BS2-011 - ilCATECUMENO.it

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11. Sarebbe bastato un volger d’occhi per incenerire accusatori, giudici e carnefici

11.1 Gesù abbandonato da Dio perché su di Lui erano i delitti che Egli si era volontariamente addossato.

Avevamo detto alla conclusione dell’Ultima Cena che – uscito dal Cenacolo in piena notte - Gesù e gli apostoli, intabarrati nei loro mantelli, si erano diretti verso il Getsemani.
Credo che dovessero aver preso delle torce, ma certamente c’era la luna perché in quei giorni di clima ‘pasquale’ doveva essere sereno, anche se faceva freddo e di notte doveva esserci molta umidità.
Quello era però il luogo di preghiera preferito da Gesù, ed è quindi naturale che Egli – nel momento in cui sentiva sempre più, come Uomo, allontanarsi e farsi sempre più esile quel legame che lo univa al Padre – cercasse in modo particolare, quella sera del Giovedì santo, sostegno nella preghiera.
La preghiera non è solo un conforto umano, psicologico, ma è la ‘chiave’ che apre la porta e consente il colloquio con Dio.
Niente preghiera, niente porta aperta, niente porta aperta, niente Dio: cioè, anche se Dio c’è, non si vede e non si sente.
Fuori dal Cenacolo, vicoli bui, ombre sfuggenti, un parlottare sottovoce mentre gli apostoli seguono il Maestro.
Ormai, dopo le parole di Gesù sul finir della cena, tutto era chiaro.
Gli apostoli avevano capito che sarebbe stata solo questione di ore.
Non erano dei coraggiosi, e infatti di lì a poco se la sarebbero volata tutti tranne Giovanni, e certo ogni ombra della notte sarà sembrata loro una guardia del Tempio pronta a saltar loro addosso.
Pietro si era anche armato con una spada ma – essendo uomo di forte temperamento ma anche pratico - avrebbe forse preferito, da buon pescatore, aver per  le mani un remo per ‘vogare’ alla sua maniera sulle teste dei sopravvenienti.
Seguiamo tuttavia la scena attraverso le parole di Giovanni:
Gv 18, 1-11:
Detto questo, Gesù andò con i suoi discepoli oltre il torrente Cedron, dov’era un orto, in cui entrò con i suoi discepoli.
Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché spesso Gesù vi si ritirava in compagnia dei suoi discepoli.
Giuda, dunque, avuta la coorte e guardie dai gran Sacerdoti e dai Farisei, arrivò là con lanterne, torce e armi.
Allora Gesù, che sapeva tutto quel che doveva accadere, si fece avanti e domandò loro: «Chi cercate?».
Gli risposero: «Gesù Nazareno».
Gesù dice loro: «Sono io».
C’era con essi anche Giuda, il suo traditore.
Appena Gesù ebbe detto loro: «Sono io», diedero indietro e stramazzarono per terra.
Di nuovo domandò: «Chi cercate?».
E quelli: «Gesù Nazareno».
«Ve l’ho detto che sono io, rispose Gesù; se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano».                          
Affinchè si adempisse la parola detta da lui: «Di quelli che mi hai dato non ho perduto nessuno».
Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la sfoderò e colpì un servo del Sommo Sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malko.
Ma Gesù disse a Pietro: «Rimetti la tua spada nel fodero; non berrò io il calice che il Padre mi ha dato?».
L’Evangelista Giovanni, così come non aveva raccontato la scena dell’istituzione dell’Eucarestia nel Cenacolo - già narrata nei suoi tratti essenziali dagli altri tre evangelisti – nel suo brano ha saltato a piè pari la narrazione della preghiera e della ‘passione di Gesù’ nel Getsemani, anche questa raccontata, e bene, dagli altri evangelisti.[1]
Egli si limita all’essenziale:
Chi cercate?
Gesù Nazareno.
Sono io.
E quelli stramazzano.
Chi cercate?
Gesù Nazareno.
Sono io.
E quelli, rialzatisi, lo legano.
Sembra che a questo punto Gesù abbia quasi fretta di farla finita e infatti dice a Pietro: ‘Rimetti la tua spada nel fodero; non berrò io il calice che il Padre mi ha dato?’.

