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7. L'ultimo discorso pubblico di GESÙ: quello rivolto ai Gentili al Tempio di Gerusalemme.
7.1 Facciamo un piccolo ‘zoom’ sulla SETTIMANA SANTA…
Ho dovuto dedicare uno spazio importante alla ricostruzione e commento delle profezie apocalittiche fatte da Gesù dopo quella sua uscita dal Tempio, nel ‘nostro’ mercoledì della settimana santa.
È infatti un argomento - anche per gli studiosi - di straordinario interesse e oggetto per secoli di studi inesausti dove solo le rivelazioni ricevute da Maria Valtorta sembrano oggi portare una luce di comprensione.
Gesù – oltre al fondamentale Discorso della montagna tenuto ad una folla di discepoli e seguaci all’inizio del secondo anno della sua vita pubblica, discorso che come abbiamo spiegato nel primo volume era in realtà consistito in sette differenti discorsi che sono il fondamento dell’etica e della spiritualità cristiana  e che vennero fatti ognuno in sette giorni successivi -  aveva tenuto nel terzo anno altri discorsi importantissimi come quello sul ‘Pane del Cielo, sulla vera natura del Regno di Dio, sulla vera natura del Cristo, il discorso inoltre dell’Acqua Viva, della ‘Luce nel mondo’, del ‘Buon Pastore’.
Tutti discorsi pronunciati a Gerusalemme e che gli erano anche costati dei tentativi di lapidazione.
Ora – all’inizio del quarto anno di vita pubblica, negli ultimi giorni di vita che precedono la Pasqua– Gesù pronunzierà il suo ultimo importante discorso, il discorso ai Gentili riportato da Giovanni e che voi troverete in nota.1
Gesù lo tiene nel corso della cosiddetta settimana santa ma dobbiamo ora cercare di collocarlo temporalmente con maggior precisione.
Nell’episodio del Vangelo di Giovanni immediatamente successivo a questo episodio dei ‘Gentili’, l’evangelista parla della ‘lavanda dei piedi’ che sappiamo avvenne la sera del Giovedì santo, nel corso dell’ultima Cena.
Subito dopo la ‘lavanda’ - cioè dopo la sera del Giovedì santo che si conclude con l’Ultima Cena - Gesù verrà arrestato e non aprirà quasi più bocca nè di fronte ai Sacerdoti e ai Farisei del Sinedrio, nè di fronte ad Erode Antipa, nè tantomeno a Pilato.
Proviamo allora a scoprire insieme in quale giorno si è tenuto, con un occhio attento alla  cronologia degli avvenimenti di questa settimana, oltre che a quanto narrato negli altri tre vangeli di Matteo, Marco e Luca.2
Matteo e Marco – descritta la giornata di quella che noi nel ‘nostro’ calendario cristiano abbiamo poi chiamato ‘Domenica delle palme’ – dicono che il mattino dopo (e cioè il ‘nostro’ Lunedì) - tornando a Gerusalemme, Gesù ebbe fame ma, trovato un fico senza frutti, lo ‘maledisse’, e quello seccò all’istante.3
Su questo episodio e sul suo significato simbolico ci vorrebbe un commento a parte. Gesù non voleva certo prendersela, come un vandalo, contro una povera pianta di fico, ma voleva colpire la nostra intelligenza ed immaginazione facendoci capire al di là di ogni nostra tergiversazione cosa significa per noi il non dare i ‘frutti’ che il Padre – nel creare le nostre anime – si è atteso da noi.
Questo concetto di essere tenuti a dare i ‘frutti’ è parte anche della parabola che Gesù racconterà poco dopo nella stessa giornata del ‘nostro’ Lunedì: quella dei vignaioli perfidi che, ricevuta in consegna dal Padrone una vigna perché gliela facessero rendere, decidono di sfruttarla per proprio esclusivo tornaconto, bastonano i servi mandati dal ‘Padrone’ a riscuoterne i proventi. E quando il Padrone decide di inviare il Figlio, che certo essi non dovrebbero osare malmenare, quelli lo uccidono.
