Uomo noi lo riconosceremo e lo adoreremo per quanto Egli ha per noi sofferto e ci ha dato’.
Potremmo a questo punto dire – grazie alle rivelazioni valtortiane - di essere soddisfatti in quanto sappiamo già molto, rispetto al poco che ci era dato conoscere quando abbiamo cominciato ad affrontare queste riflessioni, ma sono convinto che chissà quante persone e teologi - nei secoli trascorsi dal tempo di Gesù ad oggi – si saranno anche chiesti cosa mai esattamente significasse quella frase di Gesù che ho più sopra ricordato, quella citata nei Vangeli, quando Egli aveva detto agli apostoli che sarebbe salito in Cielo per preparare loro ‘un posto’…
Ecco allora una ‘chicca’, una spiegazione data dal Gesù valtortiano alla nostra mistica (i grassetti sono miei):
^^^^
«Ho detto: “Diverse sono in Cielo le dimore del Padre mio”, non per dire che gli abitanti del Cielo avranno diverso il gaudio del godimento di Dio per essere più o meno lontani da Lui, ma per dire che ognuno sarà nella schiera alla quale la Carità l’aveva predestinato e alla quale lo spirito vocato rimase fedele sulla Terra.
Contemplativi e attivi, predicatori e mistici, missionari ai quali piccola parve la Terra, e reclusi che dilatarono, dalla loro cella monastica o dalla loro camera-calvario, la loro carità su tutte le anime e la mia Parola a tutte le anime, alle quali altri permisero che la mia Parola andasse.
Sappi però che, anche se altri impediscono che i portavoce compiano la missione alla quale io li elessi, il loro posto in Cielo è e rimane quello che la loro fedeltà alla vocazione di diffusori della mia Parola ha loro meritato: la schiera degli evangelizzatori.
E alla spada fiammeggiante della mia Parola, che ferisce a morte l’eresia e il padre dell’eresia, uniranno la palma del martirio. Perché martiri sono, sebbene incruenti, degli uomini. Martiri di un lungo martirio, più crudele e multiforme di quello che i pagani davano a molti confessori di Cristo.
La Gerusalemme celeste, quale la vide il tuo grande omonimo, Giovanni il Veggente di Patmos, ha dodici porte e dodici fondamenti. Perché per molte porte si entra nella Città dei Santi: per molte vie, per molte missioni.
E anche perché per diverse missioni, eseguite fedelmente, gli spiriti fedeli costruiscono la Città eterna di Dio. E le porte sono di perle - la perla sta per lacrima - perché si entra per mezzo del dolore in Cielo.
Non vi è santo che, per questo o per quello, permesso da Dio o procacciato dagli uomini mossi da Satana, o da Satana stesso, o donato a loro istanza da Dio stesso, non sia entrato in Cielo che per merito del suo patire perfetto.
Il dolore apre le porte della gloria eterna. Io sono glorioso - io, il Cristo, l’Uomo-Dio - per aver patito il dolore più grande di quello patito da altri uomini.
^^^^
Avevo detto in precedenza che Dio – nel creare le singole anime – affida ad esse una specifica missione che esse dovrebbero assecondare una volta che l’uomo sia divenuto un adulto cosciente e responsabile delle proprie azioni.
Ora dal brano suddetto sembrerebbe di comprendere che in Cielo – ad ogni specifica missione (cioè il ‘ruolo’ che Dio affida a ciascuna anima in relazione alle necessità dell’Umanità) corrisponda una ‘Schiera’ di appartenenza: contemplativi, predicatori, missionari, evangelizzatori, etc.
Tutte le anime con analoga missione – parrebbe di comprendere – apparterranno ad una stessa schiera ed avranno il godimento di Dio ma la loro posizione più o meno vicina a Dio dipenderà – parrebbe sempre di comprendere - dal grado di ‘fedeltà’ con cui esse avranno voluto accondiscendere alla missione affidata loro da Dio.
Non si deve pensare – come umanamente saremmo portati a fare - che le missioni e le ‘chiamate’ di Dio siano più o meno importanti l’una rispetto all’altra.
La ‘chiamata’ dipende da Dio e non dagli uomini.
Le anime appena create sono infatti tutte uguali e le missioni – come quella di un sacerdote dispensatore di grazie divine e sacramenti, mediatore fra l’uomo e Dio, o come quella spiritualmente fondamentale di un padre o madre di famiglia destinati ad allevare bene la prole per farne dei futuri ‘figli di Dio’ per il futuro Regno in Cielo, o ancora di un medico destinato a salvare vite umane, di un educatore scolastico deputato alla formazione culturale e morale dei fanciulli e dei giovani, di un uomo di governo destinato a saggiamente amministrare il popolo, e così via quante sono le fondamentali necessità umane – hanno tutte lo stesso valore perché possiamo considerare gli uomini chiamati a compierle come delle ‘pietre’ che pur di diversa forma e dimensione ma messe al posto giusto sono tutte egualmente indispensabili alla costruzione della ‘Città di Dio’.
La differenza di grado in Cielo non consisterebbe dunque nel tipo di missione giudicata più o meno importante secondo la vista umana, ma nella ‘fedeltà’ con cui ognuno avrà cercato di assecondarla al massimo delle proprie oggettive capacità, con lacrime e sangue, come dire con fatica che è pur sempre una forma di dolore e talora con dolore pieno come nel caso del martirio.
---
La prossima riflessione della nostra ottava affermazione del Credo sarà dedicata a:
---
4. LA VITA ETERNA, SECONDA PARTE. PARLIAMO QUI ANCORA DELLA VITA ETERNA IN PARADISO SENZA POI PERO’ DIMENTICARE QUELLA DELL’INFERNO DI CUI IL GESÙ VALTORTIANO DICE: ‘…È LUOGO IN CUI IL PENSIERO DI DIO, IL RICORDO DEL DIO INTRAVVEDUTO NEL PARTICOLARE GIUDIZIO NON È, COME PER I PURGANTI, SANTO DESIDERIO, NOSTALGIA ACCORATA MA PIENA DI SPERANZA, SPERANZA PIENA DI TRANQUILLA ATTESA, DI SICURA PACE CHE RAGGIUNGERÀ LA PERFEZIONE QUANDO DIVERRÀ CONQUISTA DI DIO, MA CHE GIÀ DÀ ALLO SPIRITO PURGANTE UN’ILARE ATTIVITÀ PURGATIVA PERCHÉ OGNI PENA, OGNI ATTIMO DI PENA, LI AVVICINA A DIO, LORO AMORE; MA È RIMORSO, È ROVELLO, È DANNAZIONE, È ODIO. ODIO VERSO SATANA, ODIO VERSO GLI UOMINI, ODIO VERSO SE STESSI».
Parte 08 - Cap. 4° LA VITA ETERNA, SECONDA PARTE. PARLIAMO QUI ANCORA DELLA VITA ETERNA IN PARADISO SENZA POI PERÒ DIMENTICARE QUELLA DELL’INFERNO DI CUI IL GESÙ VALTORTIANO DICE: «…È LUOGO IN CUI IL PENSIERO DI DIO, IL RICORDO DEL DIO INTRAVVEDUTO NEL PARTICOLARE GIUDIZIO NON È, COME PER I PURGANTI, SANTO DESIDERIO, NOSTALGIA ACCORATA MA PIENA DI SPERANZA, SPERANZA PIENA DI TRANQUILLA ATTESA, DI SICURA PACE CHE RAGGIUNGERÀ LA PERFEZIONE QUANDO DIVERRÀ CONQUISTA DI DIO, MA CHE GIÀ DÀ ALLO SPIRITO PURGANTE UN’ILARE ATTIVITÀ PURGATIVA PERCHÉ OGNI PENA, OGNI ATTIMO DI PENA, LI AVVICINA A DIO, LORO AMORE; MA È RIMORSO, È ROVELLO, È DANNAZIONE, È ODIO. ODIO VERSO SATANA, ODIO VERSO GLI UOMINI, ODIO VERSO SÈ STESSI».

4.1 Lo Spirito Santo: «Non è da dirsi né da pensarsi che in Cielo, pur essendo diverse dimore, ossia diversi gradi di gloria, il premio dei beati sia più o meno grande. No. … Diverso il grado… ma uguale il premio…».

Nei precedenti capitoli relativi a queste tre ultime riflessioni sul Credo abbiamo affrontato nel primo il tema della ‘remissione dei peccati’, nel secondo quello della ‘resurrezione della carne’ e nel terzo abbiamo cominciato ad affrontare quello della ‘Vita eterna’ in Paradiso che per certi aspetti si intreccia con quello della ‘resurrezione della carne’ dei ‘giusti’ glorificati.
Non possiamo però sperare di essercela cavata - in quest’ultima riflessione - con un solo capitolo perché la Vita eterna in Paradiso è troppo importante per imporci noi una limitazione.
È dunque necessario mettere ancora qui un po’ più a fuoco il Paradiso ma – sempre parlando di Vita eterna – parlare anche dell’Inferno, che tanti teologi d’avanguardia sostengono essere vuoto per via del fatto che la Misericordia di Dio non lo potrebbe davvero volere o che, se anche vuoto non fosse, alla fine lo aprirebbe per concedere salvezza anche ai più impenitenti peccatori, magari anche Satana compreso.
Lo stesso dicasi per quei teologi che sostengono la salvezza di Giuda, essendo Egli stato – a loro detta - colui grazie al cui tradimento è stata possibile la Redenzione per l’Umanità.