11.2 Ma i Giudei gridavano dicendo: «Se lo liberi non sei amico di Cesare: chi infatti si fa re va contro Cesare».

Giovanni fu l’unico apostolo a seguire ‘da vicino’ Gesù, tutti gli altri essendo fuggiti ed essendosi Pietro unito a lui al seguito della turba solo in un secondo tempo.
Pietro – spaventato, come vedremo anche quando rinnegherà Gesù - aveva seguito prudentemente ‘da lontano’ la canea di gentaglia e soldataglia.
Lo racconta Matteo (Mt 26, 57-58): ‘Pietro lo aveva seguito da lontano, fino all’atrio del sommo Sacerdote’, fatto – questo - poi confermato dal Vangelo di Luca e da quello di Marco.
Ciò nonostante Giovanni non vuole mettere in cattiva luce il Capo degli apostoli Pietro, e mette Pietro in prima posizione e se stesso nell’anonimato quando - riferendosi al corteo di soldati che conducevano Gesù dal sommo Sacerdote - scrive: ‘Seguivano Gesù Simon Pietro e un altro discepolo’.
Giovanni ci racconta comunque la sequenza degli avvenimenti successivo alla cattura di Gesù in maniera davvero magistrale, anche se ‘essenziale’:[2]
Intanto la coorte, il tribuno e le guardie dei Giudei presero Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna, perché era suocero di Caifa, il Sommo Sacerdote di quell’anno.
Caifa era colui che aveva dato ai Giudei quel consiglio: «E’ meglio che un uomo solo muoia per il popolo».
Seguivano Gesù Simon Pietro e un altro discepolo. E questo discepolo, essendo noto al Sommo Sacerdote, entrò con Gesù nell’atrio del Sommo Sacerdote; Pietro invece restò fuori, alla porta.
L’altro discepolo, noto al Sommo Sacerdote, uscì, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro.
Disse però a Pietro la serva addetta alla porta: «Forse anche tu sei dei discepoli di quest’uomo?».
Egli rispose: «Non lo sono».
Intanto i servi e le guardie, accesi dei carboni, se ne stavano in piedi a scaldarsi, perché era freddo; anche Pietro se ne stava là ritto con loro e si scaldava.
Il Sommo Sacerdote interrogò Gesù intorno ai suoi discepoli e alla sua dottrina.
Gesù gli rispose: «Io ho parlato in pubblico a tutti; ho sempre insegnato in sinagoga e nel Tempio, dove s’adunano tutti i Giudei, e niente ho detto in segreto. Perché interroghi me? Interroga quelli che mi hanno udito, di che cosa ho parlato loro: ecco, essi sanno che cosa ho detto».
A queste parole, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù dicendo: «Così rispondi al Sommo Sacerdote?».
Gesù gli rispose: «Se ho parlato male, mostrami dov’è il male; e se bene, perché mi percuoti?».
Anna allora lo mandò legato a Caifa, Sommo Sacerdote.
Frattanto Simon Pietro stava a scaldarsi.
Gli dissero dunque: «Non sei anche tu dei suoi discepoli?».
Egli negò e disse: «Non lo sono».
Ma uno dei servi del Sommo Sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, gli disse: «Non t’ho forse veduto io con lui nell’orto?».
Pietro allora negò di nuovo, e subito il gallo cantò.
Condussero, allora, Gesù dalla casa di Caifa al Pretorio.
Era di mattino presto ed essi non entrarono nel Pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la  Pasqua.
Pilato, dunque, uscì fuori verso di loro e domandò: «Quale accusa portate contro quest’uomo?».
Gli risposero: «Se non fosse un malfattore, non te lo avremmo consegnato».
Replicò loro Pilato:«Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge».
I Giudei gli risposero: «A noi non è permesso di dar la morte ad alcuno».
Così s’adempivano le parole di Gesù con le quali aveva predetto di qual morte doveva morire.
Allora Pilato rientrò nel Pretorio e, chiamato Gesù, gli domandò: «Sei tu il re dei Giudei?».