Immaginatevi con quale reazione del 'Padrone', poi.4
L'allusione  a quanto avrebbero voluto fare, e anzi avrebbero poi fatto, a Gesù i suoi nemici era abbastanza trasparente ed ai sacerdoti del Tempio, vignaioli spirituali della vigna spirituale del Signore, ed ai Farisei, nel sentire quella parabola gli saranno fischiate le orecchie…!
Poi, sempre nella stessa giornata del Lunedì, c’è l’episodio (che nel Vangelo di Matteo è riportato prima di quello dei vignaioli perfidi) in cui, al Tempio, i sacerdoti chiedono mellifluamente a Gesù con quale autorità egli parlasse.5
Essi volevano metterlo in imbarazzo nella risposta, sottintendendo che egli non aveva alcuna autorità per insegnare nel Tempio né aveva ricevuto alcun mandato da loro che del Tempio erano custodi e gestori, né egli proveniva d’altro canto dalle loro prestigiose scuole di rabbi: egli infatti era un ‘signor nessuno’, falegname figlio di falegname.
Gesù – che non era certo tipo da farsi prendere in castagna – elude abilmente la domanda e replica che anch’egli porrà loro una domanda e se essi risponderanno egli risponderà loro a sua volta.
Questi conoscono ormai per esperienza la straordinaria perspicacia ed abilità dialettica di Gesù e - per non compromettersi pubblicamente dicendo quello che pensano nel loro intimo - preferiscono non rispondere.
Allora Gesù aggiunge che, se essi non vogliono dare risposta a lui, Egli non vede perché lui dovrebbe dare risposta a loro… e li lascia lì con un palmo di naso.
Il Lunedì mi sembra a questo punto una giornata abbastanza piena che non ha spazi per quel lungo discorso ai Gentili che Giovanni cita e che abbiamo letto all’inizio di questo capitolo.
L’Evangelista Marco (Mc 11, 20-26) racconta da parte sua che - dopo l’episodio della maledizione del fico (che ora sappiamo era successo il Lunedì) - la mattina dopo, come ripassarono, rividero lo stesso fico, ma completamente secco, seccato fin dalle radici.
La ‘mattina dopo’ di cui parla Marco è quella del giorno in cui  – sempre leggendo anche i vangeli di Matteo e Luca - Farisei ed Erodiani, per ‘incastrare’ Gesù ed accusarlo di sedizione di fronte al potere politico dei Romani, gli domandano – come abbiamo avuto occasione di accennare in precedenza – se era lecito pagare il tributo a Cesare.6
Gesù, fattosi dare una moneta sulla quale campeggia l’effige di ‘Cesare’, effige che forse era quella dell’imperatore Tiberio, risponderà ironicamente e maliziosamente da par suo come sappiamo: ‘Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio’.
Gli ebrei – come noi oggi – odiavano pagare le tasse, ma quelle a Cesare poi…
Se Gesù avesse risposto di sì era un nemico del popolo di Israele, se avesse risposto di no lo sarebbe stato di Roma.
Poi è la volta dei sadducei – quella dovette essere una giornata pesante! – che lo avvicinano e gli pongono un malizioso quesito.
La legge ebraica prevedeva che se un uomo moriva senza aver potuto avere figli dalla moglie e se egli aveva dei fratelli, questi avrebbero dovuto sposarla per dare una discendenza al loro fratello morto.
La premessa dei sadducei è dunque sostanzialmente questa: c’eran sette fratelli, il primo s’ammala, muore, non ha figli ma lascia una vedova. Se la prende il secondo, che però muore, anche lui senza figli. Quindi la vedova se la prende il terzo, e così via fino al settimo, perché evidentemente doveva esser proprio bella, finchè muore anche quello.
Domanda a Gesù dei Sadducei (i quali - e questo è il punto – non credevano minimamente alla risurrezione finale dei corpi di cui parlava invece Gesù, resurrezione nella quale credeva invece la setta dei Farisei): ‘Se tutti i fratelli dovessero risorgere, chi è che si prende la moglie visto che nel frattempo è stata ‘moglie’ di tutti e sette?’.