È un buonismo eretico, che dimentica che un altro fondamentale attributo di Dio è la Giustizia, un buonismo che mina i nostri sforzi di salvezza dandoci pericolose illusioni, come del resto ce le dà la teoria della metempsicosi che con la reincarnazione di vita in vita ci porta alla fine comunque alla promozione in Cielo per… ‘anzianità di servizio’.
È quindi mia intenzione continuare ad affrontare prima l’argomento del Paradiso, perché so che è la prospettiva che piace di più a tutti, ma anche chiudere poi con l’argomento della Vita eterna dell’Inferno che vi lascerà l’amaro in bocca ma che – come tante medicine sgradevoli al palato – avrà il pregio, una volta trangugiata e conosciuta, di aiutarci meglio a conquistarci la ‘Salute’ … in Paradiso.
Fino ad ora – parlando della Vita eterna in Paradiso – abbiamo potuto grandemente apprezzare gli insegnamenti del Gesù valtortiano e della stessa Maria SS.
Ora vorrei però proporvi anche quelli dello Spirito Santo perché anch’Egli ha dato alla mistica dei sublimi insegnamenti, poi raccolti editorialmente nelle ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’, opera che raccomando alla vostra lettura nel modo più assoluto.
Nel brano che vi propongo qui sotto, si parla dunque ancora di Paradiso e si danno spiegazioni di vario genere tutte estremamente interessanti, ma fra le tante mi interessa attirare ancora una volta l’attenzione su un argomento che avevo già brevemente toccato alla fine della precedente riflessione, quello delle diverse dimore e gradi di gloria in Paradiso, tema che qui lo Spirito Santo mette a fuoco con straordinaria chiarezza (i grassetti sono miei):
Lezione 34ª
14 marzo 1950
Ai Rom. c. 8° v. 22-25.
«Il mondo è popolato, anzi è stato popolato dal principio di creature irragionevoli e di creature ragionevoli. Popolato non perché fossero molte di ogni specie, ma perché erano molte le specie delle creature irragionevoli, e su esse, regina, la coppia delle due creature dotate di ragione e d’anima spirituale e immortale, ben diversa da quella che viene detta “anima vivente” nel 1° capitolo della Genesi al versetto 30, e che non era che il respiro per cui nel Libro è scritto di loro che “avevano l’anima nelle nari”.
E tutte le cose fatte erano “buone” a giudizio dello stesso Dio Creatore che è Bontà assoluta e perfetta.
Erano “molto buone”.
Di quale bontà? Solo di quella di servire all’uomo come aiuto nel coltivare l’Eden, o come cibo, o come diletto?
Ossia di una bontà passiva, perché quello dovevano fare, o di una bontà servile verso l’uomo, creatura diversa d’ogni altra per la sua posizione eretta, per la maestà dell’incesso, la bellezza del volto, la possanza degli atti e della voce, per quel dominio proprio dell’essere ragionevole che si manifesta nella volontà sicura, nel comando deciso, nella capacità di premiare o punire giustamente, tutte cose che incutono all’essere inferiore natural soggezione?
No.
Erano “molto buone” perché ancor prive di ferocia, di malvagità, di astuzia; e il leone stava con la pecorella, e il lupo con l’agnello, e il leopardo col capretto, e i piccoli dell’orso pascolavano con quelli della giumenta, così come traluce dal versetto 19° del II c. del Genesi, quando è detto che Adamo famigliarmente si intrattenne con tutti gli animali della terra e dell’aria, dando a tutti il nome, senza patire insulto dai feroci tra essi, né senza incutere timore a nessun d’essi, poiché erano buoni e sentivano istintivamente che l’uomo, lui pure “buono” , non li avrebbe puniti senza averne motivo; e così anche, come predice Isaia che sarà, quando “la scienza del Signore”, ossia il regno dello spirito, avrà veramente riempito la Terra (Isaia c. XI dal v. 6° al 9°).
Poi Adamo peccò e la Terra fu maledetta per causa di lui, e fra i molti triboli che essa produsse all’uomo decaduto, perché fattosi insubordinato a Dio, vi fu quello dell’insubordinazione delle creature inferiori a lui.
Ed egli, oltre al trarre con fatica il nutrimento giornaliero dalla terra divenuta maledetta, dovette a fatica difendersi dagli animali non più buoni, ribelli a lui come egli al Creatore, nemici tra loro, perché il disordine aveva ormai instaurato il suo regno, che durerà sinché non venga il Giorno del Signore ed il suo Regno, e il cielo e la terra quali sono ora spariranno e verranno un nuovo cielo e una nuova terra (Apoc. c. 21, v. 1) e sarà finito il travaglio delle creature.
Perché sarà venuto veramente il giorno e il regno eterno per tutti i figli di Dio, i quali, sino a quel giorno, dovranno sempre lottare, sospirare e gemere, per generare da se stessi il “figlio di Dio”, nato tale non “da sangue e da voler carnale” ma per aver accolto la Vita divina, avendo accolto il Verbo fattosi Uomo, Colui di cui Isaia scrive, ripetendo le parole della Parola eterna: “... Io t’ho redento e ti ho chiamato a nome: tu sei mio, ... Io sono tuo Salvatore ... Tutti quelli che invocano il mio Nome li ho creati per la mia gloria, li ho formati, li ho fatti”, e ancora: “Sono mio popolo, figli non rinnegati”.
Accogliere la Vita divina vuol dire potenziare la propria vita d’uomo ad opere soprannaturali.
Esser chiamati a nome e accorrere alla divina chiamata vuol dire fare ciò che l’UomoDio fece e ciò che si può fare, perché Egli vi ha redenti e salvati, quindi avete in voi elementi soprannaturali, prima di tutti la Grazia, per cui da giusti potete vivere e da santi ascendere col vostro spirito, sino al ricongiungimento di esso con la carne, al Cielo, ognuno al grado di gloria meritato con la corrispondenza alla misura del dono di Cristo ad ogni singolo uomo.
Non è da dirsi né da pensarsi che in Cielo, pur essendo diverse dimore, ossia diversi gradi di gloria, il premio dei beati sia più o meno grande. No.
La gloria alla quale il Padre vostro celeste vi ha predestinati è costituita dal vivere nel suo Tabernacolo.
La beatitudine celeste è costituita dal vedere Dio faccia a faccia. E tale visione tutti i beati l’avranno ugualmente.
Diverso il grado, perché non a tutti in ugual misura fu dato il dono di Cristo, ma però a tutti in misura sufficiente a raggiungere il grado che l’eterna Sapienza sa, da sempre, raggiungibile da quella creatura.
Ma uguale il premio, perché, sia il servo della gleba che il re potente, sia il dottore della Chiesa come l’indotto che appena sa dire, e neppur sempre bene, le orazioni più semplici e comuni, né sa altro che le verità essenziali della religione, se vivono in giustizia e in una misura di giustizia corrispondente alla chiamata divina e alla donazione divina proporzionata alla singola missione nel mondo, usano con uguale venerabondo rispetto i tesori da Dio dati loro e li fanno fruttare. Quindi troveranno il loro tesoro nel Cielo.
Non tutti apostoli, non tutti profeti, non tutti evangelisti né sacerdoti, i santi del Cielo.
Non tutti eremiti, non tutti penitenti, non tutti martiri per la fede, i beati.
Non tutti vergini, non tutti genitori, non tutti fanciulli “i 144.000, la folla immensa che nessuno poteva contare, d’ogni nazione e tribù, popolo a lignaggio” di cui parla Giovanni.
Il Corpo mistico è fatto di membra d’ogni specie. Però tutte, anche le più umili, sospirano e soffrono nella Chiesa militante per generare in sé il Cristo e giungere “per l’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, all’uomo perfetto, alla misura dell’età piena di Cristo”, quella perfezione simile a quella del Padre, che Gesù ha proposto agli uomini come misura perfetta dei figli di Dio.
Questo formare, generare per dare alla luce dei Cieli un “figlio di Dio”, è lavoro doloroso.
Per questo è detto che il popolo dei salvati osannanti all’Agnello è composto da quelli che “vengono dalla grande tribolazione” data dalle sorgenti che già vi ho spiegato: il demonio, il mondo, l’io reso debole e alterato dalle conseguenze della Colpa.
E il paragone paolino: “dolori del parto”, richiama più che mai a queste conseguenze.
Come, se Adamo e la moglie di lui fossero rimasti innocenti e fedeli al Signore, senza dolore sarebbe stato per la donna il partorire e senza lotta e fatica per l’uomo e la donna il raggiungere il fine ultimo, così per tutti i discendenti di Adamo non sarebbero occorsi dolori, simili a quelli di un lungo travaglio, per pervenire al dì natale del Cielo avendo generato in sé il Cristo: il cristiano vero, altro cristo.
Ma con la colpa venne la condanna, e con la condanna la fatica d’ogni specie, da quella fisica a quella morale, a quella spirituale, per divenire “figli di Dio”. Fatica che trova il sostegno suo nella speranza certa della finale salvazione.
Una speranza certa al punto che è simile già ad un vedere per intuizione ciò che sarà il futuro beato. E la speranza diventa fede. E la fede vi dà la pazienza nell’attesa di quel futuro.