Gesù rispose: «Dici questo da te, o altri te l’hanno detto di me?».
Disse Pilato: «Sono forse Giudeo? La tua nazione e i gran Sacerdoti ti hanno messo nelle mie mani: che hai fatto?».
Gesù rispose: «Il mio Regno non è di questo mondo; se fosse di questo mondo il mio regno, la mia gente avrebbe combattuto affinchè non fossi dato nelle mani dei Giudei; ma il regno mio non è di quaggiù».
«Dunque, tu sei re?», gli domandò allora Pilato.
Gesù gli rispose: «Tu l’hai detto, io sono re. Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo, a rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
Gli domandò Pilato: «Che cosa è la verità?».
E detto questo, uscì di nuovo davanti ai Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui nessuna colpa. Ma siccome è vostro uso che vi liberi uno per la Pasqua, volete che vi lasci il Re dei Giudei?».
Allora ripresero a gridare: «Non lui, ma Barabba!». Barabba era un assassino.
Allora Pilato prese Gesù e lo fece flagellare.
Intanto i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, lo rivestirono d’un manto di porpora, e andandogli davanti, dicevano: «Salve, o re dei Giudei!», e gli davano schiaffi.
Pilato, uscito di nuovo fuori, disse loro: «Ecco, ve lo conduco fuori, affinchè sappiate che non trovo in lui nessuna colpa».
Gesù uscì, portando la corona di spine e il manto di porpora.
Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!».
Ma, visto che l’ebbero, i gran Sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!».
Disse loro Pilato: «Prendetelo e crocifiggetelo voi, perché io non trovo in lui nessuna colpa».
Gli replicarono i Giudei: «Noi abbiamo una legge secondo la quale deve morire, perché s’è fatto Figlio di Dio».
All’udire queste parole Pilato s’impaurì più che mai, e, rientrato nel Pretorio, domandò a Gesù: «Di dove sei?». Gesù non gli dette risposta.
Gli disse dunque Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho potere di rimetterti in libertà e potere di crocifiggerti?».
Rispose Gesù: «Tu non avresti su di me nessun potere, se non ti fossse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani è più colpevole di te».
Da quel momento Pilato cercava di liberarlo.
Ma i Giudei gridavano dicendo: «Se lo liberi, non sei amico di Cesare; chi, infatti, si fa re, va contro Cesare».
Pilato, udite queste parole, condusse fuori Gesù e sedette in tribunale nel luogo detto Lastricato, in ebraico Gabbata. Era la vigilia della Pasqua, circa l’ora sesta.
Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro Re!».
Ma quelli gridarono: «Via, via, crocifiggilo!».
Pilato disse loro: «Dovrò crocifiggere il vostro re?».
Risposero i gran Sacerdoti: «Noi non abbiamo altro re che Cesare».
Allora lo diede nelle loro mani, perché fosse crocifisso.
Rifletto a fondo su questo brano di Vangelo che narra di quella notte tragica fra il Giovedì sera ed il Venerdì mattina.
Mi sembra di rilevare una discrepanza in questo brano del vangelo di Giovanni, una discrepanza marginale ma pur sempre una discrepanza, per quanto attiene al numero, al luogo e all’identità dei ‘Gran Sacerdoti’ che avevano interrogato Gesù, rispetto alle versioni fornite dagli altri tre evangelisti.
Il testo del Vangelo di Giovanni lo potrete ricontrollare personalmente anche voi.
A meno però che non si tratti di una imprecisione narrativa - per cui una persona può raccontare le cose nell’ordine sbagliato, fatto che capita spesso anche a noi, specie a distanza di mesi e figuriamoci a distanza di circa una sessantina d’anni quando Giovanni aveva scritto il suo Vangelo – l’evangelista prima racconta dell’interrogatorio di Gesù da parte del Sommo Sacerdote Anna, con Gesù che entra nell’atrio della sua casa e Pietro che rimane fuori.
Quindi c’è l’interrogatorio di Gesù da parte del Sommo Sacerdote e le risposte di Gesù, con schiaffo a Gesù da parte di una delle guardie.