Al che Gesù sorvola sulla malizia e spiega una grande verità7: il matrimonio ed il sesso esistono solo in questo mondo materiale, finchè gli uomini sono ‘spiriti in carne animale’, ma – al momento della risurrezione dei morti e dei corpi non vi sarà più chi si sposa o chi si marita perché gli uomini vivranno di spiritualità, un po’ come gli Angeli in cielo che – si sa – non hanno sesso: gli uomini (che avranno a quel punto un corpo ‘glorificato’ come quello del Gesù risorto) saranno cioè privi degli impulsi ‘sessuali’ della ‘carne’.
In definitiva, tutti questi episodi, cioè del giorno dopo che il fico era stato seccato, devono aver fatto parte del Martedì santo.
Neanche in questa giornata così intensa avrebbe potuto starci un discorso così importante, lungo e complesso come quello che Gesù fa ai Gentili.
Passiamo ora al mercoledì.8
Marco e Matteo9 raccontano che i farisei - saputo essi che (il giorno prima) Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei con quella storia della spiritualità ed asessualità degli uomini alla risurrezione dei corpi - decidono di chiedergli quale è il maggiore dei comandamenti.
Figuratevi se Gesù non lo sapeva: ‘Amerai il Signore Dio tuo…!’.
Poi  nello stesso giorno c’è l’episodio dell’obolo della vedova povera10, e  l’altro - raccontato da Matteo, Luca e Marco - sulla tremenda invettiva contro gli scribi (i ‘teologi’ di allora, così esperti nelle cose di Dio ma che davano così cattivo esempio) e contro i farisei, che erano come loro.11
Infine – usciti dal Tempio – vi è la predizione sulla futura distruzione del Tempio e della città di Gerusalemme di cui abbiamo già a lungo parlato, con la profezia, ancora più tremenda, sulle future tribolazioni e  sui cosiddetti ‘tempi ultimi’ dell’Umanità descritti anche nell’Apocalisse di San Giovanni.
Una giornata, quel mercoledì, che più piena di così non si potrebbe immaginare: neanche qui c’è spazio per il discorso che Gesù ha fatto ai Gentili.
Concludendo, quest’ultimo episodio dei Gentili che Giovanni racconta, e che precede il racconto della ‘lavanda’ del Giovedì sera, per deduzione non può essere avvenuto che nella giornata di Giovedì.12
Quindi, mentre gli altri evangelisti hanno raccontato tutti gli episodi salienti del Lunedì, Martedì e Mercoledì, Giovanni è saltato a piè pari dalla Domenica delle palme al Giovedi successivo.
Perché? Perché ve l’ho già detto: a Giovanni piacevano particolarmente tutti i grandi discorsi di Gesù che avessero sfondo teologico-dottrinario, come appunto quello fatto ai Gentili che fra poco vi spiegherò meglio.
Riassumiamo però intanto la ‘settimana santa’:
. Lunedì:  dopo l’ingresso trionfale della Domenica in Gerusalemme, all’indomani  Gesù vi ritorna. Cammin facendo vede un fico che viene maledetto perché non dà frutti,  parabola dei vignaioli perfidi, domanda  trabocchetto su da dove provenisse la ‘autorità’ con la  quale Egli osava insegnare al Tempio.                                                                         
. Martedì: la mattina ripassano davanti al fico secco, quesito sulle tasse da pagare a Cesare. Quindi domanda dei sadducei sulla risurrezione dei corpi e sulla sessualità  degli uomini dopo quel momento.
. Mercoledì: quesito dei Farisei a Gesù su quale dovrebbe essere il massimo dei comandamenti, l’obolo della vedova povera, invettiva contro scribi e farisei, predizione della futura distruzione del Tempio e di Gerusalemme, profezie sugli ‘ultimi tempi’ dell’Umanità.
. Giovedì: in giornata,  discorso di Gesù ai Gentili e, la sera, inizio della Pasqua ebraica , ultima Cena, poi l’arresto nel Getsemani.
. Venerdì: (fra la notte del Giovedì e l’alba di Venerdi) processo sommario davanti al Sommo Sacerdote e al Sinedrio, da Pilato, da Erode Antipa, nuovamente da Pilato, flagellazione, condanna a morte, Calvario, crocifissione, deposizione, sepoltura.