La fede, la speranza, la carità, le tre virtù teologali che, specie la carità, aiutano a raggiungere lo sviluppo completo di quanto in germe è in voi: la Grazia, radice alla Gloria, e che, come dice il grande dottore, ha bisogno della cooperazione di tutte le vostre facoltà intellettive e spirituali e di tutte le vostre attività, sia di quelle sensibili, che di quelle spirituali, che di quelle soprannaturali, ossia quelle che si volgono con appetito e desiderio santo a Dio, per operare efficacemente in voi e portarvi al conseguimento del fine ultimo: la Gloria.
La trasformazione dell’uomo carnale in uomo spirituale, e da questo in figlio salito al possesso del Regno del Padre, di cui è coerede per Cristo e con Cristo, è realmente simile ad una lunga e laboriosa gestazione e ad un doloroso travaglio di parto.
Ma, voi che lo state vivendo, confortate il vostro spirito con le parole del Maestro divino: “La donna, quando partorisce, è in doglie, perché è giunta la sua ora; quando però ha dato alla luce il figlio, non ricorda più l’angoscia a motivo dell’allegrezza perché è venuto al mondo un uomo”.
E ben più grande nascita è quella di un uomo che rinasce, per volontà propria, in spirito e verità, da uomo carnale a figlio di Dio. E ancora ricordate le altre parole divine: “Con la vostra pazienza guadagnerete le vostre anime”, ossia darete ad esse la gloria dopo il lungo travaglio terreno.
Lavorate quindi con fedeltà e costanza alla vostra trasformazione in figli di Dio, e attendete con pazienza di vedere ciò che ora soltanto credete che sia e sperate di poter vedere.
Per lunga che sia l’esistenza ed aspra la prova, sempre smisuratamente inferiori in lunghezza e profondità sono rispetto all’eternità a alla beatitudine che vi attendono.
Per forti che siano le cause e gli agenti che vi dànno lotta e dolore, pensate che Dio vi ha dato agenti e cause di forza e di vittoria infinitamente più grandi di quelle che vi attaccano e affliggono: la Grazia, i Sacramenti, la Parola evangelica, la Legge resa facile dal movente messovi dal Cristo: l’amore; e infine l’aiuto e la preghiera dello Spirito Santo

4.2 Lo Spirito Santo: «…E sarà il nuovo mondo, con la Gerusalemme eterna, il nuovo eterno mondo dove non sarà più possibile a Satana di penetrare, dove non sarà possibile al dolore di torturare, alla malizia di intorbidare, alla violenza di nuocere e dare morte…».

Quante volte abbiamo sentito parlare, con riferimento al Paradiso, della ‘Gerusalemme eterna’ dove avremmo compartecipato al Regno di Dio ed ai possessi di Gesù, del quale saremo ‘coeredi’, quel Regno dove i ‘figli di Dio’ avranno finalmente la rivelazione perfetta di Dio e lo conosceranno senza limitazioni di sorta?
Ebbene, lo Spirito Santo ci fornisce al riguardo un’altra sapienziale spiegazione (i grassetti sono miei):
Ai Romani c. VIII v. 1719.
«È del figlio avere la somiglianza col padre. Ed è stato spiegato in che è la somiglianza e l’immagine dell’uomo, figlio adottivo di Dio, col Padre celeste. Ed è anche stato detto con che mezzi e dietro quale esempio sempre più l’uomo può pervenire alla somiglianza coll’eterna Perfezione. È stato infine dato come verità che coloro che vivono secondo lo spirito possono chiamare Dio: “Padre”, e chiamarlo con la voce a Lui graditissima: quella di Gesù che col suo spirito inabita nei figli di Dio.
Ma un padre non dà soltanto amore e somiglianza ai figli. Dà anche le sue ricchezze e le sue eredità.
La Prima Persona della Triade Ss., così come dà al Figlio consustanziale al Padre il Regno e il possesso di tutto quanto è nel Cielo e sulla Terra, così dà ai figli di adozione e fratelli nella carne di Gesù, la compartecipazione al Regno e al possesso del Figlio.
Già ha dato agli uomini la compartecipazione alla vita divina mediante la Grazia.
Già ha dato la compartecipazione ai tesori di Cristo mediante la vita nel Corpo mistico.
Ma oltre l’esistenza terrena vuol dare la compartecipazione ai beni celesti, la coeredità con il Cristo.
Questi i doni e il desiderio del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, i Tre che, come sono una sola cosa, così hanno un sol pensiero, una sola volontà, un solo amore.
Quale deve essere il desiderio dei figli di adozione, corrispondente a quello di Dio?
Lo stesso: compartecipazione alla vita divina mediante la fedeltà alla Grazia e l’unione al Corpo mistico, e vita vissuta in modo da raggiungere il fine ultimo: la compartecipazione, la coeredità ai beni celesti.
E dato che s’è visto come non vi è vittoria senza lotta, come non può aversi veste ornata né palma di gloria senza il dolore e senza la croce  i mezzi per cui il Cristo fu dal Padre esaltato dopo la suprema umiliazione e ubbidienza  così come giustamente desiderate d’esser coeredi del Regno celeste di cui l’Agnello di Dio, Verbo incarnato, è il Re dei re e Signore dei signori, così dovete desiderare di essere coeredi della sua parte di dolore, di immolazione, umiliazione, ubbidienza. Perché solo in tal modo potrete con Lui, il Vittorioso e Glorioso, essere glorificati.
Breve, sempre breve la prova terrena rispetto all’eternità.
Relative, sempre relative la sofferenza e la croce rispetto al gaudio celeste e infinito come tutte le cose che vengono da Dio, per coloro che ormai sono nella conoscenza di Dio “figli suoi e suoi eredi”.
Cosa è il premio dei beati? L’avere Dio.
Non è dunque errore dire che sarà gaudio infinito, perché Dio è infinito, e nella Rivelazione di Lui, del suo Mistero, i beati godranno un gaudio senza misura e quindi un gaudio infinito.
Ugualmente: sempre relative saranno le umiliazioni terrene rispetto a quella gloria che si manifesterà negli eletti quando Dio comunicherà ad essi, in misura piena e perfetta, la sua Grandezza, Bellezza, Conoscenza, il suo Fuoco d’Amore, la sua Luce, tutti i suoi Attributi, tutti quei Beni, quelle glorie, quelle virtù, che Egli tende a comunicare in forma relativa, proporzionata al vivente, e sempre più vasta, profonda e alta, a misura che il vivente cresce nella vita soprannaturale e si svuota di sé e d’ogni cosa per accogliere Dio, mentre ancora l’uomo è sulla Terra.
Allora, e solo allora, alla fine dei tempi, e quando i corpi risorti dei santi saranno assunti alla gloria e ricongiunti allo spirito già beato e glorioso, la creazione, in attesa da millenni, vedrà la rivelazione dei figli di Dio.
Di quello che sarebbero sempre stati i figli di Dio, dal principio, se al principio il primo di essi non avesse peccato deturpando di una Macchia sacrilega, avvilente, dolorosa, la Creazione perfetta operata da Dio.
Allora tutte le cose saranno restaurate quali Dio le aveva concepite avanti di crearle.
E, gettati il diavolo ed i suoi servi nello stagno eterno senza più libertà di uscita e di azione, per i secoli dei secoli, e con il Principe del male  per cui entrarono nel mondo, con la colpa, il dolore e la morte  spariti dal creato anche la morte e il dolore, le cose di prima cesseranno.
Le cose che erano belle, buone, senza lutti e miserie, senza ferocie e menzogne, senza malizie e corruzioni, e che Satana e la debolezza dell’Uomo e degli uomini bruttarono e resero cattive, dolorose, crudeli, subdole e corrotte.
E sarà il nuovo mondo, con la Gerusalemme eterna, il nuovo eterno mondo dove non sarà più possibile a Satana di penetrare, dove non sarà possibile al dolore di torturare, alla malizia di intorbidare, alla violenza di nuocere e dare morte.
Sarà la grande rivelazione dei figli, del Popolo eterno di Dio, quella rivelazione la cui magnificenza solo Dio, che tutto conosce e vede da eternità, conosce e vede nel suo Pensiero e con l’occhio del Verbo, attraverso al quale anche tutti i figli di Dio avranno la rivelazione perfetta di Dio e lo vedranno e conosceranno senza limitazioni di sorta
Inutile cercare di comprendere - ora - cosa sia esattamente il Paradiso, perché è lo stesso Spirito Santo che ci conferma che solo in Paradiso non necessariamente noi ma quelli che diverranno ‘figli di Dio’ avranno ‘la rivelazione perfetta di Dio e lo vedranno e conosceranno senza limitazioni di sorta’.
La Valtorta, tuttavia, una volta aveva avuto una visione spiritualizzata del Paradiso così come è ora - cioè non ancora quale sarà dopo la Resurrezione dei morti con i loro corpi glorificati - in quella che potremmo quasi considerare come una fotografia ‘istantanea’.
E se allora ricorressimo alla sua descrizione sperando di poterne capire qualcosina di più?
Ecco cosa lei scrive, al riguardo, al proprio Direttore spirituale in merito ad una sua visione (i grassetti sono miei’):
25-5.1944
(…)
Ho rivisto l il Paradiso. E ho compreso di cosa è fatta la sua Bellezza, la sua Natura, la sua Luce, il suo Canto.
Tutto, insomma. Anche le sue Opere, che sono quelle che, da tant’alto, informano, regolano, provvedono a tutto l’universo creato.
Come già l’altra volta, nei primi del corrente anno, credo, ho visto la Ss. Trinità.
