Apo-12 - ilCATECUMENO.it

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12. L’Anticristo prossimo venturo (1)
12.1 Ragioniamo insieme per capire dove possono nascondersi meglio e fare maggior danno i veri ‘posseduti’ della nostra società umana
Nei capitoli iniziali abbiamo sommariamente ma pur compiutamente illustrato la struttura logica e temporale dell’Apocalisse.
Negli ultimi capitoli abbiamo ragionato e siamo arrivati a sospettare che noi non solo stiamo vivendo l’epoca della Chiesa di Laodicea con l’apertura del settimo sigillo, ma che nell’ambito di questo sigillo noi potremmo forse collocarci – data la gravità della situazione mondiale e della stessa Apostasia dei cristiani – in un periodo di tempo non troppo anteriore al periodo che caratterizzerebbe l’apparizione manifesta dell’Anticristo.
Pertanto non sarebbe proprio da escludere che – in questi primi mesi dell’anno 2007 in cui sto scrivendo – noi ci si trovi nella fase della quinta tromba al cui squillo l’Apocalisse dice che un astro precipiterà dal ‘cielo’ sulla Terra e che si apriranno le porte dell’inferno.
L’astro che precipita sulla superficie terrestre potrebbe forse simbolicamente rappresentare l’impatto tremendo per l’Umanità costituito dalla manifestazione dell’Anticristo.
L’apertura delle porte dell’Inferno significherebbe l’uscita di legioni di demoni pronti a sostenerlo e sarebbe il segnale d’inizio della grande battaglia di Armagheddon.
Le cose, però,  difficilmente succedono di colpo, le stesse guerre umane vanno preparate e pianificate a lungo dagli strateghi, dunque l’Anticristo-uomo dovrebbe già essere all’opera in nascondimento in attesa di scatenarsi solo successivamente in maniera che poi sarà ad un certo punto manifesta a tutti.
Se dunque i tempi non sono lontani, potremmo cercare di farci una idea più precisa sulla sua possibile identità.
Avevamo detto che quando parliamo dell’Anticristo dobbiamo innanzitutto pensarlo come ‘spirito dell’Anticristo’ e che quindi, in quanto tale, esso rappresenti una qualche importante ‘entità demoniaca’ che si sprigiona dall’inferno e si diffonde come un gas sulla Terra offuscando le menti ed influenzando la condotta degli uomini.
Se quindi siamo di fronte ad uno spirito infernale, non ci è difficile immaginare che esso possa ‘possedere’ degli uomini.
È opinione comune che i posseduti siano solo quelle persone che – dando in escandescenze – profferiscono terribili bestemmie con voce da cavernicoli ed occhi spiritati.
Queste – tranne i casi di malattie mentali – possono in effetti essere manifestazioni di persone cadute vittime del demonio, non di rado senza una loro specifica volontà ma per un insieme di circostanze che non vi elenco perché altrimenti finiremmo per scrivere qui un trattatello esorcistico.
Ma i veri posseduti, i più pericolosi, sono gli ‘insospettabili’, quelli dei quali mai più direste – al guardarli e al sentirli – che possano essere ‘anormali’.
Se voi foste al posto dell’astutissimo ed intelligentissimo Satana – ma non ve lo auguro certamente – chi decidereste di asservire per conseguire i vostri fini che sono sempre, sempre, fini di distruzione dell’Umanità in odio a Dio per trasformare i potenziali ‘figli di Dio’ in ‘figli di Satana’?
Se non ci avete ancora pensato ve lo dico io: gli ‘opinion leaders’!
Questi personaggi – sia ben chiaro non tutti, ovviamente, ma solo alcuni – hanno di norma una collocazione ai vertici dei propri ambienti sociali.
Nella loro posizione, se alcuni di essi lo vogliono, sono in condizione di ‘orientare’ – convinti di seguire le ‘proprie’ idee e senza neanche rendersi conto di essere degli ‘strumenti’ teleguidati da entità spirituali – le scelte delle persone che per una ragione o per l’altra dipendono dalle loro decisioni o propendono - per ragioni culturali, di interesse o ideologiche - a seguirne le indicazioni.
Quali sono però gli ‘ambienti sociali’ dai quali è più facile influenzare il comportamento degli uomini?
La risposta ce la danno la Storia e l’esperienza di ogni giorno: la politica, la cultura e la religione.
Dobbiamo però fare attenzione.