. Sabato: per gli ebrei è giorno di festa ma per Maria SS. è angoscia tremenda, anche se lei si sforza di credere incrollabilmente alla Risurrezione.
. Domenica: le donne vanno al Sepolcro e lo trovano vuoto! Gli apostoli non credono alla Resurrezione fino alla apparizione di Gesù quella sera nel Cenacolo. Finalmente è Pasqua, festa anche per noi cristiani!
7.2 È venuta l’ora nella quale deve essere glorificato il Figlio dell’Uomo.
Chiarita così la cronologia degli avvenimenti, riprendiamo ora il commento del brano di Giovanni sul discorso di Gesù ai Gentili citato in nota all’inizio di questo capitolo.
Fra tutte le moltitudini presenti a Gerusalemme e al Tempio, vi erano quelle che provenivano dal resto del territorio di Israele e dai territori della Diaspora. Quelli della Diaspora erano gli Israeliti di religione ebraica che abitavano all’estero, nei paesi pagani.
Ma vi erano anche gli stessi pagani, cioè i Gentili, spesso assai colti, che venivano lì per ascoltare, incuriositi, le lezioni dei grandi rabbi ma soprattutto quelle di Gesù che non disprezzava i pagani, anzi, e che appariva uomo di grandissima sapienza, anche filosofica: il che, per essi che erano di cultura ellenista, cioè cultori del pensiero di uomini eccezionali come Socrate e Platone, non era cosa di poco conto.
I Gentili, in teoria, adoravano divinità pagane ma – in un mondo ellenizzante culturalmente evoluto grazie alle lettere, al teatro, alla medicina, alle arti in genere e alla filosofia – essi si rendevano conto dei ‘limiti’ delle loro religioni idolatriche, e delle loro divinità antropomorfe che – più che i pregi – sembravano avere i difetti degli uomini.
L’idea che l’uomo potesse avere veramente un’anima li affascinava, come pure l’elevatezza della dottrina d’amore che Gesù andava predicando.
In un mondo dove la schiavitù era un fatto sociale ed economico universalmente accettato, quella dottrina – non in termini ‘sociologici’ di eguaglianza ma di amore - toccava le corde più profonde del cuore.
La predicazione di Gesù apriva orizzonti vastissimi in quelle menti, vissute nel paganesimo fino ad allora ma che ora cominciavano ad aver sete di spiritualità, mentre gli israeliti -  nati nella spiritualità - ora stavano da secoli vivendo nel paganesimo spirituale: la superbia dei cuori dei loro Capi.
Ora – nel racconto di Giovanni - quei Gentili, venuti da lontano, quel Gesù di cui avevano tanto sentito parlare vorrebbero vederlo e sentirlo da vicino, fargli delle domande, ottenere delle risposte da portarsi dietro nel loro paese d’origine.
Per la calca non riescono ad avvicinarsi e allora, capito che Filippo doveva essere un ‘apostolo’, lo interpellano chiedendogli il favore di fargli ‘vedere’ Gesù.
Filippo dà di voce all’altro apostolo Andrea, e poi entrambi lo dicono a Gesù che – alzata la testa verso i Gentili - li guarda da lontano ad occhi socchiusi ed annuisce.
In qualche modo quelli riescono a fendere la muraglia di folla e ad avvicinarsi e si svolge un dialogo con domande e risposte.
Che quelle di Gesù, le uniche che Giovanni riporta, siano ‘risposte’ a delle specifiche domande che dovevano essergli state fatte lo si arguisce dal ‘senso’ oltre che dal fatto – di per sé evidente – che è lo stesso Giovanni che scrive nel suo Vangelo «Gesù ‘rispose’ loro…».
Inoltre, dal senso delle risposte di Gesù, possiamo intuire il tenore delle domande che i Gentili gli devono aver rivolto.
E visto che Giovanni le domande – nel suo Vangelo - non le ha riportate, ci proveremo noi a metterle qui.
Quante volte, in questi ultimi tempi, i Gentili gli avevano sentito fare quei discorsi sulla propria morte e sulla propria divinità, e sul suo essere ‘Figlio di Dio’.