Ma andiamo per ordine.
Anche gli occhi dello spirito, per quanto molto più atti a sostenere la Luce che non i poveri occhi del corpo che non possono fissare il sole, astro simile a fiammella di fumigante lucignolo rispetto alla Luce che è Dio, hanno bisogno di abituarsi per gradi alla contemplazione di questa alta Bellezza.
Dio è così buono che, pur volendosi svelare nei suoi fulgori, non dimentica che siamo poveri spiriti ancor prigionieri in una carne, e perciò indeboliti da questa prigionia.
Oh! come belli, lucidi, danzanti, gli spiriti che Dio crea ad ogni attimo per esser anima alle nuove creature! Li ho visti e so.
Ma noi... finché non torneremo a Lui non possiamo sostenere lo Splendore tutto d’un colpo. Ed Egli nella sua bontà ce ne avvicina per gradi.
Per prima cosa, dunque, ieri sera ho visto come una immensa rosa.
Dico “rosa” per dare il concetto di questi cerchi di luce festante che sempre più si accentravano intorno ad un punto di un insostenibile fulgore.
Una rosa senza confini! La sua luce era quella che riceveva dallo Spirito Santo.
La luce splendidissima dell’Amore eterno. Topazio e oro liquido resi fiamma... oh! non so come spiegare!
Egli raggiava, alto, alto e solo, fisso nello zaffiro immacolato e splendidissimo dell’Empireo, e da Lui scendeva a fiotti inesausti la Luce.
La Luce che penetrava la rosa dei beati e dei cori angelici e la faceva luminosa di quella sua luce che non è che il prodotto della luce dell’Amore che la penetra. Ma io non distinguevo santi o angeli. Vedevo solo gli immisurabili festoni dei cerchi del paradisiaco fiore.
Ne ero già tutta beata e avrei benedetto Dio per la sua bontà, quando, in luogo di cristallizzarsi così, la visione si aprì a più ampi fulgori, come se si fosse avvicinata sempre più a me permettendomi di osservarla con l’occhio spirituale abituato ormai al primo fulgore e capace di sostenerne uno più forte.
E vidi Dio Padre: Splendore nello splendore del Paradiso. Linee di luce splendidissima, candidissima, incandescente.
Pensi lei: se io lo potevo distinguere in quella marea di luce, quale doveva esser la sua Luce che, pur circondata da tant’altra, la annullava facendola come un’ombra di riflesso rispetto al suo splendere?
Spirito... Oh! come si vede che è spirito! È Tutto. Tutto, tanto è perfetto.
È nulla perché anche il tocco di qualsiasi altro spirito del Paradiso non potrebbe toccare Dio, Spirito perfettissimo, anche con la sua immaterialità: Luce, Luce, niente altro che Luce.
Di fronte al Padre Iddio era Dio Figlio. Nella veste del suo Corpo glorificato su cui splendeva l’abito regale che ne copriva le Membra Ss. senza celarne la bellezza superindescrivibile.
Maestà e Bontà si fondevano a questa sua Bellezza. I carbonchi delle sue cinque Piaghe saettavano cinque spade di luce su tutto il Paradiso e aumentavano lo splendore di questo e della sua Persona glorificata.
Non aveva aureola o corona di sorta. Ma tutto il suo Corpo emanava luce, quella luce speciale dei corpi spiritualizzati che in Lui e nella Madre è intensissima e si sprigiona dalla Carne che è carne, ma non è opaca come la nostra.
Carne che è luce.
Questa luce si condensa ancor di più intorno al suo Capo. Non ad aureola, ripeto, ma da tutto il suo Capo.
Il sorriso era luce e luce lo sguardo, luce trapanava dalla sua bellissima Fronte, senza ferite. Ma pareva che, là dove le spine un tempo avevano tratto sangue e dato dolore, ora trasudasse più viva luminosità.
Gesù era in piedi col suo stendardo regale in mano come nella visione che ebbi in gennaio, credo.
Un poco più in basso di Lui, ma di ben poco, quanto può esserlo un comune gradino di scala, era la Ss. Vergine. Bella come lo è in Cielo, ossia con la sua perfetta bellezza umana glorificata a bellezza celeste.
Stava fra il Padre e il Figlio che erano lontani tra loro qualche metro. (Tanto per applicare paragoni sensibili).
Ella era nel mezzo e, con le mani incrociate sul petto - le sue dolci, candidissime, piccole, bellissime mani - e col volto lievemente alzato - il suo soave, perfetto, amoroso, soavissimo volto - guardava, adorando, il Padre e il Figlio.
Piena di venerazione guardava il Padre. Non diceva parola. Ma tutto il suo sguardo era voce di adorazione e preghiera e canto. Non era in ginocchio. Ma il suo sguardo la faceva più prostrata che nella più profonda genuflessione, tanto era adorante.
Ella diceva: “Sanctus!”, diceva: “Adoro Te!” unicamente col suo sguardo.
Guardava il suo Gesù piena di amore. Non diceva parola. Ma tutto il suo sguardo era carezza. Ma ogni carezza di quel suo occhio soave diceva: “Ti amo!”.
Non era seduta. Non toccava il Figlio. Ma il suo sguardo lo riceveva come se Egli le fosse in grembo circondato da quelle sue materne braccia come e più che nell’infanzia e nella Morte. Ella diceva: “Figlio mio!”, “Gioia mia!”, “Mio amore!” unicamente col suo sguardo.
Si beava di guardare il Padre e il Figlio. E ogni tanto alzava più ancora il volto e lo sguardo a cercare l’Amore che splendeva alto, a perpendicolo su Lei. E allora la sua luce abbagliante, di perla fatta luce, si accendeva come se una fiamma la investisse per arderla e farla più bella.
Ella riceveva il bacio dell’Amore e si tendeva con tutta la sua umiltà e purezza, con la sua carità, per rendere carezza a Carezza e dire: “Ecco. Son la tua Sposa e ti amo e son tua. Tua per l’eternità”. E lo Spirito fiammeggiava più forte quando lo sguardo di Maria si allacciava ai suoi fulgori.
E Maria riportava il suo occhio sul Padre e sul Figlio. Pareva che, fatta deposito dall’Amore, distribuisse questo.
Povera immagine mia! Dirò meglio. Pareva che lo Spirito eleggesse Lei ad essere quella che, raccogliendo in sé tutto l’Amore, lo portasse poi al Padre e al Figlio perché i Tre si unissero e si baciassero divenendo Uno. Oh! gioia comprendere questo poema di amore! E vedere la missione di Maria, Sede dell’Amore!
Ma lo Spirito non concentrava i suoi fulgori unicamente su Maria. Grande la Madre nostra. Seconda solo a Dio. Ma può un bacino, anche se grandissimo, contenere l’oceano?
No. Se ne empie e ne trabocca. Ma l’oceano ha acque per tutta la terra. Così la Luce dell’Amore. Ed Essa scendeva in perpetua carezza sul Padre e sul Figlio, li stringeva in un anello di splendore. E si allargava ancora, dopo essersi beatificata col contatto del Padre e del Figlio che rispondevano con amore all’Amore, e si stendeva su tutto il Paradiso.
Ecco che questo si svelava nei suoi particolari...
Ecco gli angeli. Più in alto dei beati, cerchi intorno al Fulcro del Cielo che è Dio Uno e Trino con la Gemma verginale di Maria per cuore.
Essi hanno somiglianza più viva con Dio Padre.
Spiriti perfetti ed eterni, essi sono tratti di luce, inferiore unicamente a quella di Dio Padre, di una forma di bellezza indescrivibile.
Adorano... sprigionano armonie. Con che? Non so. Forse col palpito del loro amore.
Poiché non son parole; e le linee delle bocche non smuovono la loro luminosità.
Splendono come acque immobili percosse da vivo sole. Ma il loro amore è canto. Ed è armonia così sublime che solo una grazia di Dio può concedere di udirla senza morirne di gioia.
Più sotto, i beati. Questi, nei loro aspetti spiritualizzati, hanno più somiglianza col Figlio e con Maria.
Sono più compatti, direi sensibili all’occhio e - fa impressione - al tatto, degli angeli.
Ma sono sempre immateriali. Però in essi sono più marcati i tratti fisici, che differiscono in uno dall’altro. Per cui capisco se uno è adulto o bambino, uomo o donna.
Vecchi, nel senso di decrepitezza, non ne vedo.
Sembra che anche quando i corpi spiritualizzati appartengono ad uno morto in tarda età, lassù cessino i segni dello sfacimento della nostra carne.
Vi è maggior imponenza in un anziano che in un giovane. Ma non quello squallore di rughe, di calvizie, di bocche sdentate e schiene curvate proprie negli umani. Sembra che il massimo dell’età sia di 40, 45 anni.
Ossia virilità fiorente anche se lo sguardo e l’aspetto sono di dignità patriarcale.
Fra i molti... oh! quanto popolo di santi!... e quanto popolo di angeli! I cerchi si perdono, divenendo scia di luce per i turchini splendori di una vastità senza confini! E da lungi, da lungi, da questo orizzonte celeste viene ancora il suono del sublime alleluia e tremola la luce che è l’amore di questo esercito di angeli e beati...
Fra i molti vedo, questa volta, un imponente spirito. Alto, severo, e pur buono. Con una lunga barba che scende sino a metà del petto e con delle tavole in mano.