La ‘politica’ non è in sé negativa, anzi è una cosa necessaria alla organizzazione ed allo sviluppo della società, che altrimenti cadrebbe nell’anarchia. La vera politica va intesa come l’arte di organizzare quanto meglio possibile la convivenza fra persone con aspirazioni, interessi e necessità diverse. La ‘politica’ diventa però negativa quando non è indirizzata ai suoi fini corretti ma ad obbiettivi di puro egoismo e potere come espressione dello spirito di potenza e prevaricazione umana.
La ‘cultura’ è positiva, perché è quella che fa crescere intellettualmente e – anche con la sua scienza e  tecnologia -  fa progredire gli uomini. Essa diventa però un veleno micidiale quando le sue teorie, ideologie e scoperte scientifiche minano l’integrità morale e spirituale degli uomini oltre che la loro sicurezza fisica e la pace in senso generale.
La ‘religione’ – intesa in senso lato come sfera di interessi volti alla ricerca di Dio e del Bene – più che utile è indispensabile, perché coloro che cercano veramente Dio – oltre a salvarsi l’anima - sono un elemento di equilibrio e di ordine sociale e familiare.
Niente più del precipitare morale e spirituale dei capi religiosi trascina tuttavia le masse nella loro caduta. Se poi essi interpretano Dio nel modo sbagliato o lo asservono a propri inconfessabili interessi, magari anche politici, ecco che il disastro diventa completo. Quando politica di potenza e religione vanno entrambe a braccetto, quando nemmeno la religione controbilancia gli effetti negativi della politica, allora è il principio della fine.
Se la religione deve dunque svolgere il ruolo di barriera contro il Male, è innanzitutto ad essa che dobbiamo guardare per vedere se possiede gli anticorpi per resistere al virus micidiale del Nemico.
12.2 La disfatta della Fede fra i teologi
Quale è allora oggi la situazione degli ‘anticorpi’, e cioè della Fede nella Chiesa?
La Chiesa è da qualche tempo impegnata a livello mondiale con i suoi uomini migliori per la difesa di valori quali il diritto alla vita nel senso più lato, la famiglia e l’integrità dell’istituto matrimoniale, per citare solo un paio di questi temi.
Mi hanno però colpito – limitandomi all’Italia – talune recenti prese di posizione di certi arcivescovi ‘progressisti’ che, dopo un intervento del Pontefice Benedetto XVI su questi argomenti, si sono affrettati a farsi intervistare per mettere formalmente in dubbio la validità della parola del Pontefice minandone contemporaneamente di fronte a tutto il mondo l’Autorità religiosa e È una delle tante sfaccettature del modernismo: la Chiesa per essere ‘politicamente corretta’ non dovrebbe tanto sostenere l’immutabilità dei principi spirituali che vengono da Dio e dalla Legge naturale, quanto adeguarsi a quello che è il ‘sentire comune’ della società, i cui valori sono peraltro in caduta libera e comunque si modificano con il ‘progresso’ della società.
Posizioni – quelle di quei prelati di alto livello - che sono sostanzialmente arroganti e ribelli e che ottengono lo scopo di disorientare i fedeli facendo inoltre il gioco dei nemici politici della Chiesa che fanno cinicamente leva su queste dichiarazioni per amplificarle attraverso i mass-media e stringere la Chiesa sempre più in un angolo presentando i sostenitori della sana e bimillenaria Tradizione come retrogadi e bigotti oscurantisti.
Sono posizioni che denotano in troppi uomini di Chiesa odierni non una caduta della loro fede, ma una disfatta.
A questo riguardo il Sito internet di ‘Storia libera’ riportava poco tempo addietro un interessante articolo - che appare firmato dal già citato noto scrittore e giornalista cattolico Antonio Socci - il cui contenuto, per un credente che non abbia famigliarità con certi teologi, è per molti aspetti disarmante.
Avrei voluto sintetizzarvelo per ragioni di spazio ma è bene che vi rendiate conto voi stessi di che aria tira quanto alla fede di molti illustri teologi.
Leggiamolo dunque insieme, sapendo che i ‘grassetti’ sono miei:
IL TEOLOGO NON VEDE E NON TOCCA
(Drewermann e la storicità della risurrezione)  .
È il 1970.
Paolo VI, dopo la grande testimonianza data alla Chiesa e al mondo con il 'Credo del popolo di Dio' del 30 giugno '68, in parecchi drammatici discorsi parla dell'«ora inquieta della Chiesa», vede su di essa «nuvole, tempesta, buio», denuncia la penetrazione dentro le sue volte del «fumo di Satana».