Domanda: Poteva allora mai, un Figlio di Dio, morire?
‘Sì - risponde Gesù - perché ormai (siamo al Giovedì Santo, poco prima della cattura, il giorno prima della crocifissione e conseguente Redenzione dell’Umanità) è venuta l’ora della gloria del Figlio dell’Uomo’.
Gloria perché Egli era Verbo, e nonostante fosse stato Dio Egli aveva accettato di incarnarsi in una carne umana, insomma in una carne ‘animale’ sia pur dotata d’anima, patendo le miserie dell’umanità, ed accettando altresì di soffrire, e fino ad una morte di croce, pur di ottenere – grazie al suo Sacrificio – il perdono del Padre per l’Umanità che avrebbe potuto così – attraverso il suo insegnamento – riscoprire le sue origini spirituali e percorrere la strada che l’avrebbe portata alla salvezza.
Ora – giorno di Giovedì della settimana santa - Gesù era arrivato ormai alla fine del cammino ed era prossimo alla vetta del Golgota, che era la vetta del suo Sacrificio di Uomo-Dio, ed era quindi anche la vetta della sua ‘Gloria’ in quanto manifestazione eccelsa di Sofferenza d’Amore.
‘Ma comeavran detto i Gentiliè proprio necessario che un Dio debba morire per questo’?
E Gesù: ‘Vi insegno una grande verità, che potrete verificare guardando la natura che avete intorno: è la morte che dà la vita, nel campo spirituale come in quello materiale. Il granello di frumento deve ‘morire’, marcendo nella terra, per produrre la spiga, così come – per acquistare la vita spirituale – l’uomo-animale deve morire a se stesso, deve far morire l’uomo vecchio per far nascere l’uomo nuovo. Morire a se stessi significa combattere il proprio io, frutto del ribaltamento di valori spirituali dovuto al Peccato originale, e combattere l’io significa distaccarsi dai valori del mondo. Chi ama i valori del mondo, cioè la materialità in senso lato, perderà la vita spirituale. Chi accetta di distaccarsi dai valori del mondo, spiritualizzandosi, guadagnerà la vita eterna. Chi vuol servirmi, mi imiti e sarà mio ‘servo’, mio ‘collaboratore’, e se uno diventa mio servo, il Padre lo ricompenserà. Oggi però la mia anima di uomo è turbata. La mia fine si avvicina. Che dovrei dire, allora: ‘Padre, salvami da quest’ora!’? Ma è appunto per questa che io sono venuto in terra, per morire come il grano e portare frutto. Padre, dirò invece, dai gloria al tuo nome!’.
Credo che Gesù dovesse aver alzato le braccia e gli occhi al Cielo mentre diceva queste ultime parole ispirate.
E il Padre – nel Vangelo di Giovanni - non si fa attendere e, come già era successo al battesimo del Giordano, risponde dal cielo con una voce di tuono: ‘L’ho glorificato e ancora lo glorificherò’,.
Non so se il Padre avesse parlato in ebraico, o se si fosse semplicemente fatto sentire telepaticamente come una voce di rombo nella testa delle persone, fatto sta che la folla scambia questa voce che pareva venire dal cielo come una sorta di tuono, ma altri – che dovevano intendersene un po’ di più di queste cose e che soprattutto avevano colto il senso di quelle parole – esclamano: ‘Un Angelo gli ha parlato!’.
E Gesù – dopo quella pausa di disorientamento -  precisa: ‘Non per me, ma per voi è venuta questa voce’.
Intendendo con ciò dire che il Padre aveva parlato per confermare loro le parole che Gesù aveva prima detto, anche in ordine alla sua divinità.
E Gesù continua: ‘Ora si fa giustizia di questo mondo, ora il principe di questo mondo sarà cacciato fuori. Ed io, quando sarò innalzato da terra, trarrò a me tutti gli uomini’, il che significa: ‘Con la mia venuta in terra è tornata a farsi sentire la Giustizia di Dio. L’Angelo ribelle che aveva provocato la caduta dell’Uomo facendosi Principe del mondo ne verrà cacciato fuori, perché l’uomo, grazie ai miei insegnamenti e soprattutto al mio Sacrificio in Croce, potrà di nuovo salvarsi e tornare in Cielo’.