Le tavole sembrano quelle cerate che usavano gli antichi per scrivere. Si appoggia con la mano sinistra ad esse che tiene, alla loro volta, appoggiate al ginocchio sinistro.
Chi sia non so. Penso a Mosè o a Isaia. Non so perché. Penso così. Mi guarda e sorride con molta dignità. Null’altro. Ma che occhi! Proprio fatti per dominare le folle e penetrare i segreti di Dio.
Lo spirito mio si fa sempre più atto a vedere nella Luce. E vedo che ad ogni fusione delle tre Persone, fusione che si ripete con ritmo incalzante ed incessante come per pungolo di fame insaziabile d’amore, si producono gli incessanti miracoli che sono le opere di Dio.
Vedo che il Padre, per amore del Figlio, al quale vuole dare sempre più grande numero di seguaci, crea le anime.
Oh! che bello! Esse escono come scintille, come petali di luce, come gemme globulari, come non sono capace di descrivere, dal Padre.
È uno sprigionarsi incessante di nuove anime... Belle, gioiose di scendere ad investire un corpo per obbedienza al loro Autore.
Come sono belle quando escono da Dio! Non vedo, non lo posso vedere essendo in Paradiso, quando le sporca la macchia originale.
Il Figlio, per zelo per il Padre suo, riceve e giudica, senza soste, coloro che, cessata la vita, tornano all’Origine per esser giudicati.
Non vedo questi spiriti.
Comprendo se essi sono giudicati con gioia, con misericordia, o con inesorabilità, dai mutamenti dell’espressione di Gesù.
Che fulgore di sorriso quando a Lui si presenta un santo!
Che luce di mesta misericordia quando deve separarsi da uno che deve mondarsi prima di entrare nel Regno!
Che baleno di offeso e doloroso corruccio quando deve ripudiare in eterno un ribelle!
È qui che comprendo ciò che è il Paradiso.
E ciò di che è fatta la sua Bellezza, Natura, Luce e Canto. È fatta dall’Amore. Il Paradiso è Amore. È l’Amore che in esso crea tutto. È l’Amore la base su cui tutto si posa. È l’Amore l’apice da cui tutto viene.
Il Padre opera per Amore. Il Figlio giudica per Amore. Maria vive per Amore.
Gli angeli cantano per Amore. I beati osannano per Amore. Le anime si formano per Amore. La Luce è perché è l’Amore. Il Canto è perché è l’Amore. La Vita è perché è l’Amore. Oh! Amore! Amore! Amore!... Io mi annullo in Te. Io risorgo in Te. Io muoio, creatura umana, perché Tu mi consumi. Io nasco, creatura spirituale, perché Tu mi crei.
Sii benedetto, benedetto, benedetto, Amore, Terza Persona!
Sii benedetto, benedetto, benedetto, Amore, che sei amore delle Due Prime!
Sii benedetto, benedetto, benedetto, Amore, che ami i Due che ti precedono!
Sii benedetto Tu che mi ami.
Sii benedetto da me che ti amo perché mi permetti di amarti e conoscerti, o Luce mia...
Ho cercato nei fascicoli, dopo aver scritto tutto questo, la precedente contemplazione del Paradiso. Perché? Perché diffido sempre di me e volevo vedere se una delle due era in contraddizione con l’altra. Ciò mi avrebbe persuasa che sono vittima di un inganno.
No. Non vi è contraddizione. La presente è ancor più nitida ma ha le linee essenziali uguali. La precedente è alla data l0 gennaio l944. E da allora io non l’avevo mai più guardata. Lo assicuro come per giuramento.
25 - 5.
Dice a sera Gesù:
«Nel Paradiso che l’Amore ti ha fatto contemplare vi sono unicamente i “vivi” di cui parla Isaia nel cap. 4, una delle profezie che saranno lette domani l’altro.
E come si ottiene questo esser “vivi” lo dicono le parole susseguenti. Con lo spirito di giustizia e con lo spirito di carità si annullano le macchie già esistenti e si preserva da novelle corruzioni.
Questa giustizia e questa carità che Dio vi dà e che voi gli dovete dare, vi condurranno e vi manterranno all’ombra del Tabernacolo eterno. Là il calore delle passioni e le tenebre del Nemico diverranno cosa innocua poiché saranno neutralizzate dal Protettore vostro Ss., che più amoroso di chioccia per i suoi nati vi terrà al riparo delle sue ali e vi difenderà contro ogni soprannaturale assalto. Ma non allontanatevi mai da Lui che vi ama.
Pensa, anima mia, alla Gerusalemme che ti è stata mostrata. Non merita ogni cura per possederla? Vinci. Io ti attendo. Noi ti attendiamo. Oh! questa parola che vorremmo dire a tutti i creati, almeno a tutti i cristiani, almeno a tutti i cattolici, e che possiamo dire a tanto pochi!
Basta perché sei stanca. Riposa pensando al Paradiso.»
^^^^
Qualche considerazione la si può fare.
Ho l’impressione – ma è solo una mia impressione - che questa sia una visione quasi simbolica del Paradiso, una visione ‘statica’, quasi appunto una ‘istantanea’ scattata per dare una idea spirituale.
Non sembra essere già il Paradiso della Resurrezione dei corpi glorificati in Cielo perché si vede il Padre che ancora crea le anime ed il Figlio che ancora le giudica.
La descrizione degli stessi corpi delle anime sembra quasi riferirsi al loro aspetto di quando esse sono morte, aspetto nobilitato, ma non ancora quello del corpo glorificato della resurrezione finale.
Ma che dire - ora, dopo tanto ‘Paradiso’ - dell’Inferno, di quell’Inferno che taluni dicono non esistere?

4.3 L’inferno. Gesù: «La parola “Odio” tappezza quel regno smisurato; rugge in quelle fiamme; urla nei chachinni dei demoni; singhiozza e latra nei lamenti dei dannati; suona, suona, suona come una eterna campana a martello; squilla come una eterna buccina di morte; empie di sé i recessi di quella carcere; è, di suo, tormento, perché rinnovella ad ogni suo suono il ricordo dell’Amore per sempre perduto, il rimorso di averlo voluto perdere, il rovello di non poterlo mai più rivedere».

Vi avevo detto all’inizio che - dopo avervi fatto intravvedere il Paradiso, la cui esatta conoscenza sembra in questa vita esserci comunque assolutamente vietata – vi avrei riservato per ultima la pillola amara dell’Inferno, medicina amara ma salutare perché salutare Avvertimento.
Ecco come ce lo dipinge lo Spirito Santo (i grassetti sono miei):
14 - 1 - 48
Ai Romani, c. II, v. 9-10-11.
Dice il Ss. Autore:
« La tribolazione e l'angoscia sono sempre compagne dell'anima dell'uomo che fa il male. Anche se non appare agli occhi degli altri uomini.
Chi è colpevole non gode di quella pace che è frutto della buona coscienza.
Le soddisfazioni della vita, quali che siano, non bastano a dare pace. Il mostro del rimorso assale i colpevoli con assalti improvvisi, nelle ore più impensate, e li tortura.
Talora serve a farli ravvedere, talaltra a farli maggiormente colpevoli, spingendoli a sfidare Dio, spingendoli a cacciarlo del tutto dal loro io.
Perché il rimorso viene da Dio e da Satana.
Il primo lo desta per salvare. Il secondo per finire di rovinare, per odio, per scherno.
Ma l'uomo colpevole, che è già di Satana, non pensa che è il suo tenebroso re che lo tortura dopo averlo sedotto ad essergli schiavo. E accusa solo Dio del rimorso che sente agitarsi in lui, e cerca di dimostrarsi che non teme Dio, che cancella Iddio coll'aumentare le sue colpe senza paura, con la stessa malsana smania con la quale il bevitore, pur sapendo che il vino gli è nocivo, aumenta il suo bere, con la stessa frenesia con la quale il lussurioso aumenta il suo pasto di sozzo piacere, e chi usa droghe venefiche aumenta la dose di esse per godere più ancora e della carne e delle droghe stupefacenti.
Tutto ciò nell'intento di stordirsi, inebriarsi di vino, di droghe, di lussuria, al punto da inebetirsi e non sentire più il rimorso. E il colpevole nell'intento di soffocarne la voce sotto quella di trionfi più o meno grandi e temporanei.
Ma l'angoscia resta. La tribolazione resta.
Sono le confessioni che un colpevole non fa neppure a se stesso, o attende a farle nel momento estremo, quando cade tutto ciò che è scenario dipinto e l'uomo si trova nudo, solo davanti al mistero della morte e dell'incontro con Dio. E questi ultimi sono già i casi buoni, quelli che ottengono pace oltre la vita dopo la giusta espiazione. Talora, come per il buon ladrone, giunto al perfetto dolore, è pace immediata.
Ma è molto difficile che i grandi ladroni - ogni grande colpevole è un grande ladrone poiché deruba Dio di un'anima: la sua di colpevole, e di molte anime ancora: quelle travolte nella colpa dal grande colpevole, e sarà chiamato a rispondere di queste, talora buone, innocenti prima dell'incontro col colpevole e dal colpevole fatte peccatrici, più severamente ancora che della sua, ed è grande ladrone perché deruba la sua anima del suo bene eterno, e con la sua le anime di quelli indotti da lui al male - ma è difficile, dico, che un grande, ostinato ladrone, all'ultimo momento giunga al pentimento perfetto.