Proprio in questi mesi Paolo VI riesce a realizzare un suo grande desiderio per confermare il fondamento della fede: «Et resurrexit tertia die», un grande simposio internazionale sulla resurrezione di Gesù.
Il titolo fu proprio «Resurrexit». Alla fine gli studiosi furono ricevuti dal Papa.
«Ricordo che Paolo VI parlava in francese» dice il padre Ignace de la Potterie «e sottolineò i due capisaldi storici della testimonianza degli apostoli: la tomba vuota e le apparizioni di Gesù risorto. Il come e il quando della resurrezione è un mistero, ma resta il 'fatto' e qui Paolo VI scandì bene queste parole: "Il fatto empirico e sensibile delle apparizioni pasquali". Ed aggiunse un monito che colpì molti di noi: "Se non manteniamo la fede in questo fatto empirico e sensibile trasformiamo il cristianesimo in una gnosi”».
Era anche un grido di allarme... Poi accadde un piccolo incidente.
Racconta padre De La Potterie: «Quando, nel 1974, uscirono gli Atti del simposio con l'allocuzione pontificia, pubblicati dalla Libreria editrice vaticana, quella frase - essendo stata pronunciata a braccio - non c'era».
Una metafora di ciò che doveva avvenire nella Chiesa. Nelle scorse settimane alcuni giornali hanno avanzato delle conclusioni: nella Chiesa si è tacitamente smesso di credere al fatto storico della resurrezione ed alla prova costituita dalle apparizioni «empiriche e sensibili» di Gesù.
NUOVI LUTERO?
A Pasqua il settimanale francese L'Express dedica la copertina a Eugen Drewermann.
Il teologo tedesco, autore di veri best seller, che vuol trasformare Gesù Cristo in una favola/terapia psicanalitica, è al centro di un grande battage giornalistico in tutta Europa.
All'Express rivela che i Vangeli non vanno presi alla lettera, il loro carattere infatti è «simbolico».
La resurrezione di Gesù? «E' la sua persona che è resuscitata, non il suo corpo». Infatti «la sua resurrezione ha avuto luogo nel corso della sua vita».
In che consiste questa strana resurrezione?
«Egli si è liberato da un "io" che trae i suoi strumenti dal dominio, dal potere, dal denaro, dalla pretesa di possedere la verità».
Così, ridotto a simbolo, l'avvenimento di Gesù Cristo non ha più niente di «unico»: «Anche altre religioni, per esempio l'antica religione egiziana, conoscono l'idea della divinità che, in forma umana, muore e risorge».
Ad un'agenzia cattolica (la vecchia Informations catholiques) dice: «Bisogna innanzitutto comprendere che la resurrezione non si applica in particolare alla persona di Cristo. Gesù stesso è cresciuto in questa credenza che ha almeno duemila anni più del cristianesimo».
Grazie alle edizioni du Cerf, dei padri domenicani, che hanno invitato il teologo tedesco a Parigi alla veglia di Pasqua, adesso i francesi potranno trovare in libreria tre delle maggiori opere di Drewermann.
Ma c'è di più. L'Express pubblica anche un sondaggio sulla fede dei cattolici francesi. Ne viene fuori che il 25% dei praticanti non crede alla resurrezione di Gesù ed il 48% non crede alla resurrezione dei morti che professa nel Credo.
Per i teologi le cose vanno anche peggio.
Drewermann in una precedente intervista a Der Spiegel aveva dichiarato: «Quello che dico, lo dice la maggior parte dei teologi che trattano la medesima questione. Solo che non lo fanno se non servendosi di proposizioni subordinate limitative che dovrebbero garantire da una eventuale persecuzione dall’alto».
Un'accusa sconcertante? E' vero che gran parte dei teologi contemporanei - come Drewermann- non credono che i resoconti evangelici sulla resurrezione vadano presi alla lettera?
È vero che non credono alla presenza «empirica e sensibile» di Gesù quando tornò fra i suoi dopo la resurrezione?
Ed è vero che nei loro libri dicono con complicate perifrasi ciò che Drewermann scrive apertamente?
«Purtroppo penso di sì» risponde amaramente padre De la Potterie, «e mi sembra che la tendenza a negare la storicità dei Vangeli sia oggi molto diffusa».