Giovanni osserva che Gesù parlava di ‘innalzamento da terra’ per alludere alla sua prossima morte in croce.
Ma alcuni - e non dovevan questi ultimi essere Gentili ma, dalle domande che fanno, giudei – che non conoscevano il futuro ma soprattutto il valore del Sacrificio di un Dio, e nemmeno che il ‘Cristo’ di Dio potesse morire, e che pensavano che ‘innalzarsi da terra’ significasse essere ‘esaltati’ per onori terreni, obbiettano: ‘Se La Legge e i Profeti dicono che il Cristo sarà eterno, come puoi tu – se sei il Cristo -  parlare di morte? E come puoi dire tu che il Figlio dell’Uomo sarà ‘innalzato’. E cosa è poi mai questo ‘Figlio dell’Uomo’ di cui tu parli sempre? Chi sei tu, il Cristo o il Figlio dell’Uomo?’.
Insomma, nonostante fosse l’ultimo giorno di tre anni di predicazione, non si può dire che i giudei avessero le idee chiare.
E Gesù, più o meno: ‘Io sono il Cristo e sono anche l’Uomo, perché sono il Verbo di Dio che si è incarnato in un Uomo. E state attenti. Approfittatene finchè potete, cioè finchè Io - che son Luce - sono con voi.
Fate attenzione che non vi sorprendano le tenebre, perché chi cammina nel buio spirituale può perdersi. Se crederete nella Luce, e praticherete la Dottrina che vi ho insegnato, diventerete  ‘figli della Luce’, e vi salverete’.
Il discorso è finito, Gesù se ne va e quelli sfollano, probabilmente con ancora molte incredulità in testa, come vedremo il giorno dopo quando – sobillati da Satana e dai Capi dei Sacerdoti –  molti di loro inneggeranno alla sua crocifissione, visto che non avevano capito che quel suo ‘innalzamento da terra’ sul quale Egli contava tanto fosse proprio quella.
Giovanni osserva che a nulla erano serviti – per indurli a credere - tutti i miracoli che Gesù aveva fatto e ne dà spiegazione citando una famosa profezia di Isaia: ‘Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione? E a chi è stato rivelato il braccio del Signore?’.
Non potevano credere, continua Giovanni, perché Isaia aveva anche detto: ‘Egli ha accecato i loro occhi e indurito i loro cuori, affinchè con i loro occhi non vedano e con il cuore non intendano, e si convertano e li risani’.
L’apparente significato di queste parole di Isaia può sembrare un assurdo.
È mai possibile che Dio deliberatamente accechi e indurisca nel cuore quelli che non credono in Gesù perché non si salvino?
Come fanno a salvarsi se Dio li acceca? E’ colpa di Dio allora, se questi non capiscono e non si convertono?
Il significato è però un altro, e ve lo avevo già in qualche modo spiegato nel precedente volume.
Dio è Dio di tutti, Dio dei ‘buoni’ e anche dei ‘cattivi’, che cerca in ogni modo di redimere.
Quando però vede che i cattivi non sono ‘cattivi’ per ignoranza, ma per mala volontà e che non vogliono ascoltare la sua Parola perché la disprezzano, ebbene Dio – respinto – li priva della sua Luce, lascia che il loro occhio spirituale non capisca, che il loro ‘cuore’ non senta la illuminazione dello Spirito Santo che parla e quindi lascia che essi – volontariamente – si perdano, come a questo punto però essi meritano.
Ed è quel che Gesù – perché leggendo bene il brano di Vangelo si intuisce che, dopo essersene andato, Egli deve aver ripreso da qualche altra parte il discorso con qualcun altro – ribadisce poco dopo: ‘Io sono venuto per insegnare agli uomini la Verità e per salvarli, non per condannarli. Ma ricordatevi che chi disprezza le mie parole avrà – nel momento del giudizio particolare - chi lo condanna, cioè il Padre, perché quel che Io son venuto a dire non sono parole mie ma parole del Padre, che è quello che mi ha mandato’.