Sovente non giunge neppure al pentimento parziale. O perché la morte lo coglie improvvisa o perché egli respinge la salute sino al momento supremo.
Ma la tribolazione e l'angoscia della vita non sono che un minimo saggio della tribolazione e angoscia dell'oltre vita. Poiché l'inferno, la dannazione, sono orrori che anche l'esatta descrizione di essi, data da Dio stesso, è sempre inferiore a ciò che essi sono.
Voi non potete, neppure per descrizione divina, concepire esattamente cosa è la dannazione, cosa è l'inferno.
Così come visione e lezione divina di ciò che è Dio ancor non può darvi la gioia infinita della esatta conoscenza dell'eterno giorno dei giusti nel Paradiso, così altrettanto né visione né lezione divina sull'Inferno può darvi un saggio di quell'orrore infinito.
Per la conoscenza dell'estasi paradisiaca e per l'angoscia infernale, a voi viventi sono messi confini. Perché se conosceste tutto quale è, morireste d'amore o di orrore.
(…)
Avevo letto in un’altra ‘lezione’ dello Spirito Santo che l’Inferno è il luogo di una
…‘eterna e inconcepibile tortura in cui precipitano quelli che ostinatamente vivono in odio al Signore ed alla sua Legge, è stato creato a causa di lui, dell’Arcangelo ribelle folgorato coi suoi seguaci dall’ira divina e vinto dagli angeli fedeli, vinto, perché ormai spogliato della potenza del suo stato di grazia, folgorato e “precipitato nel profondo dell’Abisso” (Isaia) nel quale il suo orrendo fuoco d’odio, la sua ormai orrenda luce e fiamma, così diversa dalla luce e fiamma di grazia e d’amore di cui Dio lo aveva dotato nel crearlo, accesero i fuochi eterni ed atrocissimi.
Il Cielo rimase Cielo, anche dopo la ribellione e la caduta dei ribelli. Perché nel Regno di Dio tutto è fissato da regole eterne e  cacciati i superbi, i ribelli, gli autoidolatri, la cui dimora è lo stagno ardente infernale  santità, gaudio, amore, armonia, ordine perfetti, continuano eterni’.
Ma ecco ancora come ce ne parla con maggiori particolari Gesù (i grassetti sono miei):
15 - 1 - 1944.
Dice Gesù:
«Una volta ti ho fatto vedere il Mostro d’abisso. Oggi ti parlerò del suo regno.
Non ti posso sempre tenere in paradiso.
Ricordati che tu hai la missione di richiamare delle verità ai fratelli che troppo le hanno dimenticate. E da queste dimenticanze, che sono in realtà sprezzi per delle verità eterne, provengono tanti mali agli uomini.
Scrivi dunque questa pagina dolorosa. Dopo sarai confortata.
È la notte del venerdì.
Scrivi guardando al tuo Gesù che è morto sulla croce fra tormenti tali che sono paragonabili a quelli dell’inferno, e che l’ha voluta, tale morte, per salvare gli uomini dalla Morte.
Gli uomini di questo tempo non credono più all’esistenza dell’inferno.
Si sono congegnati un al di là a loro gusto e tale da essere meno terrorizzante alla loro coscienza meritevole di molto castigo.
Discepoli più o meno fedeli dello Spirito del Male, sanno che la loro coscienza arretrerebbe da certi misfatti, se realmente credesse all’inferno così come la Fede insegna che sia; sanno che la loro coscienza, a misfatto compiuto, avrebbe dei ritorni in se stessa e nel rimorso troverebbe il pentimento, nella paura troverebbe il pentimento e col pentimento la via per tornare a Me.
La loro malizia, istruita da Satana, al quale sono servi o schiavi (a seconda della loro aderenza ai voleri e alle suggestioni del Maligno) non vuole questi arretramenti e questi ritorni.
Annulla perciò la fede nell’inferno quale realmente è e ne fabbrica un altro, se pure se lo fabbrica, il quale non è altro che una sosta per prendere lo slancio ad altre, future elevazioni.
Spinge questa sua opinione sino a credere sacrilegamente che il più grande di tutti i peccatori dell’umanità, il figlio diletto di Satana, colui che era ladro come è detto nel Vangelo , che era concupiscente e ansioso di gloria umana come dico io, l’iscariota, che per fame della triplice concupiscenza si è fatto mercante del Figlio di Dio e per trenta monete e col segno di un bacio - un valore monetario irrisorio e un valore affettivo infinito - mi ha messo nelle mani dei carnefici , possa redimersi e giungere a Me passando per fasi successive.
No. Se egli fu il sacrilego per eccellenza, io non lo sono. Se egli fu l’ingiusto per eccellenza, io non lo sono. Se egli fu colui che sparse con sprezzo il mio Sangue, io non lo sono. E perdonare a Giuda sarebbe sacrilegio alla mia Divinità da lui tradita, sarebbe ingiustizia verso tutti gli altri uomini, sempre meno colpevoli di lui e che pure sono puniti per i loro peccati, sarebbe sprezzo al mio Sangue, sarebbe infine venire meno alle mie leggi.
Ho detto, io Dio Uno e Trino, che ciò che è destinato all’inferno dura in esso per l’eternità, perché da quella morte non si esce a nuova resurrezione.
Ho detto che quel fuoco è eterno e che in esso saranno accolti tutti gli operatori di scandali e di iniquità.
Né crediate che ciò sia sino al momento della fine del mondo.
No, ché anzi, dopo la tremenda rassegna, più spietata si farà quella dimora di pianto e tormento, poiché ciò che ancora è concesso ai suoi ospiti di avere per loro infernale sollazzo - il poter nuocere ai viventi e il veder nuovi dannati precipitare nell’abisso - più non sarà, e la porta del regno nefando di Satana sarà ribattuta, inchiavardata dai miei angeli, per sempre, per sempre, per sempre, un sempre il cui numero di anni non ha numero e rispetto al quale, se anni divenissero i granelli di rena di tutti gli oceani della terra, sarebbero meno di un giorno di questa mia eternità immisurabile, fatta di luce e di gloria nell’alto per i benedetti, fatta di tenebre e orrore per i maledetti nel profondo.
Ti ho detto che il Purgatorio è fuoco di amore.
L’Inferno è fuoco di rigore.
Il Purgatorio è luogo in cui, pensando a Dio, la cui Essenza vi è brillata nell’attimo del particolare giudizio e vi ha riempito di desiderio di possederla, voi espiate le mancanze di amore per il Signore Dio vostro.
Attraverso l’amore conquistate l’Amore, e per gradi di carità sempre più accesa lavate la vostra veste sino a renderla candida e lucente per entrare nel regno della Luce i cui fulgori ti ho mostrato giorni sono.
L’inferno è luogo in cui il pensiero di Dio, il ricordo del Dio intravveduto nel particolare giudizio non è, come per i purganti, santo desiderio, nostalgia accorata ma piena di speranza, speranza piena di tranquilla attesa, di sicura pace che raggiungerà la perfezione quando diverrà conquista di Dio, ma che già dà allo spirito purgante un’ilare attività purgativa perché ogni pena, ogni attimo di pena, li avvicina a Dio, loro amore; ma è rimorso, è rovello, è dannazione, è odio.
Odio verso Satana, odio verso gli uomini, odio verso se stessi.
Dopo averlo adorato, Satana, nella vita, al posto mio, ora che lo posseggono e ne vedono il vero aspetto, non più celato sotto il maliardo sorriso della carne, sotto il lucente brillio dell’oro, sotto il potente segno della supremazia, lo odiano perché causa del loro tormento.
Dopo avere, dimenticando la loro dignità di figli di Dio, adorato gli uomini sino a farsi degli assassini, dei ladri, dei barattieri, dei mercanti di immondezze per loro, adesso che ritrovano i loro padroni per i quali hanno ucciso, rubato, truffato, venduto il proprio onore e l’onore di tante creature infelici, deboli, indifese, facendone strumento al vizio che le bestie non conoscono - alla lussuria, attributo dell’uomo avvelenato da Satana - adesso li odiano perché causa del loro tormento.
Dopo avere adorato se stessi dando alla carne, al sangue, ai sette appetiti della loro carne e del loro sangue tutte le soddisfazioni, calpestando la Legge di Dio e la legge della moralità, ora si odiano perché si vedono causa del loro tormento.
La parola “Odio” tappezza quel regno smisurato; rugge in quelle fiamme; urla nei chachinni dei demoni; singhiozza e latra nei lamenti dei dannati; suona, suona, suona come una eterna campana a martello; squilla come una eterna buccina di morte; empie di sé i recessi di quella carcere; è, di suo, tormento, perché rinnovella ad ogni suo suono il ricordo dell’Amore per sempre perduto, il rimorso di averlo voluto perdere, il rovello di non poterlo mai più rivedere.
L’anima morta, fra quelle fiamme, come quei corpi gettati nei roghi o in un forno crematorio, si contorce e stride come animata di nuovo da un movimento vitale e si risveglia per comprendere il suo errore, e muore e rinasce ad ogni momento con sofferenze atroci, perché il rimorso la uccide in una bestemmia e l’uccisione la riporta al rivivere per un nuovo tormento.
Tutto il delitto di aver tradito Dio nel tempo sta di fronte all’anima nell’eternità; tutto l’errore di aver ricusato Dio nel tempo sta per suo tormento presente ad essa per l’eternità.