Sul fronte opposto sentiamo Rosino Gibellini, che ha appena pubblicato il volume ‘La teologia del XX secolo’ (Queriniana): «Drewermann vuole sottolineare soprattutto il valore simbolico della resurrezione. E' la sua idea. Ma è vero che la maggior parte dei teologi cattolici oggi afferma la 'realtà' della resurrezione, non la 'storicità'».
Sofismi o necessarie distinzioni, ricerca teologica o eresie travestite da astrusi giochi di parole?
Per la verità lo stesso presidente della Conferenza episcopale tedesca, il vescovo Karl Lehmann, uno dei vicepresidenti del Sinodo sull'Europa, ha usato questa distinzione in un'intervista rilasciata il 16 aprile all'agenzia Kna: «Quanto alla 'fattualità storica' della resurrezione di Gesù Cristo, la cosa è complessa. Comunque è un evento reale. La resurrezione di Gesù Cristo da parte di Dio Padre è, strettamente intesa, un avvenimento nella sfera di Dio, che nel suo nucleo non appartiene alla nostra storia. Ma essa si ripercuote in quanto evento nello spazio e nel tempo».
Lehmann, che è stato l'assistente di Karl Rahner, parla difficile per i semplici cristiani.
Non così il cardinale Camillo Ruini che, negli stessi giorni, nell'articolo di Pasqua, comparso sul Messaggero, usava la semplicità di san Pietro e san Paolo: «E' anzitutto una questione di fatto: Gesù è o no risorto? Le testimonianze sono molte, ed alcune sono arrivate a noi in forma diretta e personale da parte dei protagonisti, come ad esempio, e incontestabilmente, quella dell'apostolo Paolo nelle sue lettere. Su questo piano dei dati di fatto nulla di altrettanto attendibile, o anche solo di paragonabile, può essere addotto per negare la resurrezione di Gesù».
LE PROVE.
Perché la teologia è oggi così fumosa e astrusa sulla resurrezione? Ha forse ragione Drewermann?
Come vengono trattati i due capisaldi storici della testimonianza degli apostoli indicati da Paolo VI: il
Sepolcro vuoto e le apparizioni del Risorto?
«Sì» ammette Gibellini «è vero che i racconti delle apparizioni di Gesù sono contestati. Ma è chiarissimo, è ormai assodato che le apparizioni sono racconti credenti della comunità cristiana che presuppongono la fede e non resoconti cronachistici. Perciò hanno tutto un tessuto simbolico».
La prova? «Non sono concordabili fra loro: i racconti delle tre donne, poi la Maddalena, poi Pietro, Giacomo, Gesù in Galilea o a Gerusalemme...»
Ma è corretta questa liquidazione?
Erich Stier, uno storico tedesco dell'antichità, risponde così ai teologi: «Come esperto in storia antica devo dichiarare che le fonti sulla resurrezione di Gesù, con la loro notevole relativa contraddittorietà nel dettaglio, rappresentano per lo storico addirittura un criterio di straordinaria credibilità. Perché se fossero state costruite ad arte da una comunità o da un qualsiasi altro gruppo, formerebbero un blocco completo, chiaro e privo di lacune. Qualsiasi storico, infatti, è particolarmente scettico proprio quando un evento straordinario viene riferito mediante resoconti assolutamente privi di contraddizioni».
Ma Gibellini, e con lui i teologi, è irremovibile: «Con il progresso degli studi biblici questi resoconti non si possono più accogliere come racconti cronachistici: presuppongono la fede».
Ed è questo che si trova scritto nei testi di teologia?
Facciamo una rapida carrellata. Karl Rahner scrive: «Possiamo ammettere tranquillamente che i resoconti, che ci si presentano a prima vista come dettagli storici (historische) degli eventi della resurrezione e rispettivamente degli eventi delle apparizioni, non si lasciano totalmente armonizzare: quindi vanno interpretati piuttosto come rivestimenti plastici e drammatizzanti (di tipo secondario) dell'esperienza originaria "Gesù vive", e non come descrizione di questa stessa nella sua autentica essenza originaria», insomma non vanno interpretati «come esperienza quasi grossolanamente sensibile».
Gli apostoli vedrebbero la resurrezione soprattutto in riferimento al destino di Cristo, «questo destino (e non semplicemente una persona esistente cui in antecedenza è capitato questo e quello) viene spe- rimentato come valido e salvato» (Corso fondamentale sulla fede, Edizioni Paoline, pag. 357).
Rahner è un simbolo.