Infine si conclude dicendo che ‘Anna allora lo mandò legato a Caifa, sommo Sacerdote’.
Sembrerebbe quasi di poter dedurre – leggendo Giovanni – che l’interrogatorio lo avesse fatto Anna, visto che poi – e cioè dopo l’interrogatorio  - Gesù è stato mandato da Caifa il quale fa pure un altro interrogatorio.
Rileggo allora nuovamente gli episodi nelle visioni della Valtorta e tutto allora appare finalmente chiaro.
Da Anna - il Sommo Sacerdote che era stato in carica prima di Caifa e davanti alla cui casa si passava per andare a quella di Caifa - c’era stata una prima sosta con un primo sommario interrogatorio.
E’ qui che Gesù aveva preso il famoso schiaffo.
Anna aveva però poi spedito il gruppo a Caifa, Sommo Sacerdote in carica, presso la cui casa si è svolto invece il vero e proprio interrogatorio ufficiale, alla presenza di altri notabili, sacerdoti e membri del Sinedrio.
Ne emergono dunque la seguente corretta sequenza e considerazioni:
1.       Gesù viene condotto da Anna e, interrogato ufficiosamente una prima volta, viene schiaffeggiato.
2.       Quindi Anna lo fa condurre nella casa di Caifa dove – alla presenza di Scribi, Sacerdoti e Anziani del Sinedrio – Egli viene nuovamente interrogato e condannato sbrigativamente a morte una prima volta.
3.       Nel frattempo Pietro – che era rimasto fuori a scaldarsi al fuoco all’aperto nel cortile della casa di Caifa – rinnega Gesù per la terza volta al canto del gallo.
4.       Gamaliele, suo figlio Simeone e Nicodemo - presenti alla seduta notturna del Sinedrio convocata frettolosamente con un ‘passa-parola’ - contestano la legittimità di quella condanna a morte e abbandonano sdegnati la seduta eccependo la falsità ed inconsistenza delle accuse, nonché il mancato rispetto delle formalità di convocazione di quella seduta del Sinedrio sia per l’ora notturna che per il luogo, cioè in casa di Caifa.
5.       Giuseppe d’Arimatea dà un pugno sul tavolo e dichiara che da quel momento egli diventa ‘nemico del Sinedrio’ e ‘amico del Cristo’, aggiungendo: ‘E con questo passo vado a dire al Pretore che qui si uccide senza ossequio a Roma’. Poi se ne esce anche lui spintonando chi lo vorrebbe trattenere.
6.       Ce n’è abbastanza. Al sentire queste accuse scoppia un tumulto. Il Sinedrio ha paura di Roma. Gesù osserva tutto e tace.
7.       La seduta viene allora sospesa e i membri del Sinedrio vengono allora riconvocati nella notte stessa in maniera più ‘formale’, questa volta non più nella casa di Caifa ma nella sede ufficiale del Consiglio – per dare l’apparenza di un giudizio ‘legale’. Gesù viene qui condannato a morte una seconda volta, tanto per rispettare la ‘forma’. Non viene perso tempo a reinterrogarlo, dato che  lo avevano già fatto prima.
8.       E’ ormai l’alba. Gesù viene condotto al Pretorio dove risiede Pilato che – quale rappresentante dell’Autorità romana - era il solo a poter rendere ‘esecutive’ le condanne a morte del Sinedrio.
9.       Pilato lo interroga. Egli in passato era stato già ben informato in termini positivi su quel Nazareno dai suoi centurioni. E lo deve essere stato anche dalla moglie Claudia Procula, quella presente a quel famoso discorso di Gesù agli schiavi della galera romana nel porto di Cesarea di cui abbiamo parlato nel primo volume, rimanendo molto colpita nel sentire Gesù predicare che anche i pagani avevano un’anima immortale, un’anima immortale ma in ‘letargo’ che aveva solo bisogno di essere ‘risvegliata’.
Pilato sa che Gesù è innocente e che quelli lo vogliono morto per odio e invidia. Vorrebbe allora salvarlo. E’ combattuto ma - quando viene a sapere che è un galileo – non gli par vero di poter passare la ‘patata bollente’ al Tetrarca Erode, competente per la Galilea, che in quei giorni di festa era a Gerusalemme. Egli spera che Erode se la sappia sbrogliare meglio e gli spedisce Gesù sotto scorta.