1  Gv 12, 20-50: Fra quelli che erano saliti ad adorare per la festa, v’erano alcuni Gentili.
Questi s’accostarono a Filippo, che era di Betsaida in Galilea, e lo pregarono dicendo: «Signore, desideriamo vedere Gesù».
Filippo va a dirlo ad Andrea, poi Andrea e Filippo lo dicono a Gesù.
Gesù rispose loro: «E’ venuta l’ora nella quale deve essere glorificato il Figlio dell’Uomo. In verità vi dico: se il granello di frumento, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde; e chi odia la sua vita in questo mondo, la salverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire, mi segua: e dove sono Io, ivi sarà pure il mio servo; se uno mi serve, il Padre mio l’onorerà.
Adesso l’anima mia è conturbata! E che dirò? Padre, salvami da quest’ora! Ma è appunto per questo che io sono venuto in quest’ora. Padre glorifica il tuo nome!».
Allora dal cielo venne una voce: «L’ho glorificato e ancora lo glorificherò».
La folla che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono.
Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato».
Allora Gesù prese a dire: «Non per me, ma per voi è venuta questa voce. Ora si fa giustizia di questo mondo, ora il Principe di questo mondo sarà cacciato fuori. Ed io, quando sarò innalzato da terra, trarrò a me tutti gli uomini».
Ciò diceva per significare di qual morte doveva morire.
Gli rispose la folla: «Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in eterno: come puoi tu dire che il figlio dell’uomo deve essere innalzato? Chi è questo Figlio dell’uomo?».
Gesù rispose loro: «Ancora per poco tempo la Luce è con voi. Camminate mentre avete la Luce, affinchè non vi sorprendano le tenebre; perché chi cammina nel buio, non sa dove va. Finchè avete la luce, credete nella luce, così diventerete figli della luce».
Queste cose disse Gesù, poi se ne andò e si nascose da essi.
Ma sibbene avesse fatto così grandi miracoli davanti a loro, non credevano in lui, affinchè s’adempisse la parola del Profeta Isaia: «Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione? E a chi è stato rivelato il braccio del Signore?».
Non potevano credere perché Isaia aveva pure detto: «Egli ha accecato i loro occhi e indurito i loro cuori, affinchè con gli occhi non vedano e con il cuore non intendano, e si convertano e li risani».
Tali cose disse Isaia, allorchè vide la sua gloria e di lui parlò.
Tuttavia molti dei capi credettero in lui; però, per paura dei Farisei, non lo confessavano, per non essere cacciati dalla sinagoga.
Preferivano la gloria degli uomini alla gloria di Dio.
Gesù esclamò a gran voce: «Chi crede in me, non crede in me, ma in Colui che mi ha mandato. Chi vede me, vede Colui che mi ha mandato. Io, la Luce, sono venuto nel mondo affinchè chiunque crede in me non resti nelle tenebre.
Se uno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno, poiché non sono venuto a condannare il mondo, ma a salvarlo. Chi disprezza me e non riceve le mie  parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato, quella lo condannerà nell’ultimo giorno. Perchè io non ho parlato di mio; ma il Padre stesso che mi ha mandato mi ha prescritto quello che devo dire e insegnare. E io so che il suo comando è vita eterna. Ciò che dico, dunque, lo dico come lo ha detto a me il Padre».
2  G.L.: ‘Il Vangelo di Giovanni…’ – Vol. III, Cap. 5 – Ed. Segno
 M.V.: ‘L’Evangelo…’ – Vol. IX, Cap. 598 – C.E.V.
3  Mt 21, 18-19
  M.V.: ‘L’Evangelo…’ – Vol. IX, Capp. 592-593
4  Mt 21, 33-46
5  Mt 21, 23-27
6  Mt 22, 15-33
  M.V.: Opera citata, Vol. IX, Capp. 594,595
7  Mc 12, 18-27
8  M.V.: Opera citata, Vol. IX, Capp. 596, 597
9  Mt 22, 34-40
10  Mc 12, 41-44
11  Mt 23, 1-39
12  M.V.: Opera citata, Vol. IX, Cap 598
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