Nel fuoco le fiamme simulano le larve di ciò che adorarono in vita, le passioni si dipingono in roventi pennellate coi più appetitosi aspetti, e stridono, stridono il loro memento: “Hai voluto il fuoco delle passioni. Ora abbiti il fuoco acceso da Dio il cui santo Fuoco hai deriso”.
Fuoco risponde a fuoco. In Paradiso è fuoco di amore perfetto.
In Purgatorio è fuoco di amore purificatore.
In Inferno è fuoco di amore offeso.
Poiché gli eletti amarono alla perfezione, l’Amore a loro si dona nella sua Perfezione.
Poiché i purganti amarono tiepidamente, l’Amore si fa fiamma per portarli alla Perfezione.
Poiché i maledetti arsero di tutti i fuochi, men che del Fuoco di Dio, il Fuoco dell’ira di Dio li arde in eterno. E nel fuoco è gelo.
Oh! che sia l’Inferno non potete immaginare.
Prendete tutto quanto è tormento dell’uomo sulla terra: fuoco, fiamma, gelo, acque che sommergono, fame, sonno, sete, ferite, malattie, piaghe, morte, e fatene una unica somma e moltiplicatela milioni di volte. Non avrete che una larva di quella tremenda verità.
Nell’ardore insostenibile sarà commisto il gelo siderale.
I dannati arsero di tutti i fuochi umani avendo unicamente gelo spirituale per il Signore Iddio loro. E gelo li attende per congelarli dopo che il fuoco li avrà salati come pesci messi ad arrostire su una fiamma.
Tormento nel tormento questo passare dall’ardore che scioglie al gelo che condensa.
Oh! non è un linguaggio metaforico, poiché Dio può fare che le anime, pesanti delle colpe commesse, abbiano sensibilità uguali a quelle di una carne, anche prima che quella carne rivestano.
Voi non sapete e non credete. Ma in verità vi dico che vi converrebbe di più subire tutti i tormenti dei miei martiri anziché un’ora di quelle torture infernali.
L’oscurità sarà il terzo tormento. Oscurità materiale e oscurità spirituale.
Esser per sempre nelle tenebre dopo aver visto la luce del paradiso ed esser nell’abbraccio della Tenebra dopo aver visto la Luce che è Dio!
Dibattersi in quell’orrore tenebroso in cui si illumina solo, al riverbero dello spirito arso, il nome del peccato per cui sono in esso orrore confitti!
Non trovare appiglio, in quel rimestio di spiriti che si odiano e nuocciono a vicenda, altro che nella disperazione che li rende folli e sempre più maledetti.
Nutrirsi di essa, appoggiarsi ad essa, uccidersi con essa.
La morte nutrirà la morte, è detto. La disperazione è morte e nutrirà questi morti per l’eternità.
Io ve lo dico, io che pur l’ho creato quel luogo: quando sono sceso in esso per trarre dal Limbo coloro che attendevano la mia venuta, ho avuto orrore, io, Dio, di quell’orrore; e, se cosa fatta da Dio non fosse immutabile perché perfetta, avrei voluto renderlo meno atroce, perché sono l’Amore e di quell’orrore ho avuto dolore.
E voi ci volete andare.
Meditate, o figli, questa mia parola. Ai malati viene data amara medicina, agli affetti da cancri viene cauterizzato e reciso il male. Questa è per voi, malati e cancerosi, medicina e cauterio di chirurgo. Non rifiutatela. Usatela per guarirvi.
La vita non dura per questi pochi giorni della terra.
La vita incomincia quando vi pare finisca, e non ha più termine.
Fate che per voi scorra là dove la luce e la gioia di Dio fanno bella l’eternità e non dove Satana è l’eterno Suppliziatore.»
FINE
Care amiche ed amici,
con questa riflessione si chiude la mia personale ‘fatica’ sul Credo, fatica relativa, a ben vedere, perché si è basata sulle visioni e rivelazioni alla mistica Maria Valtorta dove a parlare era lo Spirito del Signore.
Nonostante abbia utilizzato gli scritti valtortiani, l’impegno di attenzione è stato comunque notevole.
Era una grande responsabilità selezionare e togliere dallo ‘scrigno’ dell’Opera valtortiana le ‘perle’ che mi sembravano più adatte allo scopo che mi ero prefisso, su mandato del ‘Team di coordinamento e supporto didattico’ del ‘Movimento per la Nuova Evangelizzazionealla luce delle rivelazioni a Maria Valtorta’.
Era sembrato logico, nell’ottobre del 2011 - con l’inaugurazione da parte del Santo Padre dell’Anno della Fede - iniziare dal Credo’.
Per un ‘Movimento’, un movimento laico che si propone come scopo quello di concorrere laicamente ad una ‘nuova evangelizzazione’, era sembrato giusto cominciare ad ‘evangelizzare’ non coloro che sono già fermi e ‘dotti’ nella Fede, ma i ‘pagani’ di oggi, cioè i ‘neo-pagani’ di questo nostro Cristianesimo moderno che, senza colpa se non quella ereditata dalle generazioni precedenti, sono cresciuti senza conoscere Gesù, finendo per considerare ‘mitico’ quanto di Lui hanno detto i Vangeli.
Avrei voluto concludere questa mia serie di ‘riflessioni’ lasciando a Gesù le ultime parole che avete sopra appena letto:
«La vita non dura per questi pochi giorni della terra. La vita incomincia quando vi pare finisca, e non ha più termine. Fate che per voi scorra là dove la luce e la gioia di Dio fanno bella l’eternità e non dove Satana è l’eterno Suppliziatore».
Mi sembrava di per sé una bella ‘chiusa’, con le parole dello stesso Gesù, belle, bellissime sia pure a conclusione di una descrizione terribile, quella che nell’arte della pittura si chiamerebbe un ‘bello-orrido’, di quella che è la Vita eterna di coloro che non hanno voluto, non hanno proprio voluto, convertirsi in qualche modo all’Amore.
Sono alla conclusione di otto mesi invernali di lavoro, trascorsi davanti allo schermo di un computer, spesso avendo a solitaria compagnia lo scoppiettare di una stufa a legna, mentre – guardando fuori dalla finestra – si vedeva pioggia, si sentiva vento e dove non di rado la neve scendeva e copriva con il suo manto candido i prati, dando al panorama un aspetto fiabesco.
Oltre sessanta ‘riflessioni’ con la mia ‘compagna di squadra’ Giovanna Busolini, mediamente due per settimana: una mia e una sua, per quattro settimane al mese, per otto mesi.
‘Finalmente è finita’ – mi ero detto inviando la mia mail all’indirizzo di Giovanna che – nella sua ‘postazione’ ad una ventina di chilometri di distanza - stava completando anche lei la sua ‘parte’.
Giovanna Busolini? Compagna di squadra?
Amica, vorrei dire, come ho detto nella Presentazione di questo libro, amica anche di fatiche perché lei – specularmente – ha fatto l’altra metà del lavoro, incoraggiandomi in qualche momento di stanchezza, anzi incoraggiandoci a vicenda.
Le oltre sessanta ‘riflessioni’, da noi scritte e stampate in un formato A4 non sono forse lontane da un migliaio di pagine di un libro editoriale.
Lei, Giovanna, che pure vi ha tenuto compagnia in questi mesi, si era ‘sacrificata’.
‘Scrivi prima tu …  – mi aveva detto – io leggo le tue riflessioni, per evitare ripetizioni, e poi le completo, approfondendo le tematiche che tu hai trattato, completando gli spazi che hai lasciato liberi…’.
Compito facile, il mio, più difficile il suo, ma niente deve spaventare quando sotto gli occhi si ha l’Opera di questa straordinaria mistica che ho avuto sempre presente, con ammirazione, non tanto e non solo per le splendide pagine descrittive che ci ha donato facendoci conoscere alla perfezione la Vita di Gesù, il valore di Maria SS., Colei che Egli chiama ‘Corredentrice’, e le vicende, i caratteri, le vicissitudini degli apostoli, per tre anni ‘uomini’  come noi, divenuti santi solo dopo la Passione, alla Luce Pentecostale dello Spirito Santo disceso nel Cenacolo.
‘Ma come – mi ha telefonato Giovanna – hai ‘chiuso’ così? Con l’Inferno? Non potevi metterci un ‘finale’? Cadono tutti in depressione!’.
‘Ebbene? – faccio io – il Dettato sull’Inferno è di un ‘bello-orrido’, un Dettato di Gesù che, se non si è preoccupato della ‘depressione’ nostra, una ragione doveva pur averla avuta’.
‘D’accordo – fa lei – ma Lui era Gesù, tu non ti crederai mica di essere come Lui, no?’.
La verità è che ero stanco, forse, e terminare con le parole di Gesù, oltre che bello, mi sembrava ‘liberatorio’.
Non sapevo cosa aggiungere, anzi l’aggiungere qualcosa mi sembrava un voler ‘rovinare’ quel meraviglioso ‘affresco’… infernale, anche se – fra quelle ‘fiamme’ – di fresco non aveva proprio niente.
‘Suvvia – replicava lei paziente – scrivi ancora qualcosa, non li puoi lasciare così, i tuoi lettori, con l’amaro in bocca…’.
‘Va bene – ho concluso io – ci dormirò sopra e domattina (pensavo), dopo il caffè vedrò cosa si può brevemente aggiungere’.
Voi tutti penserete che il caffè si prende alle sette o alle otto del mattino. In effetti è così che fanno le persone ‘normali’, ma io l’ho preso alle tre, perché mi sono svegliato con il ‘chiodo fisso’ del ‘finale’ in testa.