10.   Erode lo interroga, è curioso, vorrebbe anche dei miracoli. Ma Gesù lo ignora. Erode si arrabbia ma nemmeno lui – che si sente ancora la coscienza sporca per aver consentito a suo tempo la decapitazione del Battista – ha coraggio di condannare quel ‘santo’. E allora se ne lava le mani pure lui ma, più furbo di Pilato, fa finta di considerarlo pazzo, cioè non condannabile perché ‘non responsabile’, lo riveste di una camicia bianca come si faceva a quel tempo coi pazzi, e lo rispedisce a Pilato.
11.   Pilato ribadisce allora ai Giudei che nemmeno Erode ha trovato alcuna colpa in Gesù: propone di liberare in cambio Barabba. I Giudei accettano Barabba libero, ma insistono a volere crocifisso Gesù.
12.   Pilato allora – per commuoverli – anziché limitarsi a fustigarlo lo fa flagellare e poi glielo ripresenta davanti dicendo: ‘Ecce homo…!’.
13.   I Giudei insistono che sia crocifisso.
    ‘Vi do Barabba’, fa Pilato.
    ‘No, vogliamo il Cristo’, rispondono quelli.
     E Pilato: ‘E allora prendetelo e crocifiggetevelo voi, perché io non trovo alcuna colpa per farlo’.
     E quelli: ‘Ma per la nostra Legge è colpevole perché ha detto di essere figlio di Dio…’.
14.   Pilato ne è colpito… Figlio di Dio? Ci ripensa sopra perché da buon pagano è anche superstizioso. Neanche a farlo apposta arriva una ‘libèrta’ della moglie Claudia Procula con un biglietto nel quale la moglie gli scrive di aver fatto quella notte un sogno riguardante Gesù. Credo che gli abbia detto di non toccare Gesù, se non vuole che per loro quella storia finisca male. In effetti ho letto da qualche parte che qualche anno dopo Pilato è finito politicamente male.
15.   Pilato rifiuta allora di emettere ufficialmente la condanna, o meglio la respinge moralmente, dicendo di non volere sulle sue mani il sangue di un innocente, e se le lava platealmente di fronte a tutti, quelle mani.
16.   Ma i Capi Giudei, di rimando: ‘Crocifiggilo, e il suo Sangue ricada pure su di noi, anzi anche sui nostri figli’.[3]
17.   E Pilato, allora: ‘Vada alla croce. Soldato và, prepara la croce’.[4]
Qui bisogna stare bene attenti a quel che si scrive e a come lo si scrive.
Stiamo commentando le parole del Vangelo e a meno che ci si vieti anche questa libertà, non vi dovrebbe essere nulla da ridire e non si dovrebbe correre il rischio di essere accusati di antisemitismo.
E’ sempre possibile che un giorno o l’altro – specie nel periodo dell’Anticristo prossimo venturo – la Chiesa decida o la Chiesa venga obbligata a stralciare certi brani di Vangelo ‘politicamente scorretti’.
Nel frattempo però è bene chiarire che i Vangeli non hanno nulla a che vedere con l’antisemitismo: essi raccontano una verità, la loro verità storica, piaccia o non piaccia a chi, dopo duemila anni, potrebbe sentirsene ancora una volta offeso.
Si disquisisce se a uccidere Gesù siano stati i Capi giudei di allora oppure il Procuratore romano Pilato.
Pilato – secondo il racconto dei Vangeli - emise la condanna, ma la emise su istigazione dei Capi che avevano anche minacciato di denunciarlo all’Imperatore, visto che non avrebbe voluto condannare uno che si dichiarava Messia, re dei re, liberatore dai romani, insomma un pericoloso ribelle, che dichiarandosi Dio pretendeva inoltre di usurpare il titolo ‘divino’ che spettava all’Imperatore.
Si discute anche sul fatto se sia stata una condanna a morte legale, oppure un omicidio, oppure un deicidio.