Quando fu sottoposta ai 1007 studenti della Gregoriana - la più prestigiosa università pontificia - la domanda «quale teologo antico o moderno ha avuto o ha maggiore influenza?» quasi la metà (501) rispose: Karl Rahner (a san Tommaso andarono 203 voti, a sant'Agostino ancora meno).
«Gli antichi, non noi, potevano accettare sic et simpliciter quei racconti» ci spiega ancora Gibellini.
«È ciò che va sotto il nome di "innocenza narrativa". Oggi sappiamo come sono nati quei testi, dove sono nati - nella comunità - e ci guardiamo bene dal prenderli alla lettera come resoconti storici: così salviamo quel nocciolo di realtà che pur vi è dietro. Chiamiamo la nostra "seconda innocenza narrativa"».
Ma quando Paolo VI parlava di presenza «empirica e sensibile» di Gesù risorto non prendeva alla lettera quei resoconti?
Lo stesso Giovanni Paolo II, in un memorabile discorso nel mercoledì, il 25 gennaio 1989, affermava: «Il Risorto "in persona" apparve in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!" Essi infatti "credevano di vedere un fantasma". In quella occasione Gesù stesso dovette vincere i loro dubbi e il loro timore e convincerli che "era lui": "Toccatemi e convincetevi: un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho". E poiché loro "ancora non credevano ed erano stupefatti", Gesù chiese loro di dargli qualcosa da mangiare e "lo mangiò davanti a loro"». Insomma «egli stabilisce con loro rapporti diretti, proprio mediante il tatto. Così nel caso di Tommaso... Li invita a constatare che il corpo risorto, col quale si presenta a loro, è lo stesso che è stato martoriato e crocifisso».
C'è dunque un insegnamento pubblico, ufficiale della Chiesa per il popolo ed un altro, una sapienza nascosta per i dotti, che disprezza la «rozza grossolanità» dei resoconti apostolici? E c'è ancora
qualcuno che prende alla lettera la testimonianza oculare degli apostoli?
«Sì, la manualistica cattolica, ufficiale e scolastica, è la vecchia apologetica. Ma questa posizione che direi "massimalista" oggi non ha più nessun seguito fra i teologi» risponde Gibellini.
«Vi è poi l'estremo opposto, rappresentato da Schillebeeckx, per cui la resurrezione sarebbe il prodotto dell'esperienza di commozione profonda che hanno avuto gli apostoli. E infine vi è una via media
che si può identificare con Walter Kasper».
    
    LA VIA MEDIA, CIOE’ I MODERATI.   
Su questa via media conviene gran parte della teologia cattolica?
«Sì, la cristologia di Kasper (Gesù il Cristo, Queriniana) ha avuto enorme circolazione, è un testo tradotto in tutte le lingue, che raggiunge una sintesi eccezionale. Direi è un'opera che fa testo, che rappresenta il modo in cui la teologia cattolica oggi riflette sulla resurrezione».
Gibellini si riconosce anche lui nella «via media». Cosa dice Kasper? Sui racconti del sepolcro vuoto, per esempio: che non sono «racconti storici», ma «testimonianze della fede». Inoltre: «Gli enunciati della tradizione neotestamentaria della resurrezione di Gesù non sono affatto neutrali: sono confessioni e testimonianze prodotte da gente che crede».
«Le testimonianze sulla resurrezione parlano di un avvenimento che trascende la sfera di tutto ciò che si può storicamente constatare... ciò che è storicamente accertabile non è la resurrezione, ma soltanto la fede che i primi testimoni ebbero in essa».
E Gesù che appare fisicamente ai suoi?
«Questi racconti vanno dunque interpretati alla luce di quanto essi vogliono esprimere, nel loro carattere cioè di legittimazione della fede pasquale... Le apparizioni non sono eventi riducibili ad un piano puramente oggettivo. Chi ne fa esperienza non è l'osservatore distaccato e neutrale... questo loro "vedere" è stato reso possibile dalla fede».
C'è anche in Kasper un'istintiva ripugnanza al materialismo dei racconti evangelici «dove si parla di un Risorto che viene toccato con le mani e che consuma pasti coi discepoli... A prima vista potrebbero sembrare affermazioni piuttosto grossolane, che rasentano il limite delle possibilità teologiche e che corrono il pericolo di giustificare una fede pasquale troppo "rozza"».