Ho preso carta e penna e mi sono detto: ‘Non so cosa scrivere, ma per poche righe non ci metterò molto’.
Invece sono ancora qui – seduto al mio tavolo di lavoro - a seguire con gli occhi la punta della mia penna che scrive su un ‘bloc-notes’ queste parole.
Questa iniziativa del ‘Credo’ è stata pensata non solo per voi iscritti alla ‘Scuola di Gesù e Maria’ del Movimento e futuri piccoli ‘evangelizzatori’ laici – ma anche per coloro che, senza colpa se non quella della ‘ignoranza’ evangelica tramandata da coloro che li hanno preceduti, si sono ritrovati ad essere ‘neopagani’.
Non si può aver fede se non si crede, ed il modo migliore per indurre a ‘credere’ ci è sembrato fare parlare soprattutto il Gesù valtortiano, lo Spirito Santo, la stessa Maria SS..
E’ così che – sulle ‘affermazioni’ del Credo seguite come traccia – abbiamo ripercorso insieme la Vita di Gesù, approfondendo la sua Dottrina, attraverso le Sue visioni e le sue stesse parole, non senza un costante pensiero di riconoscenza alla mistica Valtorta che – grazie al suo aver voluto essere piccola-grande vittima di ‘corredenzione’ – ha offerto le sue sofferenze per confermare nella fede quelli che ‘ci credono’ ma talvolta vacillano, e quelli che ‘non ci credono’ ma sono i più bisognosi di aiuto.
Detto questo, il mio lavoro sul ‘Credo’ - che sembrava già chiuso con la precedente parola ‘Fine’ – ora è davvero terminato e posso dunque ‘riscrivere’ la definitiva parola…
FINE
CONCLUSIONE - Care amiche ed amici,
con questa riflessione si chiude la mia personale ‘fatica’ sul Credo, fatica relativa, a ben vedere, perché si è basata sulle visioni e rivelazioni alla mistica Maria Valtorta dove a parlare era lo Spirito del Signore.
Nonostante abbia utilizzato gli scritti valtortiani, l’impegno di attenzione è stato comunque notevole.
Era una grande responsabilità selezionare e togliere dallo ‘scrigno’ dell’Opera valtortiana le ‘perle’ che mi sembravano più adatte allo scopo che mi ero prefisso, su mandato del ‘Team di coordinamento e supporto didattico’ del ‘Movimento per la Nuova Evangelizzazionealla luce delle rivelazioni a Maria Valtorta’.
Era sembrato logico, nell’ottobre del 2011 - con l’inaugurazione da parte del Santo Padre dell’Anno della Fede - iniziare dal Credo’.
Per un ‘Movimento’, un movimento laico che si propone come scopo quello di concorrere laicamente ad una ‘nuova evangelizzazione’, era sembrato giusto cominciare ad ‘evangelizzare’ non coloro che sono già fermi e ‘dotti’ nella Fede, ma i ‘pagani’ di oggi, cioè i ‘neo-pagani’ di questo nostro Cristianesimo moderno che, senza colpa se non quella ereditata dalle generazioni precedenti, sono cresciuti senza conoscere Gesù, finendo per considerare ‘mitico’ quanto di Lui hanno detto i Vangeli.
Avrei voluto concludere questa mia serie di ‘riflessioni’ lasciando a Gesù le ultime parole che avete sopra appena letto:
«La vita non dura per questi pochi giorni della terra. La vita incomincia quando vi pare finisca, e non ha più termine. Fate che per voi scorra là dove la luce e la gioia di Dio fanno bella l’eternità e non dove Satana è l’eterno Suppliziatore».
Mi sembrava di per sé una bella ‘chiusa’, con le parole dello stesso Gesù, belle, bellissime sia pure a conclusione di una descrizione terribile, quella che nell’arte della pittura si chiamerebbe un ‘bello-orrido’, di quella che è la Vita eterna di coloro che non hanno voluto, non hanno proprio voluto, convertirsi in qualche modo all’Amore.
Sono alla conclusione di otto mesi invernali di lavoro, trascorsi davanti allo schermo di un computer, spesso avendo a solitaria compagnia lo scoppiettare di una stufa a legna, mentre – guardando fuori dalla finestra – si vedeva pioggia, si sentiva vento e dove non di rado la neve scendeva e copriva con il suo manto candido i prati, dando al panorama un aspetto fiabesco.
Oltre sessanta ‘riflessioni’ con la mia ‘compagna di squadra’ Giovanna Busolini, mediamente due per settimana: una mia e una sua, per quattro settimane al mese, per otto mesi.
‘Finalmente è finita’ – mi ero detto inviando la mia mail all’indirizzo di Giovanna che – nella sua ‘postazione’ ad una ventina di chilometri di distanza - stava completando anche lei la sua ‘parte’.
Giovanna Busolini? Compagna di squadra?
Amica, vorrei dire, come ho detto nella Presentazione di questo libro, amica anche di fatiche perché lei – specularmente – ha fatto l’altra metà del lavoro, incoraggiandomi in qualche momento di stanchezza, anzi incoraggiandoci a vicenda.
Le oltre sessanta ‘riflessioni’, da noi scritte e stampate in un formato A4 non sono forse lontane da un migliaio di pagine di un libro editoriale.
Lei, Giovanna, che pure vi ha tenuto compagnia in questi mesi, si era ‘sacrificata’.
‘Scrivi prima tu …  – mi aveva detto – io leggo le tue riflessioni, per evitare ripetizioni, e poi le completo, approfondendo le tematiche che tu hai trattato, completando gli spazi che hai lasciato liberi…’.
Compito facile, il mio, più difficile il suo, ma niente deve spaventare quando sotto gli occhi si ha l’Opera di questa straordinaria mistica che ho avuto sempre presente, con ammirazione, non tanto e non solo per le splendide pagine descrittive che ci ha donato facendoci conoscere alla perfezione la Vita di Gesù, il valore di Maria SS., Colei che Egli chiama ‘Corredentrice’, e le vicende, i caratteri, le vicissitudini degli apostoli, per tre anni ‘uomini’  come noi, divenuti santi solo dopo la Passione, alla Luce Pentecostale dello Spirito Santo disceso nel Cenacolo.
‘Ma come – mi ha telefonato Giovanna – hai ‘chiuso’ così? Con l’Inferno? Non potevi metterci un ‘finale’? Cadono tutti in depressione!’.
‘Ebbene? – faccio io – il Dettato sull’Inferno è di un ‘bello-orrido’, un Dettato di Gesù che, se non si è preoccupato della ‘depressione’ nostra, una ragione doveva pur averla avuta’.
‘D’accordo – fa lei – ma Lui era Gesù, tu non ti crederai mica di essere come Lui, no?’.
La verità è che ero stanco, forse, e terminare con le parole di Gesù, oltre che bello, mi sembrava ‘liberatorio’.
Non sapevo cosa aggiungere, anzi l’aggiungere qualcosa mi sembrava un voler ‘rovinare’ quel meraviglioso ‘affresco’… infernale, anche se – fra quelle ‘fiamme’ – di fresco non aveva proprio niente.
‘Suvvia – replicava lei paziente – scrivi ancora qualcosa, non li puoi lasciare così, i tuoi lettori, con l’amaro in bocca…’.
‘Va bene – ho concluso io – ci dormirò sopra e domattina (pensavo), dopo il caffè vedrò cosa si può brevemente aggiungere’.
Voi tutti penserete che il caffè si prende alle sette o alle otto del mattino. In effetti è così che fanno le persone ‘normali’, ma io l’ho preso alle tre, perché mi sono svegliato con il ‘chiodo fisso’ del ‘finale’ in testa.
Ho preso carta e penna e mi sono detto: ‘Non so cosa scrivere, ma per poche righe non ci metterò molto’.
Invece sono ancora qui – seduto al mio tavolo di lavoro - a seguire con gli occhi la punta della mia penna che scrive su un ‘bloc-notes’ queste parole.
Questa iniziativa del ‘Credo’ è stata pensata non solo per voi iscritti alla ‘Scuola di Gesù e Maria’ del Movimento e futuri piccoli ‘evangelizzatori’ laici – ma anche per coloro che, senza colpa se non quella della ‘ignoranza’ evangelica tramandata da coloro che li hanno preceduti, si sono ritrovati ad essere ‘neopagani’.
Non si può aver fede se non si crede, ed il modo migliore per indurre a ‘credere’ ci è sembrato fare parlare soprattutto il Gesù valtortiano, lo Spirito Santo, la stessa Maria SS..
È così che – sulle ‘affermazioni’ del Credo seguite come traccia – abbiamo ripercorso insieme la Vita di Gesù, approfondendo la sua Dottrina, attraverso le Sue visioni e le sue stesse parole, non senza un costante pensiero di riconoscenza alla mistica Valtorta che – grazie al suo aver voluto essere piccola-grande vittima di ‘corredenzione’ – ha offerto le sue sofferenze per confermare nella fede quelli che ‘ci credono’ ma talvolta vacillano, e quelli che ‘non ci credono’ ma sono i più bisognosi di aiuto.
Detto questo, il mio lavoro sul ‘Credo’ - che sembrava già chiuso con la precedente parola ‘Fine’ – ora è davvero terminato e posso dunque ‘riscrivere’ la definitiva parola…
FINE
Torna ai contenuti