Ovvio che – in presenza di una sentenza di Pilato – non si sia trattato di omicidio, in quanto Gesù fu condannato a morte dai romani in base ad una legalissima delibera formale.
Ovvio anche che – dal punto di vista ebraico – non si sia trattato di deicidio, visto che per essi per la cultura e tradizione religiosa ebraica  era inconcepibile il fatto che un uomo potesse essere ‘Dio’, che essi concepivano unicamente cone Entità del tutto spirituale, sfuggendo ad essi la possibilità e la capacità di comprendere il mistero dell’Incarnazione, cioè di uno Spirito, il tal caso il Verbo divino, che si fa Uomo.
Dal punto di vista della fede cristiana il fatto – in senso proprio - è comunque un ‘deicidio’, nel senso che ad essere ucciso fu Colui che per i cristiani é Figlio di Dio.
Parimenti vanno separate le responsabilità oggettive del popolo ebraico di allora da quelle dei suoi Capi politici.
A decidere la morte di Gesù non fu infatti il popolo – che al contrario apprezzava e parteggiava per Gesù, come si evince da molti altri brani del Vangelo – ma i Capi, per le ragioni spiegate nel primo volume e in particolare quando abbiamo commentato il miracolo della resurrezione di Lazzaro con le susseguenti decisioni del Sinedrio
Gli ebrei di oggi - che pur hanno subito nei secoli le conseguenze dovute alla loro ribellione al potere imperiale romano, con la distruzione di Gerusalemme ed il decreto di dispersione nel mondo - non hanno comunque nessuna responsabilità sulle decisioni prese dai Capi giudei di allora, come noi cristiani non ne abbiamo oggi sulle decisioni prese allora da Roma pagana.
Se dunque il Vangelo – che stigmatizza il comportamento dei Capi giudei di allora - non deve essere ignobilmente strumentalizzato da chi per altre ragioni vuole diffamare i giudei di oggi, nessuno – per diffamare la religione cristiana di oggi – deve strumentalizzare e accusare di antisemitismo la verità storica dei Vangeli riferita a fatti e personaggi di duemila anni fa.
Infine una considerazione finale che dovrebbe ‘tagliar la testa al toro’.
Sulla base della stessa Rivelazione cristiana, i veri responsabili del ‘deicidio’ siamo noi uomini in genere - uomini di una volta, come di oggi e come del futuro - in quanto è il comportamento di peccato dell’Umanità e nostro in particolare quello che ha obbligato un Dio ad incarnarsi per poterci riscattare e salvare grazie al suo Sacrificio.
Ma se dentro all’Umanità in genere noi dovessimo trovare un colpevole ‘ancora più colpevole’, io non avrei dubbi nell’individuarlo in quella parte cristiana che, dopo duemila anni, ha ‘apostatato’ al punto di diventare oggi di fatto anticristiana.

[1] Nota: per maggiori ragguagli sulla ‘agonìa’ di Gesù al Getsemani, vedi, dell’autore: “Il Vangelo del ‘grande’ e del ‘piccolo’ Giovanni”, Vol. III, Cap. 8 – Ed. Segno, 2000 – nonché l’opera nel suo sito internet
[2] Gv 18, 12-38 e 19, 1-16
[3] Mt 27, 24 -25: ‘Or Pilato, vedendo che non otteneva nulla anzi che il tumulto si faceva maggiore, prese dell’acqua e si lavò le mani, dinanzi al popolo, dicendo: «Io sono innocente del sangue di questo giusto. Pensateci voi!». E tutto il popolo rispose:«Il sangue suo cada su noi e sui nostri figli!». Allora lasciò ad essi in libertà Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò nelle loro mani, perché fosse crocifisso’.
[4] Sui processi subiti da Gesù, sul rinnegamento di Pietro e per le considerazioni del Gesù valtortiano su Pilato vedere di Maria Valtorta ‘L’Evangelo…’, Vol. X, Cap. 604 – C.E.V.
Inoltre, dell’autore: ‘Il Vangelo del ‘grande’ Giovanni…’. Vol. III, Cap. 9 – Ed. Segno e sito internet

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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