Sono accettabili solo se si va oltre la lettera, per ciò che i loro autori volevano esprimere... Anche nel Catechismo per adulti dei vescovi tedeschi, redatto appunto da Kasper, si legge: «Ogni racconto testimonia la comune fede pasquale delle comunità... Sia le narrazioni, talvolta un pò drastiche, dei pasti consumati con il Risorto, sia i racconti a riguardo della tomba vuota, intendono esprimere simbolicamente la corporeità della resurrezione di Gesù».
E' questa la «seconda innocenza» sopravvenuta dopo venti secoli cristiani.
Ma c'è chi parla di truffa intellettuale. Padre Daniel Ols, dell'Angelicum, segretario della Società San Tommaso, ci dice: «Non ha senso dire che la resurrezione non è un fatto storico. Un fatto che non sia storico non è un fatto anche se, chiaramente, la resurrezione è un mistero che oltrepassa la storia».
Con un pò d'ironia e un pò di amarezza conclude: «E poi non c'è niente di nuovo: i protestanti-liberali già un secolo fa sostenevano queste idee. E’ merce trita e ritrita. Deriva dall'errore idealista per cui il cristianesimo è una dottrina: tutto il resto è solo un rivestimento mitico che ha per scopo di far capire verità intemporali o norme di azione. L'importante sarebbe comprendere i significati. Dei fatti che ne sono veicoli possiamo anche fare a meno».
Infatti per Drewermann la resurrezione è un'immagine che c'insegna a confidare «nell'amore di Dio più forte della morte».
«Ma sono i fatti che sono opera di Dio!», ribatte Ols.
Lo smarrimento dei cristiani semplici è grande, perché purtroppo anche ai preti nei seminari e nei corsi di aggiornamento vengono insegnate tali teorie e quindi la predicazione domenicale ne risente.
Peggio però se si tratta di cattolici impegnati, più a contatto con i dottori. Qualche tempo fa su una rivista dei padri passionisti del santuario di San Gabriele fu pubblicata una lettera firmata B.Z., da Napoli: «Sto frequentando un corso di teologia per laici» diceva il lettore. «Arrivati a studiare la resurrezione di Cristo, mi si sono confuse le idee. Il professore, un teologo abbastanza noto tra noi, ha cominciato a distinguere tra fatti storici e fatti di fede, tra dati oggettivi ed esperienza personale degli apostoli. Non ci capisco più niente e sento distrutta la mia fede... Insomma, è vero o non è vero che Gesù è risorto?».
Cosa potrei dire per concludere?
Un Gibellini considera ‘massimalista’ la tradizionale visione cristiana insegnata da 2000 anni – quasi come se gli autentici credenti fossero una sorta di categoria di ‘fondamentalisti’ - per cui ‘queste posizioni non avrebbero oggi più alcun seguito fra i teologi’.
Un personaggio di grande rilievo come il Vescovo Karl Lehmann, presidente della Conferenza episcopale tedesca e uno dei vice-presidenti del Sinodo sull’Europa, ha detto quel che ha detto negando la realtà storica della Resurrezione a parte tutto il resto che vi è legato per cui – come disse San Paolo, che tuttavia non aveva dubbi – ‘se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra fede’.
I famosi Kasper, Rahner, per citarne solo alcuni, ma ce ne sono molti altri, vengono insegnati nei seminari cattolici, dove raccolgono grande consenso e hanno formato gli attuali sacerdoti.
Chi stabilisce i programmi di studio nei seminari? Chi designa i nomi dei ‘cattedratici’ che vi insegnano le loro teorie? I vertici della Chiesa, naturalmente.
Giovanni Paolo II è sopravvissuto alle pallottole di Alì Agka, ed è stato un grande miracolo della Madonna: ma se è sopravvissuto a questi teologi ed eminenti personaggi della sua Chiesa, questo deve essere stato un miracolo ancora più grande di cui nessuno ha mai parlato.
Prevedo vita dura per l’attuale Papa Benedetto XVI.
Siamo in piena apostasia  e nel pieno dell’eresia, ormai non c’è più alcun dubbio, e se qualcuno nutrisse qualche perplessità di fronte a questa mia affermazione con particolare riguardo all’esegesi modernista, potrà valutare quanto nella Appendice al presente volume è precisato in maniera apparentemente ben documentata in un articolo dal titolo ‘Il gigante dai piedi d’argilla’ apparso recentemente su una pubblicazione cattolica.
Tutto questo mi fa concludere che i tempi dell’Anticristo - decennio più, decennio meno – potrebbero non essere troppo  lontani, come diceva San Paolo quando parlava del futuro uomo iniquo.

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